Catechesi 2005-2013 20806

Mercoledì, 2 agosto 2006: Catechesi speciale per i partecipanti: al Pellegrinaggio europeo dei Ministranti

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Cari fratelli e sorelle!

Grazie per la vostra accoglienza! Vi saluto tutti con grande affetto. Dopo la pausa dovuta al soggiorno in Valle d'Aosta, oggi riprendo le Udienze generali. E riprendo con un'Udienza davvero speciale, perché ho la gioia di accogliere il grande Pellegrinaggio Europeo dei Ministranti. Cari ragazzi e giovani, benvenuti! Poiché la maggior parte dei ministranti oggi convenuti in questa Piazza sono di lingua tedesca, mi rivolgerò prima di tutto a loro nella mia lingua materna.

Cari ministranti,

Sono felice che la mia prima Udienza dopo la vacanza nelle Alpi sia con voi ministranti e saluto con affetto ciascuno di voi. Ringrazio il Vescovo ausiliare di Basel, Mons. Martin Gächter per le parole con cui, in qualità di Presidente del Coetus Internationalis Ministrantium, ha introdotto l'Udienza, e ringrazio per il foulard, grazie al quale sono tornato ad essere ministrante. Più di 70 anni fa, nel 1935, ho incominciato come ministrante, ho compiuto quindi un lungo tratto su questo cammino. Saluto cordialmente il Cardinale Christoph Schönborn, che ieri ha celebrato per voi la Santa Messa, e i numerosi Vescovi e Sacerdoti provenienti dalla Germania, dall'Austria, dalla Svizzera e dall'Ungheria. A voi, cari ministranti, desidero offrire, brevemente, visto che fa caldo, un messaggio che possa accompagnarvi nella vita e nel servizio alla Chiesa. Desidero per questo riprendere l'argomento che sto trattando nelle catechesi di questi mesi. Forse alcuni di voi sanno che nelle Udienze generali del mercoledì sto presentando le figure dei singoli Apostoli: per primo Simone, al quale il Signore ha dato il nome di Pietro; suo fratello Andrea; poi altri due fratelli, san Giacomo detto «il maggiore», primo martire tra gli Apostoli, e Giovanni il teologo, l'evangelista; e poi Giacomo detto «il minore». Conto di continuare a presentare i singoli Apostoli nelle prossime Udienze; in essi, nei quali, per così dire, la Chiesa si personalizza. Oggi però ci soffermiamo su un tema comune: che genere di persone erano gli Apostoli? In breve, potremmo dire che erano «amici» di Gesù. Lui stesso li ha chiamati così nell'ultima Cena, dicendo loro: «Non vi chiamo più servi, ma amici» (
Jn 15,15). Sono stati apostoli e testimoni di Cristo potevano esserlo perché erano suoi amici, perché lo conoscevano a partire dall'amicizia, perché gli erano vicini. Erano uniti da un legame di amore vivificato dallo Spirito Santo. La fiamma che vediamo sul nostro foulard ardeva realmente nel loro cuore. Vorrei quindi intendere in questa prospettiva il tema del vostro pellegrinaggio: «Spiritus vivificat». È lo Spirito, lo Spirito Santo che vivifica. È lui che vivifica il vostro rapporto con Gesù, di modo che non sia solo esteriore - «sappiamo che è esistito e che è presente nel Sacramento» - ma diventi un rapporto intimo, profondo, di amicizia davvero personale, capace di dare senso alla vita di ognuno di voi. E poiché lo conoscete, se lo conoscete nell'amicizia, potrete dargli testimonianza e portarlo alle altre persone. Oggi, vedendovi qui davanti a me in Piazza San Pietro, penso agli Apostoli e sento dentro di me la voce di Gesù che vi dice: «Non vi chiamo servi, ma amici: rimanete nel mio amore, e porterete molto frutto» (cfr. Gv Jn 15,9 Gv Jn 15, . Vi invito: ascoltate questa voce! Cristo non ha detto questo solo Ha 2000 anni fa; egli è vivo lo dice voi adesso. Ascoltate questa voce con grande disponibilità; dire ognuno qualcosa di personale. Forse qualcuno di voi dice: «Voglio che mi serva in modo speciale come sacerdote diventando così mio testimone, essendo mio amico introducendo altri in questa amicizia». Ascoltate ciascuno comunque con fiducia la voce di Gesù. La vocazione di ciascuno è diversa, ma Cristo desidera fare amicizia con tutti, così come ha fatto con Simone, che chiamò Pietro, con Andrea, Giacomo, Giovanni con gli altri Apostoli. Vi ha donato la sua parola continua donarvela, perché conosciate la verità, perché sappiate come stanno veramente le cose per l'uomo, e perché quindi sappiate come si deve vivere in modo giusto, come si deve affrontare la vita affinché diventi vera. Potrete così essere, ognuno modo suo, suoi discepoli apostoli.

Cari ministranti, voi in realtà siete già apostoli di Gesù! Quando partecipate alla Liturgia svolgendo il vostro servizio all'altare, voi offrite a tutti una testimonianza. Il vostro atteggiamento raccolto, la vostra devozione che parte dal cuore e si esprime nei gesti liturgiche, nel canto, nelle risposte: se lo fate nella maniera giusta e non distrattamente, in modo qualunque, allora la vostra è una testimonianza che tocca gli uomini. Il vincolo di amicizia con Gesù ha la sua fonte e il suo culmine nell'Eucaristia. Voi siete molto vicini a Gesù nell’Eucaristia, nella celebrazione della Santa Messa ed essa è il più grande segno della sua amicizia per ciascuno di noi. Non dimenticatelo! E per questo vi chiedo: non abituatevi a questo dono, affinché non diventi una sorta di abitudine, sapendo come tutto funziona e facendolo automaticamente, ma scoprite ogni giorno di nuovo che lì avviene qualcosa di molto grande, che il Dio vivente è in mezzo a noi, e che potete essergli molto vicini e recare il vostro contributo affinché il suo mistero venga celebrato e raggiunga le persone.

Se non cederete all'abitudine e svolgerete il vostro servizio a partire dal vostro intimo, allora sarete veramente suoi apostoli e porterete frutti di bontà e di servizio in ogni ambito della vostra vita: in famiglia, nella scuola, nel tempo libero. Quell'amore che ricevete nella Liturgia, portatelo a tutte le persone, specialmente dove vi accorgete che manca loro è amore, che non ricevono bontà, che soffrono e sono sole. Con la forza dello Spirito Santo, cercate di portare Gesù proprio a quelle persone che vengono emarginate, che non sono molto amate, che hanno problemi. Proprio lì, con la forza dello Spirito Santo, dovete portare Gesù. Così quel Pane, che vedete spezzare sull'altare, verrà ancora condiviso e moltiplicato. E voi, come allora i dodici Apostoli, aiuterete Gesù oggi a distribuire il Pane della vita tra la gente del nostro tempo, nelle diverse situazioni della vita. Essi hanno bisogno di questo pane! Così, cari ministranti, le mie ultime parole a voi sono: siate sempre amici e apostoli di Gesù Cristo!

Saluti:

Saluto in lingua ungherese:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente i ministranti che sono presenti in gran numero, in rappresentanza di tutte le diocesi. Il servizio all’altare è allo stesso tempo una testimonianza ed un apostolato. Siete testimoni di Cristo presso l’altare e nella vostra vita. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini Polacchi e, in modo particolare, i ministranti che partecipano al grande Pellegrinaggio Europeo dei Ministranti. So che in Polonia sono tanti i giovani che prestano il servizio all’altare. Auguro a loro, e specialmente a voi qui presenti, di rimanere sempre amici e apostoli di Cristo. A tutti voi, ai ministranti e ai loro cari imparto di cuore la mia benedizione.

Saluto in lingua serba:

Saluto con affetto i ministranti venuti dalla Serbia: vivificati dallo Spirito Santo, siate sempre amici ed apostoli di Gesù!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i ministranti venuti dalla Slovacchia: vivificati dallo Spirito Santo, siate sempre amici ed apostoli di Gesù!

Saluto in lingua slovena:

Saluto con affetto i ministranti venuti dalla Slovenia: vivificati dallo Spirito Santo, siate sempre amici ed apostoli di Gesù!

Saluto in lingua ucraina:

Saluto con affetto i ministranti venuti dall’Ucraina: vivificati dallo Spirito Santo, siate sempre amici ed apostoli di Gesù!

Saluto in lingua rumena:

Saluto con affetto i ministranti venuti dalla Romania: vivificati dallo Spirito Santo, siate sempre amici ed apostoli di Gesù!

***


Rivolgo ora un saluto speciale ai malati e agli sposi novelli oggi presenti. L'amore di Cristo sia sempre per voi, cari malati, fonte di conforto e di pace; e aiuti voi, cari sposi novelli, a rendere ogni giorno più salda e profonda la vostra unione.

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APPELLO PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE


Invito tutti, infine, a continuare a pregare per la cara e martoriata regione del Medio Oriente. I nostri occhi sono pieni delle agghiaccianti immagini dei corpi straziati di tante persone, soprattutto di bambini - penso, in particolare, a Cana, in Libano. Desidero ripetere che nulla può giustificare lo spargimento di sangue innocente, da qualunque parte esso venga! Con il cuore colmo di afflizione, rinnovo ancora una volta un pressante appello all'immediata cessazione di tutte le ostilità e di tutte le violenze, mentre esorto la comunità internazionale e quanti sono coinvolti più direttamente in questa tragedia a porre al più presto le condizioni per una definitiva soluzione politica della crisi, capace di consegnare un avvenire più sereno e sicuro alle generazioni che verranno.


Ora cantiamo insieme il Pater noster.





Aula Paolo VI

Mercoledì, 9 agosto 2006: Giovanni, il teologo

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Cari fratelli e sorelle,

prima delle vacanze avevo cominciato con piccoli ritratti dei dodici Apostoli. Gli Apostoli erano compagni di via di Gesù, amici di Gesù e questo loro cammino con Gesù non era solo un cammino esteriore, dalla Galilea a Gerusalemme, ma un cammino interiore nel quale hanno imparato la fede in Gesù Cristo, non senza difficoltà perché erano uomini come noi. Ma proprio per ciò perché erano compagni di via di Gesù, amici di Gesù che in un cammino non facile hanno imparato la fede, sono anche guide per noi, che ci aiutano a conoscere Gesù Cristo, ad amarLo e ad avere fede in Lui. Avevo già parlato su quattro dei dodici Apostoli: su Simon Pietro, sul fratello Andrea, su Giacomo, il fratello di San Giovanni, e l’altro Giacomo, detto “il Minore”, che ha scritto una Lettera che troviamo nel Nuovo Testamento. Ed avevo cominciato a parlare di Giovanni l’evangelista, raccogliendo nell’ultima catechesi prima delle vacanze i dati essenziali che delineano la fisionomia di questo Apostolo. Vorrei adesso concentrare l’attenzione sul contenuto del suo insegnamento. Gli scritti di cui oggi, quindi, ci vogliamo occupare sono il Vangelo e le Lettere che vanno sotto il suo nome.

Se c'è un argomento caratteristico che emerge negli scritti di Giovanni, questo è l'amore. Non a caso ho voluto iniziare la mia prima Lettera enciclica con le parole di questo Apostolo: “Dio è amore (Deus caritas est ); chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (
1Jn 4,16). E’ molto difficile trovare testi del genere in altre religioni. E dunque tali espressioni ci mettono di fronte ad un dato davvero peculiare del cristianesimo. Certamente Giovanni non è l'unico autore delle origini cristiane a parlare dell'amore. Essendo questo un costitutivo essenziale del cristianesimo, tutti gli scrittori del Nuovo Testamento ne parlano, sia pur con accentuazioni diverse. Se ora ci soffermiamo a riflettere su questo tema in Giovanni, è perché egli ce ne ha tracciato con insistenza e in maniera incisiva le linee principali. Alle sue parole, dunque, ci affidiamo. Una cosa è certa: egli non ne fa una trattazione astratta, filosofica, o anche teologica, su che cosa sia l’amore. No, lui non è un teorico. Il vero amore infatti, per natura sua, non è mai puramente speculativo, ma dice riferimento diretto, concreto e verificabile a persone reali. Ebbene, Giovanni come apostolo e amico di Gesù ci fa vedere quali siano le componenti o meglio le fasi dell'amore cristiano, un movimento caratterizzato da tre momenti.

Il primo riguarda la Fonte stessa dell’amore, che l’Apostolo colloca in Dio, arrivando, come abbiamo sentito, ad affermare che “Dio è amore” (1Jn 4,8 1Jn 4,16). Giovanni è l'unico autore del Nuovo Testamento a darci quasi una specie di definizione di Dio. Egli dice, ad esempio, che “Dio è Spirito” (Jn 4,24) o che “Dio è luce” (1Jn 1,5). Qui proclama con folgorante intuizione che “Dio è amore”. Si noti bene: non viene affermato semplicemente che “Dio ama” e tanto meno che “l'amore è Dio”! In altre parole: Giovanni non si limita a descrivere l'agire divino, ma procede fino alle sue radici. Inoltre, non intende attribuire una qualità divina a un amore generico e magari impersonale; non sale dall’amore a Dio, ma si volge direttamente a Dio per definire la sua natura con la dimensione infinita dell'amore. Con ciò Giovanni vuol dire che il costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta l'attività di Dio nasce dall’amore ed è improntata all'amore: tutto ciò che Dio fa, lo fa per amore e con amore, anche se non sempre possiamo subito capire che questo è amore, il vero amore.

A questo punto, però, è indispensabile fare un passo avanti e precisare che Dio ha dimostrato concretamente il suo amore entrando nella storia umana mediante la persona di Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto per noi. Questo è il secondo momento costitutivo dell'amore di Dio. Egli non si è limitato alle dichiarazioni verbali, ma, possiamo dire, si è impegnato davvero e ha “pagato” in prima persona. Come appunto scrive Giovanni, “Dio ha tanto amato il mondo (cioè: tutti noi) da donare il suo Figlio unigenito” (Jn 3,16). Ormai, l'amore di Dio per gli uomini si concretizza e manifesta nell'amore di Gesù stesso. Ancora Giovanni scrive: Gesù “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Jn 13,1). In virtù di questo amore oblativo e totale noi siamo radicalmente riscattati dal peccato, come ancora scrive San Giovanni: “Figlioli miei, ... se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1Jn 2,1-2 cfr 1Jn 1,7). Ecco fin dove è giunto l'amore di Gesù per noi: fino all'effusione del proprio sangue per la nostra salvezza! Il cristiano, sostando in contemplazione dinanzi a questo “eccesso” di amore, non può non domandarsi quale sia la doverosa risposta. E penso che sempre e di nuovo ciascuno di noi debba domandarselo.

Questa domanda ci introduce al terzo momento della dinamica dell’amore: da destinatari recettivi di un amore che ci precede e sovrasta, siamo chiamati all’impegno di una risposta attiva, che per essere adeguata non può essere che una risposta d’amore. Giovanni parla di un “comandamento”. Egli riferisce infatti queste parole di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Jn 13,34). Dove sta la novità a cui Gesù si riferisce? Sta nel fatto che egli non si accontenta di ripetere ciò che era già richiesto nell'Antico Testamento e che leggiamo anche negli altri Vangeli: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18 cfr Mt 22,37-39 Mc 12,29-31 Lc 10,27). Nell’antico precetto il criterio normativo era desunto dall’uomo (“come te stesso”), mentre nel precetto riferito da Giovanni Gesù presenta come motivo e norma del nostro amore la sua stessa persona: “Come io vi ho amati”. E’ così che l'amore diventa davvero cristiano, portando in sé la novità del cristianesimo: sia nel senso che esso deve essere indirizzato verso tutti senza distinzioni, sia soprattutto in quanto deve pervenire fino alle estreme conseguenze, non avendo altra misura che l’essere senza misura. Quelle parole di Gesù, “come io vi ho amati”, ci invitano e insieme ci inquietano; sono una meta cristologica che può apparire irraggiungibile, ma al tempo stesso sono uno stimolo che non ci permette di adagiarci su quanto abbiamo potuto realizzare. Non ci consente di essere contenti di come siamo, ma ci spinge a rimanere in cammino verso questa meta.

Quell'aureo testo di spiritualità che è il piccolo libro del tardo medioevo intitolato Imitazione di Cristo scrive in proposito: “Il nobile amore di Gesù ci spinge a operare cose grandi e ci incita a desiderare cose sempre più perfette. L'amore vuole stare in alto e non essere trattenuto da nessuna bassezza. L'amore vuole essere libero e disgiunto da ogni affetto mondano... l'amore infatti è nato da Dio, e non può riposare se non in Dio al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre e gioisce, è libero, e non è trattenuto da nulla. Dona tutto per tutti e ha tutto in ogni cosa, poiché trova riposo nel Solo grande che è sopra tutte le cose, dal quale scaturisce e proviene ogni bene” (libro III, cap. 5). Quale miglior commento del “comandamento nuovo”, enunciato da Giovanni? Preghiamo il Padre di poterlo vivere, anche se sempre in modo imperfetto, così intensamente da contagiarne quanti incontriamo sul nostro cammino.

Saluti:

Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini dalla Polonia. La visita alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo susciti nei vostri cuori il consolidamento della fede, della speranza e dell’amore. A tutti auguro buone e serene vacanze. Dio benedica voi e i vostri famigliari. Sia lodato Gesù Cristo!

Traduzione italiana del saluto in lingua lituana:

Rivolgo un cordiale saluto a voi, pellegrini lituani. Mentre assicuro per voi e per i vostri connazionali un ricordo nella preghiera, invoco su ciascuno la mia benedizione.

Traduzione italiana del saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai ministranti e agli altri pellegrini della Parrocchia di Zbraslav u Brna. Carissimi, auguro a voi tutti che le ferie estive giovino non solo alla salute del corpo, ma anche a quella dell'anima. Con questi voti volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

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Ed ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi cari seminaristi provenienti da diverse Diocesi italiane, riuniti a Sacrofano per l'incontro estivo dei seminaristi maggiori, e vi auguro di far tesoro degli insegnamenti e delle esperienze spirituali di questi giorni. Saluto poi voi, partecipanti al campo internazionale promosso dall'Opera Giorgio La Pira di Firenze e assicuro la mia preghiera perché il Signore renda ricca di frutti la vostra attività culturale e religiosa. Il mio pensiero va inoltre a voi, giovani che prendete parte al Meeting internazionale promosso dai Frati Minori Conventuali. Iddio vi renda sempre più testimoni e costruttori di pace, seguendo le orme del Poverello di Assisi.

Infine, come di consueto, rivolgo un saluto a voi, cari giovani, malati e sposi novelli.Celebriamo oggi la festa di santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, compatrona d'Europa. Questa eroica testimone del Vangelo aiuti ciascuno ad avere sempre fiducia in Cristo e a incarnare nella propria esistenza il suo messaggio di salvezza.

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APPELLO PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE


Cari fratelli e sorelle, il mio accorato pensiero va ancora una volta all'amata regione del Medio Oriente. In riferimento al tragico conflitto in corso ripropongo le parole di Papa Paolo VI all'ONU, nell'ottobre del 1965. Disse in quella occasione: "Non più gli uni contro gli altri, non più, giammai!... Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani". Di fronte agli sforzi in atto per giungere finalmente al cessate-il-fuoco e ad una soluzione giusta e duratura del conflitto ripeto, con l'immediato mio Predecessore, il grande Papa Giovanni Paolo II, che è possibile cambiare il corso degli avvenimenti quando prevalgono la ragione, la buona volontà, la fiducia nell'altro, l'attuazione degli impegni assunti e la cooperazione fra partners responsabili (cfr Discorso al Corpo Diplomatico, 13 gennaio 2003). Così ha detto Giovanni Paolo II e quanto detto allora vale anche oggi, per tutti. A tutti rinnovo l'esortazione ad intensificare la preghiera per ottenere il desiderato dono della pace.


Castel Gandolfo

Mercoledì, 16 agosto 2006: Meditazione sulla solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria

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Cari fratelli e sorelle,

il nostro consueto appuntamento settimanale del mercoledì si svolge quest’oggi ancora nel clima della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Vorrei pertanto invitarvi a volgere lo sguardo, ancora una volta, alla nostra Madre celeste, che ieri la liturgia ci ha fatto contemplare trionfante con Cristo in Cielo. Questa festa è stata sempre molto sentita dal popolo cristiano, fin dai primi secoli del cristianesimo; essa, com’è noto, celebra la glorificazione anche corporale di quella creatura che Dio si è scelto come Madre e che Gesù sulla Croce ha dato per Madre a tutta l’umanità. L’Assunzione evoca un mistero che interessa ciascuno di noi perché, come afferma il Concilio Vaticano II, Maria "brilla quaggiù come segno di sicura speranza e consolazione per il popolo di Dio che è in cammino" (Lumen gentium
LG 68). Si è però talmente presi dalle vicende di ogni giorno da dimenticare talora questa consolante realtà spirituale, che costituisce un’importante verità di fede.

Come far sì allora che questo segno luminoso di speranza sia percepito sempre più dall’odierna società? C’è oggi chi vive come se non dovesse mai morire o come se tutto dovesse finire con la morte; alcuni si comportano ritenendo che l’uomo sia l’unico artefice del proprio destino, come se Dio non esistesse, giungendo qualche volta persino a negare che ci sia spazio per Lui nel nostro mondo. I grandi successi della tecnica e della scienza, che hanno notevolmente migliorato la condizione dell’umanità, lasciano però senza soluzione i quesiti più profondi dell’animo umano. Solo l’apertura al mistero di Dio, che è Amore, può colmare la sete di verità e di felicità del nostro cuore; solo la prospettiva dell’eternità può dare valore autentico agli eventi storici e soprattutto al mistero della fragilità umana, della sofferenza e della morte.

Contemplando Maria nella gloria celeste, comprendiamo che anche per noi la terra non è la patria definitiva e che, se viviamo rivolti ai beni eterni, un giorno condivideremo la sua stessa gloria e diventa più bella anche la terra. Per questo, pur tra le mille difficoltà quotidiane non dobbiamo perdere la serenità e la pace. Il segno luminoso dell’Assunta in cielo rifulge ancor più da noi tutti e quando sembrano accumularsi all’orizzonte ombre tristi di dolore e di violenza. Ne siamo certi: dall’alto Maria segue i nostri passi con dolce trepidazione, ci rasserena nell’ora del buio e della tempesta, ci rassicura con la sua mano materna. Sorretti da questa consapevolezza, proseguiamo fiduciosi nel nostro cammino di impegno cristiano là dove la Provvidenza ci conduce. Andiamo avanti, sotto la guida di Maria, nella nostra vita. Grazie.

Saluti:

Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. Il nostro odierno incontro si svolge ancora nel clima della solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. È questo un mistero che interessa ciascuno di noi, perché indica che la gloria del cielo, nella quale ci attende la Madre piena dell’amore, è il nostro ultimo destino. Le nostre preoccupazioni quotidiane non oscurino questa consolante realtà spirituale. Sia vivo in noi il desiderio dell’incontro con la nostra Madre e il suo Figlio nella casa del Padre.

Saluto ai pellegrini provenienti dall'Ucraina:

E vorrei salutare particolarmente anche i pellegrini venuti dall'Ucraina. Grazie!

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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Piccole Suore della Sacra Famiglia e alle Missionarie Figlie del Calvario, che stanno celebrando in questi giorni i rispettivi Capitoli generali, alle Figlie della Croce di Sant’Andrea e alle Suore della Santa Croce.

E finalmente vorrei salutare di cuore anche tutti i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro a Roma. Estendo il mio saluto a tutti giovani presenti, sono tanti. Qui ci sentiamo ringiovaniti tutti! Estendo il mio saluto ai malati e agli sposi novelli. Carissimi, la luce di Cristo, che abbiamo contemplato ieri riflessa in Maria Santissima Assunta in Cielo, illumini sempre la vostra vita e la renda feconda di bene.

Vorrei finalmente concludere questo nostro incontro con un ricordo particolare per Frère Roger Schutz, fondatore di Taizé, assassinato proprio un anno fa, il 16 agosto dello scorso anno, durante la preghiera della sera. La sua testimonianza di fede e di dialogo ecumenico è stata un prezioso insegnamento per intere generazioni di giovani. Chiediamo al Signore che il sacrificio della sua vita contribuisca a consolidare l’impegno di pace e di solidarietà di quanti hanno a cuore il futuro dell’umanità.

Concludiamo come sempre questa udienza con il canto comune del Padre Nostro.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 23 agosto 2006: Giovanni, il veggente di Patmos

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Cari fratelli e sorelle,

nell'ultima catechesi eravamo arrivati alla meditazione sulla figura dell'apostolo Giovanni. Avevamo dapprima cercato di vedere quanto si può sapere della sua vita. Poi, in una seconda catechesi, avevamo meditato il contenuto centrale del suo Vangelo, delle sue Lettere: la carità, l'amore. E oggi siamo ancora impegnati con la figura di Giovanni, questa volta per considerare il Veggente dell'Apocalisse. E facciamo subito un'osservazione: mentre né il Quarto Vangelo né le Lettere attribuite all'Apostolo recano mai il suo nome, l'Apocalisse fa riferimento al nome di Giovanni ben quattro volte (cfr 1, 1.4.9; 22, 8). È evidente che l'Autore, da una parte, non aveva alcun motivo per tacere il proprio nome e, dall'altra, sapeva che i suoi primi lettori potevano identificarlo con precisione. Sappiamo peraltro che, già nel III secolo, gli studiosi discutevano sulla vera identità anagrafica del Giovanni dell'Apocalisse. Ad ogni buon fine, lo potremmo anche chiamare "il Veggente di Patmos", perché la sua figura è legata al nome di questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato "a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù" (
Ap 1,9). Proprio a Patmos, "rapito in estasi nel giorno del Signore" (Ap 1,10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull'intera cultura cristiana. Per esempio, dal titolo del suo libro - Apocalisse, Rivelazione - furono introdotte nel nostro linguaggio le parole "apocalisse, apocalittico", che evocano, anche se in modo improprio, l'idea di una catastrofe incombente.

Il libro va compreso sullo sfondo della drammatica esperienza delle sette Chiese d'Asia (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiàtira, Sardi, Filadelfia, Laodicéa), che sul finire del I secolo dovettero affrontare difficoltà non lievi - persecuzioni e tensioni anche interne - nella loro testimonianza a Cristo. Ad esse Giovanni si rivolge mostrando viva sensibilità pastorale nei confronti dei cristiani perseguitati, che egli esorta a rimanere saldi nella fede e a non identificarsi con il mondo pagano, così forte. Il suo oggetto è costituito in definitiva dal disvelamento, a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, del senso della storia umana. La prima e fondamentale visione di Giovanni, infatti, riguarda la figura dell'Agnello, che è sgozzato eppure sta ritto in piedi (cfr Ap 5,6), collocato in mezzo al trono dove già è assiso Dio stesso. Con ciò, Giovanni vuol dirci innanzitutto due cose: la prima è che Gesù, benché ucciso con un atto di violenza, invece di stramazzare a terra sta paradossalmente ben fermo sui suoi piedi, perché con la risurrezione ha definitivamente vinto la morte; l'altra è che lo stesso Gesù, proprio in quanto morto e risorto, è ormai pienamente partecipe del potere regale e salvifico del Padre. Questa è la visione fondamentale. Gesù, il Figlio di Dio, in questa terra è un Agnello indifeso, ferito, morto. E tuttavia sta dritto, sta in piedi, sta davanti al trono di Dio ed è partecipe del potere divino. Egli ha nelle sue mani la storia del mondo. E così il Veggente vuol dirci: abbiate fiducia in Gesù, non abbiate paura dei poteri contrastanti, della persecuzione! L'Agnello ferito e morto vince! Seguite l'Agnello Gesù, affidatevi a Gesù, prendete la sua strada! Anche se in questo mondo è solo un Agnello che appare debole, è Lui il vincitore!

Una delle principali visioni dell'Apocalisse ha per oggetto questo Agnello nell'atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell'atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cfr Ap 5,4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell'uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio. Ebbene, solo l'Agnello immolato è in grado di aprire il libro sigillato e di rivelarne il contenuto, di dare senso a questa storia apparentemente così spesso assurda. Egli solo può trarne indicazioni e ammaestramenti per la vita dei cristiani, ai quali la sua vittoria sulla morte reca l'annuncio e la garanzia della vittoria che anch'essi senza dubbio otterranno. A offrire questo conforto mira tutto il linguaggio fortemente immaginoso di cui Giovanni si serve.

Al centro delle visioni che l'Apocalisse espone ci sono anche quelle molto significative della Donna che partorisce un Figlio maschio, e quella complementare del Drago ormai precipitato dai cieli, ma ancora molto potente. Questa Donna rappresenta Maria, la Madre del Redentore, ma rappresenta allo stesso tempo tutta la Chiesa, il Popolo di Dio di tutti i tempi, la Chiesa che in tutti i tempi, con grande dolore, partorisce Cristo sempre di nuovo. Ed è sempre minacciata dal potere del Drago. Appare indifesa, debole. Ma mentre è minacciata, perseguitata dal Drago è anche protetta dalla consolazione di Dio. E questa Donna alla fine vince. Non vince il Drago. Ecco la grande profezia di questo libro, che ci dà fiducia! La Donna che soffre nella storia, la Chiesa che è perseguitata alla fine appare come Sposa splendida, figura della nuova Gerusalemme dove non ci sono più lacrime né pianto, immagine del mondo trasformato, del nuovo mondo la cui luce è Dio stesso, la cui lampada è l'Agnello.

Per questo motivo l'Apocalisse di Giovanni, benché pervasa da continui riferimenti a sofferenze, tribolazioni e pianto - la faccia oscura della storia -, è altrettanto permeata da frequenti canti di lode, che rappresentano quasi la faccia luminosa della storia. Così, per esempio, vi si legge di una folla immensa, che canta quasi gridando: "Alleluia! Ha preso possesso del suo Regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell'Agnello, e la sua sposa è pronta" (Ap 19,6-7). Siamo qui di fronte al tipico paradosso cristiano, secondo cui la sofferenza non è mai percepita come l'ultima parola, ma è vista come punto di passaggio verso la felicità e, anzi, essa stessa è già misteriosamente intrisa della gioia che scaturisce dalla speranza. Proprio per questo Giovanni, il Veggente di Patmos, può chiudere il suo libro con un'ultima aspirazione, palpitante di trepida attesa. Egli invoca la venuta definitiva del Signore: "Vieni, Signore Gesù!" (Ap 22,20). È una delle preghiere centrali della cristianità nascente, tradotta anche da san Paolo nella forma aramaica: "Marana tha". E questa preghiera "Signore nostro, vieni!" (1Co 16,22) ha diverse dimensioni. Naturalmente è anzitutto attesa della vittoria definitiva del Signore, della nuova Gerusalemme, del Signore che viene e trasforma il mondo. Ma, nello stesso tempo, è anche preghiera eucaristica: "Vieni Gesù, adesso!". E Gesù viene, anticipa questo suo arrivo definitivo. Così con gioia diciamo nello stesso tempo: "Vieni adesso e vieni in modo definitivo!". Questa preghiera ha anche un terzo significato: "Sei già venuto, Signore! Siamo sicuri della tua presenza tra di noi. È una nostra esperienza gioiosa. Ma vieni in modo definitivo!". E così, con san Paolo, con il Veggente di Patmos, con la cristianità nascente, preghiamo anche noi: "Vieni, Gesù! Vieni e trasforma il mondo! Vieni già oggi e vinca la pace!". Amen!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio...” (Ap 12,10). Queste parole dall’Apocalisse ci accompagnano oggi. E’ una confessione della fede dei martiri che dai tempi apostolici la Chiesa conserva fedelmente. La visita alle tombe di S. Pietro e di S. Paolo ravvivi in voi questa fede nella vittoria di Cristo. Dio vi benedica!

Saluto in lingua lituana:

Saluto di cuore i pellegrini lituani! Affidandovi alla Madre di Dio e Madre nostra, imparto la Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi. Fratelli e sorelle, ieri abbiamo ricordato nella liturgia Maria Regina. Rivolgiamoci con fiducia a questa nostra buona Madre nelle nostre necessità. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

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Saluto ora i pellegrini italiani. In particolare, le Religiose di Maria santissima Consolatrice, che prendono parte al Capitolo Generale della loro Congregazione. Proseguite con ardente spirito missionario, care Sorelle, nel servire i fratelli testimoniando dappertutto il Vangelo della misericordia. Saluto, inoltre, i Seminaristi di Bergamo e di Verona, come pure i membri della scuola di formazione del Corpo Forestale dello Stato. A ciascuno auguro che questa sosta presso le Tombe degli Apostoli sia occasione propizia per un profondo rinnovamento spirituale.

Rivolgo infine, come di consueto, un cordiale saluto ai malati, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente a quelli dell'azione Cattolica della Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, accompagnati dal Vescovo Mons. Mario Paciello. Cari amici, ieri la liturgia ci ha invitato ad invocare la Santa Madre di Dio come nostra Regina. Vi invito a porre voi stessi e ogni vostro progetto sotto la materna protezione di Colei che ha donato al mondo il Salvatore.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 30 agosto 2006: Matteo


Catechesi 2005-2013 20806