Catechesi 2005-2013 21037

Mercoledì, 21 marzo 2007: San Giustino, filosofo e martire

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Cari fratelli e sorelle,

stiamo in queste catechesi riflettendo sulle grandi figure della Chiesa nascente. Oggi parliamo di san Giustino, filosofo e martire, il più importante tra i Padri apologisti del secondo secolo. La parola «apologisti» designa quegli antichi scrittori cristiani che si proponevano di difendere la nuova religione dalle pesanti accuse dei pagani e degli Ebrei, e di diffondere la dottrina cristiana in termini adatti alla cultura del proprio tempo. Così negli apologisti è presente una duplice sollecitudine: quella, più propriamente apologetica, di difendere il cristianesimo nascente (apologhía in greco significa appunto «difesa») e quella propositiva, «missionaria», di esporre i contenuti della fede in un linguaggio e con categorie di pensiero comprensibili ai contemporanei.

Giustino era nato intorno all’anno 100 presso l’antica Sichem, in Samaria, in Terra Santa; egli cercò a lungo la verità, pellegrinando nelle varie scuole della tradizione filosofica greca. Finalmente – come egli stesso racconta nei primi capitoli del suo Dialogo con Trifone – un misterioso personaggio, un vegliardo incontrato lungo la spiaggia del mare, lo mise dapprima in crisi, dimostrandogli l’incapacità dell’uomo a soddisfare con le sole sue forze l’aspirazione al divino. Poi gli indicò negli antichi profeti le persone a cui rivolgersi per trovare la strada di Dio e la «vera filosofia». Nel congedarlo, l’anziano lo esortò alla preghiera, perché gli venissero aperte le porte della luce. Il racconto adombra l’episodio cruciale della vita di Giustino: al termine di un lungo itinerario filosofico di ricerca della verità, egli approdò alla fede cristiana. Fondò una scuola a Roma, dove gratuitamente iniziava gli allievi alla nuova religione, considerata come la vera filosofia. In essa, infatti, aveva trovato la verità e quindi l’arte di vivere in modo retto. Fu denunciato per questo motivo e venne decapitato intorno al 165, sotto il regno di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo a cui Giustino stesso aveva indirizzato una sua Apologia.

Sono queste – le due Apologie e il Dialogo con Trifone – le sole opere che di lui ci rimangono. In esse Giustino intende illustrare anzitutto il progetto divino della creazione e della salvezza che si compie in Gesù Cristo, il Logos, cioè il Verbo eterno, la Ragione eterna, la Ragione creatrice. Ogni uomo, in quanto creatura razionale, è partecipe del Logos, ne porta in sé un «seme», e può cogliere i barlumi della verità. Così lo stesso Logos, che si è rivelato come in figura profetica agli Ebrei nella Legge antica, si è manifestato parzialmente, come in «semi di verità», anche nella filosofia greca. Ora, conclude Giustino, poiché il cristianesimo è la manifestazione storica e personale del Logos nella sua totalità, ne consegue che «tutto ciò che di bello è stato espresso da chiunque, appartiene a noi cristiani» (2 Apol. 13,4). In questo modo Giustino, pur contestando alla filosofia greca le sue contraddizioni, orienta decisamente al Logos qualunque verità filosofica, motivando dal punto di vista razionale la singolare «pretesa» di verità e di universalità della religione cristiana. Se l’Antico Testamento tende a Cristo come la figura orienta verso la realtà significata, la filosofia greca mira anch’essa a Cristo e al Vangelo, come la parte tende a unirsi al tutto. E dice che queste due realtà, l’Antico Testamento e la filosofia greca, sono come le due strade che guidano a Cristo, al Logos. Ecco perché la filosofia greca non può opporsi alla verità evangelica, e i cristiani possono attingervi con fiducia, come a un bene proprio. Perciò il mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, definì Giustino «pioniere di un incontro positivo col pensiero filosofico, anche se nel segno di un cauto discernimento»: perché Giustino, «pur conservando anche dopo la conversione grande stima per la filosofia greca, asseriva con forza e chiarezza di aver trovato nel cristianesimo “l’unica sicura e proficua filosofia” (Dial. 8,1)» (Fides et ratio
FR 38).

Nel complesso la figura e l’opera di Giustino segnano la decisa opzione della Chiesa antica per la filosofia, per la ragione, piuttosto che per la religione dei pagani. Con la religione pagana, infatti, i primi cristiani rifiutarono strenuamente ogni compromesso. La ritenevano idolatria, a costo di essere tacciati per questo di «empietà» e di «ateismo». In particolare Giustino, specialmente nella sua prima Apologia,condusse una critica implacabile nei confronti della religione pagana e dei suoi miti, considerati da lui come diabolici «depistaggi» nel cammino della verità. La filosofia rappresentò invece l’area privilegiata dell’incontro tra paganesimo, giudaismo e cristianesimo proprio sul piano della critica alla religione pagana e ai suoi falsi miti. «La nostra filosofia...»: così, nel modo più esplicito, giunse a definire la nuova religione un altro apologista contemporaneo di Giustino, il Vescovo Melitone di Sardi (citato in Eusebio, Storia Eccl. 4,26,7).

Di fatto la religione pagana non batteva le vie del Logos, ma si ostinava su quelle del mito, anche se questo era riconosciuto dalla filosofia greca come privo di consistenza nella verità. Perciò il tramonto della religione pagana era inevitabile: esso fluiva come logica conseguenza del distacco della religione – ridotta a un artificioso insieme di cerimonie, convenzioni e consuetudini – dalla verità dell’essere. Giustino, e con lui gli altri apologisti, siglarono la presa di posizione netta della fede cristiana per il Dio dei filosofi contro i falsi dèi della religione pagana. Era la scelta per la verità dell’essere contro il mito della consuetudine.Qualche decennio dopo Giustino, Tertulliano definì la medesima opzione dei cristiani con una sentenza lapidaria e sempre valida: «Dominus noster Christus veritatem se, non consuetudinem, cognominavit – Cristo ha affermato di essere la verità, non la consuetudine» (La velazione delle vergini 1,1). Si noti in proposito che il termine consuetudo, qui impiegato da Tertulliano in riferimento alla religione pagana, può essere tradotto nelle lingue moderne con le espressioni «moda culturale», «moda del tempo».

In un’età come la nostra, segnata dal relativismo nel dibattito sui valori e sulla religione – come pure nel dialogo interreligioso –, è questa una lezione da non dimenticare. A tale scopo vi ripropongo – e così concludo – le ultime parole del misterioso vegliardo, incontrato dal filosofo Giustino sulla riva del mare: «Tu prega anzitutto che le porte della luce ti siano aperte, perché nessuno può vedere e comprendere, se Dio e il suo Cristo non gli concedono di capire» (Dial. 7,3).

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Repubblica Ceca, ai connazionali dall´Associazione Praga ed agli studenti del Pontificio Collegio Nepomuceno a Roma! Cari amici, il tempo di Quaresima è un´occasione del rinovamento spirituale. Chiediamo al Signore una vera conversione e l´amore profondo a Cristo! Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto e benedico i pellegrini dalla Croazia e dalla Bosnia ed Erzegovina! Il tempo quaresimale vi conduca alla conversione personale e al rinnovo spirituale affinché possiate seguire con gioia Cristo con le parole e le opere di carità. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto tutti i pellegrini polacchi qui presenti. L’altro ieri abbiamo festeggiato solennità di San Giuseppe. Come sapete Lui è anche il mio patrono, per questo Vi ringrazio cordialmente per le preghiere che avete fatto per me. Prego che San Giuseppe vi sostenga e vi protegga e, in modo particolare, aiuti i padri di famiglia a nella loro impegnativa missione. Impariamo da Lui ad essere fedeli nell’amore di Dio e del prossimo. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi: in particolare la Missione Cattolica Slovacca in Roma e l’Associazione Slov-Ital Forum, come pure i seminaristi dal Seminario greco-cattolico di beato Pavol Gojdic a Prešov. Fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio alle tombe dei santi apostoli vi riempia di un nuovo zelo sulla via della testimonianza evangelica. Volentieri benedico voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle Diocesi della Sardegna, convenuti con i loro Vescovi, che in questi giorni compiono la Visita “ad Limina Apostolorum”. Cari amici, nella recente Esortazione Apostolica ho richiamato il valore dell’Eucaristia per la vita della Chiesa e di ogni cristiano. Incoraggio anche voi ad attingere da questa mirabile fonte la forza spirituale necessaria per mantenervi fedeli al Vangelo e testimoniare sempre e dappertutto l'amore di Dio. E voi, cari Fratelli nell'Episcopato, "facendovi modelli del Gregge" (1P 5,3) non stancatevi di condurre i fedeli affidati alle vostre cure pastorali ad una adesione personale e comunitaria sempre più generosa a Cristo.

Saluto poi i fedeli della diocesi di Parma, presenti con il loro Pastore Mons. Cesare Bonicelli, ed auguro che questo pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli sia per ciascuno ricco di frutti spirituali e pastorali a beneficio dell’intera Comunità diocesana. Saluto inoltre i militari del 31° Reggimento Carri, di Altamura e gli alunni della Scuola “Madre Bucchi”, di Milano.

Infine, il mio saluto va ai giovani ai malati e agli sposi novelli. Nel clima spirituale della Quaresima, tempo di conversione e di riconciliazione, invito voi, cari giovani, a seguire l'esempio di Gesù, per essere fedeli annunciatori del suo messaggio salvifico. Incoraggio voi, cari malati, a portare la vostra croce quotidiana, in stretta unione con Cristo Signore. Esorto, infine, voi, cari sposi novelli, a fare delle vostre famiglie delle comunità di ardente testimonianza cristiana.

Appello


Il 24 marzo prossimo si terrà la Giornata Mondiale per la lotta contro la Tubercolosi. Possa tale ricorrenza favorire un’accresciuta responsabilità nella cura di tale malattia ed una sempre più intensa solidarietà nei confronti di quanti ne soffrono. Su di loro e sulle loro famiglie invoco il conforto del Signore, mentre incoraggio le molteplici iniziative di assistenza che la Chiesa promuove in questo ambito.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 28 marzo 2007: Sant’Ireneo di Lione

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Cari fratelli e sorelle,

nelle catechesi sulle grandi figure della Chiesa dei primi secoli arriviamo oggi alla personalità eminente di sant’Ireneo di Lione. Le notizie biografiche su di lui provengono dalla sua stessa testimonianza, tramandata a noi da Eusebio nel quinto libro della Storia Ecclesiastica. Ireneo nacque con tutta probabilità a Smirne (oggi Izmir, in Turchia) verso il 135-140, dove ancor giovane fu alla scuola del Vescovo Policarpo, discepolo a sua volta dell’apostolo Giovanni. Non sappiamo quando si trasferì dall’Asia Minore in Gallia, ma lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: qui, nel 177, troviamo Ireneo annoverato nel collegio dei presbiteri. Proprio in quell’anno egli fu mandato a Roma, latore di una lettera della comunità di Lione al Papa Eleuterio. La missione romana sottrasse Ireneo alla persecuzione di Marco Aurelio, nella quale caddero almeno quarantotto martiri, tra cui lo stesso Vescovo di Lione, il novantenne Potino, morto di maltrattamenti in carcere. Così, al suo ritorno, Ireneo fu eletto Vescovo della città. Il nuovo Pastore si dedicò totalmente al ministero episcopale, che si concluse verso il 202-203, forse con il martirio.

Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede. A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: i cinque libri Contro le eresie, e l’Esposizione della predicazione apostolica (che si può anche chiamare il più antico «catechismo della dottrina cristiana»). In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro le eresie. La Chiesa del II secolo era minacciata dalla cosiddetta gnosi, una dottrina la quale affermava che la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo per i semplici, che non sono in grado di capire cose difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali – gnostici, si chiamavano – avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista. Ovviamente questo cristianesimo intellettualista si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, cioè si negava la fede nell’unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell’uomo e del mondo. Per spiegare il male nel mondo, essi affermavano l’esistenza, accanto al Dio buono, di un principio negativo. Questo principio negativo avrebbe prodotto le cose materiali, la materia.

Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo confuta il dualismo e il pessimismo gnostico che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l’originaria santità della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. Ma la sua opera va ben oltre la confutazione dell’eresia: si può dire infatti che egli si presenta come il primo grande teologo della Chiesa, che ha creato la teologia sistematica; egli stesso parla del sistema della teologia, cioè dell’interna coerenza di tutta la fede. Al centro della sua dottrina sta la questione della «Regola della fede» e della sua trasmissione. Per Ireneo la «Regola della fede» coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo. Il Simbolo apostolico, che è una sorta di sintesi del Vangelo, ci aiuta a capire che cosa vuol dire, come dobbiamo leggere il Vangelo stesso.

Di fatto il Vangelo predicato da Ireneo è quello che egli ha ricevuto da Policarpo, Vescovo di Smirne, e il Vangelo di Policarpo risale all’apostolo Giovanni, di cui Policarpo era discepolo. E così il vero insegnamento non è quello inventato dagli intellettuali al di là della fede semplice della Chiesa. Il vero Evangelo è quello impartito dai Vescovi, che lo hanno ricevuto in una catena ininterrotta dagli Apostoli. Questi non hanno insegnato altro che questa fede semplice, che è anche la vera profondità della rivelazione di Dio. Così – ci dice Ireneo – non c’è una dottrina segreta dietro il comune Credo della Chiesa. Non esiste un cristianesimo superiore per intellettuali. La fede pubblicamente confessata dalla Chiesa è la fede comune di tutti. Solo questa fede è apostolica, viene dagli Apostoli, cioè da Gesù e da Dio. Aderendo a questa fede trasmessa pubblicamente dagli Apostoli ai loro successori, i cristiani devono osservare quanto i Vescovi dicono, devono considerare specialmente l’insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima. Questa Chiesa, a causa della sua antichità, ha la maggiore apostolicità, infatti trae origine dalle colonne del Collegio apostolico, Pietro e Paolo. Con la Chiesa di Roma devono accordarsi tutte le Chiese, riconoscendo in essa la misura della vera tradizione apostolica, dell’unica fede comune della Chiesa. Con tali argomenti, qui molto brevemente riassunti, Ireneo confuta dalle fondamenta le pretese di questi gnostici, di questi intellettuali: anzitutto essi non posseggono una verità che sarebbe superiore a quella della fede comune, perché quanto essi dicono non è di origine apostolica, è inventato da loro; in secondo luogo, la verità e la salvezza non sono privilegio e monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli Apostoli, e soprattutto del Vescovo di Roma. In particolare – sempre polemizzando con il carattere «segreto» della tradizione gnostica e notandone gli esiti molteplici e fra loro contraddittori – Ireneo si preoccupa di illustrare il genuino concetto di Tradizione apostolica, che possiamo riassumere in tre punti.

a) La Tradizione apostolica è «pubblica», non privata o segreta. Per Ireneo non c’è alcun dubbio che il contenuto della fede trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli Apostoli e da Gesù, dal Figlio di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo. Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina basta che conosca «la Tradizione che viene dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini»: Tradizione e fede che «sono giunte fino a noi attraverso la successione dei Vescovi» (Contro le eresie 3,3,3-4). Così successione dei Vescovi – principio personale – e Tradizione apostolica – principio dottrinale – coincidono.

b) La Tradizione apostolica è «unica». Mentre infatti lo gnosticismo è suddiviso in molteplici sètte, la Tradizione della Chiesa è unica nei suoi contenuti fondamentali, che – come abbiamo visto – Ireneo chiama appunto regula fidei o veritatis:e così perché è unica, crea unità attraverso i popoli, attraverso le culture diverse, attraverso i popoli diversi; è un contenuto comune come la verità, nonostante la diversità delle lingue e delle culture. C’è una frase molto preziosa di sant’Ireneo nel primo libro Contro le eresie: «La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa: le Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo» (1,10,1-2). Si vede già in questo momento, siamo intorno all’anno 200, l’universalità della Chiesa, la sua cattolicità e la forza unificante della verità, che unisce queste realtà così diverse, dalla Germania, alla Spagna, all’Italia, all’Egitto, alla Libia, nella comune verità rivelataci da Cristo.

c) Infine, la Tradizione apostolica è – come lui dice nella lingua greca nella quale ha scritto il suo libro – «pneumatica», cioè guidata dallo Spirito Santo (in greco «spirito» si dice pneuma). Non si tratta infatti di una trasmissione affidata all’abilità di uomini più o meno dotti, ma allo Spirito di Dio, che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede. E’ questa la «vita» della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, cioè feconda di molteplici carismi. Chiesa e Spirito per Ireneo sono inseparabili: «Questa fede», leggiamo ancora nel terzo libro Contro le eresie, «l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: la fede, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso custodito in un vaso di valore ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene ... Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (3,24,1).

Come si vede, Ireneo non si limita a definire il concetto di Tradizione. La Tradizione di cui egli parla, ben diversa dal tradizionalismo, è una Tradizione sempre internamente animata dallo Spirito Santo, che la rende viva e la fa essere rettamente compresa dalla Chiesa. Stando al suo insegnamento, la fede della Chiesa va trasmessa in modo che appaia quale deve essere, cioè «pubblica», «unica», «pneumatica», «spirituale». A partire da ciascuna di queste caratteristiche si può condurre un fruttuoso discernimento circa l'autentica trasmissione della fede nell’oggi della Chiesa. Più in generale, nella dottrina di Ireneo la dignità dell’uomo, corpo e anima, è saldamente ancorata nella creazione divina, nell’immagine di Cristo e nell’opera permanente di santificazione dello Spirito. Tale dottrina è come una «via maestra» per chiarire insieme a tutte le persone di buona volontà l’oggetto e i confini del dialogo sui valori, e per dare slancio sempre nuovo all’azione missionaria della Chiesa, alla forza della verità, che è la fonte di tutti i veri valori del mondo.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini Cechi e agli studenti dell'Università della Boemia Occidentale, in Plzen! Carissimi, questo ultimo periodo di Quaresima ci disponga pienamente alla celebrazione della Santa Pasqua. Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Con gioia saluto i pellegrini croati, particolarmente i fedeli di Kutina e di Ilova! Ci avviciniamo alla Domenica delle Palme e alla memoria dell’entrata del Signore a Gerusalemme. Anche lui si avvicina a noi e bussa alla porta della nostra vita. Riconosciamolo e accogliamolo affinché ci renda partecipi della sua vittoria sulla croce. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Nella preparazione ai misteri della Settimana Santa ci accompagna oggi Sant’Ireneo di Lione. Egli insegna a vivere questi misteri nella luce del Vangelo e nello spirito della Tradizione che si fonda sulla testimonianza degli Apostoli, è unica e trasmessa alle seguenti generazioni grazie allo Spirito Santo. Tale contemplazione del mistero della Redenzione ci avvicini a Cristo glorioso. Dio vi benedica!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai professori ed agli alunni del Liceo Classico Diocesano di Šentvid! Nella vostra ricerca del sapere non dimenticate che la sorgente della vera sapienza è nel Signore. Egli, Cristo risorto, è l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega. Vi accompagni sempre la sua benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente il gruppo arrivato da Budapest. La Quaresima è un tempo forte per trasformare la nostra vita, per essere degni a incontrare Cristo. Volentieri benedico voi tutti e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Saluto i pellegrini di lingua italiana. In particolare, i Vescovi delle Diocesi della Sicilia, che in questi giorni compiono la Visita "ad Limina Apostolorum" e i fedeli che li accompagnano. Cari Fratelli nell'Episcopato, vorrei ripetere a voi quanto l'Apostolo Paolo raccomandava a Timoteo: annunziate integralmente la Parola di Dio, insistete in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonite, rimproverate, esortate con ogni magnanimità e dottrina (cfr
2Tm 4,2). Sostenete con il vostro esempio i sacerdoti, le persone consacrate e i fedeli laici di Sicilia, perché continuino a testimoniare Cristo e il suo Vangelo, con rinnovato slancio e fervore. Nessun timore sorprenda mai e agiti il cuore di tutti voi, cari fratelli e sorelle. Chi segue Cristo non si spaventa delle difficoltà; chi confida in Lui va avanti sicuro. Siate costruttori di pace nella legalità e nell'amore, offrendo luce agli uomini del nostro tempo, i quali pur presi dagli affanni della vita quotidiana, avvertono il richiamo delle realtà eterne.

Pensando alla Festa dell'Annunciazione, che abbiamo celebrato qualche giorno fa, rivolgo infine un affettuoso saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.Il "" pronunciato da Maria incoraggi voi, cari giovani, a rispondere con generosità alla chiamata di Dio. L'umile adesione alla volontà divina della Vergine, a Nazaret come sul Calvario, aiuti voi, cari malati, ad unirvi sempre più profondamente al sacrificio redentore di Cristo. Colei che per prima accolse il Verbo incarnato accompagni voi, cari sposi novelli, nel cammino matrimoniale e vi faccia crescere ogni giorno nella fedeltà dell'amore.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 4 aprile 2007: Triduo Santo

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Cari fratelli e sorelle,

mentre si va concludendo l’itinerario quaresimale, iniziato con il Mercoledì delle Ceneri, l’odierna liturgia del Mercoledì Santo ci introduce già nel clima drammatico dei prossimi giorni, permeati dal ricordo della passione e della morte di Cristo. Nell’odierna liturgia, infatti, l’evangelista Matteo ripropone alla nostra meditazione il breve dialogo che avvenne nel Cenacolo tra Gesù e Giuda. "Rabbi, sono forse io?", domanda il traditore al divino Maestro, che aveva preannunciato: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà". Lapidaria la risposta del Signore: "Tu l’hai detto" (cfr
Mt 26,14-25). Da parte sua san Giovanni chiude il racconto dell’annunzio del tradimento di Giuda con poche significative parole: "Ed era notte" (Jn 13,30). Quando il traditore abbandona il Cenacolo, s’infittisce il buio nel suo cuore – è notte interiore –, cresce lo smarrimento nell’animo degli altri discepoli – anche loro vanno verso la notte –, mentre tenebre di abbandono e di odio si addensano sul Figlio dell’Uomo che si avvia a consumare il suo sacrificio sulla croce. Quel che commemoreremo nei prossimi giorni è lo scontro supremo tra la Luce e le Tenebre, tra la Vita e la Morte. Dobbiamo situarci anche noi in questo contesto, consapevoli della nostra "notte", delle nostre colpe e delle nostre responsabilità, se vogliamo rivivere con profitto spirituale il Mistero pasquale, se vogliamo arrivare alla luce del cuore mediante questo Mistero, che costituisce il fulcro centrale della nostra fede.

Inizio del Triduo Pasquale è il Giovedì Santo, domani. Durante la Messa Crismale, che può essere considerata come il preludio al Triduo Santo, il Pastore diocesano ed i suoi più stretti collaboratori, i presbiteri, attorniati dal Popolo di Dio, rinnovano le promesse formulate il giorno dell’Ordinazione sacerdotale. Si tratta, anno dopo anno, di un momento di forte comunione ecclesiale, che pone in rilievo il dono del sacerdozio ministeriale lasciato da Cristo alla sua Chiesa, la vigilia della sua morte in croce. E per ogni sacerdote è un momento commovente in questa vigilia della Passione, nella quale il Signore ci ha dato sè stesso, ci ha dato il sacramento dell’Eucaristia, ci ha dato il Sacerdozio. E’ un giorno che tocca tutti i nostri cuori. Vengono poi benedetti gli Olii per la celebrazione dei Sacramenti: l’Olio dei Catecumeni, l’Olio degli Infermi e il Sacro Crisma. Alla sera, entrando nel Triduo pasquale, la Comunità cristiana rivive nella Messa in Cena Domini quanto avvenne durante l’Ultima Cena. Nel Cenacolo il Redentore volle anticipare, nel Sacramento del pane e del vino mutati nel suo Corpo e nel suo Sangue, il sacrificio della sua vita: egli anticipa questa sua morte, dona liberamente la sua vita, offre il dono definitivo di sé all’umanità. Con la lavanda dei piedi, si ripete il gesto con cui Egli, avendo amato i suoi, li amò sino alla fine (cfr Jn 13,1) e lasciò ai discepoli come loro distintivo questo atto di umiltà, l’amore sino alla morte. Dopo la Messa in Cena Domini, la liturgia invita i fedeli a sostare in adorazione del Santissimo Sacramento, rivivendo l’agonia di Gesù nel Getsemani. E vediamo come i discepoli hanno dormito, lasciando solo il Signore. Anche oggi spesso dormiamo, noi suoi discepoli. In questa notte sacra del Getzemani vogliamo essere vigilanti, non vogliamo lasciar solo il Signore in questa ora; così possiamo meglio comprendere il mistero del Giovedì Santo, che ingloba il triplice sommo dono del Sacerdozio ministeriale, dell’Eucaristia e del Comandamento nuovo dell’amore (agape).

Il Venerdì Santo, che commemora gli eventi che vanno dalla condanna a morte alla crocifissione di Cristo, è una giornata di penitenza, di digiuno e di preghiera, di partecipazione alla Passione del Signore. All’ora stabilita, l’Assemblea cristiana ripercorre, con l’aiuto della Parola di Dio e dei gesti liturgici, la storia dell’umana infedeltà al disegno divino, che tuttavia proprio così si realizza, e riascolta il racconto commovente della Passione dolorosa del Signore. Rivolge poi al Padre celeste una lunga "preghiera dei fedeli", che abbraccia tutte le necessità della Chiesa e del mondo. La Comunità adora quindi la Croce e si accosta all’Eucaristia, consumando le sacre specie conservate dalla Messa in Cena Domini del giorno precedente. Commentando il Venerdì Santo, san Giovanni Crisostomo osserva: "Prima la croce significava disprezzo, ma oggi essa è cosa venerabile, prima era simbolo di condanna, oggi è speranza di salvezza. E’ diventata davvero sorgente d’infiniti beni; ci ha liberati dall’errore, ha diradato le nostre tenebre, ci ha riconciliati con Dio, da nemici di Dio ci ha fatti suoi familiari, da stranieri ci ha fatto suoi vicini: questa croce è la distruzione dell’inimicizia, la sorgente della pace, lo scrigno del nostro tesoro" (De cruce et latrone I,1,4). Per rivivere in modo più partecipato la Passione del Redentore, la tradizione cristiana ha dato vita a molteplici manifestazioni di pietà popolare, fra le quali le note processioni del Venerdì Santo con i suggestivi riti che si ripetono ogni anno. Ma c’è un pio esercizio, quello della "Via Crucis", che ci offre durante tutto l’anno la possibilità di imprimere sempre più profondamente nel nostro animo il mistero della Croce, di andare con Cristo su questa via e così conformarci interiormente a Lui. Potremo dire che la Via Crucis ci educa, per usare un’espressione di san Leone Magno, a "guardare con gli occhi del cuore Gesù crocifisso, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra propria carne" (Disc. 15 sulla passione del Signore). E sta proprio qui la vera saggezza del cristiano, che vogliamo imparare seguendo la Via crucis proprio il Venerdì Santo al Colosseo.

Il Sabato Santo è giorno in cui la liturgia tace, il giorno del grande silenzio, ed i cristiani sono invitati a custodire un interiore raccoglimento, spesso difficile da coltivare in questo nostro tempo, per meglio prepararsi alla Veglia pasquale. In molte comunità vengono organizzati ritiri spirituali e incontri di preghiera mariana, quasi per unirsi alla Madre del Redentore, che attende con trepidante fiducia la risurrezione del Figlio crocifisso. Finalmente nella Veglia pasquale il velo di mestizia, che avvolge la Chiesa per la morte e la sepoltura del Signore, verrà infranto dal grido della vittoria: Cristo è risorto ed ha sconfitto per sempre la morte! Potremo allora veramente comprendere il mistero della Croce, "come Dio crei prodigi anche nell’impossibile - scrive un autore antico - affinché si sappia che egli solo può fare ciò che vuole. Dalla sua morte la nostra vita, dalle sue piaghe la nostra guarigione, dalla sua caduta la nostra risurrezione, dalla sua discesa la nostra risalita" (Anonimo Quartodecimano). Animati da fede più salda, nel cuore della Veglia pasquale accoglieremo i neo-battezzati e rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo. Sperimenteremo così che la Chiesa è sempre viva, si ringiovanisce sempre, è sempre bella e santa, perché poggia su Cristo che, risorto, non muore più.

Cari fratelli e sorelle, il Mistero pasquale, che il Triduo Santo ci farà rivivere, non è solo ricordo di una realtà passata, è realtà attuale: Cristo anche oggi vince con il suo amore il peccato e la morte. Il Male, in tutte le sue forme, non ha l'ultima parola. Il trionfo finale è di Cristo, della verità e dell’amore! Se con Lui siamo disposti a soffrire ed a morire, ci ricorderà san Paolo nella Veglia pasquale, la sua vita diventa la nostra vita (cfr Rm 6,9). Su questa certezza riposa e si costruisce la nostra esistenza cristiana. Invocando l’intercessione di Maria Santissima, che ha seguito Gesù sulla via della Passione e della Croce e lo ha abbracciato dopo la sua deposizione, auguro a tutti voi di partecipare devotamente al Triduo Pasquale per gustare la gioia della Pasqua insieme con tutti i vostri cari.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. In questi giorni, abbiamo ricordato il secondo anniversario della morte del benamato Giovanni Paolo II. Ringrazio tutti per la costante preghiera presso la Sua tomba. Mi rallegro con voi per il progresso del Suo processo di beatificazione. Che l’insegnamento del Servo di Dio cambi la vita di ogni polacco e la vita di ogni famiglia polacca. Auguro a tutti voi un’intensa esperienza spirituale durante questa Settimana Santa e delle gioiose feste pasquali.

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Olomouc!
Carissimi, vi auguro di rivivere con grande profitto spirituale il Mistero Pasquale che costituisce il fulcro centrale della nostra fede.
Con questi voti vi benedico di cuore!
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia: dalle parrocchie Tomášov, Senec e Štúrovo.
Fratelli e sorelle, auguro che il vostro pellegrinaggio a Roma nella Settimana Santa sia per ciascuno un sostegno nella fede. Volentieri benedico voi ed i vostri cari in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore i pellegrini croati, particolarmente i giovani di Split! In questi santi giorni sentite la grandezza dell’amore che ci ha mostrato il Figlio di Dio con l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio, con la sua dolorosa passione e la morte sulla croce, e con la sua gloriosa risurrezione. Ringraziatelo con fede sicura e con amore fedele. Siano lodati Gesù e Maria!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto voi, partecipanti all’incontro internazionale dell’UNIV, promosso dalla Prelatura dell'Opus Dei. Cari amici, vi auguro che queste giornate romane siano per tutti occasione di una forte esperienza ecclesiale perché possiate tornare a casa animati dal desiderio di servire più generosamente Cristo e i fratelli. “Servizio: come mi piace questa parola!” – diceva san Josémaria Escrivá – ed aggiungeva “confidiamo al Signore la nostra decisione di volere imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere Cristo, ma farlo conoscere e amare dagli altri” (E’ Gesù che parla, 182).

Saluto, poi, cordialmente i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani entreremo nel Sacro Triduo che ci farà rivivere i misteri centrali della nostra salvezza. Invito voi, cari giovani, a guardare alla Croce e trarre da essa luce per camminare fedelmente sulle orme del Redentore. Per voi, cari malati, la Passione del Signore, culminante nel trionfo glorioso della Pasqua, costituisca sempre, specialmente nei momenti della prova, sorgente di speranza e di conforto. E voi, cari sposi novelli, disponete i vostri cuori a celebrare con intensa partecipazione il Mistero pasquale, perché la vostra esistenza diventi ogni giorno un dono reciproco, aperto all'amore fecondo di bene.


Piazza San Pietro

Mercoledì, 11 aprile 2007: Significato della Pasqua


Catechesi 2005-2013 21037