Catechesi 2005-2013 60607

Mercoledì, 6 giugno 2007: San Cipriano

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Cari fratelli e sorelle,

nella serie delle nostre catechesi su grandi personalità della Chiesa antica, arriviamo oggi a un eccellente Vescovo africano del III secolo, san Cipriano, che «fu il primo Vescovo che in Africa conseguì la corona del martirio». In pari grado la sua fama – come attesta il diacono Ponzio, che per primo ne scrisse la vita – è legata alla produzione letteraria e all’attività pastorale dei tredici anni che intercorrono fra la sua conversione e il martirio (cfr Vita 19,1; 1,1). Nato a Cartagine da ricca famiglia pagana, dopo una giovinezza dissipata Cipriano si converte al cristianesimo all’età di 35 anni. Egli stesso racconta il suo itinerario spirituale: «Quando ancora giacevo come in una notte oscura», scrive alcuni mesi dopo il Battesimo, «mi appariva estremamente difficile e faticoso compiere quello che la misericordia di Dio mi proponeva ... Ero legato dai moltissimi errori della mia vita passata, e non credevo di potermene liberare, tanto assecondavo i vizi e favorivo i miei cattivi desideri ... Ma poi, con l’aiuto dell’acqua rigeneratrice, fu lavata la miseria della mia vita precedente; una luce sovrana si diffuse nel mio cuore; una seconda nascita mi restaurò in un essere interamente nuovo. In modo meraviglioso cominciò allora a dissiparsi ogni dubbio ... Comprendevo chiaramente che era terreno quello che prima viveva in me, nella schiavitù dei vizi della carne, ed era invece divino e celeste ciò che lo Spirito Santo in me aveva ormai generato» (A Donato 3-4).

Subito dopo la conversione, Cipriano – non senza invidie e resistenze – viene eletto all’ufficio sacerdotale e alla dignità di Vescovo. Nel breve periodo del suo episcopato affronta le prime due persecuzioni sancite da un editto imperiale, quella di Decio (250) e quella di Valeriano (257-258). Dopo la persecuzione particolarmente crudele di Decio, il Vescovo dovette impegnarsi strenuamente per riportare la disciplina nella comunità cristiana. Molti fedeli, infatti, avevano abiurato, o comunque non avevano tenuto un contegno corretto dinanzi alla prova. Erano i cosiddetti lapsi – cioè i «caduti» –, che desideravano ardentemente rientrare nella comunità. Il dibattito sulla loro riammissione giunse a dividere i cristiani di Cartagine in lassisti e rigoristi. A queste difficoltà occorre aggiungere una grave pestilenza che sconvolse l’Africa e pose interrogativi teologici angosciosi sia all’interno della comunità sia nel confronto con i pagani. Bisogna ricordare, infine, la controversia fra Cipriano e il Vescovo di Roma, Stefano, circa la validità del Battesimo amministrato ai pagani da cristiani eretici.

In queste circostanze realmente difficili Cipriano rivelò elette doti di governo: fu severo, ma non inflessibile con i lapsi, accordando loro la possibilità del perdono dopo una penitenza esemplare; davanti a Roma fu fermo nel difendere le sane tradizioni della Chiesa africana; fu umanissimo e pervaso dal più autentico spirito evangelico nell’esortare i cristiani all’aiuto fraterno dei pagani durante la pestilenza; seppe tenere la giusta misura nel ricordare ai fedeli – troppo timorosi di perdere la vita e i beni terreni – che per loro la vera vita e i veri beni non sono quelli di questo mondo; fu irremovibile nel combattere i costumi corrotti e i peccati che devastavano la vita morale, soprattutto l’avarizia. «Passava così le sue giornate», racconta a questo punto il diacono Ponzio, «quand’ecco che – per ordine del proconsole – giunse improvvisamente alla sua villa il capo della polizia» (Vita 15,1). In quel giorno il santo Vescovo fu arrestato, e dopo un breve interrogatorio affrontò coraggiosamente il martirio in mezzo al suo popolo.

Cipriano compose numerosi trattati e lettere, sempre legati al suo ministero pastorale. Poco incline alla speculazione teologica, scriveva soprattutto per l’edificazione della comunità e per il buon comportamento dei fedeli. Di fatto, la Chiesa è il tema che gli è di gran lunga più caro. Distingue tra Chiesa visibile, gerarchica, e Chiesa invisibile, mistica, ma afferma con forza che la Chiesa è una sola, fondata su Pietro. Non si stanca di ripetere che «chi abbandona la cattedra di Pietro, su cui è fondata la Chiesa, si illude di restare nella Chiesa» (L’unità della Chiesa cattolica 4). Cipriano è convinto, e lo ha formulato con parole forti, che «fuori della Chiesa non c'è salvezza» (Epistola 4,4 e 73,21), e che «non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre» (L’unità della Chiesa cattolica 4). Caratteristica irrinunciabile della Chiesa è l’unità, simboleggiata dalla tunica di Cristo senza cuciture (ibid., 7): unità della quale dice che trova il suo fondamento in Pietro (ibid., 4) e la sua perfetta realizzazione nell’Eucaristia (Epistola 63,13). «Vi è un solo Dio, un solo Cristo», ammonisce Cipriano, «una sola è la sua Chiesa, una sola fede, un solo popolo cristiano, stretto in salda unità dal cemento della concordia: e non si può separare ciò che è uno per natura» (L’unità della Chiesa cattolica 23).

Abbiamo parlato del suo pensiero riguardante la Chiesa, ma non si deve trascurare, infine, l’insegnamento di Cipriano sulla preghiera. Io amo particolarmente il suo libro sul Padre Nostro, che mi ha aiutato molto a capire e a recitare meglio la «preghiera del Signore»: Cipriano insegna come proprio nel Padre Nostro è donato al cristiano il retto modo di pregare, e sottolinea che tale preghiera è al plurale, «affinché colui che prega non preghi unicamente per sé. La nostra preghiera – scrive – è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola» (L’orazione del Signore 8). Così preghiera personale e liturgica appaiono robustamente legate tra loro. La loro unità proviene dal fatto che esse rispondono alla medesima Parola di Dio. Il cristiano non dice «Padre mio», ma «Padre nostro», fin nel segreto della camera chiusa, perché sa che in ogni luogo, in ogni circostanza, egli è membro di uno stesso Corpo.

«Preghiamo dunque, fratelli amatissimi», scrive il Vescovo di Cartagine, «come Dio, il Maestro, ci ha insegnato. E’ preghiera confidenziale e intima pregare Dio con ciò che è suo, far salire alle sue orecchie la preghiera di Cristo. Riconosca il Padre le parole del suo Figlio, quando diciamo una preghiera: Colui che abita interiormente nell’animo sia presente anche nella voce ... Quando si prega, inoltre, si abbia un modo di parlare e di pregare che, con disciplina, mantenga calma e riservatezza. Pensiamo che siamo davanti allo sguardo di Dio. Bisogna essere graditi agli occhi divini sia con l’atteggiamento del corpo che col tono della voce ... E quando ci riuniamo insieme con i fratelli e celebriamo i sacrifici divini con il sacerdote di Dio, dobbiamo ricordarci del timore reverenziale e della disciplina, non dare al vento qua e là le nostre preghiere con voci scomposte, né scagliare con tumultuosa verbosità una richiesta che va raccomandata a Dio con moderazione, perché Dio è ascoltatore non della voce, ma del cuore (non vocis sed cordis auditor )» (3-4). Si tratta di parole che restano valide anche oggi e ci aiutano a celebrare bene la Santa Liturgia.

In definitiva, Cipriano si colloca alle origini di quella feconda tradizione teologico-spirituale che vede nel «cuore» il luogo privilegiato della preghiera. Stando alla Bibbia e ai Padri, infatti, il cuore è l’intimo dell’uomo, il luogo dove abita Dio. In esso si compie quell’incontro nel quale Dio parla all’uomo, e l’uomo ascolta Dio; l’uomo parla a Dio, e Dio ascolta l’uomo: il tutto attraverso l’unica Parola divina. Precisamente in questo senso – riecheggiando Cipriano – Smaragdo, abate di San Michele alla Mosa nei primi anni del nono secolo, attesta che la preghiera «è opera del cuore, non delle labbra, perché Dio guarda non alle parole, ma al cuore dell’orante» (Il diadema dei monaci l).

Carissimi, facciamo nostro questo «cuore in ascolto», di cui ci parlano la Bibbia (cfr
1R 3,9) e i Padri: ne abbiamo tanto bisogno! Solo così potremo sperimentare in pienezza che Dio è il nostro Padre, e che la Chiesa, la santa Sposa di Cristo, è veramente la nostra Madre.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Domani è la Solennità del Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo. Andando in processione dietro Cristo, presente nell’Eucaristia, Suo Corpo e Sangue, noi ricordiamo a tutti che Egli è con noi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Che questo incontro cambi la vostra vita. A tutti voi qui presenti e a tutti coloro che domani parteciperanno alla processione, giunga la mia benedizione.

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente gli studenti della Facoltà di Filosofia e Teologia della Compagnia di Gesù di Zagreb e i fedeli della parrocchia di san Pietro della stessa città. La comunione al Corpo di Cristo conformi la vostra vita sempre di più a Lui che ci ha amati sino alla fine! Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Un affettuoso benvenuto ai pellegrini provenienti da Bratislava e Nitra. Fratelli e sorelle, Cristo è la via che conduce al Padre e nell’Eucaristia si offre ad ognuno di noi come sorgente di vita divina. Attingiamone con perseveranza. Con questi voti benedico voi ed i vostri cari in Patria. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente ii fedeli ungheresi provenienti di Satu Mare. Il vostro pellegrinaggio a Roma, alla Città consacrata dai santi Apostoli Pietro e Paolo, rafforzi la vostra fede e la vostra fedeltà alla Chiesa. A voi e a tutti che vi sono cari, imparto la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli provenienti da Margherita di Savoia, che ricordano il 250° anniversario di fondazione della parrocchia del Santissimo Salvatore. Cari amici, auspico che questa fausta ricorrenza susciti in ciascuno un rinnovato impegno di adesione a Cristo e di coraggiosa testimonianza evangelica. Saluto, poi, la Brigata aeromobile “Friuli” di Bologna, che ha partecipato a diverse missioni di pace, distinguendosi per la generosa attenzione verso le popolazioni più bisognose.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Il mese di giugno è dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Soffermiamoci spesso a contemplare questo Cuore che è la sorgente dell'Amore divino.

Voi, cari giovani, alla scuola del Cuore di Cristo imparate ad assumere con serietà le responsabilità che vi attendono. Voi, cari malati, trovate in questa fonte inesauribile la serenità per compiere sempre la volontà di Dio. E voi, cari sposi novelli, restate fedeli all’amore di Dio che è fondamento e sostegno del vostro amore coniugale.

APPELLO PER IL G-8


Oggi è iniziato a Heiligendamm, Germania, sotto la Presidenza della Repubblica Federale di Germania, il Vertice Annuale dei Capi di Stato e di Governo del G-8 - cioè i sette Paesi più industrializzati del mondo più la Federazione Russa. Lo scorso 16 dicembre ebbi occasione di scrivere alla Cancelliere Angela Merkel ringraziandola, a nome della Chiesa cattolica, per la decisione di conservare all’ordine del giorno del G-8 il tema della povertà nel mondo, con particolare attenzione all’Africa. La Dottoressa Merkel mi rispose cortesemente il 2 febbraio scorso, assicurandomi circa l’impegno del G-8 nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio. Vorrei ora rivolgere un nuovo appello ai leader riuniti a Heiligendamm, affinché non vengano meno alle promesse di aumentare sostanzialmente l’aiuto allo sviluppo, in favore delle popolazioni più bisognose, soprattutto quelle del Continente Africano.

In tale senso, speciale attenzione merita il secondo grande obiettivo del millennio: “il raggiungimento dell’educazione primaria per tutti; l’assicurazione che ogni ragazzo e ragazza completi l’intero corso della scuola primaria entro il 2015”. Questo obiettivo è parte integrale del raggiungimento di tutti gli altri obiettivi del millennio; è garanzia del consolidamento degli obiettivi raggiunti; è punto di partenza dei processi autonomi e sostenibili di sviluppo.

Non si deve dimenticare che la Chiesa cattolica è stata sempre in prima linea nel campo dell’educazione, arrivando, particolarmente nei Paesi più poveri, là dove le strutture statali spesso non riescono ad arrivare. Altre Chiese cristiane, gruppi religiosi e organizzazioni della società civile condividono tale impegno educativo. E’ una realtà che, in applicazione del principio di sussidiarietà, i Governi e le Organizzazioni internazionali sono chiamati a riconoscere, a valorizzare e a sostenere, anche mediante l’erogazione di adeguati contributi finanziari. Speriamo che si lavori seriamente per il raggiungimento di questi obiettivi.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 13 giugno 2007: Eusebio di Cesarea

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Cari fratelli e sorelle,

nella storia del cristianesimo antico è fondamentale la distinzione fra i primi tre secoli e quelli successivi al Concilio di Nicea del 325, il primo ecumenico. Quasi «a cerniera» fra i due periodi stanno la cosiddetta «svolta costantiniana» e la pace della Chiesa, come pure la figura di Eusebio, Vescovo di Cesarea in Palestina. Egli fu l’esponente più qualificato della cultura cristiana del suo tempo in contesti molto vari, dalla teologia all’esegesi, dalla storia all’erudizione. Eusebio è noto soprattutto come il primo storico del cristianesimo, ma fu anche il più grande filologo della Chiesa antica.

A Cesarea, dove probabilmente è da collocare intorno al 260 la nascita di Eusebio, Origene si era rifugiato venendo da Alessandria, e lì aveva fondato una scuola e un’ingente biblioteca. Proprio su questi libri si sarebbe formato, qualche decennio più tardi, il giovane Eusebio. Nel 325, come Vescovo di Cesarea, egli partecipò con un ruolo di protagonista al Concilio di Nicea. Ne sottoscrisse il Credo e l’affermazione della piena divinità del Figlio di Dio, definito per questo «della stessa sostanza» del Padre (homooúsios tõ Patrí). E’ praticamente lo stesso Credo che noi recitiamo ogni domenica nella Santa Liturgia. Sincero ammiratore di Costantino, che aveva dato la pace alla Chiesa, Eusebio ne ebbe a sua volta stima e considerazione. Celebrò l’imperatore, oltre che nelle sue opere, anche con discorsi ufficiali, tenuti nel ventesimo e nel trentesimo anniversario della sua salita al trono, e dopo la morte, avvenuta nel 337. Due o tre anni più tardi anche Eusebio morì.

Studioso infaticabile, nei suoi numerosi scritti Eusebio si propone di riflettere e di fare il punto su tre secoli di cristianesimo, tre secoli vissuti sotto la persecuzione, attingendo largamente alle fonti cristiane e pagane conservate soprattutto nella grande biblioteca di Cesarea. Così, nonostante l’importanza oggettiva delle sue opere apologetiche, esegetiche e dottrinali, la fama imperitura di Eusebio resta legata in primo luogo ai dieci libri della sua Storia Ecclesiastica. È il primo che ha scritto una Storia della Chiesa, che rimane fondamentale grazie alle fonti poste da Eusebio a nostra disposizione per sempre. Con questa Storia egli riuscì a salvare da sicuro oblìo numerosi eventi, personaggi e opere letterarie della Chiesa antica. Si tratta quindi di una fonte primaria per la conoscenza dei primi secoli del cristianesimo.

Ci possiamo chiedere come egli abbia strutturato e con quali intenzioni abbia redatto questa opera nuova. All’inizio del primo libro lo storico elenca puntualmente gli argomenti che intende trattare nella sua opera: «Mi sono proposto di mettere per iscritto le successioni dei santi Apostoli e i tempi trascorsi, a partire da quelli del nostro Salvatore fino a noi; tutte le grandi cose che si dice siano state compiute durante la storia della Chiesa; tutti coloro che hanno diretto e guidato egregiamente le più illustri diocesi; e quelli che durante ogni generazione sono stati messaggeri della Parola divina con la parola o con gli scritti; e quali furono e quanti e in quale periodo di tempo quelli che per desiderio di novità, dopo essersi spinti il più possibile nell’errore, sono diventati interpreti e promotori di una falsa dottrina, e come lupi crudeli hanno spietatamente devastato il gregge di Cristo; …e con quanti e quali mezzi e in quali tempi fu combattuta da parte dei pagani la Parola divina; e gli uomini grandi che, per difenderla, sono passati attraverso dure prove di sangue e di torture; e finalmente le testimonianze del nostro tempo, e la misericordia e la benevolenza del nostro Salvatore verso tutti noi» (1,1,1-2). In questo modo Eusebio abbraccia diversi settori: la successione degli Apostoli come ossatura della Chiesa, la diffusione del Messaggio, gli errori, poi le persecuzioni da parte dei pagani e le grandi testimonianze che sono la luce in questa Storia. In tutto questo per lui traspaiono la misericordia e la benevolenza del Salvatore. Eusebio inaugura così la storiografia ecclesiastica, spingendo il suo racconto fino al 324, anno in cui Costantino, dopo la sconfitta di Licinio, fu acclamato unico imperatore di Roma. È l’anno precedente al grande Concilio di Nicea che poi offre la «summa» di quanto la Chiesa – dottrinalmente, moralmente e anche giuridicamente – aveva imparato in questi trecento anni.

La citazione che abbiamo appena riportato dal primo libro della Storia Ecclesiastica contiene una ripetizione sicuramente intenzionale. Per tre volte nell’arco di poche righe ritorna il titolo cristologico di Salvatore, e si fa esplicito riferimento alla «sua misericordia» e alla «sua benevolenza». Possiamo cogliere così la prospettiva fondamentale della storiografia eusebiana: la sua è una storia «cristocentrica», nella quale si svela progressivamente il mistero dell’amore di Dio per gli uomini. Con genuino stupore, Eusebio riconosce «che presso tutti gli uomini del mondo intero solo Gesù è detto, confessato, riconosciuto Cristo [cioè Messia e Salvatore del mondo], che è ricordato con questo nome sia dai greci sia dai barbari, che ancora oggi dai suoi discepoli sparsi in tutto il mondo egli è onorato come re, ammirato più di un profeta, glorificato come vero e unico sacerdote di Dio; e più di tutto ciò, in quanto Logos di Dio preesistente e tratto dall’essere prima di tutti i tempi, egli ha ricevuto dal Padre onore degno di venerazione, ed è adorato come Dio. Ma la cosa più straordinaria di tutte è che quanti gli siamo consacrati lo celebriamo non solo con le voci e il suono delle parole, ma con tutte le disposizioni dell’animo, così che mettiamo davanti alla nostra stessa vita la testimonianza resa a Lui» (1,3,19-20). Balza così in primo piano un’altra caratteristica, che rimarrà costante nell’antica storiografia ecclesiastica: è «l’intento morale» che presiede al racconto. L’analisi storica non è mai fine a se stessa; non è fatta solo per conoscere il passato; piuttosto, essa punta decisamente alla conversione e ad un’autentica testimonianza di vita cristiana da parte dei fedeli. È una guida per noi stessi.

In questo modo Eusebio interpella vivacemente i credenti di ogni tempo riguardo al loro modo di accostarsi alle vicende della storia e della Chiesa in particolare. Egli interpella anche noi: qual è il nostro atteggiamento nei confronti delle vicende della Chiesa? È l’atteggiamento di chi se ne interessa per una semplice curiosità, magari andando in cerca del sensazionale e dello scandalistico a ogni costo? Oppure è l’atteggiamento pieno d’amore, e aperto al mistero, di chi sa – per fede – di poter rintracciare nella storia della Chiesa i segni dell’amore di Dio e le grandi opere della salvezza da Lui compiute? Se questo è il nostro atteggiamento, non possiamo non sentirci stimolati a una risposta più coerente e generosa, a una testimonianza più cristiana di vita, per lasciare i segni dell'amore di Dio anche alle future generazioni.

«C’è un mistero», non si stancava di ripetere quell’eminente studioso dei Padri che fu il Cardinale Jean Daniélou: «C’è un contenuto nascosto nella storia … Il mistero è quello delle opere di Dio, che costituiscono nel tempo la realtà autentica, nascosta dietro le apparenze … Ma questa storia che Dio realizza per l’uomo, non la realizza senza di lui. Arrestarsi alla contemplazione delle “grandi cose” di Dio significherebbe vedere solo un aspetto delle cose. Di fronte ad esse sta la risposta degli uomini» (Saggio sul mistero della storia, ed. it., Brescia 1963, p. 182). A tanti secoli di distanza, anche oggi Eusebio di Cesarea invita i credenti, invita noi, a stupirci, a contemplare nella storia le grandi opere di Dio per la salvezza degli uomini. E con altrettanta energia egli ci invita alla conversione della vita. Infatti, di fronte a un Dio che ci ha amati così, non possiamo rimanere inerti. L’istanza propria dell’amore è che la vita intera sia orientata all’imitazione dell’Amato. Facciamo dunque di tutto per lasciare nella nostra vita una traccia trasparente dell’amore di Dio.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Mentre ci avviciniamo alla solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, affido al Suo amore voi, le vostre famiglie, le parrocchie e le altre comunità. Dal trafitto Cuore di Gesù scaturisca su tutti i fedeli l’abbondanza delle grazie. Vi benedico di cuore.

Saluto in lingua ceca:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini della Repubblica Ceca. Cari amici, vi ringrazio per la vostra visita e, mentre auspico che questo incontro susciti in voi un rinnovato desiderio di testimoniare Cristo, di cuore invoco su di voi e sulle vostre famiglie copiose benedizioni dal cielo. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua lituana:

Saluto cordialmente i sacerdoti novelli e i diaconi lituani, accompagnati dai loro familiari! Cari amici, mentre prego il Signore affinché vi sostenga in questo nel vostro ministero, vi invito a trasmettere intorno a voi la gioia della corrispondenza generosa e fedele alla divina chiamata. Il Signore vi benedica tutti! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini della Slovacchia che accompagnano i loro Vescovi, i quali compiono la visita Ad limina Apostolorum, specialmente ai pellegrini provenienti da Bratislava, Obišovce e Velká Lodina, ai diaconi di Košice, al Coro di Camera del Conservatorio di Bratislava, ai sacerdoti, alle persone consacrate e a tutti i fedeli. La vostra visita a Roma rafforzi la coscienza della appartenenza alla Chiesa universale. Di cuore tutti vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai Sacerdoti della Diocesi di Capodistria in Slovenia. Nella vostra odierna celebrazione del “dies sanctificationis”, imparto la mia paterna benedizione a voi, alle vostre Parrocchie e a tutti i pellegrini sloveni qui presenti, affidandovi al Santissimo Cuore di Gesù.

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Bambini della Prima Comunione della diocesi di Castellaneta, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Pietro Fragnelli. Cari piccoli amici, l’Eucarestia sia il vostro cibo spirituale per crescere nella conoscenza di Gesù e camminare sulla via della santità.

Saluto poi i rappresentanti dell’Associazione Volontari Italiani Sangue, che ricorda l’80° anniversario di fondazione. Cari amici, la vostra presenza sul territorio nazionale ha promosso in questi anni i valori della vita, della gratuità e della solidarietà. Continuate questo vostro importante servizio al prossimo, ispirandovi al Divino Maestro, che venerate specialmente nel tempio del “Preziosissimo Sangue” in Pianezze di Valdobbiadene.

Saluto altresì voi, cari membri del Gruppo Ricerca e Informazione Socio-Religiosa e mi compiaccio per il vostro impegno ecclesiale, teso a presentare ai cristiani i pericoli connessi con la diffusione delle sette e dei movimenti religiosi alternativi. Saluto, inoltre la Comunità Cenacolo di Saluzzo e i partecipanti al Torneo di Calcio Memorial Vincenzo Romano.

Saluto infine i giovani i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, per molti vostri coetanei sono iniziate le vacanze, mentre per altri questo è tempo di esami. Vi aiuti il Signore a vivere questo periodo con serenità e a sperimentare la sua protezione. Invito voi, cari malati, a trovare conforto nel Signore, che illumina la vostra sofferenza con il suo amore redentivo. A voi, cari sposi novelli, esprimo l'auspicio di scoprire il mistero di Dio che si dona per la salvezza di tutti, affinché il vostro amore sia sempre più vero e duraturo.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 20 giugno 2007: Sant’Atanasio di Alessandria

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Cari fratelli e sorelle,

continuando la nostra rivisitazione dei grandi Maestri della Chiesa antica, vogliamo rivolgere oggi la nostra attenzione a sant’Atanasio di Alessandria. Questo autentico protagonista della tradizione cristiana, già pochi anni dopo la morte, venne celebrato come «la colonna della Chiesa» dal grande teologo e Vescovo di Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come un modello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian Lorenzo Bernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale – insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino –, che nella meravigliosa abside della Basilica vaticana circondano la Cattedra di san Pietro.

Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande Santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (
Jn 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, riducendolo ad una creatura «media» tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia, e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana, Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario.

Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il Logos non era vero Dio, ma un Dio creato, un essere «medio» tra Dio e l’uomo, e così il vero Dio rimaneva sempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il «Simbolo della fede» che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimasto nella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella Liturgia come il Credo niceno-costantinopolitano. In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e che recitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine greco homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il Logos, è «della stessa sostanza» del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce la piena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani.

Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazione persino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. Questi, peraltro, che non si interessava tanto della verità teologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici, voleva politicizzare la fede, rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i sudditi nell’Impero.

La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 e il 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino. Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importante nel sostenere la fede di sant’Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo di Alessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica.

L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato su L’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio «si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità» (54,3). Con la sua risurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse «paglia nel fuoco» (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente «Dio con noi».

Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legate alle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amico Serapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza, e una trentina di lettere «festali», indirizzate all’inizio di ogni anno alle Chiese e ai monasteri dell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra i fedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità.

Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo Santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.

Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: «Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù» (93,5-6).

Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri Santi, ci mostra che «chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino» (Deus caritas est ).



Saluti nelle diverse lingue ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:


Cari pellegrini di lingua italiana,

sono lieto di accogliervi in questa Basilica e di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Auspico che la vostra visita alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo consolidi la vostra fede in Cristo e il legame con la Chiesa, che nasce dalla loro testimonianza di vita e dal loro martirio.

Assicuro la mia fervida preghiera per voi, per i vostri familiari e per tutte le vostre intenzioni. Tutti vi affido alla materna intercessione della Vergine Maria!


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Saluti nelle diverse lingue ai pellegrini presenti nell'Aula Paolo VI


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Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i polacchi ed in particolare modo i giovani che, fra qualche giorno, incominceranno le loro vacanze estive. Che questo tempo di riposo vi avvicini ancora di più a Dio: vi auguro che torniate dalle ferie arricchiti ed imbelliti spiritualmente. A tutti voi qui presenti, alle vostre famiglie, ai bambini ed ai giovani, una benedizione di cuore. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente i coniugi provenienti dalle parrocchie di Stolac, Studenci e Mostar. La benedizione di Dio accompagni le vostre famiglie, affinché il vostro amore e la vostra fedeltà reciproci siano viva immagine del rapporto tra Cristo e la sua Chiesa. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lettone:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Lettonia. Cari amici, vi ringrazio per la vostra visita e, mentre auspico che essa susciti in voi un rinnovato desiderio di testimoniare Cristo, invoco su di voi, sulle vostre famiglie e sulla vostra Patria la mia Benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua lituana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Lituania. Cari amici, vi esorto ad essere sempre coraggiosi testimoni di Cristo. Invoco su di voi, sulle persone care e sulla vostra Patria la Benedizione del Signore. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini provenienti dalle parrocchie Skalica a Štefanov. Fratelli e sorelle, pregate per i vostri sacerdoti novelli, ordinati in questo mese, perché fedelmente annunzino il Vangelo e celebrino i misteri divini. Volentieri benedico voi e tutti sacerdoti novelli. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua russa:

Rivolgo un deferente saluto alla Delegazione del Parlamento della Federazione Russa. Assicuro per voi e per i vostri connazionali la mia fervida preghiera. Di cuore tutti vi benedico!

Saluto in lingua ungherese:

Un saluto cordiale ai fedeli ungheresi, specialmente a quelli che provengono da Gyor e da Szombathely. Prendendo esempio da Sant’Atanasio siamo anche noi fermi nella fede. A voi e a tutti coloro che vi sono cari, imparto la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare i Cappellani del Sovrano Militare Ordine di Malta, i Soci del Motoclub di Castellazzo Bormida e gli alunni della Scuola Elementare di Alberobello. Vi ringrazio tutti, cari amici, per la vostra visita ed invoco su di voi e sulle vostre Comunità copiosi doni celesti per una sempre più solida testimonianza cristiana.

Saluto, inoltre, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria liturgica di san Luigi Gonzaga, mirabile esempio di austerità e purezza evangelica. Invocatelo, cari giovani, perché vi aiuti a costruire un'intima amicizia con Gesù che vi renda capaci di affrontare con serietà la vostra vita. Questo giovane santo sia per voi, cari malati, sostegno nel trasformare le sofferenze e le prove quotidiane in privilegiate occasioni per cooperare alla salvezza delle anime e renda voi, cari sposi novelli, testimoni di un amore casto e generoso. A tutti auguro ogni bene. Grazie per la vostra presenza!

APPELLO


Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite perché non venga meno nella pubblica opinione l’attenzione verso quanti sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi a seguito di reali pericoli di vita. Accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse. Per i cristiani è, inoltre, un modo concreto di manifestare l’amore evangelico. Auspico di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle duramente provati dalla sofferenza siano garantiti l’asilo e il riconoscimento dei loro diritti, e invito i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 27 giugno 2007: San Cirillo di Gerusalemme


Catechesi 2005-2013 60607