Catechesi 2005-2013 21027

Mercoledì delle Ceneri, 21 febbraio 2007

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:


Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno il mio cordiale benvenuto, con un saluto speciale per le numerose scolaresche presenti. Oggi inizia la Quaresima, tempo liturgico "forte" di preghiera, tempo di penitenza e di impegno nel servire i fratelli, da vivere conservando lo sguardo sempre fisso su Gesù che si avvia verso la sua morte e risurrezione.

Cari giovani, sentite questo invito come se Cristo lo rivolgesse personalmente ad ognuno di voi e accoglietelo con generosità. Percorrendo fedelmente l'austero itinerario quaresimale, potrete prendere coscienza dei rischi a cui è esposta la vostra vita spirituale e sarete incoraggiati a realizzare con gioia la vostra vocazione cristiana. Accanto a voi è Maria, la Donna della speranza che, con la sua tenerezza materna, vi sostiene e vi guida nei quaranta giorni che ci conducono alla Pasqua. Con il suo aiuto potrete celebrare interiormente rinnovati il grande mistero pasquale, evento centrale della salvezza e rivelazione suprema dell'amore misericordioso di Dio.

Buona Quaresima a tutti!

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Mercoledì delle Ceneri

Cari fratelli e sorelle,

il Mercoledì delle Ceneri, che oggi celebriamo, per noi cristiani è un giorno particolare, caratterizzato da intenso spirito di raccoglimento e di riflessione. Intraprendiamo, infatti, il cammino della Quaresima fatto di ascolto della Parola di Dio, di preghiera e di penitenza. Sono quaranta giorni durante i quali la liturgia ci aiuterà a rivivere le fasi salienti del mistero della salvezza. Come sappiamo, l’uomo era stato creato per essere amico di Dio. Ma il peccato dei progenitori ha infranto questa relazione di fiducia e di amore e ha reso di conseguenza l’umanità incapace di realizzare la sua vocazione originaria. Grazie però al sacrificio redentore di Cristo siamo stati riscattati dal potere del male: Cristo infatti, scrive l’apostolo Giovanni, si è fatto vittima di espiazione per i nostri peccati (cfr
1Jn 2,2); e san Pietro aggiunge: Egli è morto una volta per sempre per i peccati (cfr 1P 3,18).

Morto in Cristo al peccato, anche il battezzato rinasce a vita nuova, ristabilito gratuitamente nella dignità di figlio di Dio. Per questo nella primitiva comunità cristiana il Battesimo veniva considerato come “la prima risurrezione” (cfr Ap 20,5 Rm 6,1–11; Gv 5,25–28). Sin dalle origini, pertanto, la Quaresima viene vissuta come il tempo dell’immediata preparazione al Battesimo, da amministrarsi solennemente durante la Veglia pasquale. Tutta la Quaresima era un cammino verso questo grande incontro con Cristo, questa immersione in Cristo e questo rinnovamento della vita. Noi siamo già battezzati, ma il Battesimo spesso non è molto efficace nella nostra vita quotidiana. Perciò anche per noi la Quaresima è un rinnovato “catecumenato” nel quale andiamo di nuovo incontro al nostro Battesimo per riscoprirlo e riviverlo in profondità, per divenire di nuovo realmente cristiani. Quindi la Quaresima è un’occasione per “ridiventare” cristiani, mediante un costante processo di cambiamento interiore e di avanzamento nella conoscenza e nell’amore di Cristo. La conversione non è mai una volta per sempre, ma è un processo, un cammino interiore di tutta la nostra vita. Questo itinerario di conversione evangelica non può certo limitarsi ad un periodo particolare dell’anno: è un cammino di ogni giorno, che deve abbracciare l’intero arco dell’esistenza, ogni giorno della nostra vita. In questa ottica, per ciascun cristiano e per tutte le comunità ecclesiali, la Quaresima è la stagione spirituale propizia per allenarsi con maggior tenacia a cercare Dio, aprendo il cuore a Cristo. Sant’Agostino una volta ha detto che la nostra vita è un unico esercizio del desiderio di avvicinarci a Dio, di divenire capaci di lasciar entrare Dio nel nostro essere. “L’intera vita del fervente cristiano – dice – è un santo desiderio”. Se è così, in Quaresima siamo stimolati ancor più a strappare “ai nostri desideri le radici della vanità” per educare il cuore a desiderare, cioè ad amare Dio. “Dio: - dice sempre sant’Agostino – queste due sillabe sono tutto quello che desideriamo” (cfr Tract. in Iohn., 4). E speriamo che realmente cominciamo a desiderare Dio, e così a desiderare la vera vita, l’amore stesso e la verità.

Quanto mai opportuna risuona allora l’esortazione di Gesù, riportata dall’evangelista Marco: “Convertitevi e credete al Vangelo” (cfr Mc 1,15). Il sincero desiderio di Dio ci porta a rigettare il male e a compiere il bene. Questa conversione del cuore è anzitutto dono gratuito di Dio, che ci ha creati per sé e in Gesù Cristo ci ha redenti: la nostra vera felicità consiste nel rimanere in Lui (cfr Jn 15,3). Per questa ragione Egli stesso previene con la sua grazia il nostro desiderio e accompagna i nostri sforzi di conversione. Convertirsi, che cos’è in realtà? Convertirsi vuol dire cercare Dio, andare con Dio, seguire docilmente gli insegnamenti del suo Figlio, di Gesù Cristo; convertirsi non è uno sforzo per autorealizzare se stessi, perché l’essere umano non è l’architetto del proprio destino eterno. Non siamo noi che abbiamo fatto noi stessi. Perciò l’autorealizzazione è una contraddizione ed è anche troppo poco per noi. Abbiamo una destinazione più alta. Potremmo dire che la conversione consiste proprio nel non considerarsi i “creatori” di se stessi e così scoprire la verità, perché non siamo autori di noi stessi. Conversione consiste nell’accettare liberamente e con amore di dipendere in tutto da Dio, il vero nostro Creatore, di dipendere dall’amore. Questa non è dipendenza ma libertà. Convertirsi significa allora non inseguire il proprio successo personale - che è una cosa che passa - ma, abbandonando ogni umana sicurezza, porsi con semplicità e fiducia alla sequela del Signore perché per ciascuno Gesù diventi, come amava ripetere la beata Teresa di Calcutta, “il mio tutto in tutto”. Chi si lascia conquistare da Lui non teme di perdere la propria vita, perché sulla Croce Egli ci ha amato e ha dato se stesso per noi. E proprio perdendo per amore la nostra vita la ritroviamo.

Ho voluto sottolineare l’immenso amore che Dio ha per noi nel messaggio per la Quaresima, pubblicato pochi giorni fa, perché i cristiani d’ogni comunità possano sostare spiritualmente, durante il tempo quaresimale, con Maria e Giovanni, il discepolo prediletto, accanto a Colui che sulla Croce ha consumato per l’umanità il sacrificio della sua vita (cfr Jn 19,25). Sì, cari fratelli e sorelle, la Croce è la definitiva rivelazione dell’amore e della misericordia divina anche per noi, uomini e donne di questa nostra epoca, troppo spesso distratti da preoccupazioni e interessi terreni e momentanei. Dio è amore, e il suo amore è il segreto della nostra felicità. Per entrare però in questo mistero di amore non c’è altra via se non quella di perderci, di donarci, la via della Croce. “Se qualcuno vuol venire dietro di me – dice il Signore – rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Ecco perché la liturgia quaresimale, mentre ci invita a riflettere e a pregare, ci stimola a valorizzare maggiormente la penitenza e il sacrificio, per rigettare il peccato e il male e vincere l’egoismo e l’indifferenza. La preghiera, il digiuno e la penitenza, le opere di carità verso i fratelli diventano così sentieri spirituali da percorrere per far ritorno a Dio, in risposta ai ripetuti richiami alla conversione contenuti anche nell'odierna liturgia (cfr Jl 2,12-13 Mt 6,16-18).

Cari fratelli e sorelle, il periodo quaresimale, che quest’oggi intraprendiamo con l’austero e significativo rito dell’imposizione delle Ceneri, sia per tutti una rinnovata esperienza dell’amore misericordioso di Cristo, che sulla Croce ha versato il suo sangue per noi. Mettiamoci docilmente alla sua scuola, per imparare a “ridonare”, a nostra volta, il suo amore al prossimo, specialmente a quanti soffrono e sono in difficoltà. E’ questa la missione di ogni discepolo di Cristo, ma per compierla è necessario restare in ascolto della sua Parola e nutrirsi assiduamente del suo Corpo e del suo Sangue. L’itinerario quaresimale, che nella Chiesa antica è itinerario verso l’iniziazione cristiana, verso il Battesimo e l’Eucaristia, sia per noi battezzati un tempo “eucaristico” nel quale partecipare con maggior fervore al sacrificio dell’Eucaristia. La Vergine Maria che, dopo aver condiviso la passione dolorosa del suo divin Figlio, ha sperimentato la gioia della sua risurrezione, ci accompagni in questa Quaresima verso il mistero della Pasqua, rivelazione suprema dell'amore di Dio.

Buona Quaresima a tutti!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. Oggi iniziamo la Quaresima – quaranta giorni durante i quali la liturgia ci aiuterà a rivivere il mistero della nostra redenzione. Tramite le rinunce e la preghiera ci uniamo a Cristo che compie la volontà del Padre e dona se stesso nell’offerta della Croce. Con la speranza stiamo in attesa del mattino della risurrezione. La grazia di Dio ci accompagni in questo cammino. Dio vi benedica.

Saluto in lingua slovacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti da Bratislava, Vinné, Michalovce, Prievidza a Velké Orvište. Fratelli e sorelle, lapostolo Paolo invita: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. Sentiamo all’inizio della Quaresima questo richiamo rivolto personalmente a ciascuno di noi e mettiamolo in pratica con generosità. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i Vescovi dell'Umbria, giunti a Roma per la Visita ad limina Apostolorum. Cari Fratelli nell'Episcopato, la Chiesa ha la perenne missione di diffondere la luce della verità di Cristo che illumina le genti, perché risplenda in ogni ambito della società. Annunciando il messaggio evangelico, ogni comunità cristiana si pone a servizio dell'uomo e del bene comune. Consapevoli di questo mandato missionario, spronate sempre più i fedeli affidati alle vostre cure pastorali a proseguire nello sforzo di permeare gli spazi della cultura odierna con la linfa vitale della divina grazia. Si tratta certo di un compito non facile, ma indispensabile. La materna protezione della Vergine Santa vi incoraggi e renda fecondo l'impegno apostolico dell'intero Popolo di Dio che è in Umbria.

Saluto poi le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, che celebrano in questi giorni il loro Capitolo Generale, come anche i sacerdoti della diocesi di Milano che ricordano il 25° anniversario di Ordinazione. Per ciascuno assicuro un ricordo nella preghiera perché il Signore renda tutti testimoni sempre più generosi del suo Vangelo.

Il mio pensiero va, infine, ai malati e agli sposi novelli.

Benvenuti, cari amici. Il Papa ha nel suo cuore un posto speciale per voi. A tutti voi e alle persone a voi care rivolgo il mio affettuoso saluto, che accompagno con una particolare benedizione.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 7 marzo 2007: San Clemente Romano

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:

Cari fratelli e sorelle,

sono lieto di accogliervi e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto anzitutto i pellegrini provenienti dalle Diocesi della Regione Ecclesiastica Piemontese, che accompagnano i loro Vescovi nella Visita ad limina. Cari amici, la fede cristiana si confronta, anche in Piemonte e Valle d’Aosta con molte sfide dovute, nell’odierno contesto socio-culturale, alle tendenze agnostiche presenti in campo dottrinale, come pure alle pretese di piena autonomia etica e morale. Non è certo facile annunciare e testimoniare oggi il Vangelo. Tuttavia permane nel popolo un solido substrato spirituale, che si manifesta tra l’altro nell’attenzione alle istanze della vita cristiana, nell’intimo bisogno di Dio, nella riscoperta del valore della preghiera, nella stima verso il sacerdote zelante e il suo ministero. Si avverte, inoltre, da parte di fedeli laici e di gruppi di impegno apostolico, una più sentita esigenza di tensione alla santità, misura alta della vita cristiana. Mi rivolgo pure a voi, cari Fratelli nell’Episcopato: di fronte alle difficoltà che a volte incontrano le comunità ecclesiali affidate alle vostre cure, vi esorto a proseguire con coraggio nell’aiutarle a seguire fedelmente il Signore, valorizzando le loro potenzialità spirituali e i carismi di ciascuno. Ricordate loro che nessuna difficoltà può separarci dall’amore di Cristo, come già affermava san Paolo (cfr. Rm
Rm 8,35-39). Per questo, unendo le forze, voi Pastori insieme ai sacerdoti, alle persone consacrate e ai fedeli laici testimoniate con fervore la vostra comune adesione a Cristo ed edificate la Chiesa nella carità e nella verità. La Madre Celeste, che il popolo piemontese invoca da sempre con sentita devozione, vi assista, vi illumini e vi conforti.

Saluto ora i giovani qui presenti, in particolare gli alunni della Scuola Don Carlo Costamagna di Busto Arsizio e quelli della Scuola Don Giovanni Bosco di Canonica d'Adda. Cari amici, il tempo di Quaresima, che stiamo vivendo, sia per voi occasione propizia per riscoprire il dono della sequela di Cristo e imparare ad aderire sempre, con il suo aiuto, alla volontà del Padre.

E così prendiamo la strada giusta, la strada che ci apre il cammino al futuro.

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San Clemente Romano

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo meditato nei mesi scorsi sulle figure dei singoli Apostoli e sui primi testimoni della fede cristiana, che gli scritti neo-testamentari menzionano. Adesso dedichiamo la nostra attenzione ai santi Padri dei primi secoli cristiani. E così possiamo vedere come comincia il cammino della Chiesa nella storia.

San Clemente, Vescovo di Roma negli ultimi anni del primo secolo, è il terzo successore di Pietro, dopo Lino e Anacleto. Riguardo alla sua vita, la testimonianza più importante è quella di sant’Ireneo, Vescovo di Lione fino al 202. Egli attesta che Clemente «aveva visto gli Apostoli», «si era incontrato con loro», e «aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione, e davanti agli occhi la loro tradizione» (Contro le eresie 3,3,3). Testimonianze tardive, fra il quarto e il sesto secolo, attribuiscono a Clemente il titolo di martire.

L’autorità e il prestigio di questo Vescovo di Roma erano tali, che a lui furono attribuiti diversi scritti, ma l’unica sua opera sicura è la Lettera ai Corinti. Eusebio di Cesarea, il grande «archivista» delle origini cristiane, la presenta in questi termini: «E’ tramandata una lettera di Clemente riconosciuta autentica, grande e mirabile. Fu scritta da lui, da parte della Chiesa di Roma, alla Chiesa di Corinto ... Sappiamo che da molto tempo, e ancora ai nostri giorni, essa è letta pubblicamente durante la riunione dei fedeli» (Storia Qo 3,16).A questa lettera era attribuito un carattere quasi canonico. All’inizio di questo testo – scritto in greco – Clemente si rammarica che «le improvvise avversità, capitate una dopo l’altra» (1,1), gli abbiano impedito un intervento più tempestivo. Queste «avversità» sono da identificarsi con la persecuzione di Domiziano: perciò la data di composizione della lettera deve risalire a un tempo immediatamente successivo alla morte dell’imperatore e alla fine della persecuzione, vale a dire subito dopo il 96.

L’intervento di Clemente era sollecitato dai gravi problemi in cui versava la Chiesa di Corinto: i presbiteri della comunità, infatti, erano stati deposti da alcuni giovani contestatori. La penosa vicenda è ricordata, ancora una volta, da sant’Ireneo, che scrive: «Sotto Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinti una lettera importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione, che da poco tempo essa aveva ricevuto dagli Apostoli» (Contro le eresie 3,3,3). Potremmo quindi dire che questa lettera costituisce un primo esercizio del Primato romano dopo la morte di san Pietro. La lettera di Clemente riprende temi cari a san Paolo, che aveva scritto due grandi lettere ai Corinti, e in particolare la dialettica teologica, perennemente attuale, tra indicativo della salvezza e imperativo dell’impegno morale. Prima di tutto c’è il lieto annuncio della grazia che salva. Il Signore ci previene e ci dona il perdono, ci dona il suo amore, la grazia di essere cristiani, suoi fratelli e sorelle. E’ un annuncio che riempie di gioia la nostra vita e dà sicurezza al nostro agire: il Signore ci previene sempre con la sua bontà, e la bontà del Signore è sempre più grande di tutti i nostri peccati. Occorre però che ci impegniamo in maniera coerente con il dono ricevuto e rispondiamo all’annuncio della salvezza con un cammino generoso e coraggioso di conversione. Rispetto al modello paolino, la novità è che Clemente fa seguire alla parte dottrinale e alla parte pratica, che erano costitutive di tutte le lettere paoline, una «grande preghiera», che praticamente conclude la lettera.

L’occasione immediata della lettera schiude al Vescovo di Roma la possibilità di un ampio intervento sull’identità della Chiesa e sulla sua missione. Se a Corinto ci sono stati degli abusi, osserva Clemente, il motivo va ricercato nell’affievolimento della carità e di altre virtù cristiane indispensabili. Per questo egli richiama i fedeli all’umiltà e all'amore fraterno, due virtù veramente costitutive dell’essere nella Chiesa: «Siamo una porzione santa», ammonisce, «compiamo dunque tutto quello che la santità esige» (30,1). In particolare, il Vescovo di Roma ricorda che il Signore stesso «ha stabilito dove e da chi vuole che i servizi liturgici siano compiuti, affinché ogni cosa, fatta santamente e con il suo beneplacito, riesca bene accetta alla sua volontà ... Al sommo sacerdote infatti sono state affidate funzioni liturgiche a lui proprie, ai sacerdoti è stato preordinato il posto loro proprio, ai leviti spettano dei servizi propri. L’uomo laico è legato agli ordinamenti laici» (40,1-5: si noti che qui, in questa lettera della fine del I secolo, per la prima volta nella letteratura cristiana, compare il termine greco laikós, che significa «membro del laós», cioè «del popolo di Dio»).

In questo modo, riferendosi alla liturgia dell’antico Israele, Clemente svela il suo ideale di Chiesa. Essa è radunata dall’«unico Spirito di grazia effuso su di noi», che spira nelle diverse membra del Corpo di Cristo, nel quale tutti, uniti senza alcuna separazione, sono «membra gli uni degli altri» (46,6-7). La netta distinzione tra il «laico» e la gerarchia non significa per nulla una contrapposizione, ma soltanto questa connessione organica di un corpo, di un organismo, con le diverse funzioni. La Chiesa infatti non è luogo di confusione e di anarchia, dove uno può fare quello che vuole in ogni momento: ciascuno in questo organismo, con una struttura articolata, esercita il suo ministero secondo la vocazione ricevuta. Riguardo ai capi delle comunità, Clemente esplicita chiaramente la dottrina della successione apostolica. Le norme che la regolano derivano in ultima analisi da Dio stesso. Il Padre ha inviato Gesù Cristo, il quale a sua volta ha mandato gli Apostoli. Essi poi hanno mandato i primi capi delle comunità, e hanno stabilito che ad essi succedessero altri uomini degni. Tutto dunque procede «ordinatamente dalla volontà di Dio» (42). Con queste parole, con queste frasi, san Clemente sottolinea che la Chiesa ha una struttura sacramentale e non una struttura politica. L’agire di Dio che viene incontro a noi nella liturgia precede le nostre decisioni e le nostre idee. La Chiesa è soprattutto dono di Dio e non creatura nostra, e perciò questa struttura sacramentale non garantisce solo il comune ordinamento, ma anche questa precedenza del dono di Dio, del quale abbiamo tutti bisogno.

Al termine, la «grande preghiera» conferisce un respiro cosmico alle argomentazioni precedenti. Clemente loda e ringrazia Dio per la sua meravigliosa provvidenza d’amore, che ha creato il mondo e continua a salvarlo e a santificarlo. Particolare rilievo assume l’invocazione per i governanti. Dopo i testi del Nuovo Testamento, essa rappresenta la più antica preghiera per le istituzioni politiche. Così, all’indomani della persecuzione, i cristiani, ben sapendo che sarebbero continuate le persecuzioni, non cessano di pregare per quelle stesse autorità che li avevano condannati ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine cristologico: bisogna pregare per i persecutori, come fece Gesù sulla croce. Ma questa preghiera contiene anche un insegnamento che guida, lungo i secoli, l’atteggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo Stato. Pregando per le autorità, Clemente riconosce la legittimità delle istituzioni politiche nell’ordine stabilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la preoccupazione che le autorità siano docili a Dio e «esercitino il potere, che Dio ha dato loro, nella pace e nella mansuetudine con pietà» (61,2). Cesare non è tutto. Emerge un’altra sovranità, la cui origine ed essenza non sono di questo mondo, ma «di lassù»: è quella della Verità, che vanta anche nei confronti dello Stato il diritto di essere ascoltata.

Così la lettera di Clemente affronta numerosi temi di perenne attualità. Essa è tanto più significativa, in quanto rappresenta, fin dal primo secolo, la sollecitudine della Chiesa di Roma, che presiede nella carità a tutte le altre Chiese. Con lo stesso Spirito facciamo nostre le invocazioni della «grande preghiera», là dove il Vescovo di Roma si fa voce del mondo intero: «Sì, o Signore, fa’ risplendere su di noi il tuo volto nel bene della pace; proteggici con la tua mano potente ... Noi ti rendiamo grazie, attraverso il Sommo Sacerdote e guida delle anime nostre, Gesù Cristo, per mezzo del quale a te la gloria e la lode, adesso, e di generazione in generazione, e nei secoli dei secoli. Amen» (60-61).

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Kutná Hora! Carissimi, in questo tempo di Quaresima chiediamo al Signore una vera e profonda conversione. Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Do il mio benvenuto e il mio saluto ai pellegrini polacchi. Saluto pure tutti i vostri cari che, durante questa Quaresima, partecipano agli esercizi spirituali parrocchiali. So che a questi esercizi partecipano volentieri sia gli adulti come i bambini, i giovani e gli studenti. Auguro a tutti che questo tempo di riflessione e di preghiera, con la grazia della confessione cambi i vostri cuori, quello delle vostre famiglie e della comunità ecclesiale. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini provenienti da Cadca e Gaboltov, Krušovce e Pieštany, Krakovany e Levice. Fratelli e sorelle, il tempo della Quaresima ci esorta a riconoscere Gesù Cristo come nostra suprema speranza. Vi invito ad essere nel mondo testimoni fedeli della Buona Novella della redenzione. Volentieri benedico voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Religiose infermiere, che prendono parte all’incontro promosso dall’USMI. Care sorelle, conservando dinanzi ai vostri occhi il volto sofferente di Cristo, impegnatevi con umile coraggio ad essere testimoni del suo amore misericordioso ogni giorno, a contatto con il vasto mondo della malattia e del dolore. Saluto poi i militari della Scuola del Genio di Roma, come anche quelli dell’82° Reggimento Fanteria “Torino” di Barletta. Cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza e vi assicuro la mia preghiera perché si rafforzi in voi il fermo desiderio di testimoniare Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo.

Il mio pensiero va infine ai malati e agli sposi novelli. Cari malati, partecipando con pazienza e amore alla stessa sofferenza del Figlio di Dio incarnato, possiate condividere fin d'ora la gloria e la gioia della sua risurrezione. E voi, cari sposi novelli, trovate nell'alleanza che, a prezzo del suo sangue, Cristo ha stretto con la sua Chiesa, il sostegno del vostro patto coniugale e della vostra missione nella Chiesa e nella società.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 14 marzo 2007: Sant’Ignazio d’Antiochia

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Cari fratelli e sorelle,

nel nostro nuovo ciclo di catechesi appena iniziato stiamo passando in rassegna le principali personalità della Chiesa nascente. La scorsa settimana abbiamo parlato di Papa Clemente I, terzo Successore di san Pietro. Oggi parliamo di sant’Ignazio, che è stato il terzo Vescovo di Antiochia, dal 70 al 107, data del suo martirio. In quel tempo Roma, Alessandria e Antiochia erano le tre grandi metropoli dell’Impero romano. Il Concilio di Nicea parla di tre «primati»: ovviamente, quello di Roma, ma vi erano poi anche Alessandria e Antiochia che vantavano un loro «primato». Sant’Ignazio, come s’è detto, era Vescovo di Antiochia, che oggi si trova in Turchia. Qui, in Antiochia, come sappiamo dagli Atti degli Apostoli, sorse una comunità cristiana fiorente: primo Vescovo ne fu l’apostolo Pietro – così ci dice la tradizione –, e lì «per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani»(
Ac 11,26). Eusebio di Cesarea, uno storico del IV secolo, dedica un intero capitolo della sua Storia Ecclesiastica alla vita e all’opera letteraria di Ignazio (3,36). «Dalla Siria», egli scrive, «Ignazio fu mandato a Roma per essere gettato in pasto alle belve, a causa della testimonianza da lui resa a Cristo. Compiendo il suo viaggio attraverso l’Asia, sotto la custodia severa delle guardie» [che lui chiama «dieci leopardi» nella sua Lettera ai Romani 5,1], «nelle singole città dove sostava, con prediche e ammonizioni, andava rinsaldando le Chiese; soprattutto esortava, col calore più vivo, di guardarsi dalle eresie, che allora cominciavano a pullulare, e raccomandava di non staccarsi dalla tradizione apostolica» (3,36,3-4). La prima tappa del viaggio di Ignazio verso il martirio fu la città di Smirne, dove era Vescovo san Policarpo, discepolo di san Giovanni. Qui Ignazio scrisse quattro lettere, rispettivamente alle Chiese di Efeso, di Magnesia, di Tralli e di Roma. «Partito da Smirne», prosegue Eusebio, «Ignazio venne a Troade, e di là spedì nuove lettere»: due alle Chiese di Filadelfia e di Smirne, e una al Vescovo Policarpo. Eusebio completa così l’elenco delle lettere, che sono giunte a noi come un prezioso tesoro. Leggendo questi testi si sente la freschezza della fede della generazione che ancora aveva conosciuto gli Apostoli. Si sente anche in queste lettere l’amore ardente di un Santo. Finalmente da Troade il martire giunse a Roma, dove, nell’Anfiteatro Flavio, venne dato in pasto alle bestie feroci.

Nessun Padre della Chiesa ha espresso con l’intensità di Ignazio l’anelito all’unione con Cristo e alla vita in Lui. Perciò abbiamo letto il brano evangelico sulla vigna, che secondo il Vangelo di Giovanni è Gesù. In realtà, confluiscono in Ignazio due «correnti» spirituali: quella di Paolo, tutta tesa all’unione con Cristo, e quella di Giovanni, concentrata sulla vita in Lui. A loro volta, queste due correnti sfociano nell’imitazione di Cristo, più volte proclamato da Ignazio come «il mio» o «il nostro Dio». Così Ignazio supplica i cristiani di Roma di non impedire il suo martirio, perché è impaziente di «congiungersi con Gesù Cristo». E spiega: «E’ bello per me morire andando verso (eis) Gesù Cristo, piuttosto che regnare sino ai confini della terra. Cerco Lui, che è morto per me, voglio Lui, che è risorto per noi ... Lasciate che io sia imitatore della Passione del mio Dio!» (Rm 5-6). Si può cogliere in queste espressioni brucianti d’amore lo spiccato «realismo» cristologico tipico della Chiesa di Antiochia, più che mai attento all’incarnazione del Figlio di Dio e alla sua vera e concreta umanità: Gesù Cristo, scrive Ignazio agli Smirnesi, «è realmente dalla stirpe di Davide», «realmente è nato da una vergine», «realmente fu inchiodato per noi» (1,1).

L’irresistibile tensione di Ignazio verso l’unione con Cristo fonda una vera e propria «mistica dell’unità». Egli stesso si definisce «un uomo al quale è affidato il compito dell’unità» (Filadelfiesi 8,1). Per Ignazio l’unità è anzitutto una prerogativa di Dio che, esistendo in tre Persone, è Uno in assoluta unità. Egli ripete spesso che Dio è unità, e che solo in Dio essa si trova allo stato puro e originario. L’unità da realizzare su questa terra da parte dei cristiani non è altro che un’imitazione, il più possibile conforme all’archétipo divino. In questo modo Ignazio giunge a elaborare una visione della Chiesa, che richiama da vicino alcune espressioni della Lettera ai Corinti di Clemente Romano. «E’ bene per voi», scrive per esempio ai cristiani di Efeso, «procedere insieme d’accordo col pensiero del Vescovo, cosa che già fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente unito al Vescovo come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amore sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così voi, ad uno ad uno, diventate coro, affinché nella sinfonia della concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell’unità, cantiate a una sola voce» (4,1-2). E dopo aver raccomandato agli Smirnesi di non «intraprendere nulla di ciò che riguarda la Chiesa senza il Vescovo» (8,1), confida a Policarpo: «Io offro la mia vita per quelli che sono sottomessi al Vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Possa io con loro avere parte con Dio. Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a Colui per il quale militate e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro Battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un’armatura» (6,1-2).

Complessivamente si può cogliere nelle Lettere di Ignazio una sorta di dialettica costante e feconda tra due aspetti caratteristici della vita cristiana: da una parte la struttura gerarchica della comunità ecclesiale, e dall’altra l’unità fondamentale che lega fra loro tutti i fedeli in Cristo. Di conseguenza, i ruoli non si possono contrapporre. Al contrario, l’insistenza sulla comunione dei credenti tra loro e con i propri pastori è continuamente riformulata attraverso eloquenti immagini e analogie: la cetra, le corde, l’intonazione, il concerto, la sinfonia. E’ evidente la responsabilità peculiare dei Vescovi, dei presbiteri e dei diaconi nell’edificazione della comunità. Vale anzitutto per loro l’invito all’amore e all’unità. «Siate una cosa sola», scrive Ignazio ai Magnesi, riprendendo la preghiera di Gesù nell’Ultima Cena: «Un’unica supplica, un’unica mente, un’unica speranza nell’amore ... Accorrete tutti a Gesù Cristo come all’unico tempio di Dio, come all’unico altare: Egli è uno, e procedendo dall’unico Padre, è rimasto a Lui unito, e a Lui è ritornato nell’unità» (7,1-2). Ignazio, per primo nella letteratura cristiana, attribuisce alla Chiesa l’aggettivo «cattolica», cioè «universale»: «Dove è Gesù Cristo», egli afferma, «lì è la Chiesa cattolica» (Smirnesi 8,2). E proprio nel servizio di unità alla Chiesa cattolica, la comunità cristiana di Roma esercita una sorta di primato nell’amore: «In Roma essa presiede degna di Dio, venerabile, degna di essere chiamata beata ... Presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre» (Romani, prologo).

Come si vede, Ignazio è veramente il «dottore dell’unità»: unità di Dio e unità di Cristo (a dispetto delle varie eresie che iniziavano a circolare e dividevano l’uomo e Dio in Cristo), unità della Chiesa, unità dei fedeli «nella fede e nella carità, delle quali non vi è nulla di più eccellente» (Smirnesi 6,1). In definitiva, il «realismo» di Ignazio invita i fedeli di ieri e di oggi, invita noi tutti a una sintesi progressiva tra configurazione a Cristo (unione con Lui, vita in Lui) e dedizione alla sua Chiesa (unità con il Vescovo, servizio generoso alla comunità e al mondo). Insomma, occorre pervenire a una sintesi tra comunione della Chiesa all’interno di sé e missione-proclamazione del Vangelo per gli altri, fino a che attraverso una dimensione parli l’altra, e i credenti siano sempre più «nel possesso di quello Spirito indiviso, che è Gesù Cristo stesso» (Magnesi 15).

Implorando dal Signore questa «grazia di unità», e nella convinzione di presiedere alla carità di tutta la Chiesa (cfr Romani, prologo), rivolgo a voi lo stesso augurio che conclude la lettera di Ignazio ai cristiani di Tralli: «Amatevi l’un l’altro con cuore non diviso. Il mio spirito si offre in sacrificio per voi, non solo ora, ma anche quando avrà raggiunto Dio ... In Cristo possiate essere trovati senza macchia» (13). E preghiamo affinché il Signore ci aiuti a raggiungere questa unità e ad essere trovati finalmente senza macchia, perché è l’amore che purifica le anime.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto i pellegrini croati, particolarmente voi dalla Parrocchia dei Martiri di Salona e dalla Contea di Ovest-Erzegovina! Seguite il Cristo, Salvatore misericordioso, curando concretamente quelli che si trovano nel bisogno spirituale o materiale. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini provenienti dalla Polonia. Ieri è stata pubblicata l’esortazione Sacramentum caritatis, dedicata all’Eucaristia. Oggi san Ignazio d’Antiochia ci invita a vivere nell’unione con Cristo che è morto e risorto per noi, e la sua persona e l’opera redentrice sono presenti tra noi nel mistero dell’Eucaristia. Questo sacramento sia per tutti un’abbondante sorgente di grazia. Dio vi benedica!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini dalla Slovacchia, particolarmente gli studenti dell’Università di Trnava. Cari giovani, fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita alla conversione per mezzo della preghiera, dell’esercizio delle opere di misericordia e dell’ascolto della Parola di Dio. Vi accompagno con la mia Benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli della Parrocchia S. Urbano - Destrnik in Slovenia! I santi Apostoli Pietro e Paolo, che in questa città sacrificarono la loro vita, vi ottengano, con la loro intercessione, le grazie abbondanti per questo tempo di quaresima e per una più sentita celebrazione della Risurrezione di Cristo. Di cuore vi imparto la mia Benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente il gruppo del Liceo dei Cisterciensi a Pécs. Carissimi, in questo tempo di Quaresima chiediamo al Signore una vera e profonda conversione. Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari Sia lodato Gesù Cristo!

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Cari fratelli e sorelle, rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle Diocesi della Puglia, convenuti con i loro Vescovi in occasione della Visita ad Limina Apostolorum. Benvenuti, grazie per la vostra visita! Cari amici, vi incoraggio a sentirvi sempre più coinvolti nella missione della Chiesa per venire incontro con rinnovato slancio apostolico alle numerose sfide sociali e religiose dell'epoca attuale. Nei colloqui con i vostri Vescovi ho già sentito come in Puglia la Chiesa è ancora viva, dinamica e piena di fede. Vediamo la vivacità di questa Chiesa della Puglia! E voi, cari Fratelli nell'Episcopato, non stancatevi di sollecitare quanti sono affidati alle vostre cure pastorali ad incontrare personalmente Cristo vivo in mezzo a noi, aderendo integralmente al suo Vangelo e alle esigenze morali che da esso scaturiscono.

Saluto poi i fedeli della parrocchia di san Lino in Roma, qui presenti in occasione del 50° anniversario di fondazione della loro comunità cristiana; i rappresentanti del Credito Cooperativo di Viterbo; gli studenti del Liceo "Omodeo", di Mortara e quelli dell'Istituto San Vincenzo de' Paoli, di Reggio Emilia.

Infine, il mio saluto va ai giovani ai malati e agli sposi novelli. Cari giovani, ricercate sinceramente l'amore di Dio e siate a Lui fedeli sempre. Cari malati, non permettete che la sofferenza spenga in voi la luce della fede in Cristo, il quale vi è vicino e vi sostiene nella prova. E voi, cari sposi novelli, chiamati da Dio a formare una nuova famiglia, fate della vostra esistenza una missione di amore fedele e generoso.


Piazza San Pietro

Mercoledì, 21 marzo 2007: San Giustino, filosofo e martire


Catechesi 2005-2013 21027