Catechesi 2005-2013 61206

Mercoledì, 6 dicembre 2006 - Viaggio in Turchia

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana


Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in questa Basilica e di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto anzitutto i fedeli delle Diocesi del Lazio, qui convenuti con i loro Vescovi in occasione della Visita ad Limina Apostolorum. Cari amici, vi incoraggio ad approfondire sempre di più la vostra vita di fede, tenendo ben presenti gli orientamenti emersi dal recente incontro della Chiesa Italiana a Verona. Una coraggiosa azione evangelizzatrice, ne siamo certi, susciterà l’auspicato rinnovamento dell’impegno dei cattolici nella società, anche nel Lazio. Compito primario dell’evangelizzazione è indicare in Cristo Gesù il Salvatore di ogni uomo. Non stancatevi di affidarvi a Lui e di annunciarlo con la vostra vita in famiglia e in ogni ambiente. È questo che gli uomini anche oggi attendono dalla Chiesa, dai cristiani.

Saluto, poi, voi fedeli del Decanato di Busto Arsizio e, nel ringraziarvi per la vostra visita, auguro a ciascuno di vivere questo tempo di Avvento come occasione propizia per rafforzare la fede e l'adesione al Vangelo. Il mio pensiero va, inoltre, a voi, rappresentanti della parrocchia dell’Immacolata, in Terzigno e vi invito, alla scuola della Vergine Santa vostra celeste patrona, ad amare Dio sopra ogni cosa, sempre disponibili e pronti a compiere la sua volontà. Saluto, infine, voi, studenti delle Scuole Pie, di Frascati e vi assicuro la mia preghiera affinchè il Redentore infonda nei vostri cuori la vera gioia e vi colmi dei suoi doni. Vi benedico tutti con affetto.: Viaggio Apostolico in Turchia

Cari fratelli e sorelle!

Come è ormai consuetudine dopo ogni Viaggio apostolico, vorrei, nel corso di questa Udienza generale, ripercorrere le varie tappe del pellegrinaggio che ho compiuto in Turchia da martedì a venerdì della scorsa settimana. Una visita che, come sapete, si presentava non facile sotto diversi aspetti, ma che Dio ha accompagnato fin dall’inizio e che ha potuto così realizzarsi felicemente. Pertanto, come avevo chiesto di prepararla ed accompagnarla con la preghiera, ora vi domando di unirvi a me nel rendere grazie al Signore per il suo svolgimento e la sua conclusione. Affido a Lui i frutti che spero da essa possano scaturire sia per quanto riguarda i rapporti con i nostri fratelli ortodossi, che per il dialogo con i mussulmani. Sento, in primo luogo, di dover rinnovare l’espressione cordiale della mia riconoscenza al Presidente della Repubblica, al Primo Ministro e alle altre Autorità, che mi hanno accolto con tanta cortesia e hanno assicurato le condizioni necessarie perché tutto potesse svolgersi nel migliore dei modi. Ringrazio poi fraternamente i Vescovi della Chiesa cattolica in Turchia, con i loro collaboratori, per tutto ciò che hanno fatto. Un particolare ringraziamento dirigo al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, che mi ha ricevuto nella sua casa, al Patriarca Armeno Mesrob II, al Metropolita Siro Ortodosso Mor Filüksinos e alle altre Autorità religiose. Lungo tutto il viaggio mi sono sentito spiritualmente sostenuto dai miei venerati predecessori, i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, che hanno compiuto entrambi una memorabile visita in Turchia, e soprattutto dal beato Giovanni XXIII, che fu Rappresentante Pontificio in quel nobile Paese dal 1935 al ’44 lasciandovi un ricordo ricco di affetto e di devozione.

Rifacendomi alla visione che il Concilio Vaticano II presenta della Chiesa (cfr Cost. Lumen gentium
LG 14-16), potrei dire che anche i viaggi pastorali del Papa contribuiscono a realizzare la sua missione che si snoda “a cerchi concentrici”. Nel cerchio più interno il Successore di Pietro conferma nella fede i cattolici, in quello intermedio incontra gli altri cristiani, in quello più esterno si rivolge ai non cristiani e all’intera umanità. La prima giornata della mia Visita in Turchia si è svolta nell’ambito di questo terzo “cerchio”, il più largo: ho incontrato il Primo Ministro, il Presidente della Repubblica e il Presidente per gli Affari Religiosi, rivolgendo a quest’ultimo il mio primo discorso; ho reso omaggio al Mausoleo del “padre della patria” Mustafa Kemal Atatürk; ho quindi avuto la possibilità di parlare al Corpo Diplomatico nella Nunziatura Apostolica di Ankara. Questa intensa serie di incontri ha costituito una parte importante della Visita, specialmente in considerazione del fatto che la Turchia è un Paese a larghissima maggioranza musulmana, regolato però da una Costituzione che afferma la laicità dello Stato. E’ dunque un Paese emblematico in riferimento alla grande sfida che si gioca oggi a livello mondiale: da una parte, cioè, occorre riscoprire la realtà di Dio e la rilevanza pubblica della fede religiosa, e dall’altra assicurare che l’espressione di tale fede sia libera, priva di degenerazioni fondamentaliste, capace di ripudiare fermamente ogni forma di violenza. Ho pertanto avuto l’occasione propizia per rinnovare i miei sentimenti di stima nei confronti dei musulmani e della civiltà islamica. Ho potuto, nel contempo, insistere sull’importanza che cristiani e musulmani si impegnino insieme per l’uomo, per la vita, per la pace e la giustizia, ribadendo che la distinzione tra la sfera civile e quella religiosa costituisce un valore e che lo Stato deve assicurare al cittadino e alle comunità religiose l’effettiva libertà di culto. Nell’ambito del dialogo interreligioso, la divina Provvidenza mi ha concesso di compiere, quasi alla fine del mio viaggio, un gesto inizialmente non previsto, e che si è rivelato assai significativo: la visita alla celebre Moschea Blu di Istanbul. Sostando qualche minuto in raccoglimento in quel luogo di preghiera, mi sono rivolto all’unico Signore del cielo e della terra, Padre misericordioso dell’intera umanità. Possano tutti i credenti riconoscersi sue creature e dare testimonianza di vera fraternità!

La seconda giornata mi ha portato ad Efeso, e dunque rapidamente mi sono trovato nel “cerchio” più interno del viaggio, a contatto diretto con la Comunità cattolica. Presso Efeso, infatti, in un’amena località chiamata “Collina dell’usignolo”, prospiciente il Mare Egeo, si trova il Santuario della Casa di Maria. Si tratta di un’antica, piccola cappella sorta intorno ad una casupola che, secondo un’antichissima tradizione, l’apostolo Giovanni fece costruire per la Vergine Maria, dopo averla portata con sé ad Efeso. Era stato Gesù stesso ad affidarli l’uno all’altra quando, prima di morire in croce, aveva detto a Maria: “Donna, ecco il tuo figlio!”, e a Giovanni: “Ecco la tua madre!” (Jn 19,26-27). Le ricerche archeologiche hanno dimostrato che quel luogo è da tempo immemorabile un luogo di culto mariano, caro anche ai musulmani, che vi si recano abitualmente a venerare Colei che chiamano “Meryem Ana”, la Madre Maria. Nel giardino antistante il Santuario ho celebrato la Santa Messa per un gruppo di fedeli, venuti dalla vicina città di Izmir e da altre parti della Turchia e anche dall’estero. Presso la “Casa di Maria” ci siamo sentiti davvero “a casa”, e in quel clima di pace abbiamo pregato per la pace in Terra Santa e nel mondo intero. Lì ho voluto ricordare Don Andrea Santoro, prete romano, testimone in terra turca del Vangelo con il suo sangue.

Il “cerchio” intermedio, quello dei rapporti ecumenici, ha occupato la parte centrale di questo viaggio, avvenuto in occasione della festa di sant’Andrea, il 30 novembre. Tale ricorrenza ha offerto il contesto ideale per consolidare i rapporti fraterni tra il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Chiesa fondata secondo la tradizione dall’apostolo sant’Andrea, fratello di Simon Pietro. Sulle orme di Paolo VI, che incontrò il Patriarca Atenagora, e di Giovanni Paolo II, che fu accolto dal successore di Atenagora, Dimitrios I, ho rinnovato con Sua Santità Bartolomeo I questo gesto di grande valore simbolico, per confermare l’impegno reciproco di proseguire sulla strada verso il ristabilimento della piena comunione tra cattolici ed ortodossi. A sancire tale fermo proposito ho sottoscritto insieme con il Patriarca Ecumenico una Dichiarazione Congiunta, che costituisce un’ulteriore tappa in questo cammino. E’ stato particolarmente significativo che questo atto sia avvenuto al termine della solenne Liturgia della festa di sant’Andrea, alla quale ho assistito e che si è conclusa con la duplice Benedizione impartita dal Vescovo di Roma e dal Patriarca di Costantinopoli, successori rispettivamente degli apostoli Pietro ed Andrea. In tal modo abbiamo manifestato che alla base di ogni sforzo ecumenico c’è sempre la preghiera e la perseverante invocazione dello Spirito Santo. Sempre in questo ambito, ad Istanbul ho avuto la gioia di fare visita al Patriarca della Chiesa Armena Apostolica, Sua Beatitudine Mesrob II, come pure di incontrare il Metropolita Siro-Ortodosso. Mi piace inoltre ricordare, in questo contesto, il colloquio avuto con il Gran Rabbino di Turchia.

La mia visita si è conclusa, proprio prima della partenza per Roma, ritornando al “cerchio” più interno, e cioè incontrando la Comunità cattolica presente in ogni sua componente nella Cattedrale latina dello Spirito Santo, ad Istanbul. Hanno assistito a questa Santa Messa pure il Patriarca Ecumenico, il Patriarca Armeno, il Metropolita Siro-Ortodosso e i Rappresentanti delle Chiese protestanti. Insomma, erano riuniti in preghiera tutti i cristiani, nella diversità delle tradizioni, dei riti e delle lingue. Confortati dalla Parola di Cristo, che promette ai credenti “fiumi di acqua viva” (Jn 7,38), e dall’immagine delle molte membra unite nell’unico corpo (cfr 1Co 12,12-13), abbiamo vissuto l’esperienza di una rinnovata Pentecoste.

Cari fratelli e sorelle, sono tornato qui, in Vaticano, con l’animo colmo di gratitudine verso Dio e con sentimenti di sincero affetto e stima per gli abitanti dell’amata nazione turca, dai quali mi sono sentito accolto e compreso. La simpatia e la cordialità di cui mi hanno circondato, nonostante le difficoltà inevitabili che la mia visita ha recato al normale svolgimento delle loro quotidiane attività, mi restano come un vivo ricordo che mi spinge alla preghiera. Aiuti Iddio onnipotente e misericordioso il popolo turco, i suoi governanti e i rappresentanti delle diverse religioni, a costruire insieme un futuro di pace, sì che la Turchia possa essere un “ponte” di amicizia e di fraterna collaborazione fra l’Occidente e l’Oriente. Preghiamo inoltre perché, per intercessione di Maria Santissima, lo Spirito Santo renda fecondo questo viaggio apostolico, e animi nel mondo intero la missione della Chiesa, istituita da Cristo per annunciare a tutti i popoli il vangelo della verità, della pace e dell’amore.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Saluto cordialmente tutti i pellegrini cechi! Vi auguro che in questo Avvento vi prepariate alla venuta del Signore con il cuore simile a quello di Maria, così che il Cristo possa venire anche oggi nella società, tramite voi. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi qui presenti. Mentre con voi ringrazio Dio per il Viaggio apostolico in Turchia, a Lui affido lo sviluppo delle nuove relazioni con i nostri fratelli ortodossi e con i musulmani. Vi chiedo di pregare perché la Turchia si diventi un “ponte” di amicizia fra l’Occidente e l’Oriente. E in questo tempo di Avvento, caratterizzato dalla vigilanza, e vicini alla festa dell’Immacolata, vi affido all’intercessione della Vergine Maria. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi provenienti da Cadca e Turzovka. Fratelli e sorelle, vi auguro di vivere questo tempo di Avvento come la Vergine Maria nella gioiosa attesa del Salvatore. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

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Cari Fratelli e Sorelle,

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Grazie, il vostro affetto è forte! In particolare, saluto le Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli e le incoraggio a proseguire con fedeltà e gioia il loro servizio al Vangelo e ai fratelli. Saluto poi con gratitudine i fedeli provenienti da Cervia e l’Associazione Vivaisti di Padova, assicurando loro un ricordo nella preghiera perché il Signore li renda suoi testimoni sempre più generosi.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli.

Il tempo di Avvento, da poco iniziato, ci presenta in questi giorni l’esempio fulgido della Vergine Immacolata. Sia Lei a spronarvi, cari giovani, nel vostro cammino di adesione a Cristo. Per voi, cari malati, sia Maria il sostegno per una rinnovata speranza e la guida per voi, cari sposi novelli, nel costruire la vostra famiglia. La mia Benedizione a voi tutti.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 13 dicembre 2006: Timoteo e Tito

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana


Cari fratelli e sorelle!

Vi ringrazio per la vostra presenza e sono lieto di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto anzitutto i fedeli delle Diocesi della Calabria, qui convenuti con i loro Vescovi in occasione della Visita ad Limina Apostolorum. Cari amici, la Chiesa che vive in Calabria e qui rappresentata nelle sue vive componenti - Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici - ha un ruolo fondamentale da continuare a svolgere nella società calabrese. Mi riferisco innanzitutto alla sua missione evangelizzatrice, quanto mai urgente anche in questo nostro tempo per affrontare le attuali sfide culturali, sociali e religiose. Non stancatevi, pertanto, di attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per promuovere un'autentica rinascita morale, sociale ed economica della vostra Regione. Siate testimoni gioiosi di Cristo e infaticabili costruttori del suo Regno di giustizia e di amore. Esprimo, infine, già da ora, viva gratitudine alla Calabria per il dono dell'albero natalizio, albero grande e bello, che proprio oggi è stato collocato in Piazza S. Pietro.

L'ho visto dalla mia finestra. Saluto, poi, i numerosi studenti ed in particolare quelli provenienti dall'Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie. In questo tempo di Avvento, Maria ci accompagna verso l'incontro con Gesù, nel mistero del suo Natale. A Lei che ieri abbiamo venerato con il titolo di Vergine di Guadalupe, Patrona del Continente americano, affido tutti voi, cari ragazzi. L'invito che a Cana rivolse ai servi: "Fate quello che vi dirà Gesù" (
Jn 2,5) vi spinga ad aprire il cuore alla parola di Cristo e a farla fruttificare nella vostra vita. Vi benedico tutti con affetto.

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Timoteo e Tito

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver parlato a lungo del grande apostolo Paolo, prendiamo oggi in considerazione i suoi due collaboratori più stretti: Timoteo e Tito. Ad essi sono indirizzate tre Lettere tradizionalmente attribuite a Paolo, delle quali due destinate a Timoteo e una a Tito.

Timoteo è un nome greco e significa «che onora Dio». Mentre Luca negli Atti lo menziona sei volte, Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciassette volte (in più lo si trova una volta nella Lettera agli Ebrei). Se ne deduce che agli occhi di Paolo egli godeva di grande considerazione, anche se Luca non ritiene di raccontarci tutto ciò che lo riguarda. L'Apostolo infatti lo incaricò di missioni importanti e vide in lui quasi un alter ego, come risulta dal grande elogio che ne traccia nella Lettera ai Filippesi: «Io non ho nessuno d'animo tanto uguale (isópsychon) come lui, che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre » (2,20).

Timoteo era nato a Listra (circa 200 km a nord-ovest di Tarso) da madre giudea e padre pagano (cfr Ac 16,1). Il fatto che la madre avesse contratto un matrimonio misto e non avesse fatto circoncidere il figlio lascia pensare che Timoteo sia cresciuto in una famiglia non strettamente osservante, anche se è detto che conosceva le Scritture fin dall’infanzia (cfr 2Tm 3,15). Ci è stato trasmesso il nome della madre, Eunice, ed anche quello della nonna, Loide (cfr 2Tm 1,5). Quando Paolo passò per Listra all'inizio del secondo viaggio missionario, scelse Timoteo come compagno, poiché «egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio» (Ac 16,2), ma lo fece circoncidere «per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni» (Ac 16,3). Insieme con Paolo e Sila, Timoteo attraversò l'Asia Minore fino a Troade, da dove passò in Macedonia. Siamo inoltre informati che a Filippi, dove Paolo e Sila furono coinvolti nell'accusa di disturbatori dell’ordine pubblico e vennero imprigionati per essersi opposti allo sfruttamento di una giovane ragazza come indovina da parte di alcuni individui senza scrupoli (cfr Ac 16,16-40), Timoteo fu risparmiato. Quando poi Paolo fu costretto a proseguire fino ad Atene, Timoteo lo raggiunse in quella città e da lì venne inviato alla giovane Chiesa di Tessalonica per avere notizie e per confermarla nella fede (cfr 1Th 3,1-2). Si ricongiunse poi con l'Apostolo a Corinto, portandogli buone notizie sui Tessalonicesi e collaborando con lui nell’evangelizzazione di quella città (cfr 2Co 1,19).

Ritroviamo Timoteo a Efeso durante il terzo viaggio missionario di Paolo. Da lì probabilmente l’Apostolo scrisse a Filemone e ai Filippesi, e in entrambe le lettere Timoteo risulta co-mittente (cfr Phm 1 Ph 1,1). Da Efeso Paolo lo inviò in Macedonia insieme a un certo Erasto (cfr Ac 19,22) e poi anche a Corinto con l'incarico di recarvi una lettera, nella quale raccomandava ai Corinzi di fargli buona accoglienza (cfr 1Co 4,17 1Co 16,10-11). Lo ritroviamo ancora come co-mittente della Seconda Lettera ai Corinzi, e quando da Corinto Paolo scrive la Lettera ai Romani vi unisce, insieme a quelli degli altri, i saluti di Timoteo (cfr Rm 16,21). Da Corinto il discepolo ripartì per raggiungere Troade sulla sponda asiatica del Mar Egeo e là attendere l'Apostolo diretto verso Gerusalemme a conclusione del terzo viaggio missionario (cfr Ac 20,4). Da quel momento sulla biografia di Timoteo le fonti antiche non ci riservano che un accenno nella Lettera agli Ebrei, dove si legge: «Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui» (13,23). In conclusione, possiamo dire che la figura di Timoteo campeggia come quella di un pastore di grande rilievo. Secondo la posteriore Storia ecclesiastica di Eusebio, Timoteo fu il primo Vescovo di Efeso (cfr 3,4). Alcune sue reliquie si trovano dal 1239 in Italia nella Cattedrale di Termoli nel Molise, provenienti da Costantinopoli.

Quanto poi alla figura di Tito, il cui nome è di origine latina, sappiamo che di nascita era greco, cioè pagano (cfr Ga 2,3). Paolo lo condusse con sé a Gerusalemme per il cosiddetto Concilio apostolico, nel quale fu solennemente accettata la predicazione ai pagani del Vangelo libero dai condizionamenti della legge mosaica. Nella Lettera a lui indirizzata, l'Apostolo lo elogia definendolo «mio vero figlio nella fede comune» (Tt 1,4). Dopo la partenza di Timoteo da Corinto, Paolo vi inviò Tito con il compito di ricondurre quella indocile comunità all’obbedienza. Tito riportò la pace tra la Chiesa di Corinto e l’Apostolo, che ad essa scrisse in questi termini: «Dio che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito, e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli infatti ci ha annunziato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me... A questa nostra consolazione si è aggiunta una gioia ben più grande per la letizia di Tito, poiché il suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi» (2Co 7,6-7 2Co 7,13). A Corinto Tito fu poi ancora rimandato da Paolo - che lo qualifica come «mio compagno e collaboratore» (2Co 8,23) - per organizzarvi la conclusione delle collette a favore dei cristiani di Gerusalemme (cfr 2Co 8,6). Ulteriori notizie provenienti dalle Lettere Pastorali lo qualificano come Vescovo di Creta (cfr Tt 1,5), da dove su invito di Paolo raggiunse l'Apostolo a Nicopoli in Epiro (cfr Tt 3,12). In seguito andò anche in Dalmazia (cfr 2Tm 4,10). Siamo sprovvisti di altre informazioni sugli spostamenti successivi di Tito e sulla sua morte.

Concludendo, se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l'Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un’altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell’assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa. Raccogliamo infine la raccomandazione che l'apostolo Paolo fa a Tito nella lettera a lui indirizzata: «Voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini» (Tt 3,8). Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole, e proprio in questo tempo di Avvento essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i polacchi qui presenti. San Paolo nella lettera a Tito raccomanda: “coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini” (Tt 3,8). Teniamo presente ciò particolarmente adesso, durante il tempo di Avvento, quando pensiamo all’ultima venuta di Cristo. Che in questo tempo non manchino le nostre opere buone. Di cuore vi benedico.

Saluto in lingua ungherese:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi qui presenti, specialmente il gruppo teatrale della Croce Rossa Ungherese. Vi auguro che questo soggiorno a Roma aiuti voi a preparare il Santo Natale. Volentieri imparto a voi tutti la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i rappresentanti della Libreria Editrice Vaticana, qui convenuti con un gruppo di Editori, in occasione dell’ottantesimo anniversario di fondazione. Saluto, poi, gli esponenti dell’Associazione Italiana Panificatori, quelli dell’Associazione Italiana Giovani Agricoltori e la delegazione Federcasalinghe Donne Europee. Vi ringrazio tutti di cuore per la vostra partecipazione e, invoco su ciascuno la continua protezione di Dio e della Vergine Santissima.

Il mio pensiero va, infine, ai malati e agli sposi novelli. A voi, cari malati, che nella vostra esperienza di malattia condividete con Cristo il peso della Croce, le prossime feste natalizie apportino serenità e conforto. Invito voi, cari sposi novelli, che da poco tempo avete fondato la vostra famiglia, a crescere sempre più in quell'amore che Gesù ci ha donato nel suo Natale.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 20 dicembre 2006: Mistero del Natale

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Cari fratelli e sorelle!

Il Signore è vicino: venite, adoriamo”. Con questa invocazione la liturgia ci invita, in questi ultimi giorni dell’Avvento, ad avvicinarci, quasi in punta dei piedi, alla grotta di Betlemme, dove si è compiuto l’evento straordinario, che ha cambiato il corso della storia: la nascita del Redentore. Nella Notte di Natale ci fermeremo, ancora una volta, dinanzi al presepe, a contemplare stupiti il “Verbo fatto carne”. Sentimenti di gioia e di gratitudine, come ogni anno, si rinnoveranno nel nostro cuore ascoltando le melodie natalizie, che in tante lingue cantano lo stesso straordinario prodigio. Il Creatore dell’universo è venuto per amore a porre la sua dimora tra gli uomini. Nella Lettera ai Filippesi, san Paolo afferma che Cristo “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (2,6). E’ apparso in forma umana, aggiunge l’Apostolo, umiliando se stesso. Nel Santo Natale rivivremo la realizzazione di questo sublime mistero di grazia e di misericordia.

Dice ancora san Paolo: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (
Ga 4,4-5). In verità, da molti secoli il popolo eletto attendeva il Messia, ma lo immaginava come un potente e vittorioso condottiero che avrebbe liberato i suoi dall’oppressione degli stranieri. Il Salvatore nacque invece nel silenzio e nella più assoluta povertà. Venne come luce che illumina ogni uomo – nota l’evangelista Giovanni –, “ma i suoi non lo hanno accolto” (Jn 1,9 Jn 1,11). L’Apostolo però aggiunge: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (ivi, 1,12). La luce promessa rischiarò i cuori di coloro che avevano perseverato nell’attesa vigile ed operosa.

La liturgia dell’Avvento esorta anche noi ad essere sobri e vigilanti, per non lasciarci appesantire dal peccato e dalle eccessive preoccupazioni del mondo. E’ infatti vegliando e pregando che potremo riconoscere ed accogliere il fulgore del Natale di Cristo. San Massimo di Torino, Vescovo nel IV-V secolo, in una delle sue omelie, afferma: “Il tempo ci avverte che il Natale di Cristo Signore è vicino. Il mondo con le sue stesse angustie dice l’imminenza di qualche cosa che lo rinnoverà, e desidera con un’attesa impaziente che lo splendore di un sole più fulgido illumini le sue tenebre… Questa attesa della creazione persuade anche noi ad attendere il sorgere di Cristo, nuovo Sole” (Disc. 61a, 1-3). La stessa creazione dunque ci conduce a scoprire e a riconoscere Colui che deve venire.

Ma la domanda è: l’umanità del nostro tempo attende ancora un Salvatore? Si ha la sensazione che molti considerino Dio come estraneo ai propri interessi. Apparentemente non hanno bisogno di Lui; vivono come se non esistesse e, peggio, come se fosse un “ostacolo” da rimuovere per realizzare se stessi. Anche fra i credenti – siamo certi - alcuni si lasciano attrarre da allettanti chimere e distrarre da fuorvianti dottrine che propongono illusorie scorciatoie per ottenere la felicità. Eppure, pur con le sue contraddizioni, le sue angustie e i suoi drammi, e forse proprio per questi, l’umanità oggi cerca una strada di rinnovamento, di salvezza, cerca un Salvatore e attende, talora inconsapevolmente, l’avvento del Salvatore che rinnova il mondo e la nostra vita, l’avvento di Cristo, l’unico vero Redentore dell’uomo e di tutto l’uomo. Certo, falsi profeti continuano a proporre una salvezza a “basso prezzo”, che finisce sempre per generare cocenti delusioni. Proprio la storia degli ultimi cinquant’anni dimostra questa ricerca di un Salvatore a “basso prezzo” ed evidenzia tutte le delusioni che ne sono derivate. E’ compito di noi cristiani diffondere, con la testimonianza della vita, la verità del Natale, che Cristo reca a ogni uomo e donna di buona volontà. Nascendo nella povertà del presepe, Gesù viene ad offrire a tutti quella gioia e quella pace che sole possono colmare l’attesa dell’animo umano.

Ma come prepararci ad aprire il cuore al Signore che viene? L’atteggiamento spirituale dell’attesa vigile ed orante rimane la caratteristica fondamentale del cristiano in questo tempo di Avvento. È l’atteggiamento che contraddistingue i protagonisti di allora: Zaccaria ed Elisabetta, i pastori, i Magi, il popolo semplice e umile. Soprattutto l’attesa di Maria e di Giuseppe! Questi ultimi, più di ogni altro, hanno provato in prima persona l’affanno e la trepidazione per il Bambino che doveva nascere. Non è difficile immaginare come abbiano trascorso gli ultimi giorni, nell’attesa di stringere il neonato fra le loro braccia. Il loro atteggiamento sia il nostro, cari fratelli e sorelle! Ascoltiamo, in proposito, l’esortazione del già citato san Massimo, Vescovo di Torino: “Mentre stiamo per accogliere il Natale del Signore, rivestiamoci di indumenti nitidi, senza macchia. Parlo della veste dell’anima, non di quella del corpo. Abbigliamoci non con abiti di seta, ma con opere sante! Le vesti sfarzose possono coprire le membra ma non adornano la coscienza (ibid.).

Nascendo fra noi, Gesù Bambino non ci trovi distratti o impegnati semplicemente ad abbellire con le luminarie le nostre case. Allestiamo piuttosto nel nostro animo e nelle nostre famiglie una degna dimora dove Egli si senta accolto con fede e amore. Ci aiutino la Vergine e san Giuseppe a vivere il Mistero del Natale con rinnovato stupore e pacificante serenità. Con questi sentimenti desidero formulare i più fervidi auguri per un santo e felice Natale a tutti voi, qui presenti, e ai vostri familiari, con un ricordo particolare per quanti sono in difficoltà o soffrono nel corpo e nello spirito. Buon Natale a voi tutti!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Fra poco staremo stupiti intorno alla mangiatoia di Betlemme per contemplare il mistero della nascita di Dio. Insieme ai pastori loderemo Colui che “spogliò se stesso, (...) divenendo simile agli uomini”, per portare a loro la salvezza. La pace e la gioia di questa solennità accompagnino sempre voi e i vostri cari. Il divino Bambino benedica tutti.

***


Rivolgo il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto la Delegazione della Regione Calabria, venuta in occasione della presentazione ufficiale del grande albero di Natale allestito in Piazza S. Pietro, e degli altri collocati in quest’aula, nel palazzo apostolico e in vari ambienti del Vaticano. Vi ringrazio per questo dono della vostra terra di Calabria! Grazie specialmente a quanti hanno reso possibile tale omaggio, che ricorda ai visitatori la nascita di Gesù, luce del mondo.

Il mio pensiero va, inoltre, ai Seminaristi della diocesi di Conversano-Monopoli, che esorto a fondare la loro vita sulla salda roccia della Parola di Dio, per esserne coraggiosi annunciatori agli uomini del nostro tempo. Rivolgo, altresì, il mio apprezzamento ai rappresentanti della Fondazione Banco Alimentare e li incoraggio a proseguire nel loro impegno in favore dei più bisognosi.

Desidero infine salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari amici, vi ringrazio per la vostra partecipazione a questo incontro. Tra qualche giorno è Natale e immagino che nelle vostre case si stia ultimando l’allestimento del presepe, che costituisce una quanto mai suggestiva rappresentazione della Natività. Auspico che un elemento così importante, non solo della nostra spiritualità, ma anche della nostra cultura e dell’arte, continui ad essere un semplice ed eloquente modo per ricordare Colui che è venuto “ad abitare in mezzo a noi”.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 27 dicembre 2006: Mistero del Natale

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Cari fratelli e sorelle,

l’odierno incontro si svolge nel clima natalizio pervaso di intima gioia per la nascita del Salvatore. Abbiamo appena celebrato, l’altro ieri, questo mistero, la cui eco si espande nella liturgia di tutti questi giorni. È un mistero di luce che gli uomini di ogni epoca possono rivivere nella fede. Risuonano nel nostro animo le parole dell’evangelista Giovanni, del quale proprio oggi celebriamo la festa: "Et Verbum caro factum est – Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (
Jn 1,14). A Natale, dunque, Dio è venuto ad abitare fra noi; è venuto per noi, per restare con noi. Una domanda attraversa questi duemila anni di storia cristiana: "Ma perché lo ha fatto, perché Dio si è fatto uomo?".

Ci aiuta a rispondere a questo interrogativo il canto che gli angeli intonarono sulla grotta di Betlemme: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Il cantico della notte di Natale, entrato nel Gloria, fa parte ormai della liturgia come gli altri tre cantici del Nuovo Testamento, che si riferiscono alla nascita e all’infanzia di Gesù: il Benedictus, il Magnificat e il Nunc dimittis. Mentre questi ultimi sono inseriti rispettivamente nelle Lodi mattutine, nella preghiera serale del Vespro, e in quella notturna di Compieta, il Gloria ha trovato la sua collocazione proprio nella Santa Messa. Alle parole degli angeli, fin dal secolo II furono aggiunte alcune acclamazioni: "Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa"; e più tardi altre invocazioni: "Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, che togli i peccati del mondo…", sino a formulare un arioso inno di lode che venne cantato per la prima volta nella Messa di Natale e in seguito in tutti i giorni di festa. Inserito all’inizio della Celebrazione eucaristica, il Gloria sta a sottolineare la continuità esistente tra la nascita e la morte di Cristo, tra il Natale e la Pasqua, aspetti inscindibili dell’unico e medesimo mistero di salvezza.

Narra il Vangelo che la moltitudine angelica cantava: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". Gli angeli annunciano ai pastori che la nascita di Gesù "è" gloria per Dio nel più alto dei cieli; ed "è" pace sulla terra per gli uomini che egli ama. Opportunamente, pertanto, si usa porre sulla grotta queste parole angeliche a spiegazione del mistero del Natale, che nel presepe si è compiuto. Il termine "gloria" (doxa)indica lo splendore di Dio che suscita la riconoscente lode delle creature. Dirà san Paolo: è "la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo" (2Co 4,6). "Pace" (eirene) sta a sintetizzare la pienezza dei doni messianici, la salvezza cioè che, come nota sempre l’Apostolo, si identifica con Cristo stesso: "Egli è, infatti, la nostra pace" (Ep 2,14). Vi è infine il riferimento agli uomini "di buona volontà". "Buona volontà" (eudokia), nel linguaggio comune, fa pensare alla "buona volontà" degli uomini, ma è qui indicato piuttosto il "buon volere" di Dio verso gli uomini, che non conosce limiti. Ed ecco allora il messaggio del Natale: con la nascita di Gesù, Dio ha manifestato il suo buon volere verso tutti.

Torniamo alla domanda: "Perché Dio si è fatto uomo?". Scrive sant’Ireneo: "Il Verbo si è fatto dispensatore della gloria del Padre ad utilità degli uomini… Gloria di Dio è l’uomo che vive – vivens homo - e la sua vita consiste nella visione di Dio" (Adv. Haer. IV, 20,5.7). La gloria di Dio si manifesta, dunque, nella salvezza dell’uomo, che Dio ha tanto amato "da dare – come afferma l’evangelista Giovanni – il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). È dunque l’amore la ragione ultima dell’incarnazione di Cristo. Eloquente è al riguardo la riflessione del teologo H.U. von Balthasar, il quale ha scritto: Dio "non è, in primo luogo, potenza assoluta, ma amore assoluto la cui sovranità non si manifesta nel tenere per sé ciò che gli appartiene, ma nel suo abbandono" (Mysterium paschale I, 4). Il Dio che contempliamo nel presepe è Dio-Amore.

A questo punto l’annuncio degli angeli suona per noi anche come un invito: "sia" gloria a Dio nel più alto dei cieli, "sia" pace in terra agli uomini che Egli ama. L’unico modo di glorificare Dio e di costruire la pace nel mondo consiste nell’umile e fiduciosa accoglienza del dono di Natale: l’amore. Il canto degli angeli può allora diventare una preghiera da ripetere spesso, non soltanto in questo tempo natalizio. Un inno di lode a Dio nell’alto dei cieli e una fervente invocazione di pace sulla terra, che si traduca in un concreto impegno a costruirla con la nostra vita. Questo è l’impegno che il Natale ci affida.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. Nell’atmosfera del Natale rendiamo gloria a Colui che ha lasciato la gloria dei cieli, è diventato uomo e nella povera grotta è venuto al mondo per salvarci. La Sua pace vi accompagni sempre. Dio vi benedica!

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Rivolgo un cordiale augurio natalizio ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto la Comunità dei Legionari di Cristo, presenti numerosi all’Udienza, insieme con i rappresentanti dell’Associazione Regnum Christi, venuti a Roma per le festività natalizie e per l’ordinazione di un bel gruppo di nuovi sacerdoti. Il Signore vi benedica nel vostro ministero. Saluto inoltre i fedeli di Castel Guelfo e quelli di Arzano, come anche i giovani, i malati e gli sposi novelli, che partecipano all’Udienza.

La luce di Cristo, che nella Notte di Natale ha brillato sull’umanità, splenda su ciascuno di voi, cari amici, e vi accompagni nel quotidiano impegno di testimoniare coraggiosamente Cristo.

Ancora un augurio di buon Natale e di buone feste.





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