Catechesi 2005-2013 12105

Mercoledì, 12 ottobre 2005: Salmo 121 Saluto alla Città santa di Gerusalemme - Primi Vespri - Domenica 4\2a \0settimana

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1. È uno dei più belli e appassionati Cantici delle ascensioni quello che ora abbiamo ascoltato e gustato come preghiera. Si tratta del Salmo 121, una celebrazione viva e partecipe in Gerusalemme, la città santa verso la quale ascendono i pellegrini.

Infatti, subito in apertura, si fondono insieme due momenti vissuti dal fedele: quello del giorno in cui accolse l’invito ad «andare alla casa del Signore» (v. 1) e quello dell’arrivo gioioso alle «porte» di Gerusalemme (cfr v. 2); ora i piedi calpestano finalmente quella terra santa e amata. Proprio allora le labbra si aprono a un canto festoso in onore di Sion, considerata nel suo profondo significato spirituale.

2. «Città salda e compatta» (v. 3), simbolo di sicurezza e di stabilità, Gerusalemme è il cuore dell’unità delle dodici tribù di Israele, che convergono verso di essa come centro della loro fede e del loro culto. Là, infatti, esse ascendono «per lodare il nome del Signore» (v. 4), nel luogo che la «legge di Israele» (
Dt 12,13-14 Dt 16,16) ha stabilito quale unico santuario legittimo e perfetto.

A Gerusalemme c’è un’altra realtà rilevante, anch’essa segno della presenza di Dio in Israele: sono «i seggi della casa di Davide» (cfr Ps 121,5), governa, cioè, la dinastia davidica, espressione dell’azione divina nella storia, che sarebbe approdata al Messia (2S 7,8-16).

3. I «seggi della casa di Davide» vengono chiamati nel contempo «seggi del giudizio» (cfr Ps 121,5), perché il re era anche il giudice supremo. Così Gerusalemme, capitale politica, era anche la sede giudiziaria più alta, ove si risolvevano in ultima istanza le controversie: in tal modo, uscendo da Sion, i pellegrini ebrei ritornavano nei loro villaggi più giusti e pacificati.

Il Salmo ha tracciato, così, un ritratto ideale della città santa nella sua funzione religiosa e sociale, mostrando che la religione biblica non è astratta né intimistica, ma è fermento di giustizia e di solidarietà. Alla comunione con Dio segue necessariamente quella dei fratelli tra loro.

4. Giungiamo ora all’invocazione finale (cfr vv. 6-9). Essa è tutta ritmata sulla parola ebraica shalom, «pace», tradizionalmente considerata alla base del nome stesso della città santa Jerushalajim, interpretata come «città della pace».

Come è noto, shalom allude alla pace messianica, che raccoglie in sé gioia, prosperità, bene, abbondanza. Anzi, nell’addio finale che il pellegrino rivolge al tempio, alla «casa del Signore nostro Dio», si aggiunge alla pace il «bene»: «Chiederò per te il bene» (v. 9). Si ha, così, in forma anticipata il saluto francescano: «Pace e bene!». È un auspicio di benedizione sui fedeli che amano la città santa, sulla sua realtà fisica di mura e palazzi nei quali pulsa la vita di un popolo, su tutti i fratelli e gli amici. In tal modo Gerusalemme diventerà un focolare di armonia e di pace.

5. Concludiamo la nostra meditazione sul Salmo 121 con uno spunto di riflessione suggerito dai Padri della Chiesa per i quali la Gerusalemme antica era segno di un’altra Gerusalemme, anch’essa, «costruita come città salda e compatta». Questa città - ricorda san Gregorio Magno nelle Omelie su Ezechiele - «ha già qui una sua grande costruzione nei costumi dei santi. In un edificio una pietra sostiene l'altra, perché si mette una pietra sopra l'altra, e chi sostiene un altro è a sua volta sostenuto da un altro. Così, proprio così, nella santa Chiesa ciascuno sostiene ed è sostenuto. I più vicini si sostengono a vicenda, e così per mezzo di essi si innalza l'edificio della carità. Ecco perché Paolo ammonisce, dicendo: “Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Ga 6,2). Sottolineando la forza di questa legge, dice: “Pieno compimento della legge è l'amore” (Rm 13,10). Se io infatti non mi sforzo di accettare voi così come siete, e voi non vi impegnate ad accettare me così come sono, non può sorgere l'edificio della carità tra noi, che pure siamo legati da amore reciproco e paziente». E, per completare l'immagine, non si dimentichi che «c'è un fondamento che sopporta l'intero peso della costruzione, ed è il nostro Redentore, il quale da solo tollera nel loro insieme i costumi di noi tutti. Di lui l'Apostolo dice: “Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1Co 3,11). I1 fondamento porta le pietre e non è portato dalle pietre; cioè, il nostro Redentore porta il peso di tutte le nostre colpe, ma in lui non c'è stata alcuna colpa da tollerare» (2,1,5: Opere di Gregorio Magno, III/2, Roma 1993, pp. 27 29).

E così il grande Papa san Gregorio ci dice cosa significa il Salmo in concreto per la prassi della nostra vita. Ci dice che dobbiamo essere nella Chiesa di oggi una vera Gerusalemme, cioè un luogo di pace, "portandoci l'un l'altro" così come siamo; "portandoci insieme" nella gioiosa certezza che il Signore ci "porta tutti". E così cresce la Chiesa come una vera Gerusalemme, un luogo di pace. Ma vogliamo anche pregare per la città di Gerusalemme che sia sempre più un luogo di incontro tra le religioni e i popoli; che sia realmente un luogo di pace.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do un cordiale benvenuto a tutti i polacchi. Oggi nella Polonia si celebra la memoria liturgica del beato Jan Beyzym, missionario nel Madagascar, che per amore di Cristo ha dedicato la sua vita ai lebbrosi. Per la sua intercessione chiediamo a Dio le nuove vocazioni missionarie. Dio vi benedica! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Repubblica Ceca, in particolare ai professori e agli allievi dell'Accademia di Jindrichuv Hradec, come ai superiori e seminaristi del Pontificio Collegio Nepomuceno, di Roma. Volentieri vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto e benedico i pellegrini croati, particolarmente quelli della Cappellania Militare di san Michele dell’Istituto Militare Croato “Petar Zrinski”, di Zagreb. Accostatevi a Cristo Eucaristia, affinché con la forza della fede e dell’amore possiate servire il Creatore e la vostra cara Patria. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lituana:

Saluto i pellegrini dalla Lituania! In questo mese dedicato al Rosario vi accompagno con la mia preghiera e vi imparto volentieri la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto di cuore i pellegrini ungheresi, provenienti da Miskolc. Il mese di ottobre è dedicato alla recita del Rosario. Vi invito di pregare insieme, nelle vostre famiglie, il Santo Rosario. Vi imparto volentieri la Benedizione Apostolica.

Saluto in lingua slovacca:

Un affetuoso benvenuto ai pellegrini provenienti da Bratislava-Blumentál, Plavec e Sabinov. Cari pellegrini, Cristo è la via che conduce al Padre e nell’Eucaristia si offre ad ognuno di noi come sorgente di vita divina. Attingiamone con perseveranza. Con questi voti vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Aosta, accompagnati dal Vescovo Mons. Giuseppe Anfossi. Cari amici, ricordo con sempre viva gratitudine la cordiale accoglienza che mi avete riservato quest’estate nelle vostre belle montagne e, a conclusione di questo anno dedicato all’Eucaristia, auguro a voi e alle vostre comunità parrocchiali di continuare a contemplare con speciale intensità il mistero del Pane vivo disceso dal cielo per la nostra salvezza.

Saluto, poi, i membri dell’Apostolato della preghiera, giunti così numerosi per questo incontro, ed invito ciascuno a fare della propria vita un incessante azione di lode a Dio. Saluto inoltre i rappresentanti dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Loreto e le famiglie della Polizia di Stato provenienti dalle Marche. Affido alla protezione della Vergine Maria voi e il vostro importante servizio in favore della collettività.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli alunni della Fondazione “Marri-Santa Umiltà” di Faenza. A tutti auguro di imitare l’esempio del beato Giovanni XXIII, di cui ieri abbiamo celebrato la memoria: sforzatevi, come lui, di vivere in modo autentico la vocazione cristiana.

Concludiamo questo nostro incontro con il canto del Pater Noster.




Mercoledì, 19 ottobre 2005: Salmo 129 Dal profondo a te grido - Primi Vespri - Domenica 4a settimana

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1. È stato proclamato uno dei Salmi più celebri e amati dalla tradizione cristiana: il De profundis, così chiamato dal suo avvio nella versione latina. Col Miserere, esso è divenuto uno dei Salmi penitenziali preferiti nella devozione popolare.

Al di là della sua applicazione funebre, il testo è prima di tutto un canto alla misericordia divina e alla riconciliazione tra il peccatore e il Signore, un Dio giusto ma sempre pronto a svelarsi «misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato» (
Ex 34,6-7). Proprio per questo motivo il nostro Salmo si trova inserito nella liturgia vespertina del Natale e di tutta l’ottava del Natale, come pure in quella della IV domenica di Pasqua e della solennità dell’Annunciazione del Signore.

2. Il Salmo 129 si apre con una voce che sale dalle profondità del male e della colpa (cfr vv. 1-2). L’io dell’orante si rivolge al Signore dicendo: «A te grido, o Signore». Il Salmo poi si sviluppa in tre momenti dedicati al tema del peccato e del perdono. Ci si rivolge innanzitutto a Dio, interpellato direttamente con il «Tu»: «Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono; perciò avremo il tuo timore» (vv. 3-4).

È significativo il fatto che a generare il timore, atteggiamento di rispetto misto ad amore, non sia il castigo ma il perdono. Più che la collera di Dio, deve provocare in noi un santo timore la sua magnanimità generosa e disarmante. Dio, infatti, non è un sovrano inesorabile che condanna il colpevole, ma un padre amoroso, che dobbiamo amare non per paura di una punizione, ma per la sua bontà pronta a perdonare.

3. Al centro del secondo momento c’è l’«io» dell’orante che non si rivolge più al Signore, ma parla di lui: «Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora» (vv. 5-6). Ora fioriscono nel cuore del Salmista pentito l’attesa, la speranza, la certezza che Dio pronuncerà una parola liberatrice e cancellerà il peccato.

La terza ed ultima tappa nello svolgimento del Salmo si allarga a tutto Israele, al popolo spesso peccatore e consapevole della necessità della grazia salvifica di Dio: «Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe» (vv. 7-8).

La salvezza personale, prima implorata dall’orante, è ora estesa a tutta la comunità. La fede del Salmista si innesta nella fede storica del popolo dell’alleanza, «redento» dal Signore non solo dalle angustie dell’oppressione egiziana, ma anche «da tutte le colpe». Pensiamo che il popolo della elezione, il popolo di Dio siamo adesso noi. Anche la nostra fede ci innesta nella fede comune della Chiesa. E proprio così ci dà la certezza che Dio è buono con noi e ci libera dalle nostre colpe.

Partendo dal gorgo tenebroso del peccato, la supplica del De profundis giunge all'orizzonte luminoso di Dio, ove domina "la misericordia e la redenzione", due grandi caratteristiche del Dio che è amore.

4. Affidiamoci ora alla meditazione che su questo Salmo ha intessuto la tradizione cristiana. Scegliamo la parola di sant’Ambrogio: nei suoi scritti, egli richiama spesso i motivi che spingono a invocare da Dio il perdono.

«Abbiamo un Signore buono che vuole perdonare a tutti», egli ricorda nel trattato su La penitenza, e aggiunge: «Se vuoi essere giustificato, confessa il tuo misfatto: un'umile confessione dei peccati scioglie l'intrico delle colpe... Tu vedi con quale speranza di perdono ti spinga a confessare» (2,6,40-41: SAEMO, XVII, Milano-Roma 1982, p. 253).

Nell’Esposizione del Vangelo secondo Luca, ripetendo lo stesso invito, il Vescovo di Milano esprime la meraviglia per i doni che Dio aggiunge al suo perdono: «Vedi quanto è buono Iddio, e disposto a perdonare i peccati: non solo ridona quanto aveva tolto, ma concede anche doni insperati». Zaccaria, padre di Giovanni Battista, era rimasto muto per non aver creduto all'angelo, ma poi, perdonandolo, Dio gli aveva concesso il dono di profetizzare nel canto: «Colui che poco prima era muto, ora già profetizza», osserva sant'Ambrogio, «è una delle più grandi grazie del Signore, che proprio quelli che l'hanno rinnegato lo confessino. Nessuno pertanto si perda di fiducia, nessuno disperi delle divine ricompense, anche se lo rimordono antichi peccati. Dio sa mutar parere, se tu sai emendare la colpa» (2,33: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 175).

Saluti:


Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Oggi insieme con voi ricordo San Giovanni di Kety, patrono dell’arcidiocesi di Cracovia e patrono della gioventù accademica. A tutti quelli che cominciano il nuovo anno di studi auguro di crescere in scienza e sapienza. Che San Giovanni chieda a Dio, per loro, questi doni. A tutti voi qui presenti, alle vostre famiglie e ai vostri cari giunga la mia benedizione.

Saluto in lingua croata:

Saluto e benedico i pellegrini croati, in particolare quelli provenienti dalla parrocchia della Conversione di San Paolo di Zagreb. Il Mistero dell’Eucaristia ci viene donato affinché noi stessi diventiamo il Corpo di Cristo; perciò, vi esorto con la Comunione a trasfigurare e santificare la vostra vita. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente il gruppo di Slovenský Orol che di recente ha compiuto il ciclo-pellegrinaggio Bratislava - Colonia. Cari giovani, con affetto imparto la Benedizione Apostolica a voi ed ai vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo il mio cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. In particolare, saluto i Pellegrini del Rosario accompagnati dai Frati Domenicani, i rappresentanti dell’Ospedale San Nicolino di Trani, e gli esponenti dell’Istituto di cultura cimbra, di Roana. Cari amici, vi esorto a vivere con entusiasmo la fede cristiana, nella consapevolezza che essa è la risposta pienamente valida alle speranze e alle attese di ogni uomo e di ogni società.

Saluto inoltre i malati e gli sposi novelli, esortandoli a fondare la loro vita sulla Parola di Dio, per essere costruttori della civiltà dell’amore, di cui è simbolo eloquente la croce di Cristo, sorgente di luce, di conforto e di speranza.

Il mio pensiero si rivolge, infine, ai giovani, ricordando che oggi ricorre il quarto centenario della beatificazione di S. Luigi Gonzaga, patrono mondiale della gioventù. Carissimi, la sua eroica testimonianza evangelica vi sostenga nell’impegno di quotidiana fedeltà a Cristo.

Concludiamo questo nostro incontro con il canto del Pater Noster.




Mercoledì, 26 ottobre 2005: Cantico Fil 2,6-11 Cristo, servo di Dio - Primi Vespri - Domenica 4a settimana

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1. Ancora una volta, seguendo il percorso proposto dalla Liturgia dei Vespri coi vari Salmi e Cantici, abbiamo sentito risuonare il mirabile ed essenziale inno incastonato da san Paolo nella Lettera ai Filippesi (2,6-11).

Abbiamo già in passato sottolineato che il testo comprende un duplice movimento: discensionale e ascensionale. Nel primo, Cristo Gesù, dallo splendore della divinità che gli appartiene per natura sceglie di scendere fino all’umiliazione della «morte di croce». Egli si mostra così veramente uomo e nostro redentore, con un’autentica e piena partecipazione alla nostra realtà di dolore e di morte.

2. Il secondo movimento, quello ascensionale, svela la gloria pasquale di Cristo che, dopo la morte, si manifesta nuovamente nello splendore della sua maestà divina.

Il Padre, che aveva accolto l’atto di obbedienza del Figlio nell’Incarnazione e nella Passione, ora lo «esalta» in modo sovraeminente, come dice il testo greco. Questa esaltazione è espressa non solo attraverso l’intronizzazione alla destra di Dio, ma anche con il conferimento a Cristo di un «nome che è al di sopra di ogni altro nome» (v. 9).

Ora, nel linguaggio biblico il «nome» indica la vera essenza e la specifica funzione di una persona, ne manifesta la realtà intima e profonda. Al Figlio, che per amore si è umiliato nella morte, il Padre conferisce una dignità incomparabile, il «Nome» più eccelso, quello di «Signore», proprio di Dio stesso.

3. Infatti, la proclamazione di fede, intonata coralmente da cielo, terra e inferi prostrati in adorazione, è chiara ed esplicita: «Gesù Cristo è il Signore» (v. 11). In greco, si afferma che Gesù è Kyrios, un titolo certamente regale, che nella traduzione greca della Bibbia rendeva il nome di Dio rivelato a Mosé, nome sacro e impronunciabile. Con questo nome "Kyrios" si riconosce Gesù Cristo vero Dio.

Da un lato, allora, c’è il riconoscimento della signoria universale di Gesù Cristo, che riceve l’omaggio di tutto il creato, visto come un suddito prostrato ai suoi piedi. Dall’altro lato, però, l’acclamazione di fede dichiara Cristo sussistente nella forma o condizione divina, presentandolo quindi come degno di adorazione.

4. In questo inno il riferimento allo scandalo della croce (cfr
1Co 1,23), e prima ancora alla vera umanità del Verbo fatto carne (cfr Jn 1,14), si intreccia e culmina con l’evento della risurrezione. All’obbedienza sacrificale del Figlio segue la risposta glorificatrice del Padre, cui si unisce l’adorazione da parte dell’umanità e del creato. La singolarità di Cristo emerge dalla sua funzione di Signore del mondo redento, che Gli è stata conferita a motivo della sua obbedienza perfetta «fino alla morte». Il progetto di salvezza ha nel Figlio il suo pieno compimento e i fedeli sono invitati - soprattutto nella liturgia - a proclamarlo e a viverne i frutti.

Questa è la meta a cui ci conduce l’inno cristologico che da secoli la Chiesa medita, canta e considera guida di vita: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Ph 2,5).

5. Affidiamoci ora alla meditazione che san Gregorio Nazianzeno ha intessuto sapientemente sul nostro inno. In un carme in onore di Cristo il grande Dottore della Chiesa del IV secolo dichiara che Gesù Cristo «non si spogliò di nessuna parte costitutiva della sua natura divina, e ciò nonostante mi salvò come un guaritore che si china sulle fetide ferite… Era della stirpe di David, ma fu il creatore di Adamo. Portava la carne, ma era anche estraneo al corpo. Fu generato da una madre, ma da una madre vergine; era circoscritto, ma era anche immenso. E lo accolse una mangiatoia, ma una stella fece da guida ai Magi, che arrivarono portandogli dei doni e davanti a lui piegarono le ginocchia. Come un mortale venne alla lotta con il demonio, ma, invincibile com’era, superò il tentatore con un triplice combattimento… Fu vittima, ma anche sommo sacerdote; fu sacrificatore, eppure era Dio. Offrì a Dio il suo sangue, e in tal modo purificò tutto il mondo. Una croce lo tenne sollevato da terra, ma rimase confitto ai chiodi il peccato… Andò dai morti, ma risorse dall’inferno e risuscitò molti che erano morti. Il primo avvenimento è proprio della miseria umana, ma il secondo si addice alla ricchezza dell’essere incorporeo… Quella forma terrena l’assunse su di sé il Figlio immortale, perché egli ti vuol bene» (Carmina arcana, 2: Collana di Testi Patristici, LVIII, Roma 1986, pp. 236-238).

Alla fine di questa meditazione vorrei sottolineare due parole per la nostra vita. Innanzitutto questo ammonimento di san Paolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù". Imparare a sentire come sentiva Gesù; conformare il nostro modo di pensare, di decidere, di agire ai sentimenti di Gesù. Prendiamo questa strada, se cerchiamo di conformare i nostri sentimenti a quelli di Gesù: prendiamo la strada giusta. L'altra parola è di san Gregorio Nazianzeno: "Egli, Gesù, ti vuol bene". Questa parola di tenerezza è per noi una grande consolazione e un conforto, ma anche una grande responsabilità, giorno dopo giorno.

Saluti:


Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i pellegrini polacchi qui presenti. Ringrazio voi tutti per le vostre preghiere per la Chiesa e per il mio servizio petrino. Contraccambio, affidandovi a Dio nelle mie preghiere. Portate il mio saluto alle vostre famiglie e ai vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto e un saluto ai pellegrini provenienti dalla Repubblica Ceca, in particolare da Praga e dintorni. Volentieri vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Mi rivolgo con le cordiali parole di benvenuto a tutti i pellegrini ungheresi qui presenti. Imparto volentieri a ciascuno di voi e alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Mondovì, accompagnati dal Vescovo Mons. Luciano Pacomio, e quelli della diocesi di Pisa. Saluto inoltre i rappresentanti dell’associazione “Amici di San Rocco” e gli esponenti della Famiglia Cabriniana. Ringrazio tutti per la gradita presenza e a ciascuno auguro di crescere costantemente nella fede per essere ovunque coraggiosi testimoni di Cristo.

Saluto poi i giovani, i malati e gli sposi novelli. Un pensiero soprattutto rivolgo a voi, cari ammalati, presenti così numerosi a questo incontro, e particolarmente al folto gruppo di bambini della “Città della speranza” di Padova. Cari amici, come abbiamo sentito nella catechesi, la croce di Cristo ci fa comprendere il significato vero della sofferenza e del dolore. Unitevi spiritualmente a Gesù Crocifisso e abbandonatevi fiduciosi nella mani di Maria, invocandola incessantemente con il Rosario.

Sta per concludersi il mese di ottobre, mese dedicato al Santo Rosario. Vi invito a recitare con devozione questa preghiera cara alla tradizione del popolo cristiano. Preghiamo per le tante necessità della Chiesa e del mondo, modo speciale per le popolazioni colpite dal terremoto e da calamità fisiche e ambientali. Mai venga meno per quanti si trovano in difficoltà il nostro sostegno spirituale e materiale. Per tutti preghiamo cantando il Pater noster.





Mercoledì, 2 novembre 2005: Salmo 111, 1-6 Beatitudine dell’uomo giusto - Secondi Vespri - Domenica 4a settimana

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1. Dopo aver celebrato ieri la solenne festa di tutti i Santi del cielo, quest’oggi facciamo memoria di tutti i fedeli defunti. La liturgia ci invita a pregare per i nostri cari scomparsi, volgendo il pensiero al mistero della morte, comune eredità di tutti gli uomini.

Illuminati dalla fede, guardiamo all’enigma umano della morte con serenità e speranza. Secondo la Scrittura, infatti, essa più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso il quale possono raggiungere la vita in pienezza coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio.

Il salmo 111, composizione di taglio sapienziale, ci presenta la figura di questi giusti, i quali temono il Signore, ne riconoscono la trascendenza e aderiscono con fiducia e amore alla sua volontà in attesa di incontrarlo dopo la morte.

A questi fedeli è riservata una "beatitudine": «Beato l’uomo che teme il Signore» (v. 1). Il Salmista precisa subito in che cosa consista tale timore: esso si manifesta nella docilità ai comandamenti di Dio. È proclamato beato colui che «trova grande gioia» nell’osservare i comandamenti, trovando in essi gioia e pace.

2. La docilità a Dio è, quindi, radice di speranza e di armonia interiore ed esteriore. L’osservanza della legge morale è sorgente di profonda pace della coscienza. Anzi, secondo la visione biblica della «retribuzione», sul giusto si stende il manto della benedizione divina, che imprime stabilità e successo alle sue opere e a quelle dei suoi discendenti: «Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza dei giusti sarà benedetta. Onore e ricchezza nella sua casa» (vv. 2-3; cfr v. 9). Certo, a questa visione ottimistica si oppongono le osservazioni amare del giusto Giobbe, che sperimenta il mistero del dolore, si sente ingiustamente punito e sottoposto a prove apparentemente insensate. Bisognerà, quindi, leggere questo Salmo nel contesto globale della Rivelazione, che abbraccia la realtà della vita umana in tutti i suoi aspetti.

Tuttavia rimane valida la fiducia che il Salmista vuole trasmettere e far sperimentare a chi ha scelto di seguire la via di una condotta moralmente ineccepibile, contro ogni alternativa di illusorio successo ottenuto attraverso l’ingiustizia e l’immoralità.

3. Il cuore di questa fedeltà alla Parola divina consiste in una scelta fondamentale, cioè la carità verso i poveri e i bisognosi: «Felice l’uomo pietoso che dà in prestito… Egli dona largamente ai poveri» (vv. 5.9). Il fedele è, dunque, generoso; rispettando la norma biblica, egli concede prestiti ai fratelli in necessità, senza interesse (cfr
Dt 15,7-11) e senza cadere nell’infamia dell’usura che annienta la vita dei miseri.

Il giusto, raccogliendo il monito costante dei profeti, si schiera dalla parte degli emarginati, e li sostiene con aiuti abbondanti. «Egli dona largamente ai poveri», si dice nel versetto 9, esprimendo così un’estrema generosità, completamente disinteressata.

4. Il Salmo 111, accanto al ritratto dell’uomo fedele e caritatevole, «buono, misericordioso e giusto», presenta in finale, in un solo versetto (cfr v. 10), anche il profilo del malvagio. Questo individuo assiste al successo della persona giusta rodendosi di rabbia e di invidia. È il tormento di chi ha una cattiva coscienza, a differenza dell’uomo generoso che ha «saldo» e «sicuro il suo cuore» (vv. 7-8).

Noi fissiamo il nostro sguardo sul volto sereno dell’uomo fedele che «dona largamente ai poveri» e ci affidiamo per la nostra riflessione conclusiva alle parole di Clemente Alessandrino che, commentando l'invito di Gesù a procurarsi amici con la disonesta ricchezza (cfr Lc 16,9), nel suo scritto intitolato Quale ricco si salverà, osserva: con questa affermazione Gesù «dichiara ingiusto per natura ogni possesso che uno possiede per se stesso come bene proprio e non lo pone in comune per coloro che ne hanno bisogno; ma dichiara altresì che da questa ingiustizia è possibile compiere un'opera giusta e salutare, dando riposo a qualcuno di quei piccoli che hanno una dimora eterna presso il Padre (cfr Mt 10,42 Mt 18,10)» (31,6: Collana di Testi Patristici, CXLVIII, Roma 1999, pp. 56-57).

E, rivolgendosi al lettore, Clemente avverte: «Guarda in primo luogo che egli non ti ha comandato di farti pregare né di aspettare di essere supplicato, ma di cercare tu stesso quelli che sono ben degni di essere ascoltati, in quanto sono discepoli del Salvatore» (31,7: ibidem, p. 57).

Poi, ricorrendo a un altro testo biblico, commenta: «È dunque bello il detto dell'apostolo: "Dio ama chi dona con gioia" (2Co 9,7), chi gode nel donare e non semina scarsamente, per non raccogliere allo stesso modo, ma condivide senza rammarichi e distinzioni e dolore, e questo è autentico far del bene» (31,8: ibidem).

Nel giorno della commemorazione dei defunti, come ho detto inizialmente, siamo tutti chiamati a confrontarci con l'enigma della morte e quindi con la questione di come vivere bene, come trovare la felicità. E questo Salmo risponde: felice l'uomo che dona; felice l'uomo che non utilizza la vita per se stesso, ma dona; felice l'uomo che è misericordioso, buono e giusto; felice l'uomo che vive nell'amore di Dio e del prossimo. Così viviamo bene e così non dobbiamo aver paura della morte, perché siamo nella felicità che viene da Dio e che dura sempre.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi qui presenti. Oggi ricordiamo nella preghiera tutti i fedeli defunti, i nostri cari. Ricordiamo altresì Giovanni Paolo II. Nella ricorrenza della sua ordinazione sacerdotale e del suo onomastico, rendiamo grazie a Dio per i frutti della vita e del Ministero di questo Servo di Dio. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto e benedico i pellegrini croati, particolarmente i giovani provenienti dalle città tedesche di Sindelfingen, Esslingen e Ludwigsburg. Siate appassionati di Cristo – l’Amico fedele che non delude mai. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ungherese:

Un saluto cordiale rivolgo ai pellegrini ungheresi, specialmente al gruppo di Miskolc. Vi imparto volentieri la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi, fedeli della parrocchia S. Mauro Abate di Roma, che ricordate il 25° anniversario di istituzione della vostra comunità cristiana ed auguro che essa sia sempre più un luogo di formazione spirituale e di autentica fraternità. Saluto poi voi, soci della Federazione Pugliese Donatori di Sangue, e vi incoraggio nel vostro impegno di solidarietà verso il prossimo bisognoso, seguendo l’esempio evangelico del buon Samaritano.

Il mio affettuoso saluto va inoltre a voi, rappresentanti dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose. La vostra gradita presenza mi offre l’opportunità di richiamare la centralità della famiglia, cellula fondante della società e luogo primario di accoglienza e di servizio alla vita. Nell’odierno contesto sociale, i nuclei familiari con tanti figli costituiscono una testimonianza di fede, di coraggio e di ottimismo, perché senza figli non c’è futuro! Auspico che vengano ulteriormente promossi adeguati interventi sociali e legislativi a tutela e a sostegno delle famiglie più numerose, che costituiscono una ricchezza e una speranza per l’intero Paese.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. La Solennità di Tutti i Santi, che abbiamo celebrato ieri, e l’odierna commemorazione dei Fedeli Defunti, ci offrono l’opportunità di riflettere, ancora una volta, sull’autentico significato dell’esistenza terrena e sul suo valore per l’eternità.

Questi giorni di riflessione e di preghiera siano per voi, cari giovani, un invito a imitare l’eroismo dei Santi, che hanno speso la vita per Dio e per il prossimo. Siano di conforto per voi, cari malati, associati al mistero della passione di Cristo. Diventino un’occasione propizia per voi, cari sposi novelli, per comprendere sempre meglio che siete chiamati a testimoniare con la vostra reciproca fedeltà l’amore con cui Dio circonda ogni uomo.

Concludiamo il nostro incontro, cantando il Pater Noster.




Mercoledì, 9 novembre 2005: Salmo 135,1-9 Inno pasquale - Vespri - Lunedì 4\2a\0 settimana

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1. È stato chiamato «Il grande Hallel», ossia la lode solenne e grandiosa che il giudaismo intonava durante la liturgia pasquale. Parliamo del Salmo 135, del quale abbiamo ora ascoltato la prima parte, secondo la divisione proposta dalla Liturgia dei Vespri (cfr vv. 1-9).

Fermiamoci innanzitutto sul ritornello: «Eterna è la sua misericordia». Al centro della frase risuona la parola «misericordia» che, in realtà, è una traduzione legittima, ma limitata, del vocabolo originario ebraico hesed. Questo, infatti, fa parte del linguaggio caratteristico usato dalla Bibbia per esprimere l’alleanza che intercorre tra il Signore e il suo popolo. Il termine cerca di definire gli atteggiamenti che si stabiliscono all’interno di questa relazione: la fedeltà, la lealtà, l’amore ed evidentemente la misericordia di Dio.

Abbiamo qui la raffigurazione sintetica del legame profondo e interpersonale instaurato dal Creatore con la sua creatura. All’interno di tale rapporto, Dio non appare nella Bibbia come un Signore impassibile e implacabile, né un essere oscuro e indecifrabile, simile al fato, contro la cui forza misteriosa è inutile lottare. Egli si manifesta invece come una persona che ama le sue creature, veglia su di esse, le segue nel cammino della storia e soffre per le infedeltà che spesso il popolo oppone al suo hesed, al suo amore misericordioso e paterno.

2. Il primo segno visibile di questa carità divina - dice il Salmista - è da cercare nel creato. Poi sarà di scena la storia. Lo sguardo, colmo di ammirazione e di stupore, si sofferma innanzitutto sulla creazione: i cieli, la terra, le acque, il sole, la luna e le stelle.

Prima ancora di scoprire il Dio che si rivela nella storia di un popolo, c’è una rivelazione cosmica, aperta a tutti, offerta all’intera umanità dall’unico Creatore, «Dio degli dei» e «Signore dei signori» (cfr vv. 2-3).

Come aveva cantato il Salmo 18, «i cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia» (vv. 2-3). Esiste, dunque, un messaggio divino, segretamente inciso nel creato e segno del hesed, della fedeltà amorosa di Dio che dona alle sue creature l’essere e la vita, l’acqua e il cibo, la luce e il tempo.

Bisogna avere occhi limpidi per contemplare questo svelamento divino, ricordando il monito del Libro della Sapienza, che ci invita a «conoscere dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia l’Autore» (
Sg 13,5 cfr Rm 1,20). La lode orante sboccia allora dalla contemplazione delle «meraviglie» di Dio (cfr Ps 135,4), dispiegate nel creato e si trasforma in gioioso inno di lode e di ringraziamento al Signore.

3. Dalle opere create si ascende, dunque, alla grandezza di Dio, alla sua amorosa misericordia. È ciò che ci insegnano i Padri della Chiesa, nella cui voce risuona la costante Tradizione cristiana.

Così, san Basilio Magno in una delle pagine iniziali della sua prima omelia sull’Esamerone, in cui commenta il racconto della creazione secondo il capitolo primo della Genesi, si sofferma a considerare l’azione sapiente di Dio, ed approda a riconoscere nella bontà divina il centro propulsore della creazione. Ecco alcune espressioni tratte dalla lunga riflessione del santo Vescovo di Cesarea di Cappadocia:

«"In principio Dio creò il cielo e la terra". La mia parola si arrende sopraffatta dallo stupore di questo pensiero» (1,2,1: Sulla Genesi [Omelie sull’Esamerone], Milano 1990, pp. 9 11). Infatti, anche se alcuni, «tratti in inganno dall'ateismo che portavano dentro di sé, immaginarono l'universo privo di guida e di ordine, come in balìa del caso», lo scrittore sacro invece «ci ha subito rischiarato la mente col nome di Dio all’inizio del racconto, dicendo: "In principio Dio creò". E quale bellezza in questo ordine!» (1,2,4: ibidem, p. 11). «Se dunque il mondo ha un principio ed è stato creato, cerca chi gli ha dato inizio e chi ne è il Creatore... Mosè ti ha prevenuto col suo insegnamento imprimendo nelle nostre anime quale sigillo e filatterio il santissimo nome di Dio, quando dice: "In principio Dio creò". La natura beata, la bontà esente da invidia, colui che è oggetto d'amore da parte di tutti gli esseri ragionevoli, la bellezza più d'ogni altra desiderabile, il principio degli esseri, la sorgente della vita, la luce intellettiva, la sapienza inaccessibile, Egli insomma, “in principio creò il cielo e la terra”» (1,2,6-7: ibidem, p. 13).

Trovo che le parole di questo Padre del IV secolo siano di un'attualità sorprendente quando dice: "Alcuni, tratti in inganno dall'ateismo che portavano dentro di sé, immaginarono un universo privo di guida e di ordine, come in balìa del caso". Quanti sono questi "alcuni" oggi. Essi, tratti in inganno dall'ateismo, ritengono e cercano di dimostrare che è scientifico pensare che tutto sia privo di guida e di ordine, come in balìa del caso. Il Signore con la Sacra Scrittura risveglia la ragione che dorme e ci dice: all'inizio è la Parola creatrice. All'inizio la Parola creatrice - questa Parola che ha creato tutto, che ha creato questo progetto intelligente che è il cosmo - è anche amore.

Lasciamoci, quindi, risvegliare da questa Parola di Dio; preghiamo che essa rischiari anche la nostra mente, perché possiamo percepire il messaggio del creato - inscritto anche nel nostro cuore -, che il principio di tutto è la Sapienza creatrice, e questa Sapienza è amore, è bontà: "La sua misercordia rimane in eterno".

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. La visita alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo vi confermi nella fede e nell’amore di Cristo e della Chiesa. Alla divina misericordia affido voi e le vostre famiglie. Vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto i pellegrini croati, particolarmente i fedeli provenienti dall’isola di Hvar, di Carevdar e dalla missione croata di Parigi. Fedeli alla alleanza battesimale con Dio, con la forza dello Spirito Santo testimoniate la Verità! Benedico di cuore voi e le vostre famiglie. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ungherese:

Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua ungherese, specialmente i membri del gruppo di Galanta. Questo pellegrinaggio a Roma Vi conforti nella fede. Vi imparto volentieri la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi, rappresentanti del Terz’Ordine Francescano Secolare, ed auspico che il Capitolo Generale sia occasione per voi tutti di un rinnovato slancio apostolico nel diffondere dappertutto il Vangelo, sull’esempio di San Francesco d’Assisi.

Saluto inoltre voi, Figlie di S. Maria di Leuca, partecipanti al Capitolo Generale del vostro Istituto. Mentre vi ringrazio per la vostra presenza prego il Signore perché vi rafforzi nei generosi propositi di servizio alla Chiesa, in fedeltà al vostro carisma.

Saluto, poi, voi, fedeli della comunità parrocchiale di S. Stefano Proto-martire, in Porto Santo Stefano, venuti in occasione del venticinquesimo anniversario di fondazione della vostra parrocchia, insieme con il parroco e il Vescovo diocesano, Mons. Mario Meini. Iddio aiuti la vostra comunità cristiana ad essere sempre più un luogo privilegiato di formazione spirituale.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. In questo giorno in cui celebriamo la festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, Cattedrale di Roma, vi invito cari Fratelli e Sorelle, ad unirvi a tutta la Chiesa nel rivolgere a Cristo Salvatore, Redentore dell’uomo e della storia, un’ardente preghiera perché l’umanità accolga il dono della sua liberazione e della sua salvezza.





Catechesi 2005-2013 12105