Catechesi 2005-2013 12097

Mercoledì, 12 settembre 2007: Viaggio Apostolico in Austria

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Cari fratelli e sorelle,

intendo oggi soffermarmi a riflettere sulla visita pastorale che ho avuto la gioia di compiere nei giorni scorsi in Austria, Paese che mi è particolarmente familiare, sia perché confinante con la mia terra natale sia per i numerosi contatti che con esso ho sempre avuto. Motivo specifico di questa visita era l’850.mo anniversario del Santuario di Mariazell, il più importante dell’Austria, prediletto anche dai fedeli ungheresi e molto frequentato da pellegrini di altre Nazioni limitrofe. Si è trattato dunque prima di tutto di un pellegrinaggio, che ha avuto come motto “Guardare a Cristo”: andare incontro a Maria che ci mostra Gesù. Ringrazio di cuore il Cardinale Schönborn, Arcivescovo di Vienna, e l’intero Episcopato del Paese per il grande impegno con cui hanno preparato e seguito la mia visita. Ringrazio il Governo austriaco e tutte le Autorità civili e militari che hanno prestato la loro valida collaborazione; in particolare, ringrazio il Signor Presidente Federale per la cordialità con cui mi ha accolto ed accompagnato nei vari momenti della visita. La prima tappa è stata presso la Mariensäule, storica colonna su cui è collocata la statua della Vergine Immacolata: lì ho incontrato migliaia di giovani e ho iniziato il mio pellegrinaggio. Non ho mancato poi di recarmi nella Judenplatz per rendere omaggio al monumento che ricorda la Shoah.

Tenendo conto della storia dell’Austria e dei suoi stretti rapporti con la Santa Sede, come pure dell’importanza di Vienna nella politica internazionale, il programma di questo mio viaggio pastorale ha previsto gli incontri con il Presidente della Repubblica e con il Corpo Diplomatico. Si tratta di occasioni preziose, in cui il Successore di Pietro ha la possibilità di esortare i Responsabili delle nazioni a favorire sempre la causa della pace e dell’autentico sviluppo economico e sociale. Guardando specialmente all’Europa, ho rinnovato il mio incoraggiamento a portare avanti l’attuale processo di unificazione sulla base di valori ispirati al comune patrimonio cristiano. Mariazell, del resto, è uno dei simboli dell’incontro dei popoli europei intorno alla fede cristiana. Come dimenticare che l’Europa è portatrice di una tradizione di pensiero che tiene legate fede, ragione e sentimento? Illustri filosofi, anche indipendentemente dalla fede, hanno riconosciuto il ruolo centrale svolto dal cristianesimo per preservare la coscienza moderna da derive nichilistiche o fondamentalistiche. L’incontro con le Autorità politiche e diplomatiche a Vienna è stato dunque quanto mai propizio per inserire il mio viaggio apostolico nel contesto attuale del continente europeo.

Il vero e proprio pellegrinaggio l’ho compiuto nella giornata di sabato 8 settembre, festa della Natività di Maria, a cui è intitolato il Santuario di Mariazell. Esso ebbe origine nel 1157, quando un monaco benedettino della vicina Abbazia di San Lambrecht, inviato a predicare in quel luogo, sperimentò il prodigioso soccorso di Maria, di cui portava con sé una piccola statua in legno. La cella (Zell) dove il monaco ripose la statuetta divenne in seguito meta di pellegrinaggi e, nel volgere di due secoli, fu edificato un importante santuario, dove ancor oggi si venera la Madonna delle Grazie, detta Magna Mater Austriae. E’ stata per me una grande gioia ritornare come Successore di Pietro in quel luogo santo e tanto caro alle genti dell’Europa centro-orientale. Lì ho ammirato l’esemplare coraggio di migliaia e migliaia di pellegrini che, nonostante la pioggia e il freddo, hanno voluto essere presenti a questa ricorrenza celebrativa, con grande gioia e fede, e dove ho illustrato loro il tema centrale della mia visita: “Guardare a Cristo”, tema che i Vescovi dell’Austria avevano sapientemente approfondito nell’itinerario di preparazione durato nove mesi. Ma solo giungendo nel Santuario abbiamo pienamente compreso il senso di quel motto: guardare a Gesù. Di fronte a noi stavano la statua della Madonna che con una mano indica Gesù Bambino, e in alto, sopra l’altare della Basilica, il Crocifisso. Là il nostro pellegrinaggio ha raggiunto la sua meta: abbiamo contemplato il volto di Dio in quel Bimbo in braccio alla Madre e in quell’Uomo con le braccia spalancate. Guardare Gesù con gli occhi di Maria significa incontrare Dio Amore, che per noi si è fatto uomo ed è morto in croce.

Al termine della Messa a Mariazell, ho conferito il “mandato” ai componenti dei Consigli pastorali parrocchiali, che sono stati da poco rinnovati in tutta l’Austria. Un eloquente gesto ecclesiale, col quale ho posto sotto la protezione di Maria la grande “rete” delle parrocchie al servizio della comunione e della missione. Al Santuario ho vissuto poi momenti di gioiosa fraternità con i Vescovi del Paese e la Comunità benedettina. Ho incontrato i sacerdoti, i religiosi, i diaconi e i seminaristi e con loro ho celebrato i Vespri. Spiritualmente uniti a Maria, abbiamo magnificato il Signore per l’umile dedizione di tanti uomini e donne che si affidano alla sua misericordia e si consacrano al servizio di Dio. Queste persone, pur con i loro limiti umani, anzi, proprio nella semplicità e nell’umiltà della loro umanità, si sforzano di offrire a tutti un riflesso della bontà e della bellezza di Dio, seguendo Gesù nella via della povertà, della castità e dell’obbedienza, tre voti che vanno ben compresi nel loro autentico significato cristologico, non individualistico ma relazionale ed ecclesiale.

La mattina di domenica ho poi celebrato la solenne Eucaristia nella Cattedrale di Santo Stefano a Vienna. Nell’omelia, ho voluto approfondire in modo particolare il significato e il valore della Domenica, a sostegno del movimento “Alleanza in difesa della domenica libera”. A questo movimento aderiscono anche persone e gruppi non cristiani. Come credenti, naturalmente, abbiamo motivazioni profonde per vivere il Giorno del Signore, così come la Chiesa ci ha insegnato. “Sine dominico non possumus!”: senza il Signore e senza il suo Giorno non possiamo vivere, dichiararono i martiri di Abitene (attuale Tunisia) nell’anno 304. Anche noi, cristiani del Duemila, non possiamo vivere senza la Domenica: un giorno che dà senso al lavoro e al riposo, attualizza il significato della creazione e della redenzione, esprime il valore della libertà e del servizio al prossimo… tutto questo è la domenica: ben più di un precetto! Se le popolazioni di antica civiltà cristiana abbandonano questo significato e lasciano che la domenica si riduca a week-end o ad occasione per interessi mondani e commerciali, vuol dire che hanno deciso di rinunciare alla propria cultura.

Non lontano da Vienna si trova l’Abbazia di Heiligenkreuz, della Santa Croce, ed è stata per me una gioia visitare quella fiorente comunità di monaci cistercensi, che esiste senza interruzione da 874 anni! Annessa all’Abbazia vi è la Scuola Superiore di Filosofia e Teologia, che da poco ha acquisito il titolo di “Pontificia”. Rivolgendomi in particolare ai monaci, ho richiamato il grande insegnamento di San Benedetto circa l’Officio divino, sottolineando il valore della preghiera come servizio di lode e di adorazione dovuto a Dio per la sua infinita bellezza e bontà. A questo servizio sacro nulla va anteposto – dice la Regola benedettina (43,3) – così che tutta la vita, con i tempi del lavoro e del riposo, sia ricapitolata nella liturgia e orientata a Dio. Anche lo studio teologico non può essere separato dalla vita spirituale e dalla preghiera, come sostenne con forza proprio San Bernardo di Chiaravalle, padre dell’Ordine cistercense. La presenza dell’Accademia di Teologia accanto all’Abbazia attesta questo connubio tra fede e ragione, tra cuore e mente.

Ultimo incontro del mio viaggio è stato quello con il mondo del volontariato. Ho voluto così manifestare il mio apprezzamento alle tante persone, di diverse età, che si impegnano gratuitamente al servizio del prossimo, sia nella comunità ecclesiale che in quella civile. Il volontariato non è soltanto un “fare”: è prima di tutto un modo di essere, che parte dal cuore, da un atteggiamento di gratitudine verso la vita, e spinge a “restituire” e condividere con il prossimo i doni ricevuti. In questa prospettiva, ho voluto incoraggiare nuovamente la cultura del volontariato. L’azione del volontario non va vista come un intervento “tappabuchi” nei confronti dello Stato e delle pubbliche istituzioni, ma piuttosto come una presenza complementare e sempre necessaria per tenere viva l’attenzione agli ultimi e promuovere uno stile personalizzato negli interventi. Non c’è, pertanto, nessuno che non possa essere un volontario: anche la persona più indigente e svantaggiata, ha sicuramente molto da condividere con gli altri offrendo il proprio contributo per costruire la civiltà dell’amore.

In conclusione, rinnovo il mio rendimento di grazie al Signore per questa visita-pellegrinaggio in Austria. Meta centrale è stato ancora una volta un Santuario mariano, attorno al quale si è potuto vivere una forte esperienza ecclesiale, come una settimana prima era accaduto a Loreto con i giovani italiani. Inoltre a Vienna e a Mariazell è apparsa in particolare la realtà viva, fedele e variegata della Chiesa cattolica presente così numerosa negli appuntamenti previsti. Si è trattato di una presenza gioiosa e coinvolgente, di una Chiesa che, come Maria, è chiamata sempre a “guardare a Cristo” per poterlo mostrare ed offrire a tutti; una Chiesa maestra e testimone di un “sì” generoso alla vita in ogni sua dimensione; una Chiesa che attualizza la sua bimillenaria tradizione al servizio di un futuro di pace e di vero progresso sociale per l’intera famiglia umana.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto e un caloroso saluto ai pellegrini cechi delle Parrocchie di Vilémov, Hermanuv Mestec e Nový Rychnov. Benedico volentieri voi e tutti i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto i pellegrini croati, particolarmente i professori e gli studenti dell’Istituto superiore teologico-catechetico di Zadar, i fedeli della parrocchia di Jesenice dalla Bosnia ed Erzegovina ed i croati provenienti dalla diocesi di Gyor in Ungheria. La benedizione di Dio scenda su di voi e sulle vostre famiglie e vi rimanga sempre. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Ricordando il mio Viaggio apostolico in Austria, ringrazio tutti voi per il sostegno spirituale e le vostre preghiere. A Maria Santissima della quale, nella liturgia di oggi onoriamo il nome, affido i frutti del mio pellegrinaggio ringraziandoLa per l’850° anniversario della Sua presenza a Mariazell. Alla Sua protezione affido voi tutti qui presenti e i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai partecipanti del Simposio sul Vescovo Ivan Jožef Tomažic. Nel vostro studio vi siano d’ispirazione lo zelo e la dedicazione con cui nei tempi difficili quel saggio pastore svolse il suo servizio al Signore ed alla sua Chiesa. Di cuore vi imparto la mia benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Un cordiale saluto ai pellegrini ungheresi, i quali sono venuti da Gyor e Székelyudvarhely. Nel giorno della festa del nome di Maria, chiediamo a Lei la celeste intercessione. Di cuore imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore di S. Paolo di Chartres, che sono venute, in occasione della loro Assemblea capitolare, a rinnovare al Successore di Pietro sentimenti di affetto e di profonda comunione ecclesiale. Saluto, poi, il gruppo della Facoltà teologica di Lugano, esortando ciascuno a crescere sempre più nella fedele e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli.

Carissimi, sabato scorso abbiamo celebrato la festa della Natività della Vergine e oggi commemoriamo il suo Santo Nome. La celeste Madre di Dio, che ci accompagna lungo tutto l’anno liturgico, guidi voi, cari giovani, sul cammino d’una sempre più perfetta adesione al Vangelo; incoraggi voi, cari ammalati, ad accogliere con serenità la volontà di Dio; sostenga voi, cari sposi novelli, nel costruire giorno dopo giorno una convivenza familiare, che si ispiri allo stile della casa di Nazaret.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 19 settembre 2007: San Giovanni Crisostomo - I: Gli anni di Antiochia

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Cari fratelli e sorelle,

quest’anno ricorre il sedicesimo centenario della morte di san Giovanni Crisostomo (407-2007). Giovanni di Antiochia, detto Crisostomo, cioè «Bocca d’oro» per la sua eloquenza, può dirsi vivo ancora oggi, anche a motivo delle sue opere. Un anonimo copista lasciò scritto che esse «attraversano tutto l’orbe come fulmini guizzanti». I suoi scritti permettono anche a noi, come ai fedeli del suo tempo, che ripetutamente furono privati di lui a causa dei suoi esili, di vivere con i suoi libri, nonostante la sua assenza. E’ quanto egli stesso suggeriva dall’esilio in una sua lettera (cfr A Olimpiade, Lettera 8,45).

Nato intorno al 349 ad Antiochia di Siria (oggi Antakya, nel sud della Turchia), vi svolse il ministero presbiterale per circa undici anni, fino al 397, quando, nominato Vescovo di Costantinopoli, esercitò nella capitale dell’Impero il ministero episcopale prima dei due esili, seguiti a breve distanza l’uno dall’altro, fra il 403 e il 407. Ci limitiamo oggi a considerare gli anni antiocheni del Crisostomo.

Orfano di padre in tenera età, visse con la madre, Antusa, che trasfuse in lui una squisita sensibilità umana e una profonda fede cristiana. Frequentando gli studi superiori, coronati dai corsi di filosofia e di retorica, ebbe come maestro Libanio, pagano, il più celebre retore del tempo. Alla sua scuola, Giovanni divenne il più grande oratore della tarda antichità greca. Battezzato nel 368 e formato alla vita ecclesiastica dal Vescovo Melezio, fu da lui istituito lettore nel 371. Questo fatto segnò l’ingresso ufficiale del Crisostomo nel cursus ecclesiastico. Frequentò, dal 367 al 372, l’Asceterio, una sorta di seminario di Antiochia, insieme con un gruppo di giovani, alcuni dei quali divennero poi Vescovi, sotto la guida del famoso esegeta Diodoro di Tarso, che avviò Giovanni all'esegesi storico-letterale, caratteristica della tradizione antiochena.

Si ritirò poi per quattro anni tra gli eremiti sul vicino monte Silpio. Proseguì quel ritiro per altri due anni, vissuti da solo in una grotta sotto la guida di un «anziano». In quel periodo si dedicò totalmente a meditare «le leggi di Cristo», i Vangeli e specialmente le Lettere di Paolo. Ammalatosi, si trovò nell’impossibilità di curarsi da solo, e dovette perciò ritornare nella comunità cristiana di Antiochia (cfr Palladio, Vita 5). Il Signore – spiega il biografo – intervenne con l’infermità al momento giusto per permettere a Giovanni di seguire la sua vera vocazione. In effetti scriverà lui stesso che, posto nell’alternativa di scegliere tra le traversie del governo della Chiesa e la tranquillità della vita monastica, avrebbe preferito mille volte il servizio pastorale (cfr Il sacerdozio 6,7): proprio a questo il Crisostomo si sentiva chiamato. E qui si compie la svolta decisiva della sua storia vocazionale: Pastore d’anime a tempo pieno! L’intimità con la Parola di Dio, coltivata durante gli anni del romitaggio, aveva maturato in lui l’urgenza irresistibile di predicare il Vangelo, di donare agli altri quanto egli aveva ricevuto negli anni della meditazione. L’ideale missionario lo lanciò così, anima di fuoco, nella cura pastorale.

Fra il 378 e il 379 ritornò in città. Diacono nel 381 e presbitero nel 386, divenne celebre predicatore nelle chiese della sua città. Tenne omelie contro gli ariani, seguite da quelle commemorative dei martiri antiocheni e da altre sulle festività liturgiche principali: si tratta di un grande insegnamento della fede in Cristo, anche alla luce dei suoi Santi. Il 387 fu l’«anno eroico» di Giovanni, quello della cosiddetta «rivolta delle statue». Il popolo abbatté le statue imperiali, in segno di protesta contro l’aumento delle tasse. Si vede che alcune cose nella storia non cambiano! In quei giorni di Quaresima e di angoscia, a motivo delle incombenti punizioni da parte dell’imperatore, egli tenne le sue 22 vibranti Omelie sulle statue, finalizzate alla penitenza e alla conversione. Seguì il periodo della serena cura pastorale (387-397).

Il Crisostomo si colloca tra i Padri più prolifici: di lui ci sono giunti 17 trattati, più di 700 omelie autentiche, i commenti a Matteo e a Paolo (Lettere ai Romani, ai Corinti, agli agli ), e 241 lettere. Non fu un teologo speculativo. Trasmise, però, la dottrina tradizionale e sicura della Chiesa in un’epoca di controversie teologiche suscitate soprattutto dall’arianesimo, cioè dalla negazione della divinità di Cristo. È pertanto un testimone attendibile dello sviluppo dogmatico raggiunto dalla Chiesa nel IV-V secolo. La sua è una teologia squisitamente pastorale, in cui è costante la preoccupazione della coerenza tra il pensiero espresso dalla parola e il vissuto esistenziale. È questo, in particolare, il filo conduttore delle splendide catechesi, con le quali egli preparava i catecumeni a ricevere il Battesimo. Prossimo alla morte, scrisse che il valore dell’uomo sta nella «conoscenza esatta della vera dottrina e nella rettitudine della vita» (Lettera dall’esilio). Le due cose, conoscenza della verità e rettitudine nella vita, vanno insieme: la conoscenza deve tradursi in vita. Ogni suo intervento mirò sempre a sviluppare nei fedeli l’esercizio dell’intelligenza, della vera ragione, per comprendere e tradurre in pratica le esigenze morali e spirituali della fede.

Giovanni Crisostomo si preoccupa di accompagnare con i suoi scritti lo sviluppo integrale della persona, nelle dimensioni fisica, intellettuale e religiosa. Le varie fasi della crescita sono paragonate ad altrettanti mari di un immenso oceano: «Il primo di questi mari è l’infanzia» (Omelia 81,5 sul Vangelo di ). Infatti «proprio in questa prima età si manifestano le inclinazioni al vizio e alla virtù». Perciò la legge di Dio deve essere fin dall’inizio impressa nell’anima «come su una tavoletta di cera» (Omelia 3,1 sul Vangelo di ): di fatto è questa l’età più importante. Dobbiamo tener presente come è fondamentale che in questa prima fase della vita entrino realmente nell’uomo i grandi orientamenti che danno la prospettiva giusta all’esistenza. Crisostomo perciò raccomanda: «Fin dalla più tenera età premunite i bambini con armi spirituali, e insegnate loro a segnare la fronte con la mano» (Omelia 12,7 sulla prima Lettera ai Corinzi). Vengono poi l’adolescenza e la giovinezza: «All'infanzia segue il mare dell’adolescenza, dove i venti soffiano violenti..., perchè in noi cresce... la concupiscenza» (Omelia 81,5 sul Vangelo di ). Giungono infine il fidanzamento e il matrimonio: «Alla giovinezza succede l’età della persona matura, nella quale sopraggiungono gli impegni di famiglia: è il tempo di cercare moglie” (ibid.). Del matrimonio egli ricorda i fini, arricchendoli – con il richiamo alla virtù della temperanza – di una ricca trama di rapporti personalizzati. Gli sposi ben preparati sbarrano così la via al divorzio: tutto si svolge con gioia e si possono educare i figli alla virtù. Quando poi nasce il primo bambino, questi è «come un ponte; i tre diventano una carne sola, poiché il figlio congiunge le due parti» (Omelia 12,5 sulla Lettera ai ), e i tre costituiscono «una famiglia, piccola Chiesa» (Omelia 20,6 sulla Lettera agli ).

La predicazione del Crisostomo si svolgeva abitualmente nel corso della liturgia, «luogo» in cui la comunità si costruisce con la Parola e l’Eucaristia. Qui l’assemblea riunita esprime l’unica Chiesa (Omelia 8,7 sulla Lettera ai ), la stessa parola è rivolta in ogni luogo a tutti (Omelia 24,2 sulla prima Lettera ai Corinzi), e la comunione eucaristica si rende segno efficace di unità (Omelia 32,7 sul Vangelo di ). Il suo progetto pastorale era inserito nella vita della Chiesa, in cui i fedeli laici col Battesimo assumono l’ufficio sacerdotale, regale e profetico. Al fedele laico egli dice: «Pure te il Battesimo fa re, sacerdote e profeta» (Omelia 3,5 sulla seconda Lettera ai Corinzi). Scaturisce di qui il dovere fondamentale della missione, perché ciascuno in qualche misura è responsabile della salvezza degli altri: «Questo è il principio della nostra vita sociale... non interessarci solo di noi!» (Omelia 9,2 sulla ). Il tutto si svolge tra due poli: la grande Chiesa e la «piccola Chiesa», la famiglia, in reciproco rapporto.

Come potete vedere, cari fratelli e sorelle, questa lezione del Crisostomo sulla presenza autenticamente cristiana dei fedeli laici nella famiglia e nella società, rimane ancor oggi più che mai attuale. Preghiamo il Signore perché ci renda docili agli insegnamenti di questo grande Maestro della fede.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, san Giovanni Crisostomo, attraverso l’odierna catechesi, ci ha ricordato la necessità dell’autentica vita evangelica e, particolarmente, l’esigenza della testimonianza cristiana nella vita di famiglia e nella società. Che i nostri cuori siano aperti all’insegnamento di questo grande Maestro della fede. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ungherese:

Un cordiale saluto ai pellegrini ungheresi pervenuti sia dall’Ungheria, sia da altri paesi. Il vostro pellegrinaggio rafforzi la vostra fede e la vostra fedeltà alla Chiesa. Vi accompagni sempre la mia benedizione! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua lituana:

Saluto cordialmente i pellegrini Lituani. Cari amici, auguro che il vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli rafforzi la vostra fede e il vostro amore per il prossimo. Di cuore vi imparto la mia benedizione!

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini dell'Apostolato di Fatima, della Diocesi di Hradec Králové, come anche ai pellegrini di Praga e della Parrocchia di Krnov. Possa questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo accrescere in voi il desiderio di perfezione spirituale. Con questi voti, volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia. Fratelli e sorelle, dopodomani celebreremo la festa di San Matteo, Apostolo ed Evangelista. La sua generosa risposta alla chiamata di Cristo illumini la vostra vita cristiana. Con tali voti di cuore benedico voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto i pellegrini croati, in modo speciale i membri delle forze aeree croate e gli ufficiali dell’Ordinariato Militare. La benedizione di Dio sia sempre su di voi e sulle vostre famiglie e vi custodisca nella gioia e nella pace. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *


Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai Carmelitani e ai Chierici Regolari della Madre di Dio che, durante le rispettive Assemblee capitolari, sono venuti a rinnovare al Successore di Pietro i sentimenti di affetto. Su ciascuno invoco la continua protezione di Dio e della Vergine Santissima per un fecondo servizio alla Chiesa.

Saluto, poi, i partecipanti al corso di aggiornamento in diritto canonico, promosso dall’Ateneo della Santa Croce, e li esorto a far tesoro di tale preziosa occasione di formazione giuridica per poter offrire alle proprie Diocesi e comunità un servizio qualificato e zelante. Saluto, altresì, i fedeli della parrocchia di S. Leonardo in Malgrate, convenuti con il loro concittadino il Signor Cardinale Angelo Scola in occasione del quarto centenario di fondazione della parrocchia. Cari amici, auspico che tale fausta ricorrenza costituisca per voi un'occasione di vitalità spirituale nella fedele e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. L'amicizia nei confronti di Gesù, cari giovani, sia per voi fonte di gioia e motivo per compiere scelte impegnative.Essa rechi conforto anche a voi, cari malati, nei momenti difficili ed infonda sollievo al corpo e allo spirito. Cari sposi novelli, rimanete uniti a Cristo per corrispondere fedelmente alla vostra vocazione nell'amore reciproco.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 26 settembre 2007: San Giovanni Crisostomo - II: Gli anni di Costantinopoli

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Cari fratelli e sorelle,

continuiamo oggi la nostra riflessione su san Giovanni Crisostomo. Dopo il periodo passato ad Antiochia, nel 397 egli fu nominato Vescovo di Costantinopoli, la capitale dell’Impero romano d’Oriente. Fin dall’inizio, Giovanni progettò la riforma della sua Chiesa: l’austerità del palazzo episcopale doveva essere di esempio per tutti – clero, vedove, monaci, persone della corte e ricchi. Purtroppo, non pochi di essi, toccati dai suoi giudizi, si allontanarono da lui. Sollecito per i poveri, Giovanni fu chiamato anche «l’Elemosiniere». Da attento amministratore, infatti, era riuscito a creare istituzioni caritative molto apprezzate. La sua intraprendenza nei vari campi ne fece per alcuni un pericoloso rivale. Egli, tuttavia, come vero Pastore, trattava tutti in modo cordiale e paterno. In particolare, riservava accenti sempre teneri per la donna e cure speciali per il matrimonio e la famiglia. Invitava i fedeli a partecipare alla vita liturgica, da lui resa splendida e attraente con geniale creatività.

Nonostante il suo cuore buono, non ebbe una vita tranquilla. Pastore della capitale dell’Impero, si trovò coinvolto spesso in questioni e intrighi politici, a motivo dei suoi continui rapporti con le autorità e le istituzioni civili. Sul piano ecclesiastico, poi, avendo deposto in Asia nel 401 sei Vescovi indegnamente eletti, fu accusato di aver varcato i confini della propria giurisdizione, e diventò così bersaglio di facili accuse. Un altro pretesto contro di lui fu la presenza di alcuni monaci egiziani, scomunicati dal patriarca Teofilo di Alessandria e rifugiatisi a Costantinopoli. Una vivace polemica fu poi originata dalle critiche mosse dal Crisostomo all’imperatrice Eudossia e alle sue cortigiane, che reagirono gettando su di lui discredito e insulti. Si giunse così alla sua deposizione, nel sinodo organizzato dallo stesso patriarca Teofilo nel 403, con la conseguente condanna al primo breve esilio. Dopo il suo rientro, l’ostilità suscitata contro di lui dalla protesta contro le feste in onore dell’imperatrice – che il Vescovo considerava come feste pagane, lussuose –, e la cacciata dei presbiteri incaricati dei Battesimi nella Veglia pasquale del 404 segnarono l’inizio della persecuzione di Crisostomo e dei suoi seguaci, i cosiddetti «Giovanniti».

Allora Giovanni denunciò per lettera i fatti al Vescovo di Roma, Innocenzo I. Ma era ormai troppo tardi. Nell’anno 406 dovette di nuovo recarsi in esilio, questa volta a Cucusa, in Armenia. Il Papa era convinto della sua innocenza, ma non aveva il potere di aiutarlo. Un Concilio, voluto da Roma per una pacificazione tra le due parti dell’Impero e tra le loro Chiese, non poté avere luogo. Lo spostamento logorante da Cucusa verso Pytius, mèta mai raggiunta, doveva impedire le visite dei fedeli e spezzare la resistenza dell’esule sfinito: la condanna all’esilio fu una vera condanna a morte! Sono commoventi le numerose lettere dall’esilio, in cui Giovanni manifesta le sue preoccupazioni pastorali con accenti di partecipazione e di dolore per le persecuzioni contro i suoi. La marcia verso la morte si arrestò a Comana nel Ponto. Qui Giovanni moribondo fu portato nella cappella del martire san Basilisco, dove esalò lo spirito a Dio e fu sepolto, martire accanto al martire (Palladio, Vita 119). Era il 14 settembre 407, festa dell’Esaltazione della santa Croce. La riabilitazione ebbe luogo nel 438 con Teodosio II. Le reliquie del santo Vescovo, deposte nella chiesa degli Apostoli a Costantinopoli, furono poi trasportate nel 1204 a Roma, nella primitiva Basilica costantiniana, e giacciono ora nella cappella del Coro dei Canonici della Basilica di San Pietro. Il 24 agosto 2004 una parte cospicua di esse fu donata dal Papa Giovanni Paolo II al Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli. La memoria liturgica del Santo si celebra il 13 settembre. Il beato Giovanni XXIII lo proclamò patrono del Concilio Vaticano II.

Di Giovanni Crisostomo si disse che, quando fu assiso sul trono della Nuova Roma, cioè di Costantinopoli, Dio fece vedere in lui un secondo Paolo, un dottore dell’Universo. In realtà, nel Crisostomo c’è un’unità sostanziale di pensiero e di azione ad Antiochia come a Costantinopoli. Cambiano solo il ruolo e le situazioni. Meditando sulle otto opere compiute da Dio nella sequenza dei sei giorni nel commento della Genesi, il Crisostomo vuole riportare i fedeli dalla creazione al Creatore: «È un gran bene», dice, «conoscere ciò che è la creatura e ciò che è il Creatore». Ci mostra la bellezza della creazione e la trasparenza di Dio nella sua creazione, la quale diventa così quasi una «scala» per salire a Dio, per conoscerlo. Ma a questo primo passo se ne aggiunge un secondo: questo Dio creatore è anche il Dio della condiscendenza (synkatábasis). Noi siamo deboli nel «salire», i nostri occhi sono deboli. E così Dio diventa il Dio della condiscendenza, che invia all’uomo caduto e straniero una lettera, la Sacra Scrittura, cosicché creazione e Scrittura si completano. Nella luce della Scrittura, della lettera che Dio ci ha dato, possiamo decifrare la creazione. Dio è chiamato «padre tenero» (philostórghios) (ibid.), medico delle anime (Omelia 40,3 sulla ), madre (ibid.) e amico affettuoso (La provvidenza 8,11-12). Ma a questo secondo passo – prima la creazione come «scala» verso Dio e poi la condiscendenza di Dio tramite una lettera che ci ha dato, la Sacra Scrittura – si aggiunge un terzo passo. Dio non solo ci trasmette una lettera: in definitiva, scende Lui stesso, si incarna, diventa realmente «Dio con noi», nostro fratello fino alla morte sulla Croce. E a questi tre passi – Dio è visibile nella creazione, Dio ci dà una sua lettera, Dio scende e diventa uno di noi – si aggiunge alla fine un quarto passo. All’interno della vita e dell’azione del cristiano, il principio vitale e dinamico è lo Spirito Santo (Pneuma), che trasforma le realtà del mondo. Dio entra nella nostra stessa esistenza tramite lo Spirito Santo e ci trasforma dall’interno del nostro cuore.

Su questo sfondo, proprio a Costantinopoli Giovanni, nel commento continuato degli Atti degli Apostoli, propone l’esperienza della Chiesa primitiva (
Ac 4,32-37) come modello per la società, sviluppando un’ «utopia» sociale (quasi una «città ideale»). Si trattava infatti di dare un’anima e un volto cristiano alla città. In altre parole, Crisostomo ha capito che non è sufficiente fare elemosina, aiutare i poveri di volta in volta, ma è necessario creare una nuova struttura, un nuovo modello di società: un modello basato sulla prospettiva del Nuovo Testamento. È la nuova società che si rivela nella Chiesa nascente. Quindi Giovanni Crisostomo diventa realmente così uno dei grandi Padri della Dottrina sociale della Chiesa: la vecchia idea della «polis» greca va sostituita da una nuova idea di città ispirata alla fede cristiana. Crisostomo sosteneva con Paolo (cfr 1Co 8,11) il primato del singolo cristiano, della persona in quanto tale, anche dello schiavo e del povero. Il suo progetto corregge così la tradizionale visione greca della «polis», della città, in cui larghi strati della popolazione erano esclusi dai diritti di cittadinanza, mentre nella città cristiana tutti sono fratelli e sorelle con uguali diritti. Il primato della persona è anche la conseguenza del fatto che realmente partendo da essa si costruisce la città, mentre nella «polis» greca la patria era al di sopra del singolo, il quale era totalmente subordinato alla città nel suo insieme. Così con Crisostomo comincia la visione di una società costruita dalla coscienza cristiana. Ed egli ci dice che la nostra «polis» è un’altra, «la nostra patria è nei cieli» (Ph 3,20) e questa nostra patria ci rende tutti uguali, fratelli e sorelle, anche su questa terra, e ci obbliga alla solidarietà.

Al termine della sua vita, dall’esilio ai confini dell’Armenia, «il luogo più remoto del mondo», Giovanni, ricongiungendosi alla sua prima predicazione del 386, riprese il tema a lui caro del piano che Dio persegue nei confronti dell’umanità: è un piano «indicibile e incomprensibile», ma sicuramente guidato da Lui con amore (cfr La provvidenza 2,6). Questa è la nostra certezza. Anche se non possiamo decifrare i dettagli della storia personale e collettiva, sappiamo che il piano di Dio è sempre ispirato dal suo amore. Così, nonostante le sue sofferenze, il Crisostomo riaffermava la scoperta che Dio ama ognuno di noi con un amore infinito, e perciò vuole la salvezza di tutti. Da parte sua, il santo Vescovo cooperò a questa salvezza generosamente, senza risparmiarsi, lungo tutta la sua vita. Considerava infatti ultimo fine della sua esistenza quella gloria di Dio, che – ormai morente – lasciò come estremo testamento: «Gloria a Dio per tutto!» (Palladio, Vita 11).

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini della Boemia e della Moravia, in particolare ai parrocchiani di Jimramov. Dopodomani festeggeremo il Patrono della Chiesa Ceca, San Venceslao, martire. Rimanete sempre fedeli all'eredità spirituale di questo gigante della storia della vostra Patria! Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i partecipanti al Secondo pellegrinaggio dell’Ordinariato militare guidato dal loro Vescovo S.E.Mons. František Rábek, gli studenti del Ginnasio di S. Tommaso d’Aquino di Košice come pure i pellegrini provenienti da Bratislava, Nitra, Mokroluh, Tarnov e Pieštany. Cari fratelli e sorelle, vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e volentieri imparto la Benedizione Apostolica a tutti voi ed ai vostri familiari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto i pellegrini croati, in modo speciale i fedeli della parrocchia di San Pietro e Paolo di Mackovec. Ricevendo frequentemente i Sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, potrete custodire la vostra comunione con Cristo e con la sua Chiesa. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. San Giovanni Crisostomo con la sua vita e la parola diede la testimonianza che Dio ama ognuno e ognuna di noi con un amore infinito, e vuole la salvezza di tutti. La presenza a Roma vi aiuti a vivere in fede questa verità. Dio vi benedica.

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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, sono lieto di accogliere i sacerdoti dei Pontifici Collegi San Pietro e San Paolo, provenienti da vari Paesi, come pure i Legionari di Cristo, ed auguro a ciascuno un sereno e proficuo impegno di studio.

Saluto poi i fedeli della parrocchia Santa Maria Assunta, in Gioia dei Marsi, i rappresentanti dell'Unione Consoli Onorari d'Italia e l'Associazione Ragazzi del Cielo-Ragazzi della terra. Auspico che da questa sosta presso le tombe degli Apostoli, tutti possano ricavare abbondanti frutti sia per la vita personale che per quella comunitaria.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. L'esempio di carità di san Vincenzo de' Paoli, di cui domani faremo memoria, incoraggi voi, cari giovani, a progettare il vostro futuro come un generoso servizio al prossimo. Aiuti voi, cari malati, a trovare nella sofferenza il conforto di Cristo. E solleciti voi, cari sposi novelli, a conservare nella vostra famiglia una costante attenzione ai poveri.


Piazza San Pietro

Mercoledì, 3 ottobre 2007: San Cirillo di Alessandria


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