L'IMMORTALITA' DELL'ANIMA








L'IMMORTALITA' DELL'ANIMA

SANT'AGOSTINO



Contro il naturalismo peripatetico: Immortalità e pensiero (1, 1-6, 11).

Contro Stratone: Immortalità e puro pensiero.

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1. 1. Se la disciplina ha un suo dove essere e puo essere soltanto in un soggetto vivente, se inoltre la disciplina è per sempre, ed anche il soggetto, in cui qualche cosa è per sempre, è indefettibile, il soggetto, in cui disciplina esiste, vive per sempre. Egualmente, se siamo noi che formuliamo ragionamenti, cioè il nostro essere pensante, e non puo formularli secondo logicità senza la disciplina, se inoltre non si concepisce essere pensante se non mediante la disciplina, considerazione a parte per quello in cui non v'è disciplina, esiste nello spirito dell'uomo la disciplina. Dunque la disciplina ha un suo dove essere. E reale infatti ed è impossibile che un essere reale non abbia un suo dove essere. Allo stesso modo la disciplina puo essere soltanto in un soggetto vivente. E assurdo infatti che chi non vive apprenda a conoscere e la disciplina non puo essere in chi non apprende a conoscere. Allo stesso modo la disciplina è per sempre. E infatti necessario che un esistente che non soggiace al divenire sia per sempre ed è innegabile che esista la disciplina. Chi ammette appunto l'impossibilità che il diametro non sia la linea più lunga di tutte le altre che non passano per il centro della circonferenza e riconosce che questo enunciato appartiene ad una determinata disciplina, non puo negare la non soggezione al divenire della disciplina. Allo stesso modo è impossibile che un soggetto, in cui qualche cosa esiste per sempre, possa cessare. E assurdo infatti che un essere che è per sempre si separi dal soggetto in cui esiste per sempre. Quando noi formuliamo ragionamenti, è il nostro spirito che li formula. E puo farlo soltanto l'essere che è capace di pensiero. L'essere sensibile dunque non pensa e non pensa il soggetto pensante per la mediazione del sensibile, poiché quando tende all'atto del pensiero trascende il sensibile. Infatti l'oggetto del pensiero è sempre il medesimo; al contrario non v'è cosa del mondo sensibile che sia sempre la medesima. Quindi non puo aiutare lo spirito nel suo muoversi all'atto del pensiero. E già molto che non lo impedisca. Allo stesso modo non si possono formulare ragionamenti secondo logicità se non mediante la disciplina. Il ragionamento è appunto atto del pensiero che da conoscenze oggettive tende all'esame di conoscenze non oggettive. Ora per il soggetto pensante non c'è oggettività del non pensato. Ma il soggetto pensante ha in sé l'oggetto di puro pensiero e il puro pensiero non ha altro oggetto da quello che è di competenza di qualche disciplina. Disciplina è appunto pensiero puro di determinati oggetti. Quindi lo spirito umano vive per sempre.

Contro Aristoseno: L'anima in quanto pensiero non è armonia del corpo.

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2. 2. Il pensiero è certamente lo spirito stesso ovvero è nello spirito. Ora ha più essere il nostro pensiero che il nostro corpo. Ma il nostro corpo è un determinato essere permanente ed è meglio esser tale che non essere. Quindi il nostro pensiero non è un non essere. Ancora, qualsivoglia sia l'armonia del corpo, è necessario che risieda inseparabilmente nel corpo come soggetto; e non si deve ritenere che in tale armonia vi sia qualche elemento che non sia necessariamente nel corpo come soggetto, anzi l'armonia stessa vi risiederebbe inseparabilmente. Ora il corpo umano soggiace al meccanismo, il pensiero non vi soggiace. Soggiace infatti a divenire l'essere che non è sempre il medesimo. Ma "due e quattro fanno sei" è sempre il medesimo ed egualmente "il quattro contiene due e due e non li contiene il due, quindi il due non è il quattro". Questo è un pensiero che non soggiace al divenire: dunque il pensiero ha un suo essere. Ma se il soggetto soggiace al meccanismo, necessariamente soggiace al divenire cio che è in esso inseparabilmente. Quindi lo spirito non è armonia del corpo. E la morte non puo sopraggiungere ad esseri non soggetti al meccanismo. Pertanto lo spirito vive per sempre, sia esso il pensiero o sia in esso inseparabilmente il pensiero.

Contro Alessandro: a) Permanenza e dinamismo dell'anima...

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3. 3. C'è una certa forza d'attuazione dell'essere in riposo e l'essere nel riposo non è nel divenire. Inoltre la forza d'attuazione è in potenza ad attuare, ma quando non attua non cessa d'essere forza d'attuazione. Ora l'attuazione implica l'esser mossi e il muovere. Quindi non ogni essere mosso e, a più forte ragione, non ogni essere movente è nel divenire. Soltanto l'essere che è mosso da un altro e non muove se stesso è mortale. E non è mortale l'essere che non è nel divenire. Quindi con certezza e senza possibilità dell'altra parte di contraddizione si conclude che non ogni essere che muove è nel divenire. Ma non c'è movimento senza l'essere permanente ed esso o è vivente o non è vivente. Ma l'essere che non vive è privo di anima e non si dà forza d'attuazione senza l'anima. Quindi l'essere che muove senza porsi nel meccanismo non puo essere che viva esseità permanente. Ed è lei che, senza divisioni, muove il corpo alle singole gradazioni di vita. Quindi non ogni essere che muove il corpo soggiace al meccanismo. Inoltre il corpo è mosso soltanto secondo tempo. Si tratta infatti di esser mossi in successioni più lente o più celeri. Ne consegue che v'è un essere che muove col tempo, ma non si pone nel divenire. E l'essere che muove il corpo col tempo, sebbene tenda ad unico fine, non puo tuttavia produrre una molteplicità d'effetti contemporaneamente e deve produrre una molteplicità d'effetti. Il corpo infatti, da qualsivoglia forza sia mosso, non puo essere completamente uno perché puo essere diviso in parti ed è assurdo un corpo senza parti. D'altra parte non si dà tempo senza distinzioni di momenti. Anche se si profferisce una sillaba brevissima, ne puoi udire la fine soltanto se non odi più l'inizio. Ora per ogni atto che si compie nella successione si ha bisogno dell'attesa, perché esso si possa distendere, e della memoria perché si possa contrarre quanto è possibile. L'attesa è degli avvenimenti futuri, la memoria dei passati. Ma la coscienza d'agire è del presente. In esso appunto il futuro diviene passato, sicché l'attesa del termine d'un attuale movimento del nostro essere fisico si congiunge ad un atto di memoria. Non è infatti possibile attendere il termine se puo sfuggire l'inizio e perfino la realtà del movimento stesso. Allo stesso modo la coscienza dell'azione continuata che è presente è impossibile senza l'attesa del termine che è futuro. Insomma è reale soltanto cio che ancora non è reale ovvero non lo è più. In un'azione quindi vi possono essere momenti appartenenti alle cose che ancora non si sono verificate. In chi compie l'azione, al contrario, v'è simultaneamente la serie dei momenti sebbene essi non possano essere simultaneamente. Possono essere dunque in chi muove, sebbene non possano essere in chi è mosso. Ma tutte le cose, che non possono essere simultaneamente in un attimo di tempo e tuttavia sono trasmesse dal futuro al passato, sono di necessità nel divenire.

... e quindi suo non divenire;

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3. 4. Ne deduciamo che non è assurdo che vi sia un essere il quale muove le cose poste nel divenire, ma non è posto nel divenire. Difatti non è posta nel meccanismo, in chi muove, la coscienza di condurre al fine voluto l'essere sensibile che è mosso. Inoltre l'essere sensibile usato come mezzo è posto dal movimento nel meccanismo per momenti successivi ed è manifesto che la coscienza di produrre l'effetto rimane fuori del divenire nell'atto che muove le membra dell'artigiano, il legno o la pietra che egli ha sotto mano. Non si puo dunque dubitare che è logicamente conseguente quanto è stato detto. Quindi non necessariamente la soggezione al meccanismo nei corpi prodotta dallo spirito, anche se esso ne è cosciente, ne comporta la soggezione al meccanismo per cui si debba ritenere che anche esso soggiaccia a morte. Esso infatti congiunge all'attuale coscienza la memoria del passato e l'attesa del futuro. E questi momenti non si concepiscono senza la vita. E sebbene non si dia corruzione senza il meccanismo né meccanismo senza il movimento, tuttavia non necessariamente il meccanismo causa la corruzione né il movimento il meccanismo. Non è assurdo infatti pensare che il nostro corpo è mosso continuamente da agenti esterni e che diviene attraverso l'età, ma non per questo che è già morto, cioè privo di vita. E possibile quindi pensare che lo spirito non viene perdendo vita nella successione, sebbene soggiaccia a una certa forma di divenire mediante il movimento.

b) Esistenza dell'idea nell'anima...

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4. 5. Se nello spirito v'è qualche cosa che non soggiace al divenire e suppone la vita, ne consegue necessariamente che nello spirito la vita sia indeficiente. L'argomento è tale che, posta la validità della premessa, è valida anche la conclusione. Ora la premessa è valida. E assurdo affermare infatti, per tacere di altri esempi, che il pensiero matematico è nel divenire, che qualsiasi arte liberale non è indefettibile in virtù del pensiero, che l'arte liberale non è nel dotto anche se non la esercita, che è sua indipendentemente dallo spirito, che possa esistere dove non c'è vita, che un essere non diveniente possa cessar d'esistere, che siano differenti l'arte liberale e il pensiero. Infatti sebbene l'arte liberale sia definita come un sistema di vari pensieri, essa tuttavia si puo definire con tutta verità e considerare come pensiero. Ma sia che si interpreti nell'uno come nell'altro senso, se ne deduce egualmente che l'arte liberale non soggiace al meccanismo. E egualmente manifesto non solo che l'arte liberale è nella coscienza del dotto, ma che è soltanto ed inseparabilmente nella coscienza del dotto. Se infatti essa fosse separata dalla coscienza, o potrebbe esistere fuori della coscienza, o non esisterebbe in alcuna parte, o potrebbe per contatto passare da una coscienza ad un'altra. Ma come l'arte liberale implica sempre la vita cosi la vita col pensiero è propria soltanto dell'anima umana. Allo stesso modo è impossibile che un essere reale non sia in qualche parte e che cio che non soggiace al meccanismo cessi in un determinato momento d'esistere. Se poi l'arte liberale passasse di soggetto in soggetto per rimanere in uno abbandonando l'altro, non si puo insegnare l'arte liberale se non perdendola ovvero non la si apprende se non per la dimenticanza o morte di un altro. Ma se queste conclusioni sono assurde e false come lo sono, l'anima umana è immortale.

... anche se non è sempre e universalmente in atto;

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4. 6. Ma supponiamo che l'arte liberale ora sia ed ora non sia in una coscienza. E un fatto assai noto, dovuto alla dimenticanza o all'ignoranza. Anche in tal caso non si puo dedurre contro l'immortalità se si spiega la premessa nella seguente maniera. O v'è qualche cosa nello spirito anche se non v'è nell'attuale stato di coscienza, ovvero in una mente colta non rimane la disciplina della musica nell'atto che si applica alla geometria. Ma questa conclusione è falsa, quindi la prima è vera. La mente non ha coscienza di possedere una nozione se questa non è rappresentata. Vi puo esser quindi nello spirito qualche cosa di cui esso non è cosciente. Per quanto tempo vi rimanga non importa. Poniamo dunque che un soggetto sia stato occupato in altre cose tanto a lungo che non gli è più possibile richiamare alla coscienza rappresentazioni anteriori. Tale stato si chiama dimenticanza o ignoranza. Ma quando noi scopriamo qualche verità riguardante le discipline liberali in una meditazione interiore ovvero in un dialogo condotto con buon metodo, la scopriamo soltanto nel nostro spirito. E scoprire non è il medesimo che produrre o causare, altrimenti la mente causerebbe verità eterne con una scoperta operata nel tempo. Talora infatti scopre verità eterne. Nulla v'è infatti di più eterno che l'idea del circolo o altre nelle varie discipline. E assurdo che esse non siano per sempre o che cessino d'essere. Ed è anche evidente quindi che lo spirito umano è immortale e che le nozioni intelligibili esistono nella sua interiorità, sebbene possa sembrare che, o per non averle apprese o per averle dimenticate, non le abbia o le abbia perdute.

c) Non soggezione alla passione...

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5. 7. Ora esaminiamo in quali limiti si deve intendere il divenire dello spirito. L'arte liberale suppone un soggetto. Facciamo dunque l'ipotesi che lo spirito sia soggetto. E impossibile in tale ipotesi che il soggetto soggiaccia al meccanismo senza il soggiacervi di cio che è nel soggetto. Non si puo ritenere per apodissi che l'arte liberale e il pensiero non sono nel divenire se ci si obietta validamente che lo spirito, in cui essi esistono, è nel divenire. Poi non v'è maggiore soggezione al divenire che il passaggio da un contrario all'altro. Infine, per non parlare d'altro, non si puo negare che lo spirito puo trovarsi nell'ignoranza ovvero possedere scienza. Esaminiamo prima di tutto in quanti modi s'intende il cosi detto divenire dell'anima. I più noti soltanto ed evidenti per noi, a mio molo di vedere, sono due nel genere, molti nella specie. Si dice che l'anima soggiace al meccanismo o secondo i perturbamenti fisici o secondo quelli propri: secondo i perturbamenti fisici, per esempio, a causa dell'età, delle malattie, dei dolori, della fatica, delle sventure, dei piaceri; secondo i propri, ad esempio, con i desideri, la gioia, il timore, l'affanno, l'applicazione, l'apprendimento.

... del soggetto in quanto pensiero;

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5. 8. Ma facciamo l'ipotesi che queste perturbazioni non costituiscano una dimostrazione valida per la mortalità dell'anima. Prese separatamente intanto non sono certamente un'obiezione temibile. Basta esaminare, perché non costituiscano obiezione al nostro assunto, che nel divenire del soggetto è implicito formalmente il divenire di cio che è nel soggetto. Dunque non costituiscono obiezione. Si avrebbe infatti un divenire che comporterebbe la mutazione sostanziale del soggetto. Ad esempio, se un pezzo di cera diviene da bianco nero, è egualmente cera. Allo stesso modo se assume da quadrangolare figura circolare, da molle diviene dura, da calda fredda, queste proprietà sono nel soggetto e soggetto rimane la cera. E rimane cera, non più o meno cera sebbene le proprietà siano nel divenire. E possibile quindi un determinato divenire delle proprietà che sono nel soggetto senza che esso soggiaccia a mutazione nella sostanza e nel nome. Ma facciamo il caso che avvenga una cosi profonda alterazione delle proprietà che sono nel soggetto da non poter denominare alla stessa maniera l'essere che era considerato come soggetto. Ad esempio, la cera, quando col calore del fuoco si spande nell'aria, subisce un tale cangiamento da farci pensare che il soggetto sia mutato. Era la cera, ma non è più la cera. In tal caso, in nessun senso e per nessun ragionamento si puo ritenere che rimanga qualche elemento delle proprietà che appunto erano in quel soggetto per il fatto che era quel soggetto.

che ne garantisce indefettibilità;

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5. 9. Pertanto se l'anima è soggetto, come abbiamo già detto, e in essa il pensiero esiste inseparabilmente perché di assoluta necessità, i singoli pensieri implicano un soggetto; inoltre se è anima soltanto l'anima che ha vita e il pensiero che è in essa implica vita e il pensiero è immortale, l'anima è immortale. E assurdo infatti che il pensiero non soggiaccia al meccanismo se il suo proprio soggetto cessa d'esistere. E l'assurdo si verificherebbe se avvenisse una sostanziale mutazione dell'anima sicché il pensiero non ne rimanesse il costitutivo essenziale assicurandole immortalità. Ora nessuna delle suddette perturbazioni che si producono o per influsso del corpo o dell'anima ha per effetto che l'anima non sia anima. E c'è anche il non trascurabile problema se alcune avvengano per influsso dell'anima in maniera che essa ne sia la causa. Comunque ormai non sono più temibili né in sé né alla nostra dimostrazione.

d) Perfetta riversibilità fra soggetto empirico o intelletto passivo...

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6. 10. Osservo quindi che si deve attendere con ogni vigore dialettico per avere scienza del significato di pensiero e delle varie definizioni che se ne possono dare, affinché da ogni modo di definirlo si possa trarre certezza dell'immortalità. Il pensiero è lo sguardo dello spirito per cui da sé e non mediante il sensibile ha intuizione dell'intelligibile, o anche la pura contemplazione dell'intelligibile, ovvero è lo stesso intelligibile che si contempla. Nessuno puo dubitare che esso, inteso nel primo senso, è nello spirito. Sul secondo e terzo senso l'indagine è aperta. Comunque anche nel secondo senso non è concepibile senza lo spirito. Esiste una grande controversia nei confronti della terza accezione e cioè se l'intelligibile, di cui il soggetto pensante ha pura intuizione, sia in sé sussistente e fuori del soggetto pensante o possa concepirsi senza il soggetto pensante. Ma comunque sia, il soggetto pensante non potrebbe conoscerlo analizzando se stesso, ma attraverso un particolare congiungimento con esso. Infatti ogni oggetto che contempliamo o ci rappresentiamo, ce lo rappresentiamo o con il senso o con l'intelletto. Ma gli oggetti che si percepiscono col senso sono percepiti come esterni a noi e posti in condizioni di spazio, sicché si deve ammettere che non se ne ha una rappresentazione universale. Gli oggetti intelligibili al contrario son conosciuti come non posti fuori in determinate condizioni, allo stesso modo appunto dello spirito che li conosce. Difatti con atto medesimo si pensa che non sono in condizioni di spazio.

... e puro pensiero o intelletto attuantesi.

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6. 11. Quindi la sintesi del soggetto pensante e dell'intelligibile pensato o avviene in maniera che lo spirito è soggetto e l'intelligibile è nel soggetto, o al contrario l'intelligibile è il soggetto e lo spirito nel soggetto, o sono ambedue a sé stanti. Nella prima ipotesi sono egualmente immortali lo spirito e il pensiero poiché il pensiero, in virtù della dimostrazione già esposta, puo inerire soltanto a soggetto vivo. La medesima logica conclusione si ha nella seconda ipotesi. Infatti se l'intelligibile che si dice pensiero, nel suo esprimersi, non soggiace a divenire, non soggiace a divenire l'essere che è in esso come in soggetto. Quindi ogni difficoltà rimane per la terza ipotesi. Infatti se lo spirito è a sé stante, e l'essere a sé stante si congiunge col pensiero, si potrebbe pensare, senza cadere nell'assurdo, alla possibilità che lo spirito sia defettibile, pur rimanendo indefettibile il pensiero. Ma è evidente che lo spirito, finché non si separa dal pensiero e ad esso inerisce, necessariamente persiste in vita. Intanto da quale forza potrebbe esserne separato? Da forza materiale, più debole nel potere, inferiore di origine e di ordine assai diverso? Certamente no. Spirituale allora? Ma anche qui in qual maniera? Anche uno spirito più puro, qualunque sia, non puo forse attuare un puro pensiero senza allontanarne lo spirito inferiore? Ma pur nell'ipotesi che tutti abbiamo pura intellezione, il pensiero non viene a mancare per ognuno che abbia pura intellezione. Intanto non v'è essere che sia più in atto del pensiero, poiché è il meno soggetto al divenire. Quindi in nessuna maniera lo spirito che ancora non è congiunto con il pensiero puo essere più in atto di quello che v'è congiunto. Rimane che il pensiero lo separi da sé o lo spirito stesso se ne separi. Ma all'essere del pensiero non appartiene il cattivo volere che gli impedisca di offrirsi allo spirito. Anzi quanto più ha essere tanto più comunica alla cosa, che gli si unisce, quell'essere il cui contrario è il perire. Si potrebbe poi dire, non del tutto illogicamente, che il soggetto pensante si separa dal pensiero con la volontà, se si desse vicendevole separazione degli esseri che non sono nello spazio. Il motivo si puo applicare contro tutte le precedenti obiezioni, alle quali abbiamo opposto altrettante confutazioni. E allora si deve già ammettere che lo spirito dell'uomo è immortale? E potrebbe cessar d'essere anche se è impossibile che si separi? Ma se il potere della ragione attua lo spirito in virtù del congiungimento, e necessariamente lo attua, lo attua certamente nel produrvi l'essere. L'essere appartiene in grado sommo al pensiero che si concepisce come la forma più pura d'esenzione dal divenire. Dunque costringe, in certo senso, all'essere le cose cui si partecipa. Quindi lo spirito non puo cessar d'essere se non separato dal pensiero. Ma non puo essere separato, come abbiamo già dimostrato; quindi non puo perire.

Contro il naturalismo stoico-epicureo: Immortalità e incorporeità (7, 12 -16, 25)

Obiezioni: a) per deperimento: l'anima non deperisce per detrazione di pensiero come il corpo non deperisce per divisione;

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7. 12. Ma al contrario è impossibile che il separamento dal pensiero, il quale induce insipienza nella coscienza, avvenga senza un suo deperimento. Essa infatti si accresce nell'essere quando si muove verso il pensiero e ad esso inerisce, poiché inerisce all'essere attuale che è verità, cioè totalità e principio dell'essere. Per inverso, quando se ne allontana, ha meno essere che è appunto un deperire. Ora il deperimento per sé tende alla nientificazione. Non ci si dà con maggiore proprietà il concetto del perire che nell'essere il quale era qualche cosa e diviene nulla. Tendere al nulla è appunto tendere al perire. E non si puo trovar motivo di dire che non si verifica nello spirito se in esso si verifica una dissoluzione. Si concede tutto fuorché la conseguenza che perisce, cioè raggiunge il nulla, l'essere che vi tende. Il motivo si puo rilevare perfino nel corpo. Ogni corpo è infatti parte del mondo sensibile e quanto ha più essere ed occupa più spazio, tanto più si avvicina al tutto; e quanto più vi si avvicina, tanto ha più essere. Ma il tutto è maggiore della parte. Per contrario è necessario che il corpo abbia meno essere quando è diminuito. Ed è diminuito quando da esso si sottrae una parte mediante divisione. Ne consegue che esso con tale detrazione tende alla nientificazione. Ma qualsiasi divisione non riduce al nulla. Infatti ogni parte che rimane è corpo, comunque sia la sua ubicazione, sia pure in porzione minima di spazio. Non potrebbe se non avesse parti in cui esser diviso all'infinito. Puo quindi con divisioni all'infinito essere diminuito all'infinito e quindi subire decrementi e tendere al nulla sebbene non lo puo raggiungere. La medesima cosa si puo dire dello spazio stesso e di qualsiasi lunghezza. Infatti detraendo da determinate lunghezze, ad esempio, una metà e del restante sempre una metà, la lunghezza diminuisce e si avvicina al punto, al quale tuttavia non si giunge mai. A più forte ragione l'annullamento non si deve temere per lo spirito. Infatti ha più essere e vita del corpo il principio che gli dà vita.

b) per origine: anche il mondo fisico non deperisce...

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8. 13. Inoltre l'essenza del corpo non è nella quantità, ma nella forma. Il motivo, puo esser dimostrato con argomento irrefutabile. Il corpo ha tanto più essere quanto più è perfetto e proporzionato, tanto ha meno essere quanto più è imperfetto e deforme. Il dissolvimento non è dovuto alla divisione della quantità di cui è stato già detto sufficientemente, ma alla privazione di perfezione. Sul problema si deve investigare con diligenza ed esaminarlo bene, perché non si affermi che per tale deperimento lo spirito cessi di essere. Esso è certamente privo d'una sua perfezione mentre è nell'ignoranza; ma non si deve credere che tale privazione possa aumentare al punto da spogliare lo spirito d'ogni proprietà e che mediante tale deperimento lo induca al nulla e lo faccia cessar d'essere. E se possiamo dimostrare che neanche il corpo puo esser privo della forma per cui è corpo, a buon diritto forse renderemo evidente che a più forte ragione non si puo sottrarre allo spirito cio per cui è spirito. Infatti chi sa ben guardare nella interiorità dovrà confessare che la coscienza, comunque sia, ha più valore di qualsiasi corpo.

... sebbene prodotto e posto nel divenire...

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8. 14. Sia dunque premessa della nostra dimostrazione che qualsiasi essere non si produce o genera da sé, altrimenti sarebbe prima di essere. Il secondo enunciato è assurdo: quindi il primo è vero. Allo stesso modo l'essere che non è stato né prodotto né generato e tuttavia esiste è essenzialmente supertemporale. Ed erra gravemente chi attribuisce tale natura ed eccellenza all'essere corporeo. Ma perché polemizzare?. A più forte ragione saremmo costretti ad attribuirle allo spirito. Certamente se un qualche essere corporeo è supertemporale, qualsiasi essere spirituale è supertemporale, poiché qualsiasi essere spirituale ha più valore di qualsiasi essere corporeo e le cose supertemporali più valore delle cose che non lo sono. Ma nell'ipotesi, la quale è vera, che il corpo sia stato prodotto, è prodotto da causa efficiente e ad esso non inferiore. Altrimenti la causa efficiente sarebbe stata nell'impossibilità di dare all'essere prodotto cio che esso è per esseità. Ma neanche da causa agente di pari grado; è infatti necessario che essa abbia un potere efficiente superiore all'effetto prodotto. Del generante infatti si dice non illogicamente che è della stessa natura dell'essere generato. Il mondo è stato quindi prodotto da una causa generante più potente e più attuale e certamente non corporea. Se corpo fosse prodotto da corpo, il mondo non avrebbe potuto esser stato prodotto. E assolutamente vero l'enunciato che abbiamo posto come principio della presente dimostrazione, che, cioè, una cosa non puo da sé prodursi. La causa generante incorporea, produttrice del mondo sensibile, regge l'universo con potere sempre in atto. Non ha prodotto per allontanarsi e abbandonare l'effetto. L'essere che non è corpo non si muove nello spazio, per cosi dire, allo scopo di separarsi dall'essere che occupa lo spazio. Inoltre come causa efficiente non puo esser discontinua nel conservare il proprio prodotto e permettere cosi che esso rimanga privo della forma per cui esiste, nei limiti in cui esiste. Infatti l'essere che non esiste da sé, se è abbandonato dall'essere per cui esiste, cesserà d'esistere. E non possiamo affermare che il corpo, quando è stato prodotto, ha ricevuto il potere di essere autosufficiente qualora fosse abbandonato dalla causa produttrice.

... mentre il vivere-esistere è immediato nell'anima;

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8. 15. Ma ammesso che cosi fosse, a più forte ragione avrebbe tale sufficienza lo spirito. Esso infatti, com'è manifesto, ha più essere del corpo. E nell'ipotesi che esso esista per sé, sarebbe con immediatezza dimostrato che è immortale. E di metafisica necessità infatti che un essere tale sia incorruttibile e che quindi non possa perire perché nessun essere puo abbandonare se stesso. Al contrario la soggezione del corpo al divenire è d'immediata evidenza. Lo dimostra l'universale movimento dell'universo sensibile. Percio da chi sa osservare con intelligenza, nei limiti con cui la natura puo esser osservata, si scopre che l'esser diveniente diviene secondo una razionale legge del divenire. Ma l'essere per sé non ha necessità di movimento, poiché esso è medesimo a sé in ogni atto del proprio essere. Il movimento al contrario tende all'altro che è di necessità all'essere diveniente. Dunque la forma inerisce all'universo sensibile per l'azione d'una causa generante superiore che è ragione sufficiente e conservatrice degli esseri prodotti. Quindi la soggezione al divenire non sottrae al corpo di esser corpo, ma lo attua di perfezione in perfezione con movimento sommamente razionale. Non si lascia dunque che una parte vada al nulla, poiché la sua causa efficiente tutto conchiude con potere che non si affatica e non si arresta. Ed essa dà ad ogni essere da lei prodotto di esistere nelle condizioni in cui esiste. Quindi non si deve essere cosi irragionevoli da dubitare che lo spirito valga di più del corpo ovvero, cio concesso, da ritenere che il corpo non possa cessare d'esser corpo e che lo spirito possa cessare d'essere spirito. Ma se non cessa di esserlo ed è spirito perché vive, certamente lo spirito giammai muore.

c) per corruzione: dove c'è l'anima c'è la vita;

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9. 16. Ma qualcuno potrebbe pensare che per l'essere spirituale non si deve temere la corruzione per cui non è più qualche cosa che è stato, ma quella per cui diciamo morti gli esseri privi di vita. Consideri allora che nessun essere subisce privazione di se stesso. Ora l'anima è concetto di vita; si concepisce infatti come vivo l'essere animato e come morto, cioè privo di vita, l'essere inanime che puo essere animato. Quindi l'anima non puo morire. Se potesse subir privazione di vita, non sarebbe anima ma un essere animato. E questo è assurdo. Quindi a buona ragione il genere di morte, che non si deve temere per la vita, non si deve temere neanche per l'anima. Sia infatti per ipotesi che l'anima muore quando se ne separa la vita. Ma l'anima viene concepita con molta proprietà come la vita che se ne separerebbe. L'anima in definitiva non è un soggetto da cui la vita si separerebbe, ma vita che si separerebbe da se stessa. Infatti ogni essere che si dice morto perché separato dalla vita, s'intende separato dall'anima. Allora la vita che si separa dagli esseri che muoiono è l'anima stessa che non si puo separare da sé. Quindi l'anima non muore.

d) per corporeità: l'anima non è raccordo dell'organismo perché trascende;

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10. 17. Ci dobbiamo comunque porre l'obiezione che la vita sia, secondo l'opinione di alcuni, l'elemento organizzatore del corpo. Ma costoro non avrebbero ritenuto tale opinione se avessero potuto intuire, con la propria medesima intelligenza totalmente elevata dall'esperienza sensibile, gli oggetti intelligibili che non divengono. Chi infatti, essendo capace di riflettere nella propria interiorità, non ha sperimentato di avere avuto intellezione tanto più pura quanto più è riuscito a distogliere e liberare l'atto di coscienza dell'esperienza sensibile? Non sarebbe potuto avvenire se l'anima fosse energia organizzatrice del corpo. Un essere infatti che non avesse una propria natura e non fosse essere in sé ma inerisse inseparabilmente a sostanza corporea, come il colore e la figura, non potrebbe assolutamente tentare di conseguire autosufficienza dal corpo per avere conoscenza degli intelligibili e, in quanto lo puo, averne pura intuizione e, mediante essa, ottenere dignità e valore. Per fisica necessità la figura, il colore e la stessa struttura organica del corpo, che consiste in una determinata unione dei quattro elementi di cui il corpo medesimo è composto, non se ne possono separare. Sono infatti inseparabilmente in esso come soggetto. Inoltre gli oggetti, di cui lo spirito ha pura conoscenza quando si distacca dal sensibile, non sono certamente sensibili. Tuttavia essi hanno l'essere e l'essere nel più alto grado, perché sono sempre i medesimi. Niente si puo dire di più assurdo che hanno l'essere gli oggetti visibili e che non hanno l'essere gli oggetti intelligibili. E da insensati dubitare che l'intelligenza è incomparabilmente superiore alla vista. Quando dunque lo spirito ha intellezione degli intelligibili, sempre medesimi a se stessi, manifesta sufficientemente che è ad essi congiunto in un ordine superiore, sempre il medesimo e sovrasensibile, cioè fuori dello spazio. Ora o gli intelligibili sono nello spirito o esso è negli intelligibili. Nell'una e nell'altra ipotesi, o sono l'uno all'altro come in soggetto ovvero sono ambedue sussistenti. Se vale la prima ipotesi, lo spirito non è nel corpo come in soggetto allo stesso modo del colore e della figura. Infatti o esso sussiste in sé o inerisce ad altro essere immateriale come in soggetto. Se vale la seconda ipotesi, lo spirito non è nel corpo come in soggetto allo stesso modo del colore, perché sussiste in sé. L'elemento organizzatore al contrario è nel corpo allo stesso modo del colore. Quindi lo spirito non è struttura dell'organismo corporeo, ma è vita. Ora non c'è essere che si separi da sé; percio muore solo cio che viene abbandonato dalla vita: quindi è impossibile che lo spirito muoia.

e) dalla privazione: non si dà per l'anima privazione di vita in sé...


L'IMMORTALITA' DELL'ANIMA