Catechesi 2005-2013 11047

Mercoledì, 11 aprile 2007: Significato della Pasqua

11047

Cari fratelli e sorelle!

Ci ritroviamo quest’oggi, dopo le solenni celebrazioni della Pasqua per il consueto incontro del mercoledì, ed è mio desiderio anzitutto rinnovare a ciascuno di voi i più fervidi voti augurali. Vi ringrazio per la vostra presenza così numerosa e ringrazio il Signore per il bel sole che oggi ci dà. Nella Veglia pasquale è risuonato questo annuncio: “Il Signore è davvero risorto, alleluia!”. Ora è Lui stesso a parlarci: “Non morirò – proclama – resterò in vita”. Ai peccatori dice: “Ricevete la remissione dei peccati. Sono io, infatti, la vostra remissione”. A tutti infine ripete: “Sono io la Pasqua della salvezza, l’Agnello immolato per voi, io il vostro riscatto, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi mostrerò il Padre”. Così si esprime uno scrittore del II secolo, Melitone di Sardi, interpretando con realismo le parole e il pensiero del Risorto (Sulla Pasqua, 102-103).

In questi giorni, la liturgia ricorda diversi incontri che Gesù ebbe dopo la sua risurrezione: con Maria Maddalena e le altre donne andate al sepolcro di buon mattino, il giorno dopo il sabato; con gli Apostoli riuniti increduli nel Cenacolo; con Tommaso e altri discepoli. Queste diverse sue apparizioni costituiscono anche per noi un invito ad approfondire il fondamentale messaggio della Pasqua; ci stimolano a ripercorrere l’itinerario spirituale di quanti hanno incontrato Cristo e lo hanno riconosciuto in quei primi giorni dopo gli eventi pasquali. L’evangelista Giovanni narra che Pietro e lui stesso, udita la notizia data da Maria Maddalena, erano corsi, quasi a gara, verso il sepolcro (cfr
Jn 20, 3s). I Padri della Chiesa hanno visto in questo loro rapido affrettarsi verso la tomba vuota un’esortazione a quell’unica competizione legittima tra credenti: la gara nella ricerca di Cristo. E che dire di Maria Maddalena? Piangente resta accanto alla tomba vuota con l’unico desiderio di sapere dove abbiano portato il suo Maestro. Lo ritrova e lo riconosce quando viene da Lui chiamata per nome (cfr Jn 20,11-18). Anche noi, se cerchiamo il Signore con animo semplice e sincero, lo incontreremo, anzi sarà Lui stesso a venirci incontro; si farà riconoscere, ci chiamerà per nome, ci farà cioè entrare nell’intimità del suo amore.

Quest’oggi, Mercoledì fra l’Ottava di Pasqua, la liturgia ci fa meditare su un altro singolare incontro del Risorto, quello con i due discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35). Mentre sconsolati per la morte del loro Maestro ritornavano a casa, il Signore si fece loro compagno di cammino senza che essi lo riconoscessero. Le sue parole, a commento delle Scritture che lo riguardavano, resero ardenti i cuori dei due discepoli che, giunti a destinazione, gli chiesero di restare con loro. Quando, alla fine, Egli “prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”(v. 30), i loro occhi si aprirono. Ma in quello stesso istante Gesù si sottrasse alla loro vista. Lo riconobbero dunque quando Egli scomparve. Commentando questo episodio evangelico, sant’Agostino osserva: “Gesù spezza il pane, lo riconoscono. Allora noi non diciamo più che non conosciamo il Cristo! Se crediamo, lo conosciamo! Anzi, se crediamo, lo abbiamo! Avevano il Cristo alla loro tavola, noi lo abbiamo nella nostra anima!”. E conclude: “Avere Cristo nel proprio cuore è molto di più che averlo nella propria dimora: Infatti il nostro cuore è più intimo a noi che la nostra casa” (Discorso 232,VII,7). Cerchiamo realmente di portare Gesù nel cuore.

Nel prologo degli Atti degli Apostoli, san Luca afferma che il Signore risorto “si mostrò (agli apostoli) vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni” (1, 3). Occorre capire bene: quando l’autore sacro dice che “si mostrò vivo” non vuole dire che Gesù fece ritorno alla vita di prima, come Lazzaro. La Pasqua che noi celebriamo, osserva san Bernardo, significa “passaggio” e non “ritorno”, perché Gesù non è tornato nella situazione precedente, ma “ha varcato una frontiera verso una condizione più gloriosa”, nuova e definitiva. Per questo, egli aggiunge, “ora, il Cristo è veramente passato a una vita nuova” (cfr Discorso sulla Pasqua).

A Maria Maddalena il Signore aveva detto: “Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre” (Jn 20,17). Un’espressione che ci sorprende, soprattutto se confrontata con quanto invece avviene con l’incredulo Tommaso. Lì, nel Cenacolo, fu il Risorto stesso a presentare le mani e il costato all’Apostolo perché li toccasse e da questo traesse la certezza che era proprio Lui (cfr Jn 20,27). In realtà, i due episodi non sono in contrasto; al contrario, l’uno aiuta a comprendere l’altro. Maria Maddalena vorrebbe riavere il suo Maestro come prima, ritenendo la croce un drammatico ricordo da dimenticare. Ormai però non c’è più posto per un rapporto con il Risorto che sia meramente umano. Per incontrarlo non bisogna tornare indietro, ma porsi in modo nuovo in relazione con Lui: bisogna andare avanti! Lo sottolinea san Bernardo: Gesù “ci invita tutti a questa vita nuova, a questo passaggio… Noi non vedremo il Cristo voltandoci indietro” (Discorso sulla Pasqua). E’ ciò che è avvenuto con Tommaso. Gesù gli mostra le sue ferite non per dimenticare la croce, ma per renderla anche nel futuro indimenticabile.

E’ verso il futuro, infatti, che lo sguardo è ormai proiettato. Compito del discepolo è di testimoniare la morte e la risurrezione del suo Maestro e la sua vita nuova. Per questo Gesù invita l’incredulo suo amico a “toccarlo”: lo vuole rendere testimone diretto della sua risurrezione. Cari fratelli e sorelle, anche noi, come Maria Maddalena, Tommaso e gli altri apostoli, siamo chiamati ad essere testimoni della morte e risurrezione di Cristo. Non possiamo conservare per noi la grande notizia. Dobbiamo recarla al mondo intero: “Abbiamo visto il Signore!” (Jn 20,25). Ci aiuti la Vergine Maria a gustare pienamente la gioia pasquale, perché, sostenuti dalla forza dello Spirito Santo, diventiamo capaci di diffonderla a nostra volta dovunque viviamo ed operiamo. Ancora una volta, Buona Pasqua a tutti voi!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi. Tante grazie per gli auguri inviatimi in occasione della Pasqua e per le preghiere. Il buon Dio ricompensi a tutti la loro benevolenza e magnanimità. Vi benedico di cuore.

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un saluto speciale ai pellegrini croati! Il Signore risorto, che ha vinto la morte e ci ha riconciliato con il Padre, è apparso ai discepoli, li ha confermati nella fede e li ha fatti suoi testimoni. La sua risurrezione e la sua vicinanza siano anche per voi motivo costante di gioia per tutti i giorni della vita. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti di Bergamo, i diaconi della Compagnia di Gesù e i Seminaristi di Catania. Su ognuno di voi, cari amici, invoco una copiosa effusione di doni celesti, a conferma dei vostri generosi propositi di amore a Cristo e alla Chiesa.

Saluto poi, i fedeli delle Diocesi della Basilicata, qui convenuti in occasione della visita ad limina dei loro Vescovi. Cari fratelli e sorelle, esorto voi tutti a tenere sempre salda la vostra vita sulla roccia dell'indefettibile Parola di Dio, per esserne fedeli annunciatori agli uomini del nostro tempo. Le feste pasquali, che abbiamo solennemente celebrato, vi siano di stimolo ad aderire sempre più al Signore crocifisso e risorto e vi spingano a partecipare con generosità alla missione delle vostre rispettive comunità cristiane.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai numerosi adolescenti, provenienti dall'Arcidiocesi di Milano. Cari giovani amici anche, a voi, come ai primi discepoli, Cristo risorto ripete: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi ... Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,21-22). Rispondetegli con gioia e con amore, grati per l'immenso dono della fede, e sarete ovunque autentici testimoni della sua gioia e della sua pace. Per voi, cari malati, la risurrezione di Cristo sia fonte inesauribile di conforto, di consolazione e di speranza. E voi, cari sposi novelli, rendete operante la presenza del Risorto nella vostra famiglia con la quotidiana preghiera, che alimenti il vostro amore coniugale.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 18 aprile 2007: San Clemente alessandrino

18047

Cari fratelli e sorelle,

dopo il tempo delle feste ritorniamo alle catechesi normali, anche se visibilmente in Piazza è ancora festa. Con le catechesi ritorniamo, come detto, al filone iniziato prima. Abbiamo parlato dapprima dei Dodici Apostoli, poi dei discepoli degli Apostoli, adesso delle grandi personalità della Chiesa nascente, della Chiesa antica. L’ultima volta avevamo parlato di sant’Ireneo di Lione, oggi parliamo di san Clemente Alessandrino, un grande teologo che nacque probabilmente ad Atene intorno alla metà del secondo secolo. Da Atene ereditò quello spiccato interesse per la filosofia, che avrebbe fatto di lui uno degli alfieri del dialogo tra fede e ragione nella tradizione cristiana. Ancor giovane, egli giunse ad Alessandria, la «città-simbolo» di quel fecondo incrocio tra culture diverse che caratterizzò l’età ellenistica. Lì fu discepolo di Panteno, fino a succedergli nella direzione della scuola catechetica. Numerose fonti attestano che fu ordinato presbitero. Durante la persecuzione del 202-203 abbandonò Alessandria per rifugiarsi a Cesarea, in Cappadocia, dove morì verso il 215.

Le opere più importanti che di lui ci rimangono sono tre: il Protrettico, il Pedagogo e gli Stromati. Anche se non pare che fosse questa l’intenzione originaria dell’autore, è un fatto che tali scritti costituiscono una vera trilogia, destinata ad accompagnare efficacemente la maturazione spirituale del cristiano. Il Protrettico,come dice la parola stessa, è un’«esortazione» rivolta a chi inizia e cerca il cammino della fede. Meglio ancora, il Protrettico coincide con una Persona: il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che si fa «esortatore» degli uomini, affinché intraprendano con decisione la via verso la Verità. Lo stesso Gesù Cristo si fa poi Pedagogo, cioè «educatore» di quelli che, in forza del Battesimo, sono ormai diventati figli di Dio. Il medesimo Gesù Cristo, infine, è anche Didascalo, cioè «maestro» che propone gli insegnamenti più profondi. Essi sono raccolti nella terza opera di Clemente, gli Stromati, parola greca che significa «tappezzerie»: si tratta in effetti di una composizione non sistematica di argomenti diversi, frutto diretto dell’insegnamento abituale di Clemente.

Nel suo complesso, la catechesi clementina accompagna passo passo il cammino del catecumeno e del battezzato perché, con le due «ali» della fede e della ragione, essi giungano a un’intima conoscenza della Verità, che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio. Solo questa conoscenza della Persona che è la Verità, è la «vera gnosi», l’espressione greca che sta per «conoscenza», per «intelligenza». È l’edificio costruito dalla ragione sotto impulso di un principio soprannaturale. La fede stessa costruisce la vera filosofia, cioè la vera conversione nel cammino da prendere nella vita. Quindi l’autentica «gnosi» è uno sviluppo della fede, suscitato da Gesù Cristo nell’anima unita a Lui. Clemente distingue poi due gradini della vita cristiana. Primo gradino: i cristiani credenti che vivono la fede in modo comune, ma pur sempre aperta agli orizzonti della santità. E poi il secondo gradino: gli «gnostici», cioè quelli che conducono già una vita di perfezione spirituale. In ogni caso il cristiano deve partire dalla base comune della fede, e attraverso un cammino di ricerca deve lasciarsi guidare da Cristo e così giungere alla conoscenza della Verità e delle verità che formano il contenuto della fede. Tale conoscenza, ci dice Clemente, diventa nell’anima una realtà vivente: non è solo una teoria, è una forza di vita, è una unione di amore trasformante. La conoscenza di Cristo non è solo pensiero, ma è amore che apre gli occhi, trasforma l’uomo e crea comunione con il Logos, con il Verbo divino che è Verità e Vita. In questa comunione, che è la perfetta conoscenza ed è amore, il cristiano raggiunge la contemplazione, l’unificazione con Dio.

Clemente riprende al termine la dottrina secondo cui il fine ultimo dell’uomo è divenire simile a Dio. Siamo creati ad immagine e similitudine di Dio, ma questo è anche una sfida, un cammino; infatti lo scopo della vita, l’ultima destinazione è veramente divenire simili a Dio. Ciò è possibile grazie alla connaturalità con Lui, che l’uomo ha ricevuto nel momento della creazione, per cui egli è già di per sé immagine di Dio. Tale connaturalità permette di conoscere le realtà divine, a cui l’uomo aderisce anzitutto per fede e, attraverso la fede vissuta, la pratica della virtù, può crescere fino alla contemplazione di Dio. Così nel cammino della perfezione Clemente annette al requisito morale tanta importanza quanta ne attribuisce a quello intellettuale. I due requisiti vanno insieme, perché non si può conoscere senza vivere e non si può vivere senza conoscere. L’assimilazione a Dio e la contemplazione di Lui non possono essere raggiunte con la sola conoscenza razionale: a questo scopo è necessaria una vita secondo il Logos, una vita secondo la Verità. E di conseguenza, le buone opere devono accompagnare la conoscenza intellettuale come l’ombra segue il corpo.

Due virtù soprattutto ornano l’anima del «vero gnostico». La prima è la libertà dalle passioni (apátheia); l’altra è l’amore, la vera passione, che assicura l’intima unione con Dio. L’amore dona la pace perfetta, e pone «il vero gnostico» in grado di affrontare i più grandi sacrifici, anche il sacrificio supremo nella sequela di Cristo, e lo fa salire di gradino in gradino fino al vertice delle virtù. Così l’ideale etico della filosofia antica, cioè la liberazione dalle passioni, viene da Clemente ridefinito e coniugato con l’amore, nel processo incessante di assimilazione a Dio.

In questo modo l’Alessandrino costruisce la seconda grande occasione di dialogo tra l’annuncio cristiano e la filosofia greca. Sappiamo che san Paolo sull’Aeropago in Atene, dove Clemete è nato, aveva fatto il primo tentativo di dialogo con la filosofia greca – e in gran parte era fallito –, ma gli avevano detto: «Ti sentiremo un’altra volta». Ora Clemente riprende questo dialogo, e lo nobilita in massimo grado nella tradizione filosofica greca. Come ha scritto il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, l’Alessandrino giunge a interpretare la filosofia come «un’istruzione propedeutica alla fede cristiana» (n. 38). E, di fatto, Clemente è arrivato fino al punto di sostenere che Dio avrebbe dato la filosofia ai Greci «come un Testamento loro proprio» (Strom. 6,8,67,1). Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge per gli Ebrei, è ambito di «rivelazione», sono due rivoli che in definitiva vanno al Logos stesso. Così Clemente continua a segnare con decisione il cammino di chi intende «dare ragione» della propria fede in Gesù Cristo. Egli può servire d’esempio ai cristiani, ai catechisti e ai teologi del nostro tempo, ai quali Giovanni Paolo II, nella medesima Enciclica, raccomandava di «recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verità, per entrare così in un dialogo critico ed esigente … con il pensiero filosofico contemporaneo» (n. 105).

Concludiamo facendo nostra qualche espressione della celebre «preghiera a Cristo Logos», con la quale Clemente conclude il suo Pedagogo. Egli supplica così: «Sii propizio ai tuoi figli»; «concedi a noi di vivere nella tua pace, di essere trasferiti nella tua città, di attraversare senza esserne sommersi i flutti del peccato, di essere trasportati in tranquillità dallo Spirito Santo e dalla Sapienza ineffabile: noi, che di notte e di giorno, fino all’ultimo giorno cantiamo un canto di ringraziamento all’unico Padre, … al Figlio pedagogo e maestro, insieme allo Spirito Santo. Amen!» (3,12,101).

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Vi ringrazio cordialmente per le vostre preghiere in occasione del mio genetliaco e del secondo anniversario del pontificato. Saluto in modo particolare i pellegrini dalla Diocesi di Legnica, i quali vengono nell’occasione del 15° anniversario della erezione della loro Diocesi. Vi raccomando alla Divina Madre, Madonna delle Grazie di Krzeszów. Prego per voi tutti e di cuore, tutti, vi benedico.

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Praha, Chodov e Hodonín. Prego Iddio affinché infonda in voi la gioia della Risurrezione di Cristo e vi accompagni sempre con i suoi numerosi doni. Con questi voti volentieri vi benedico! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava e Zuberec. Fratelli e sorelle, vi ringrazio per le preghiere con le quali accompagnate il mio servizio del Successore di San Pietro e cordialmente benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente il gruppo arrivato da Tiszaföldvár. La vostra visita a Roma nel Tempo di Pasqua sia per ognuno di voi occasione del rinnovamento spirituale. Il Signore Risorto vi accompagni con la sua pace. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle Diocesi della Toscana, qui convenuti con i loro Vescovi in occasione della Visita ad Limina Apostolorum. Cari amici, anche le vostre comunità ecclesiali sono chiamate a proseguire con rinnovato slancio la loro missione spirituale nella società. Il nostro tempo ha più che mai bisogno dell'apporto generoso dei discepoli di Cristo per affrontare le attuali sfide culturali, sociali e religiose. Non stancatevi, pertanto, di attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per contribuire alla realizzazione di un'autentica rinascita morale e sociale della vostra Regione. Siate testimoni gioiosi del Signore risorto e infaticabili costruttori del suo Regno di giustizia e di amore. Saluto, inoltre, le Religiose partecipanti all'incontro promosso dall'USMI e i rappresentanti dell'Istituto Ospedaliero "Gaslini" di Genova, come anche quelli dell'Istituto "Giovanni Cena" di Cerveteri.

Sono lieto poi, di salutare con affetto i numerosi ragazzi e studenti, specialmente quelli della Diocesi di Foligno, accompagnati dal Vescovo Mons. Arduino Bertoldo, e qui convenuti a conclusione del Sinodo diocesano dei Giovani. Cari giovani, come ai primi discepoli, Gesù rivolge anche a voi l'invito ad essere suoi amici. Se rispondete con gioia a questo suo appello, sarete seminatori di speranza nel cuore dei vostri coetanei. Il mio pensiero va infine ai malati e agli sposi novelli. Per voi, cari malati, la risurrezione di Cristo sia fonte inesauribile di conforto e di speranza. E voi, cari sposi novelli, siate testimoni del Signore risorto con il vostro fedele amore coniugale.


Piazza San Pietro

Mercoledì, 25 aprile 2007: Origene alessandrino: I: Vita e scritti

25047

Cari fratelli e sorelle,

nelle nostre meditazioni sulle grandi personalità della Chiesa antica giungiamo oggi ad una delle più rilevanti. Origene alessandrino è realmente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensiero cristiano. Egli raccoglie l’eredità di Clemente alessandrino, su cui abbiamo meditato mercoledì scorso, e la rilancia verso il futuro in maniera talmente innovativa, da imprimere una svolta irreversibile allo sviluppo del pensiero cristiano. Fu un vero «maestro», e così lo ricordavano con nostalgia e commozione i suoi allievi: non soltanto un brillante teologo, ma un testimone esemplare della dottrina che trasmetteva. «Egli insegnò», scrive Eusebio di Cesarea, suo biografo entusiasta, «che la condotta deve corrispondere esattamente alla parola, e fu soprattutto per questo che, aiutato dalla grazia di Dio, indusse molti a imitarlo» (Storia Eccl. 6,3,7).

Tutta la sua vita fu percorsa da un incessante anelito al martirio. Aveva diciassette anni quando, nel decimo anno dell’imperatore Settimio Severo, scoppiò ad Alessandria la persecuzione contro i cristiani. Clemente, suo maestro, abbandonò la città, e il padre di Origene, Leonide, venne gettato in carcere. Suo figlio bramava ardentemente il martirio, ma non poté realizzare questo desiderio. Allora scrisse al padre, esortandolo a non recedere dalla suprema testimonianza della fede. E quando Leonide venne decapitato, il giovane Origene sentì che doveva accogliere l’esempio della sua vita. Quarant’anni più tardi, mentre predicava a Cesarea, uscì in questa confessione: «A nulla mi giova aver avuto un padre martire, se non tengo una buona condotta e non faccio onore alla nobiltà della mia stirpe, cioè al martirio di mio padre e alla testimonianza che l’ha reso illustre in Cristo» (Om. su
Ez 4,8). In un’omelia successiva – quando, grazie all’estrema tolleranza dell’imperatore Filippo l’Arabo, sembrava ormai sfumata l’eventualità di una testimonianza cruenta – Origene esclama: «Se Dio mi concedesse di essere lavato nel mio sangue, così da ricevere il secondo battesimo avendo accettato la morte per Cristo, mi allontanerei sicuro da questo mondo ... Ma sono beati coloro che meritano queste cose» (Om. sui Jg 7,12). Queste espressioni rivelano tutta la nostalgia di Origene per il battesimo di sangue. E finalmente questo irresistibile anelito venne, almeno in parte, esaudito. Nel 250, durante la persecuzione di Decio, Origene fu arrestato e torturato crudelmente. Fiaccato dalle sofferenze subite, morì qualche anno dopo. Non aveva ancora settant’anni.

Abbiamo accennato a quella «svolta irreversibile» che Origene impresse alla storia della teologia e del pensiero cristiano. Ma in che cosa consiste questa «svolta», questa novità così gravida di conseguenze? Essa corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nella spiegazione delle Scritture. Fare teologia era per lui essenzialmente spiegare, comprendere la Scrittura; o potremmo anche dire che la sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi. In verità, la sigla propria della dottrina origeniana sembra risiedere appunto nell’incessante invito a passare dalla lettera allo spirito delle Scritture, per progredire nella conoscenza di Dio. E questo cosiddetto «allegorismo», ha scritto von Balthasar, coincide precisamente «con lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa», i quali – in un modo o nell’altro – hanno accolto la «lezione» di Origene. Così la tradizione e il magistero, fondamento e garanzia della ricerca teologica, giungono a configurarsi come «Scrittura in atto» (cfr Origene: Il mondo, Cristo e la Chiesa, tr. it., Milano 1972, p. 43). Possiamo affermare perciò che il nucleo centrale dell’immensa opera letteraria di Origene consiste nella sua «triplice lettura» della Bibbia. Ma prima di illustrare questa «lettura» conviene dare uno sguardo complessivo alla produzione letteraria dell’Alessandrino. San Girolamo nella sua Epistola 33 elenca i titoli di 320 libri e di 310 omelie di Origene. Purtroppo la maggior parte di quest’opera è andata perduta, ma anche il poco che ne rimane fa di lui l’autore più prolifico dei primi tre secoli cristiani. Il suo raggio di interessi si estende dall’esegesi al dogma, alla filosofia, all’apologetica, all’ascetica e alla mistica. È una visione fondamentale e globale della vita cristiana.

Il nucleo ispiratore di quest’opera è, come abbiamo accennato, la «triplice lettura» delle Scritture sviluppata da Origene nell’arco della sua vita. Con questa espressione intendiamo alludere alle tre modalità più importanti – tra loro non successive, anzi più spesso sovrapposte – con le quali Origene si è dedicato allo studio delle Scritture. Anzitutto egli lesse la Bibbia con l’intento di accertarne al meglio il testo e di offrirne l’edizione più affidabile. Questo è il primo passo: conoscere realmente che cosa sta scritto e conoscere che cosa questa Scrittura voleva intenzionalmente e inizialmente dire. Ha fatto un grande studio a questo scopo e ha redatto un’edizione della Bibbia con sei colonne parallele, da sinistra a destra, con il testo ebraico in caratteri ebraici – egli ha avuto anche contatti con i rabbini per capire bene il testo originale ebraico della Bibbia –, poi il testo ebraico traslitterato in caratteri greci e poi quattro traduzioni diverse in lingua greca, che gli permettevano di comparare le diverse possibilità di traduzione. Di qui il titolo di Esapla («sei colonne») attribuito a questa immane sinossi. Questo è il primo punto: conoscere esattamente che cosa sta scritto, il testo come tale.

In secondo luogo Origene lesse sistematicamente la Bibbia con i suoi celebri Commentari. Essi riproducono fedelmente le spiegazioni che il maestro offriva durante la scuola, ad Alessandria come a Cesarea. Origene procede quasi versetto per versetto, in forma minuziosa, ampia e approfondita, con note di carattere filologico e dottrinale. Egli lavora con grande esattezza per conoscere bene che cosa volevano dire i sacri autori.

Infine, anche prima della sua ordinazione presbiterale, Origene si dedicò moltissimo alla predicazione della Bibbia, adattandosi a un pubblico variamente composito. In ogni caso, si avverte anche nelle Omelie il maestro, tutto dedito all’interpretazione sistematica della pericope in esame, via via frazionata nei successivi versetti. Anche nelle Omelie Origene coglie tutte le occasioni per richiamare le diverse dimensioni del senso della Sacra Scrittura, che aiutano o esprimono un cammino nella crescita della fede: c’è il senso «letterale», ma esso nasconde profondità che non appaiono in un primo momento; la seconda dimensione è il senso «morale», che cosa cioè dobbiamo fare vivendo la Parola; e infine il senso «spirituale», cioè l’unità della Scrittura, che in tutto il suo sviluppo parla di Cristo. E’ lo Spirito Santo che ci fa capire il contenuto cristologico e così l’unità della Scrittura nella sua diversità. Sarebbe interessante mostrare questo. Un po’ ho tentato, nel mio libro «Gesù di Nazaret», di mostrare nella situazione di oggi queste molteplici dimensioni della Parola, della Sacra Scrittura, che prima deve essere rispettata proprio nel senso storico. Ma questo senso ci trascende verso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, e ci mostra la via, come vivere. Se ne trova cenno, per esempio, nella nona Omelia sui Numeri, dove Origene paragona la Scrittura alle noci: «Così è la dottrina della Legge e dei Profeti alla scuola di Cristo», afferma l’omileta; «amara è la lettera, che è come la scorza; in secondo luogo perverrai al guscio, che è la dottrina morale; in terzo luogo troverai il senso dei misteri, del quale si nutrono le anime dei santi nella vita presente e nella futura» (9,7).

Soprattutto per questa via Origene giunge a promuovere efficacemente la «lettura cristiana» dell’Antico Testamento, rintuzzando in maniera brillante la sfida di quegli eretici – soprattutto gnostici e marcioniti – che opponevano tra loro i due Testamenti fino a rigettare l’Antico. A questo proposito, nella medesima Omelia sui Numeri l’Alessandrino afferma: «Io non chiamo la Legge un “Antico Testamento”, se la comprendo nello Spirito. La Legge diventa un “Antico Testamento” solo per quelli che vogliono comprenderla carnalmente», cioè fermandosi alla lettera del testo. Ma «per noi, che la comprendiamo e l’applichiamo nello Spirito e nel senso del Vangelo, la Legge è sempre nuova, e i due Testamenti sono per noi un nuovo Testamento, non a causa della data temporale, ma della novità del senso ... Invece, per il peccatore e per quelli che non rispettano il patto della carità, anche i Vangeli invecchiano» (9,4).

Vi invito – e così concludo – ad accogliere nel vostro cuore l’insegnamento di questo grande maestro nella fede. Egli ci ricorda con intimo trasporto che, nella lettura orante della Scrittura e nel coerente impegno della vita, la Chiesa sempre si rinnova e ringiovanisce. La Parola di Dio, che non invecchia mai, né mai si esaurisce, è mezzo privilegiato a tale scopo. E’ infatti la Parola di Dio che, per opera dello Spirito Santo, ci guida sempre di nuovo alla verità tutta intera (cfr Benedetto XVI, Ai partecipanti al Congresso Internazionale per il XL anniversario della Costituzione dogmatica «Dei Verbum», in: Insegnamenti, vol. I, 2005, pp. 552-553). E preghiamo il Signore che ci dia oggi pensatori, teologi, esegeti che trovino questa multidimensionalità, questa attualità permanente della Sacra Scrittura, la sua novità per oggi. Preghiamo che il Signore ci aiuti a leggere in modo orante la Sacra Scrittura, a nutrirci realmente del vero pane della vita, della sua Parola.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto tutti i polacchi. Vi ringrazio per la vostra presenza e per l’accompagnamento nella preghiera. A voi e a vostri cari auguro l’abbondanza delle grazie di Dio. Vi benedico di cuore.

Saluto in lingua ceca:


Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Repubblica Ceca, dalla parrocchia Mistek! Cari amici, vi colma la gioia della Risurrezione del Signore! Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore i pellegrini croati, particolarmente i membri del Comitato per il restauro della Cattedrale di Zagreb, i fedeli della parrocchia dell’Assunzione della Beata Vergine Maria di Stenjevci e gli incaricati della Contea e delle città di Šibenik, Knin e Vodice! Il Signore risorto benedica abbondantemente voi ed i vostri impegni per il bene delle comunità nelle quali vivete e alle quali servite! Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini provenienti dalle parrocchie Dulovce, Podhorany e Terchová. Fratelli e sorelle, domenica prossima celebreremo la Giornata di preghiera per le Vocazioni. Domandate a Cristo – Buon Pastore di mandare sempre nuovi operai al suo servizio. Volentieri benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

A partecipare a questo nostro incontro odierno siete venuti anche numerosi pellegrini dalla Slovenia. Siate benvenuti! Vi accompagni sempre la benedizione del Cristo risorto!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle Diocesi del Triveneto, che accompagnano i loro Vescovi nella Visita ad limina proprio nel giorno della festa di san Marco, patrono delle popolazioni trivenete. Cari fratelli e sorelle, restate fedeli alle vostre feconde tradizioni cristiane che hanno ispirato e dato vita a significative opere di carità. Accompagnate le giovani generazioni, incoraggiandole a seguire il Vangelo e fate sentire loro che anche oggi vale la pena di consacrarsi totalmente al Signore nella vita sacerdotale e religiosa. Penso qui con compiacimento alla schiera di missionari che dalle vostre regioni hanno recato il lieto annuncio della salvezza in terre lontane: il loro esempio sia di stimolo per tutti a testimoniare in ogni luogo l'amore di Dio.

Saluto poi i partecipanti al simposio, che si terrà nei prossimi giorni a Mosca, sulla luminosa figura del medico Friedrich Joseph Haas e i rappresentanti del Collegio Canova di Possagno che celebrano significative ricorrenze. Saluto, inoltre, gli esponenti del Rinnovamento nello Spirito Santo e il gruppo di Scout di Mortara.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Celebriamo oggi la Festa di San Marco evangelista, collaboratore dell'apostolo Pietro. Cari giovani, vi esorto a mettervi alla scuola di Cristo per imparare a seguire fedelmente le sue orme. Invito voi, cari malati, ad accogliere con fiducia le vostre prove e a trasformarle in dono di amore a Cristo per la salvezza delle anime. A voi, cari sposi novelli, auguro di vivere il matrimonio come cammino di fede, diventando sempre più convinti servitori del Vangelo della vita.

APPELLO


Per iniziativa delle Nazioni Unite, questa settimana è dedicata alla sicurezza stradale. Rivolgo una parola di incoraggiamento alle Istituzioni pubbliche che si adoperano per mantenere le arterie stradali sicure e salvaguardare la vita umana con strumenti idonei; a quanti si dedicano alla ricerca di nuove tecnologie e strategie per ridurre i troppi incidenti sulle strade di tutto il mondo. E mentre invito a pregare per le vittime, per i feriti e le loro famiglie, auspico che un consapevole senso di responsabilità verso il prossimo induca gli automobilisti, specie i giovani, alla prudenza e a un maggior rispetto del codice della strada.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 2 maggio 2007: Origene alessandrino: II: La dottrina


Catechesi 2005-2013 11047