Agostino - I soliloqui 2019

2019
11. 19. R. - Or dunque ritieni che la dialettica è vera o falsa?

A. - Chi puo dubitare che è vera? Ma è vera anche la grammatica.

R. - Allo stesso modo che l'altra?

A. - Non concepisco un vero più vero di un altro vero.

R. - Ma è appunto quello che nulla ha di falso.

Poco fa, mentre riflettevi su tali concetti, ti sentivi urtato da quelle strutture che, non so come, se non fossero false non potrebbero esser vere. Non sai che tutte le invenzioni -immaginarie ed evidentemente false appartengono alla grammatica?

A. - Ma si che lo so. Tuttavia, a mio avviso, non sono false in quanto parte della grammatica, poiché da essa sono studiate nella loro natura, qualunque essa sia. Difatti il dramma è un'invenzione composta per l'utilità e il diletto. E la grammatica è disciplina custode e regolatrice della voce articolata. Da questa sua funzione è indotta a raccogliere tutti i prodotti, e quindi anche le finzioni della lingua umana, che sono stati consegnati alla memoria o allo scritto non per renderli falsi ma per insegnare a costruire intorno ad essi una vera teoria.

R. - Giusto. In questo momento non mi preoccupo se tali concetti sono stati da te ben definiti e analizzati. Chiedo tuttavia se è la grammatica ovvero la dialettica a manifestarne la natura.

A. - Sono d'avviso che la facoltà tecnica del definire, che ho usato per analizzare questi concetti, appartiene alla dialettica.

La grammatica è semplice disciplina o anche scienza?

2020
11. 20. R. - E la grammatica, nell'ipotesi che contenga il vero, non lo contiene perché è disciplina? Disciplina infatti deriva da discere (apprendere). Si deve certamente ammettere che ha scienza chi ha appreso e ritiene. Ora non si ha scienza del falso. Dunque ogni disciplina contiene il vero.

A. - Non vedo in codesta breve dimostrazione il rischio di una qualche affermazione pregiudiziale. Tuttavia, a mio avviso, qualcuno potrebbe opinare, fondandosi su di essa, che sono vere le suddette finzioni, poiché anche quelle noi apprendiamo e riteniamo.

R. - Il nostro maestro non esigeva che accettassimo e conoscessimo le nozioni che insegnava?

A. - Anzi insisteva moltissimo per farcele apprendere.

R. - Ha insistito qualche volta perché credessimo nel volo di Dedalo?

A. - Questo mai. Tuttavia se non ricordavamo la favola, si comportava in maniera che appena potevamo tenere qualche cosa in mano.

R. - Dunque, a tuo avviso, non è vero che esiste la favola e che Dedalo è stato consegnato alla tradizione mitologica in quei termini?

A. - Ma non nego affatto che è vero.

R. - Dunque non neghi che hai appreso il vero quando hai imparato la favola. Difatti se il volo di Dedalo fosse vero e se i fanciulli l'accettassero e ripetessero come un'invenzione immaginaria, riterrebbero il falso per il fatto stesso che sarebbe vero cio che ripetono. Da qui prende consistenza il motivo di cui dianzi ci siamo meravigliati e cioè che non è potuta esistere una vera favola sul volo di Dedalo se il volo di Dedalo non fosse falso.

A. - Lo comprendo ormai, ma vorrei sapere che cosa abbiamo chiarito con tale analisi.

R. - Soltanto che non è falsa la dimostrazione con cui abbiamo assodato che la disciplina, se non contiene il vero, non puo esser disciplina.

A. - E che importa alla nostra indagine?

R. - Voglio insomma che tu esprima il principio per cui la grammatica è disciplina, poiché il principio per cui contiene il vero è il medesimo per cui è disciplina.

A. - Non so che risponderti.

R. - Non ritieni che se in essa non esistessero definizioni e non si operassero l'analisi dei concetti e la sintesi delle parti, non sarebbe in alcun modo disciplina?

A. - Comprendo il tuo pensiero. E inconcepibile una disciplina qualsiasi in cui definizione, analisi e sintesi non costituiscano cio che si dice la disciplina stessa. Si tratta appunto d'esprimere la quiddità dei relativi concetti, di scomporli senza confusione delle parti e di formulare degli enunziati che affermino i predicati propri e neghino i non propri.

R. - Dunque tutto il complesso per cui si dice che è vera.

A. - Ora ne scorgo la conseguenza.

La dialettica in quanto puro pensiero s'identifica con la verità.

2021
11. 21. R. - Ora manifestami qual è la disciplina che contiene le leggi delle definizioni, delle analisi e delle sintesi.

A. - E stato detto dianzi che esse sono contenute nelle regole della dialettica.

R. - Dunque la grammatica, che tu poco fa hai ritenuto immune da errore, è legittimata, in quanto disciplina e in quanto vera, dalla dialettica. Un simile motivo si deve affermare non solo della grammatica, ma di tutte le discipline. Tu stesso hai detto, e hai detto bene, che è inconcepibile una disciplina in cui la funzione del definire e del coordinare non la renda disciplina. Dunque se le discipline contengono il vero per il fatto che sono discipline non si potrà negare che è proprio la verità il principio per cui tutte le discipline sono vere.

A. - Presterei quasi un assenso incondizionato. Ma mi preoccupa il motivo che annoveriamo fra le discipline anche la dialettica. Io ritengo al contrario che la verità coincida con la verità stessa della dialettica.

R. - Molto bene e con molto discernimento. Ma tu non neghi, come penso, che in tanto è vera in quanto è disciplina.

A. - Anzi è proprio questo che mi rende perplesso. Ho riflettuto infatti che è anche disciplina e che per questo si dice vera.

R. - E tu riterresti che essa, nella sua fattispecie, potrebbe esser disciplina se in essa non fosse definito e coordinato tutto lo scibile?

A. - Non saprei che dire.

R. - Ma se ad essa appartiene questa funzione, è disciplina vera di per sé. Quale meraviglia dunque che la disciplina, per cui le cose si dicono vere, sia essa stessa verità, quando per la sua mediazione tutte sono vere?

A. - Non trovo ostacoli nell'accettare per la via più dritta codesta tesi.

c) Terzo principio:

L'essere e i suoi modi (12, 22)

Duplice modo d'essere nel soggetto.

2022
12. 22. R. - Ora ascolta i pochi concetti che restano.

A. - Di' se hai qualche motivo che io possa comprendere e accettare con certezza.

R. - In due modi, come abbiamo appreso, si dice che un essere è in un altro. Il primo modo si ha quando v'è cosi che si puo separare ed essere altrove, come questo pezzo di legno in questo posto e il sole nell'oriente. L'altro modo si ha quando l'essere è nel soggetto in maniera che da esso non possa esser separato, come in questo pezzo di legno la forma e la figura che vediamo, come la luce nel sole, il calore nel fuoco, la disciplina nello spirito e altre cose del genere. Sei di parere diverso?

A. - Tali concetti sono per noi un vecchio ricordo e li abbiamo appresi e capiti a fondo fin dalla prima adolescenza. Quindi interrogato sulla loro validità, non posso che ammetterli senza alcuna esitazione.

R. - E non ammetti anche che cio che è inseparabilmente nel soggetto non puo persistere se il soggetto non persiste?

A. - Ritengo indispensabile un altro motivo. Chiunque riflette attentamente sull'argomento comprende che, anche persistendo il soggetto, potrebbe cio che è nel soggetto non persistere. Difatti l'apparenza esterna di questo mio corpo puo, o a causa della salute o per l'età, cambiare quando il corpo ancora non ha cessato di vivere. Il principio non vale egualmente per tutte le proprietà, ma per quelle soltanto che coesistono nel soggetto, non con la funzione d'esserne note costitutive. Difatti la parete non perché sia parete è tinteggiata con questo colore che in essa vediamo. Anche se diventa nera o bianca o abbia qualsiasi altro colore, rimane e viene denominata parete. Al contrario il fuoco, se manca il calore, non è fuoco. La neve stessa non possiamo considerarla se non candida.

d) Applicazione dei tre principi

per concludere con l'immortalità (13, 23 - 14, 26).

Tentativo di concludere e aporia per immortalità impersonale anche in Platone. - Tentazione materialistica.

2023
13. 23. Mi hai rivolto la domanda se qualche cosa che è nel soggetto possa persistere pur venendone a mancare il soggetto. Non si puo ammettere e ritener valida tale tesi. E irragionevole e completamente assurdo che l'essere, il quale non potrebbe esistere fuori del soggetto, persista anche quando il soggetto venga a cessare.

R. - Dunque è stata finalmente raggiunta la meta dell'indagine.

A. - Ma che dici?

R. - Quanto ascolti.

A. - E già provato con evidenza che lo spirito è immortale?

R. - Se i principi che hai ammesso sono veri, con tutta evidenza; a meno che tu non ti riservi di affermare che lo spirito, anche se muore, è egualmente spirito.

A. - Non lo direi certamente. Affermo al contrario che un essere, per il fatto stesso che è soggetto al morire, non è spirito. E dal mio parere non mi distoglie l'insegnamento di grandi pensatori i quali hanno affermato che di per sé esclude la morte il principio che, dovunque venga a trovarsi, produce la vita. Al contrario anche la luce, dovunque penetra, illumina l'ambiente e per la celebre legge dei contrari non puo coesistere con le tenebre. Si estingue tuttavia, e l'ambiente, col suo estinguersi, viene privato di luce. Cosi l'energia che si opponeva alle tenebre non è coesistita con esse e proprio per questo, quando si estingue o anche se viene allontanata, lascia il posto ad esse. E per questo ho timore che la morte stia al corpo come le tenebre all'ambiente tanto nell'ipotesi che l'anima si allontani come un lume quanto in quella che si estingua nel corpo stesso. Ne consegue che non è il dissolversi dell'elemento corporeo a garantire la sopravvivenza. Si deve aspirare ad un genere di morte, dopo la quale l'anima sia fatta uscire incolume dal corpo e sia condotta in un luogo, seppure v'è, dove non possa estinguersi. Ma facciamo l'ipotesi che tale aspirazione sia assurda, che l'anima si accenda nel corpo come una luce né altrove possa sopravvivere e che ogni morte sia come lo spegnersi dell'anima o vita fisica. In tale ipotesi si deve scegliere, per quanto è consentito all'uomo, un genere di vita per cui si possa condurre un'esistenza sicura e tranquilla, sebbene non so proprio come si dia tale possibilità se l'anima muore. O veramente beati coloro che hanno raggiunto o da sé o per suggerimento di altri la convinzione che la morte non si deve temere anche se l'anima perisce! Ma a me infelice né dimostrazione né libro hanno potuto generare tale convincimento.

Si rimedita il tema di disciplina-verità.

2024
13. 24. R. - Non abbandonarti all'angoscia: l'anima umana è immortale.

A. - Da che lo dimostri?

R. - Dai principi che dianzi, con grande discernimento come penso, hai accettato.

A. - Ricordo certamente di aver risposto alle tue domande con grande discernimento. Ma compendia l'intero discorso, ti prego, e costatiamo dove siamo giunti dopo tanti andirivieni. E non vorrei più il procedimento dialogico. Se enumererai brevemente le nozioni che ho ammesso, non c'è motivo di attendere di nuovo una mia risposta. Ovvero perché infliggermi invano l'attesa della sospirata gioia se abbiamo raggiunto qualche valida conclusione?

R. - Procedero secondo il tuo espresso desiderio, ma porgi molta attenzione.

A. - Allora parla, sono attento. Perché mi fai morir d'ansia?

R. - Se tutto cio che è in un soggetto per sempre sussiste, è necessario che anche il soggetto per sempre sussista. Ora la disciplina è nell'anima umana come in soggetto. Quindi è necessario che l'anima umana per sempre sussista se per sempre sussiste la disciplina. Ma la disciplina è verità e la verità per sempre sussiste come fin dal principio di questo libro si è logicamente dimostrato. Quindi l'anima umana per sempre sussiste. L'anima umana morta è un non senso. Pertanto soltanto chi riesca a ribattere che qualcuno dei concetti fin qui analizzati non è stato logicamente dedotto puo negare che l'anima umana è immortale senza cadere nell'assurdo.

Nonostante la dialettica, ancora due aspetti aporetici.

2025
14. 25. A. - Vorrei ormai abbandonarmi alla gioia, ma sono trattenuto alquanto da due motivi. Prima di tutto mi preoccupa il fatto che ci siamo serviti di un lungo giro di parole intrecciando non saprei quale catena di ragionamenti. Al contrario il problema si poteva risolvere con poche parole, come è stato fatto ora soltanto. Mi rende quindi perplesso la considerazione che il discorso ha girovagato quasi a far perdere le tracce. In secondo luogo non riesco a concepire in qual modo nell'anima umana esista sempre la disciplina, e soprattutto la dialettica. Sono tanto pochi coloro che ne sono in possesso ed anche chi la conosce ne fu privo dall'infanzia per tanto tempo. Insomma non possiamo affermare o che l'anima umana degli ignoranti non è anima umana o che in essa esista la disciplina di cui sono ignoranti. Che se un tale assunto è veramente assurdo, rimane o che non sempre nell'anima umana esiste la verità ovvero che la disciplina non è la verità.

La tentazione di ricorrere all'autorità viene superata perché il metafisico pensiero è personale.

2026
14. 26. R. - Tu stesso puoi osservare che il nostro discorso non ha compiuto inutili giri di parole. Cercavamo infatti che cos'è la verità e devo ammettere che neanche adesso, in questa selva di concetti, dopo aver battuto quasi tutte le vie, l'abbiamo potuta intravedere. Or che fare? Vogliamo interrompere la ricerca ed aspettare che ci capiti fra mano qualche libro di altri pensatori che abbiano risolto il problema? Reputo che molti fino al presente ne sono stati scritti e noi non li abbiamo letti. Ed appunto allo scopo di non imbastir teorie su argomenti che non conosciamo, siamo informati che sul problema si sta scrivendo in versi e in prosa. E gli autori sono tanto noti che non possiamo ignorarne le opere e di tale levatura d'ingegno che non possiamo aver sfiducia di ritrovar nei loro scritti cio che ricerchiamo. Proprio qui, davanti ai nostri occhi, vive quell'uomo, nel quale riconosciamo che sia tornata in vita, e con alta manifestazione, quell'eloquenza che rimpiangevamo estinta. Egli che ha insegnato con i suoi scritti la regola del vivere, ci lascerà ignorare il significato stesso del vivere?

A. - Non lo penso certamente, anzi molto spero da lui; ma ho timore soltanto che non siamo capaci di manifestargli, come desideriamo, il nostro interesse verso di lui e la meditazione filosofica. Egli certamente avrebbe pietà della nostra sete e fornirebbe di che dissetarci molto più speditamente di quanto ha fatto finora, nella sicurezza che possiede per aver raggiunto la convinzione piena sull'immortalità dell'anima. Ma appunto per questo non sa che potrebbero esserci individui i quali hanno profondamente sentito l'infelicità del dubbio e che potrebbe essere inumano non andare loro incontro soprattutto se ne pregano. V'è poi l'altro che conosce, a causa della dimestichezza, la nostra sete ardente, ma ora è tanto lontano e noi ci troviamo in condizioni d'impossibilità perfino a spedirgli una lettera. Penso che nella solitudine oltre le Alpi abbia condotto a termine il carme col quale viene dissolto il timore della morte e sono cacciati il torpore e il freddo induriti nello spirito da vecchio gelo. Ma mentre si verificano eventi che non sono in nostro potere, è vergognoso che la nostra occupazione spirituale non approdi a nulla e che tutto lo spirito rimanga sospeso nell'aporia.

Terzo momento: verità, essere e immortalità (15, 27 - 20, 36)

Ricapitolazione dei due primi momenti.

2027
15. 27. Ma noi abbiamo pregato Dio e lo stiamo ancora pregando, non perché ci somministri le ricchezze, i piaceri sensibili, i favori popolari e gli onori, ma perché ci mostri la via mentre siamo alla ricerca dell'anima e di lui stesso. Ci abbandonerà forse o sarà da noi abbandonato?

R. - Non lo consente in alcun modo la sua bontà abbandonare coloro che desiderano tali beni. Quindi neanche a noi è consentito abbandonare un si grande condottiero. Pertanto, se per te va bene, ricapitoliamo brevemente i principi da cui sono state dedotte le due conclusioni: che la verità sempre persiste e che s'identifica con la dialettica. Hai detto che questi motivi lasciano adito a dubbi fino al punto da renderci incerti su tutto l'argomento. Ovvero più a proposito vogliamo indagare sulla possibilità dell'esistenza della disciplina nell'anima dell'ignorante che pur tuttavia non possiamo non considerare come anima umana? Mi è parso che anche da simile analisi ti provenissero delle perplessità sicché hai dovuto di nuovo sospendere il giudizio su nozioni che avevi già ammesso.

A. - Ma innanzittutto riesaminiamo il primo problema, poi vedremo come risolvere questo secondo. Cosi soltanto, come penso, non rimarranno difficoltà.

R. - E va bene. Ma segui con la massima attenzione e con tutto il discernimento. So già che cosa ti potrebbe avvenire nell'atto che segui e cioè che, mentre aneli alla conclusione e aspetti che da un momento all'altro sia inferita, ammetti senza sufficiente esame le nozioni proposte nelle domande.

A. - Forse dici il vero, ma mi sforzero d'evitare, per quanto mi è possibile, un simile errore nella ricerca. Tu intanto, per non indugiare in considerazioni superflue, inizia l'indagine.

Ricapitolazione sull'indeficienza della verità.

2028
15. 28. R. - Per quanto ricordo, abbiamo dedotto che la verità non puo cessare d'essere dal principio che se anche tutto il mondo cessasse, e perfino la verità, rimarrebbe vero che il mondo e la verità hanno cessato d'essere. Ma non si dà vero senza la verità, quindi la verità è assolutamente indefettibile.

A. - Riconosco di avere ammesso tali concetti e molto mi meraviglierei se fossero falsi.

R. - Esaminiamo allora l'altro principio.

A. - Lasciami riflettere un momentino, ti prego, per non dover ritornare con vergogna su tali considerazioni.

R. - E allora non sarà vero, nell'ipotesi, che la verità ha cessato d'essere? Se non sarà vero, non ha cessato d'essere. Se fosse vero, come lo potrebbe essere se la verità, una volta tramontata, non esistesse più?

A. - Sull'argomento non ho altro da esaminare e vagliare. Passa ad altro. Certamente faremo quanto è possibile affinché uomini dotti e prudenti leggano queste pagine e trovino mende, se vi sono, sulla nostra mancanza di senso critico. Io penso tuttavia che, né adesso né in seguito, si potranno formulare obiezioni contro i risultati ottenuti.

Ricapitolazione sul falso come divenire e mimesi.

2029
15. 29. R. - Si dice forse verità altro principio che quello per cui è vero tutto cio che è vero?

A. - No certamente.

R. - E secondo logica il vero è cio che non è falso?

A. - Aver dubbi in contrario è pazzia.

R. - E il falso è cio che è assimilato a qualche cosa e tuttavia non è cio di cui ha parvenza?

A. - Non trovo altro da denominare più logicamente il falso. Tuttavia si suole dire falso anche cio che è molto lontano dall'idea esemplare del vero.

R. - E chi lo nega? Purché abbia tuttavia una certa assimilazione al vero.

A. - E perché? Il mito del volo di Medea con gli alati serpenti aggiogati, per nessun aspetto è assimilato al vero, poiché non è un fatto avvenuto, e cio che non è avvenuto non puo essere assimilato a qualche cosa.

R. - Giusto. Ma non ti accorgi che una cosa che non esiste non si puo neanche denominare un falso. Se è falso, esiste; se non esiste, non puo neanche essere falso.

A. - Allora non dovremmo dire che è falso quel non so che di favoloso che è il volo di Medea?

R. - No certamente. Se è falso, come puo essere un fatto favoloso?

A. - Mi trovo davanti ad una strana cosa. In definitiva quando sento dire: Enormi serpenti alati aggiogati (Cicerone, De inv. 1, 19, 27), non devo affermare che è falso?

R. - Evidentemente lo puoi affermare. V'è difatti qualche cosa che puoi dire falso.

A. - E che cosa, scusa?

R. - Evidentemente il significato che è enunziato nel verso stesso.

A. - E alla fine quale assimilazione al vero esso ha?

R. - Perché avrebbe l'identico enunziato anche se realmente Medea avesse eseguito quel volo. Mediante 1'enunziazione un falso significato è assimilato a significati veri. Se non è creduto, ha somiglianza con i veri perché è enunziato come quelli veri; ed è soltanto falso, ma non induce all'errore. Se poi ottiene l'assenso, è assimilato ai significati veri cui erroneamente si assentisce.

A. - Ormai comprendo che esiste una bella differenza fra le nostre enunziazioni e i contenuti di esse e per questo rimango convinto. Ero trattenuto dalla considerazione che tutto cio che diciamo falso non si dice tale a rigor di logica se non ha qualche simiglianza col vero. Chi infatti non sarebbe giustamente messo in ridicolo se dicesse che la pietra è un argento falso? Tuttavia se qualcuno affermasse che la pietra è argento, rileviamo che egli dice il falso, che esprime, cioè, un falso significato. Non assurdamente, come penso, possiamo chiamare falso argento lo stagno o il piombo, perché queste sostanze ne sembrano quasi una imitazione. Percio non è falsa la nostra affermazione, ma il suo significato.

Agostino contro la moda.

2030
16. 30. R. - Hai inteso bene. Ma ora considera se possiamo convenientemente denominare falso piomba l'argento.

A. - Non mi va.

R. - E perché?

A. - Non lo so; ma penso che l'espressione ripugni assai ad un mio modo di considerare.

R. - Forse perché l'argento è di miglior qualità e viene quasi svalorizzato nel confronto e al contrario si ha una valorizzazione del piombo se viene chiamato falso argento?

A. - Hai spiegato con, precisione cio che intendevo. E percio reputo che siano a buon diritto considerati infami e privi dei diritti civili coloro che si pavoneggiano in abiti femminili. Non saprei se chiamarli false donne o piuttosto falsi uomini. Li possiamo senza dubbio denominare tuttavia veri istrioni e veri infami. Se poi lo fanno di nascosto, poiché non si è considerati infami se non dalla cattiva fama, li possiamo definire non senza verità, come penso; veri malvagi.

R. - Si presenterà altra occasione per discutere di tali argomenti. Si compiono comunque molte azioni che sembrano turpi nel loro apparire all'opinione pubblica, ma che tuttavia per un loro qualunque fine lodevole si devono ritenere oneste. Il problema è di grande importanza. Facciamo il caso di un cittadino che per liberare la patria debba ingannare il nemico vestendo abiti femminili. Egli, per il fatto che è una falsa donna, diviene forse un uomo più vero. Allo stesso modo è problematico se uno scienziato, il quale sia cosciente che la sua vita è necessaria al consorzio umano, debba preferire di morir di freddo anziché, in mancanza di altre, ricoprirsi di vesti femminili. Ma ne parleremo altrove. Tuttavia ti rendi perfettamente ragione di quanta ponderazione il problema necessiti, fino a qual punto si devono esaminare le cose perché non si cada in inescusabili azioni vergognose. Ed ora, per quanto riguarda la presente questione, penso che ormai tutto sia chiaro. Non rimane dubbio che non v'è falso se non a causa di una certa imitazione del vero.

La verità non è né corpo né vuoto...

2031
17. 31. A. - Passa ora a trattare gli argomenti che rimangono. Di quanto è stato detto son ben persuaso.

R. - Domando dunque se oltre le discipline che ci vengono insegnate, fra le quali è conveniente annoverare anche la filosofia, possiamo trovare altri oggetti cosi veri che non debbano, come l'Achille del teatro, esser falsi da un aspetto per esser veri dall'altro.

A. - A me pare che molti se ne diano. Difatti nessuna delle varie discipline ha per oggetto questa pietra; eppure essa per esser vera pietra non è assimilata a qualche cosa per cui si dice falsa. Dalla suddetta esemplificazione comprendi che è superfluo ricordare gli innumerevoli oggetti che si presentano con immediatezza a coloro che se li rappresentano.

R. - Lo comprendo certamente. Ma non ritieni che appartengono tutti al concetto di corpo?

A. - Lo riterrei nell'ipotesi che non esista il vuoto, che anche lo spirito debba annoverarsi fra i corpi e che anche Dio sia un qualche corpo. E se essi esistono, penso che il loro esser veri o falsi non dipende dalla simiglianza con qualche altra cosa.

R. - Ci stai spingendo ad una lunga discussione, ma, per quanto posso, la trattero in forma compendiosa. Certamente altro è cio che chiami vuoto, altro la verità.

A. - Ben altro. Se considero la verità come vuoto e poi anelo ardentemente a tale vuoto, che cosa ci sarebbe più vuoto di me? Che cosa se non la verità io desidero raggiungere?

R. - Dunque forse concedi che non si dà vero se non è vero mediante la verità.

A. - Tal motivo è accertato da tempo.

R. - Dubiti forse che di vuoto non c'è che il vuoto e che tutto è corpo?

A. - Non ne dubito affatto.

R. - Allora potrei pensare che, a tuo avviso, anche la verità è un corpo.

A. - Ma niente affatto.

R. - Ed il vuoto è nel corpo?

A. - Non lo so ed è fuori argomento. A mio avviso, tuttavia, tu dovresti per lo meno sapere che se c'è il vuoto, è piuttosto un qualche cosa dove non v'è corpo.

R. - Questo è evidente.

A. - E allora perché indugiamo?

R. - Ritieni che la verità sia la causa del vuoto o che ci sia un qualche vero dove non c'è verità?

A. - No.

R. - Dunque il vero non è vuoto poiché il vuoto non puo avere per causa cio che non è vuoto; inoltre cio che è vuoto di verità non è vero e infine cio che si dice vuoto, lo si dice perché è nulla. Come dunque puo esser vero cio che non è, e come puo esser cio che è radicalmente il nulla?

A. - Suvvia dunque, abbandoniamo il vuoto come vuoto.

... ma principio ideale ed essere.

2032
18. 32. R. - E che pensi degli altri esseri?

A. - A che alludi?

R. - All'argomento che, come dovresti accorgerti, conferma il mio assunto. Rimangono da considerare l'anima umana e Dio. Se questi due esseri sono veri in quanto in essi è la verità, nessuno puo dubitare dell'immortalità di Dio. L'anima umana poi si deve ritenere immortale se si prova che in essa inerisce essenzialmente la verità che non puo perire. Ed esaminiamo l'ultimo motivo che abbiamo discusso e cioè se il corpo non è essenzialmente vero nel senso che in esso non è verità, ma una certa qual copia della verità. Ma facciamo un'ipotesi: se anche nel corpo, del quale è sufficientemente certo che si dissolverà, troviamo lo stesso vero che nelle varie discipline, la dialettica, per cui tutte le discipline sono vere, non s'identificherà con la verità. Vero è anche il corpo, ma è inconcepibile che abbia per causa agente la dialettica. Se. poi il corpo è vero in relazione al principio della somiglianza e per questo non essenzialmente vero, non si potranno sollevare obiezioni contro l'identificazione della dialettica con la verità.

A. - Frattanto indaghiamo sul corpo. Tuttavia io sono convinto che, anche quando sarà accertato questo argomento, la disputa non avrà raggiunto l'obiettivo.

R. - Perché previeni il consiglio di Dio? Piuttosto sta' attento. Io penso che il corpo è circoscritto dalla forma e figura sensibile. Se non l'avesse non sarebbe corpo; se avesse quella ideale, sarebbe spirito. O si deve pensare diversamente?

A. - Accetto una parte, dell'altra dubito. Concedo cioè che se non fosse circoscritto da una figura, non sarebbe corpo. Non comprendo sufficientemente come sarebbe spirito se avesse quella ideale.

R. - Non ricordi proprio niente della introduzione al primo libro e delle tue nozioni di geometria?

A. - A proposito le rammenti; ora ricordo bene e con molta soddisfazione.

R. - Nei corpi si trovano le figure cosi come le studia la geometria?

A. - Anzi è incredibile quanto appaiano meno perfette.

R. - Quale dunque fra le due è quella ideale?

A. - Ti prego, non umiliarmi con tali domande. Chi è tanto cieco di mente da non comprendere? Difatti le figure studiate nella geometria sono nella verità o anche la verità è in esse. Le figure sensibili, poiché ne hanno la parvenza, sono assimilate a non saprei quale imitazione della verità e percio sono false. Ora comprendo tutto cio che intendevi chiarirmi.

La verità è l'essere dell'anima in quanto puro pensiero nel cui attuarsi si ottiene coscienza il immortalità.

2033
19. 33. R. - Che necessità c'è ancora di continuare a disputare sulla dialettica? Tanto nell'ipotesi che le figure geometriche siano nella verità come nell'ipotesi che la verità sia in esse, nessuno puo mettere in dubbio che sono contenute nella nostra anima, cioè nel nostro pensiero, e che di conseguenza la verità esiste necessariamente anche nel nostro spirito. Che se qualsiasi disciplina è inseparabilmente nell'anima umana come in soggetto e se la verità non puo cessar d'essere, perché, scusa, continuiamo a dubitare, per non so qual dimestichezza con la morte, della perpetua vita dell'anima umana? O forse la linea, la quadratura o la circolarità devono, per esser vere, imitare altre forme?

A. - Non lo posso ammettere in alcun modo, a meno che la linea sia altro dalla lunghezza e il cerchio sia altro da una linea che torna al punto di partenza equidistanziandosi dal centro.

R. - E allora che aspettiamo? Dove esistono tali forme ideali, puo non esistere la verità?

A. - Iddio ci liberi da simile folle contestazione.

R. - O la disciplina non è nell'anima umana?

A. - Chi affermerebbe il contrario?

R. - E potrebbe cio che è nel soggetto continuare a sussistere, se il soggetto cessasse d'esistere?

A. - Come potrei avere una tal persuasione?

R. - Si potrebbe far l'ipotesi che venga a cessare la verità.

A. - Ma come sarebbe concepibile?

R. - Dunque l'anima è immortale. Attienti ormai ai tuoi pensieri, attienti alla verità. Essa ti rivolge l'appello che è in te, che è immortale e che la sua dimora non puo esserle sottratta dalla morte fisica. Liberati dall'ombra del tuo essere fisico, ritorna in te stesso. E inconcepibile il tuo morire, salvo quello di dimenticarti che non puoi morire.

A. - Ascolto l'appello, torno in me e comincio a rimeditare. Ma, per favore, continua l'indagine sul motivo che rimane della possibilità dell'esistenza di disciplina e verità nell'anima dell'ignorante, poiché neppure essa possiamo considerare mortale.

R. - Il problema richiede un trattato a parte se lo vuoi risolvere esaurientemente. Ritengo che vi dovresti richiamare le nozioni che sono state analizzate secondo le nostre possibilità. Sono del parere che, se non esistono dubbi su quanto è stato accertato, abbiamo già effettuato una buona conquista e che con grande sicurezza si puo continuare l'indagine sul resto.

Differenza fra il pensiero puro (Platone) e quello rappresentativo (Zenone).

2034
20. 34. A. - Le tue parole sono vere ed io mi sottometto volentieri alla tua autorità. Ma prima di porre termine al presente trattato, vorrei ottenere per lo meno che tu brevemente mi esponga la differenza esistente fra la figura ideale che viene compresa dall'intelligenza e quella formata dalla rappresentazione che si denomina in greco fantasia o fantasma.

R. - Chiedi proprio cio che puo intuire soltanto una mente abituata alla speculazione, e tu hai poco esercizio in questo genere d'indagine. Nella presente ricerca appunto non abbiamo fatto altro che esercitarti mediante il dialogo maieutico per renderti idoneo alla teoresi filosofica. Tuttavia, brevemente forse, ti rendero evidente la grandissima differenza fra le due figure nel metodo d'insegnamento. Supponi di esserti dimenticato di qualche cosa e che qualcuno te la voglia richiamare alla memoria. In tal caso gli insegnanti, presentandoti oggetti diversi o simili, ti chiedono: E questo o quest'altro che non ricordi? E tu non ravvisi nell'oggetto presentato quello che vuoi ricordare e tuttavia ti accorgi che non è quello presentato. Ti pare che quando ti capita un fenomeno di tal genere si tratta di completa dimenticanza? Difatti il discernimento, mediante il quale non riconosci l'oggetto da cui sei stimolato sensibilmente, è un parziale ricordo.

A. - Giusto.

R. - Allo stesso modo vi sono alcuni che ancora non intuiscono la verità, tuttavia non possono essere ingannati e tratti in errore e conoscono già abbastanza l'oggetto della ricerca. Supponi che qualcuno ti venga a dire che ti sei messo a ridere pochi giorni dopo la tua nascita. Se chi te lo riferisce è degno di fede, tu non osi dire che è falso e pur non ricordando crederai. Difatti tutto il tempo della tua primissima infanzia ti è nascosto da una profondissima dimenticanza. La pensi diversamente?

A. - Sono perfettamente d'accordo.

R. - Questa dimenticanza differisce moltissimo dalla precedente che sta quasi nel mezzo. Difatti ve n'è una terza più vicina e quasi alle soglie del ricordo e al riconoscimento della verità. E molto simile alla condizione in cui ci troviamo quando vediamo qualche cosa e con certezza rammentiamo di averla vista precedentemente e diciamo di conoscerla, ma ci affanniamo a richiamare e rievocare dove, quando, come o presso chi ne siamo venuti a conoscenza. E se il caso riguardasse un uomo, rimuginiamo dove l'abbiamo conosciuto. Ed appena egli ce lo ricorda, all'improvviso tutto il passato avvenimento riempie la memoria come una luce e non ci si affatica più a ricordare. O eventualmente il caso ti è sconosciuto od oscuro?

A. - Ma è notissimo e molto frequentemente mi avviene.

Superamento della logica stoica della rappresentazione.


Agostino - I soliloqui 2019