Catechesi 2005-2013 14117

Mercoledì, 14 novembre 2007: San Girolamo - II: La dottrina

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Cari fratelli e sorelle,

continuiamo oggi la presentazione della figura di san Girolamo. Come abbiamo detto mercoledì scorso, egli dedicò la sua vita allo studio della Bibbia, tanto che fu riconosciuto da un mio Predecessore, il Papa Benedetto XV, come «dottore eminente nell’interpretazione delle Sacre Scritture». Girolamo sottolineava la gioia e l’importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare – già qui, sulla terra – nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (
Ep 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). E’ sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum (n. 25).

Veramente «innamorato» della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. Leggere la Scrittura è conversare con Dio: «Se preghi – egli scrive a una nobile giovinetta di Roma –, tu parli con lo Sposo; se leggi, è Lui che ti parla» (Ep 22,25). Lo studio e la meditazione della Scrittura rendono l’uomo saggio e sereno (cfr Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Certo, per penetrare sempre più profondamente la Parola di Dio è necessaria un’applicazione costante e progressiva. Così Girolamo raccomandava al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare» (Ep 52,7). Alla matrona romana Leta dava questi consigli per l’educazione cristiana della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini» (Ep 107,9 Ep 107,12). Con la meditazione e la scienza delle Scritture si «mantiene l’equilibrio dell’anima» (Commento alla Lettera agli Efesini, prol.). Solo un profondo spirito di preghiera e l’aiuto dello Spirito Santo possono introdurci alla comprensione della Bibbia: «Nell’interpretazione della Sacra Scrittura noi abbiamo sempre bisogno del soccorso dello Spirito Santo» (Commento a Michea 1,1,10,15).

Un appassionato amore per le Scritture pervase dunque tutta la vita di Girolamo, un amore che egli cercò sempre di destare anche nei fedeli. Raccomandava ad una sua figlia spirituale: «Ama la Sacra Scrittura e la saggezza ti amerà; amala teneramente, ed essa ti custodirà; onorala e riceverai le sue carezze. Che essa sia per te come le tue collane e i tuoi orecchini» (Ep 130,20). E ancora: «Ama la scienza della Scrittura, e non amerai i vizi della carne» (Ep 125,11).

Per Girolamo un fondamentale criterio di metodo nell’interpretazione delle Scritture era la sintonia con il Magistero della Chiesa. Non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire. Per il grande esegeta un’autentica interpretazione della Bibbia doveva essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Non si tratta di un’esigenza imposta a questo Libro dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la Sacra Scrittura. Perciò Girolamo ammoniva un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono» (Ep 52,7). In particolare, dato che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa su Pietro, ogni cristiano – egli concludeva – deve essere in comunione «con la Cattedra di san Pietro. Io so che su questa pietra è edificata la Chiesa» (Ep 15,2). Conseguentemente, senza mezzi termini, dichiarava: «Io sono con chiunque sia unito alla Cattedra di san Pietro» (Ep 16).

Girolamo ovviamente non trascura l’aspetto etico. Spesso, anzi, egli richiama il dovere di accordare la vita con la Parola divina: solo vivendola troviamo anche la capacità di capirla. Tale coerenza è indispensabile per ogni cristiano e particolarmente per il predicatore, affinché le sue azioni, quando fossero discordanti rispetto ai discorsi, non lo mettano in imbarazzo. Così esorta il sacerdote Nepoziano: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non agisci così?”. Carino davvero quel maestro che, a pancia piena, disquisisce sul digiuno; anche un ladro può biasimare l’avarizia; ma nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare» (Ep 52,7). In un’altra lettera Girolamo ribadisce: «Anche se possiede una dottrina splendida, resta svergognata quella persona che si sente condannare dalla propria coscienza» (Ep 127,4). Sempre in tema di coerenza, egli osserva: il Vangelo deve tradursi in atteggiamenti di vera carità, perché in ogni essere umano è presente la Persona stessa di Cristo. Rivolgendosi, ad esempio, al presbitero Paolino (che divenne poi Vescovo di Nola e Santo), Girolamo così lo consiglia: «Il vero tempio di Cristo è l’anima del fedele: ornalo, questo santuario, abbelliscilo, deponi in esso le tue offerte e ricevi Cristo. A che scopo rivestire le pareti di pietre preziose, se Cristo muore di fame nella persona di un povero?» (Ep 58,7). Girolamo concretizza: bisogna «vestire Cristo nei poveri, visitarlo nei sofferenti, nutrirlo negli affamati, alloggiarlo nei senza tetto» (Ep 130,14). L’amore per Cristo, alimentato con lo studio e la meditazione, ci fa superare ogni difficoltà: «Amiamo anche noi Gesù Cristo, ricerchiamo sempre l’unione con Lui: allora ci sembrerà facile anche ciò che è difficile» (Ep 22,40).

Girolamo, definito da Prospero di Aquitania «modello di condotta e maestro del genere umano» (Poesia sugli ingrati 57), ci ha lasciato anche un insegnamento ricco e vario sull’ascetismo cristiano. Egli ricorda che un coraggioso impegno verso la perfezione richiede una costante vigilanza, frequenti mortificazioni, anche se con moderazione e prudenza, un assiduo lavoro intellettuale o manuale per evitare l’ozio (cfr Epp. 125,11 e 130,15) e soprattutto l’obbedienza a Dio: «Nulla ... piace tanto a Dio quanto l’obbedienza..., che è la più eccelsa e l’unica virtù» (Omelia sull’obbedienza). Nel cammino ascetico può rientrare anche la pratica dei pellegrinaggi. In particolare, Girolamo diede impulso a quelli in Terra Santa, dove i pellegrini venivano accolti e ospitati negli edifici sorti accanto al monastero di Betlemme, grazie alla generosità della nobildonna Paola, figlia spirituale di Girolamo (cfr Ep 108,14).

Non può essere taciuto, infine, l’apporto dato da Girolamo in materia di pedagogia cristiana (cfr Epp. 107 e 128). Egli si propone di formare «un’anima che deve diventare il tempio del Signore» (Ep 107,4), una «preziosissima gemma» agli occhi di Dio (Ep 107,13). Con profondo intuito egli consiglia di preservarla dal male e dalle occasioni peccaminose, di escludere amicizie equivoche o dissipanti (cfr cfr anche Ep 128,3-4). Soprattutto esorta i genitori perché creino un ambiente di serenità e di gioia intorno ai figli, li stimolino allo studio e al lavoro, anche con la lode e l’emulazione (cfr Epp. 107,4 e 128,1), li incoraggino a superare le difficoltà, favoriscano in loro le buone abitudini e li preservino dal prenderne di cattive, perché – e qui cita una frase di Publilio Siro sentita a scuola – «a stento riuscirai a correggerti di quelle cose a cui ti vai tranquillamente abituando» (Ep 107,8). I genitori sono i principali educatori dei figli, i primi maestri di vita. Con molta chiarezza Girolamo, rivolgendosi alla madre di una ragazza ed accennando poi al padre, ammonisce, quasi esprimendo un’esigenza fondamentale di ogni creatura umana che si affaccia all’esistenza: «Essa trovi in te la sua maestra, e a te guardi con meraviglia la sua inesperta fanciullezza. Né in te, né in suo padre veda mai atteggiamenti che la portino al peccato, qualora siano imitati. Ricordatevi che... potete educarla più con l’esempio che con la parola» (Ep 107,9). Tra le principali intuizioni di Girolamo come pedagogo si devono sottolineare l’importanza attribuita a una sana e integrale educazione fin dalla prima infanzia, la peculiare responsabilità riconosciuta ai genitori, l’urgenza di una seria formazione morale e religiosa, l’esigenza dello studio per una più completa formazione umana. Inoltre un aspetto abbastanza disatteso nei tempi antichi, ma ritenuto vitale dal nostro autore, è la promozione della donna, a cui riconosce il diritto ad una formazione completa: umana, scolastica, religiosa, professionale. E vediamo proprio oggi come l’educazione della personalità nella sua integralità, l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e davanti all’uomo, sia la vera condizione di ogni progresso, di ogni pace, di ogni riconciliazione e di ogni esclusione della violenza. Educazione davanti a Dio e davanti all’uomo: è la Sacra Scrittura che ci offre la guida dell’educazione, e così del vero umanesimo.

Non possiamo concludere queste rapide annotazioni sul grande Padre della Chiesa senza far cenno all’efficace contributo da lui recato alla salvaguardia degli elementi positivi e validi delle antiche culture ebraica, greca e romana nella nascente civiltà cristiana. Girolamo ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza di pensiero e l’armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti. Soprattutto, egli ha posto al centro della sua vita e della sua attività la Parola di Dio, che indica all’uomo i sentieri della vita, e gli rivela i segreti della santità. Di tutto questo non possiamo che essergli profondamente grati, proprio nel nostro oggi.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente i fedeli di Vrsar. Seguendo l’esempio di San Girolamo, protettore dei vostri connazionali a Roma, studiate la Sacra Scrittura facendo così conoscere sempre di più il Cristo. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini provenienti dalla Polonia. San Girolamo è stato totalmente dedito alla meditazione della Sacra Scrittura che rivela il mistero di Dio, indica i giusti sentieri della vita e della santità, e conduce alla salvezza. Il suo esempio ci stimoli al frequente accostamento alla Parola di Dio. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti da Grinava, Limbach, Pezinok e Divina. Fratelli e sorelle, domenica prossima nelle basiliche romane dei santi Apostoli Pietro e Paolo si celebrerà la festa della Dedicazione. La visita di queste chiese approfondisca il vostro amore per la Chiesa, fondata sugli apostoli. Volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua lituana:

Saluto cordialmente i pellegrini provenienti dalla Lituania. Cari amici, nell'impartire la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi e alle vostre famiglie, auspico vivamente che sappiate essere messaggeri e testimoni della speranza cristiana nell'ambiente in cui vivete e lavorate.

* * *


Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i rappresentanti dell'Unione Apostolica del Clero ed auguro che contribuisca a tener viva nei sacerdoti la coscienza della loro vocazione alla santità, condizione indispensabile per essere nel mondo segno credibile dell'amore di Cristo. Saluto poi i fedeli di Ficulle, qui convenuti in occasione del Millennio di fondazione dell'Abbadia di S. Nicolò al Monte e, mentre li ringrazio per la loro visita, li esorto a trarre dalla loro storia sempre nuovo impulso per progredire nel cammino della testimonianza cristiana. Saluto inoltre i membri dell'Associazione Cuochi italiani, venuti a Roma da tutte le Regioni d'Italia in occasione del loro simposio d'autunno. Cari amici, nel vostro lavoro siate messaggeri non solo della gioia serena del convivio, ma anche della condivisione fraterna e solidale. Il mio affettuoso pensiero va ora ai familiari delle vittime di Nassirya, che ricordano i loro cari nel quarto anniversario della loro tragica morte. La memoria di questi nostri fratelli e di quanti hanno sacrificato il bene supremo della vita per il nobile intento della pace contribuisca a sostenere il cammino della rinascita, piena di speranza, del caro popolo iracheno.

Saluto, infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Celebreremo domani la festa del vescovo sant'Alberto Magno, apostolo di pace tra le popolazioni del suo tempo. Il suo esempio sia stimolo per voi, cari giovani, specialmente per voi cari studenti del Collegio Mondo Unito dell'Adriatico e per voi alunni della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Salesiana, ad essere artefici di riconciliazione e di giustizia. Sia per voi, cari ammalati, incoraggiamento a confidare nel Signore, che mai ci abbandona nel momento della prova. Sia per voi, cari sposi novelli, spinta a trovare nel Vangelo la gioia di accogliere e servire generosamente la vita, dono incommensurabile di Dio.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 21 novembre 2007: Afraate, il «Saggio»

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Cari fratelli e sorelle,

nella nostra escursione nel mondo dei Padri della Chiesa, vorrei oggi guidarvi in una parte poco conosciuta di questo universo della fede, cioè nei territori in cui sono fiorite le Chiese di lingua semitica, non ancora influenzate dal pensiero greco. Queste Chiese, lungo il IV secolo, si sviluppano nel vicino Oriente, dalla Terra Santa al Libano e alla Mesopotamia. In quel secolo, che è un periodo di formazione a livello ecclesiale e letterario, tali comunità conoscono l’affermarsi del fenomeno ascetico-monastico con caratteristiche autoctone, che non subiscono l’influsso del monachesimo egiziano. Le comunità siriache del IV secolo rappresentano quindi il mondo semitico da cui è uscita la Bibbia stessa, e sono espressione di un cristianesimo, la cui formulazione teologica non è ancora entrata in contatto con correnti culturali diverse, ma vive in forme proprie di pensiero. Sono Chiese in cui l’ascetismo sotto varie forme eremitiche (eremiti nel deserto, nelle caverne, reclusi, stiliti), e il monachesimo sotto forme di vita comunitaria, esercitano un ruolo di vitale importanza nello sviluppo del pensiero teologico e spirituale.

Vorrei presentare questo mondo attraverso la grande figura di Afraate, conosciuto anche col soprannome di «Saggio», uno dei personaggi più importanti e allo stesso tempo più enigmatici del cristianesimo siriaco del IV secolo. Originario della regione di Ninive-Mossul, oggi in Iraq, visse nella prima metà del IV secolo. Abbiamo poche notizie sulla sua vita; intrattenne comunque rapporti stretti con gli ambienti ascetico-monastici della Chiesa siriaca, di cui ci ha conservato notizie nella sua opera e a cui dedica parte della sua riflessione. Secondo alcune fonti fu anzi a capo di un monastero, e infine fu anche consacrato Vescovo. Scrisse 23 discorsi conosciuti con il nome di Esposizioni o Dimostrazioni, in cui tratta diversi temi di vita cristiana, come la fede, l’amore, il digiuno, l’umiltà, la preghiera, la stessa vita ascetica e anche il rapporto tra giudaismo e cristianesimo, tra Antico e Nuovo Testamento. Scrive in uno stile semplice, con delle frasi brevi e con parallelismi a volte contrastanti; riesce tuttavia a tessere un discorso coerente con uno sviluppo ben articolato dei vari argomenti che affronta.

Afraate era originario di una comunità ecclesiale che si trovava alla frontiera tra il giudaismo ed il cristianesimo. Era una comunità molto legata alla Chiesa-madre di Gerusalemme, e i suoi Vescovi venivano scelti tradizionalmente fra i cosiddetti «familiari» di Giacomo, il «fratello del Signore» (cfr
Mc 6,3): erano cioè persone collegate per sangue e per fede alla Chiesa gerosolimitana. La lingua di Afraate è quella siriaca, una lingua quindi semitica come l’ebraico dell’Antico Testamento e come l’aramaico parlato dallo stesso Gesù. La comunità ecclesiale, in cui si trovò a vivere Afraate, era una comunità che cercava di restare fedele alla tradizione giudeo-cristiana, di cui si sentiva figlia. Essa manteneva perciò uno stretto rapporto con il mondo ebraico e con i suoi Libri sacri. Significativamente Afraate si definisce «discepolo della Sacra Scrittura» dell’Antico e del Nuovo Testamento (Esposizione 22,26), che considera sua unica fonte di ispirazione, ricorrendovi in modo così abbondante, da farne il centro della sua riflessione.

Diversi sono gli argomenti che Afraate sviluppa nelle sue Esposizioni. Fedele alla tradizione siriaca, spesso presenta la salvezza operata da Cristo come una guarigione e, quindi, Cristo stesso come medico. Il peccato, invece, è visto come una ferita, che solo la penitenza può risanare: «Un uomo che è stato ferito in battaglia, dice Afraate, non ha vergogna di mettersi nelle mani di un saggio medico…; allo stesso modo, chi è stato ferito da Satana non deve vergognarsi di riconoscere la sua colpa e di allontanarsi da essa, domandando la medicina della penitenza» (Esposizione 7,3). Un altro aspetto importante nell’opera di Afraate è il suo insegnamento sulla preghiera e, in modo speciale, su Cristo come maestro di preghiera. Il cristiano prega seguendo l’insegnamento di Gesù e il suo esempio di orante: «Il nostro Salvatore ha insegnato a pregare così, dicendo: “Prega nel segreto Colui che è nascosto, ma che vede tutto”; e ancora: “Entra nella tua camera e prega il tuo Padre nel segreto, e il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6,6)… Quello che il nostro Salvatore vuol mostrare è che Dio conosce i desideri e i pensieri del cuore» (Esposizione 4,10).

Per Afraate la vita cristiana è incentrata nell’imitazione di Cristo, nel prendere il suo giogo e nel seguirlo sulla via del Vangelo. Una delle virtù che più conviene al discepolo di Cristo è l’umiltà. Essa non è un aspetto secondario nella vita spirituale del cristiano: la natura dell’uomo è umile, ed è Dio che la esalta alla sua stessa gloria. L’umiltà, osserva Afraate, non è un valore negativo: «Se la radice dell’uomo è piantata nella terra, i suoi frutti salgono davanti al Signore della grandezza» (Esposizione 9,14). Restando umile, anche nella realtà terrena in cui vive, il cristiano può entrare in relazione col Signore: «L’umile è umile, ma il suo cuore si innalza ad altezze eccelse. Gli occhi del suo volto osservano la terra e gli occhi della mente l’altezza eccelsa» (Esposizione 9,2).

La visione che Afraate ha dell’uomo e della sua realtà corporale è molto positiva: il corpo umano, sull’esempio di Cristo umile, è chiamato alla bellezza, alla gioia, alla luce. «Dio si avvicina all’uomo che ama – egli osserva – ed è giusto amare l’umiltà e restare nella condizione di umiltà. Gli umili sono semplici, pazienti, amati, integri, retti, esperti nel bene, prudenti, sereni, sapienti, quieti, pacifici, misericordiosi, pronti a convertirsi, benevoli, profondi, ponderati, belli e desiderabili» (Esposizione 9,14). Spesso in Afraate la vita cristiana viene presentata in una chiara dimensione ascetica e spirituale: la fede ne è la base, il fondamento; essa fa dell’uomo un tempio dove Cristo stesso abita. La fede quindi rende possibile una carità sincera, che si esprime nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Un altro aspetto importante in Afraate è il digiuno, che è da lui inteso in senso ampio. Egli parla del digiuno dal cibo come di pratica necessaria per essere caritatevoli e vergini, del digiuno costituito dalla continenza in vista della santità, del digiuno dalle parole vane o detestabili, del digiuno dalla collera, del digiuno dalla proprietà di beni in vista del ministero, del digiuno dal sonno per attendere alla preghiera.

Cari fratelli e sorelle, ritorniamo ancora – per concludere – all’insegnamento di Afraate sulla preghiera. Secondo questo antico «Saggio», la preghiera si realizza quando Cristo abita nel cuore del cristiano, e lo invita a un impegno coerente di carità verso il prossimo. Scrive infatti:

«Da’ sollievo agli affranti, visita i malati,
sii sollecito verso i poveri: questa è la preghiera.
La preghiera è buona, e le sue opere sono belle.
La preghiera è accetta, quando dà sollievo al prossimo.
La preghiera è ascoltata,
quando in essa si trova anche il perdono delle offese.
La preghiera è forte,
quando è piena della forza di Dio» (Esposizione 4,14-16).

Con queste parole Afraate ci invita a una preghiera che diventa vita cristiana, vita realizzata, vita penetrata dalla fede, dall’apertura a Dio e, così, dall’amore per il prossimo.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Kromeríž e di Ostrava-Hermanice. Possa questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo accrescere in voi la fede e il desiderio di perfezione spirituale. Con questi voti, volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente i membri della Provincia Francescana Croata dei SS. Cirillo e Metodio e i fedeli di Zadar e Zagreb. La fede, che fa dell’uomo un tempio dove Cristo stesso abita, vi guidi a seguirlo nell’umiltà e nella semplicità. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Nella liturgia odierna, ricordiamo la Presentazione della Beata Vergine Maria. In modo compiuto, Ella ha saputo realizzare la volontà del Padre Celeste. Che Maria ci aiuti a inserire nella nostra vita il piano divino della salvezza. A voi qui presenti e ai vostri cari, una benedizione di cuore.

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto rivolgo un benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente al Coro da Camera Cantica Collegium Musicum, di Martin. Fratelli e sorelle, quest’anno celebriamo l’ottavo centenario della nascita di S. Elisabetta d’Ungheria, oriunda di Bratislava. Questa straordinaria testimone di amore verso i poveri susciti in voi rinnovato impegno nelle opere di misericordia. Di cuore benedico voi ed i vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Avetrana, accompagnati da Mons. Michele Castoro, Vescovo di Oria ed auguro loro di attingere dalla preghiera nuovo slancio apostolico, per una sempre più incisiva testimonianza cristiana. Saluto i rappresentanti dell'Istituto Gesù-Maria e i fedeli della parrocchia del Preziosissimo Sangue in Roma, che ricordano significative ricorrenze, e li esorto a vivere con rinnovato slancio il comandamento dell'amore evangelico. Saluto le partecipanti al Capitolo Generale delle Suore Missionarie di San Carlo Borromeo-Scalabriniane, e prego perché siano generose dispensatrici di speranza, di solidarietà e di comunione. Saluto gli esponenti della Comunità Radio Mater di Erba ed esprimo apprezzamento per il servizio ecclesiale che svolgono diffondendo la devozione verso la Vergine Santa. Il mio pensiero va ora a quanti partecipano al Congresso internazionale del Cerimoniale di Stato, al Convegno nazionale del Notariato e all'Associazione nazionale Carabinieri della Provincia di Viterbo. Tutti ringrazio per la presenza, invocando su ciascuno copiose grazie celesti per un fecondo impegno a servizio del prossimo.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domenica prossima, ultima del tempo ordinario, celebreremo la solennità di Cristo, re dell'Universo. Cari giovani, ponete Gesù al centro della vostra vita. Cristo, che ha fatto della Croce un trono regale, insegni a voi, cari malati, a comprendere il valore redentivo della sofferenza vissuta in unione a Lui. Invito voi, cari sposi novelli, a porre Gesù al centro del vostro cammino matrimoniale.

APPELLO

Giungono dolorose notizie circa la precaria situazione umanitaria della Somalia, specialmente a Mogadiscio, sempre più afflitta dall’insicurezza sociale e dalla povertà. Seguo con trepidazione l’evolversi degli eventi e faccio appello a quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché si trovino soluzioni pacifiche e si rechi sollievo a quella cara popolazione. Incoraggio, altresì, gli sforzi di quanti, pur nell’insicurezza e nel disagio, rimangono in quella regione per portare aiuto e sollievo agli abitanti.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 28 novembre 2007: Sant’Efrem, il Siro

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Cari fratelli e sorelle,

secondo l’opinione comune di oggi, il cristianesimo sarebbe una religione europea, che avrebbe poi esportato la cultura di questo Continente in altri Paesi. Ma la realtà è molto più complessa, poiché la radice della religione cristiana si trova nell’Antico Testamento e quindi a Gerusalemme e nel mondo semitico. Il cristianesimo si nutre sempre a questa radice dell’Antico Testamento. Anche la sua espansione nei primi secoli si è avuta sia verso occidente – verso il mondo greco-latino, dove ha poi ispirato la cultura europea – sia verso oriente, fino alla Persia, all’India, contribuendo così a suscitare una specifica cultura, in lingue semitiche, con una propria identità. Per mostrare questa pluriformità culturale dell’unica fede cristiana degli inizi, nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato di un rappresentante di questo altro cristianesimo, Afraate il saggio persiano, da noi quasi sconosciuto. Nella stessa linea vorrei parlare oggi di sant’Efrem Siro, nato a Nisibi attorno al 306 in una famiglia cristiana. Egli fu il più insigne rappresentante del cristianesimo di lingua siriaca e riuscì a conciliare in modo unico la vocazione del teologo e quella del poeta. Si formò e crebbe accanto a Giacomo, Vescovo di Nisibi (303-338), e insieme a lui fondò la scuola teologica della sua città. Ordinato diacono, visse intensamente la vita della locale comunità cristiana fino al 363, anno in cui Nisibi cadde nelle mani dei Persiani. Efrem allora emigrò a Edessa, dove proseguì la sua attività di predicatore. Morì in questa città l’anno 373, vittima del contagio contratto nella cura degli ammalati di peste. Non si sa con certezza se era monaco, ma in ogni caso è sicuro che è rimasto diacono per tutta la sua vita e che ha abbracciato la verginità e la povertà. Così appare nella specificità della sua espressione culturale la comune e fondamentale identità cristiana: la fede, la speranza – questa speranza che permette di vivere povero e casto nel mondo, ponendo ogni aspettativa nel Signore – e infine la carità, fino al dono di se stesso nella cura degli ammalati di peste.

Sant’Efrem ci ha lasciato una grande eredità teologica. La sua considerevole produzione si può raggruppare in quattro categorie: opere scritte in prosa ordinaria (le sue opere polemiche, oppure i commenti biblici); opere in prosa poetica; omelie in versi; infine gli inni, sicuramente l’opera più ampia di Efrem. Egli è un autore ricco e interessante per molti aspetti, ma specialmente sotto il profilo teologico. La specificità del suo lavoro è che in esso si incontrano teologia e poesia. Volendoci accostare alla sua dottrina, dobbiamo insistere fin dall’inizio su questo: sul fatto cioè che egli fa teologia in forma poetica. La poesia gli permette di approfondire la riflessione teologica attraverso paradossi e immagini. Nello stesso tempo la sua teologia diventa liturgia, diventa musica: egli era infatti un grande compositore, un musicista. Teologia, riflessione sulla fede, poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed è proprio in questo carattere liturgico che nella teologia di Efrem appare con limpidezza la verità divina. Nella sua ricerca di Dio, nel suo fare teologia, egli segue il cammino del paradosso e del simbolo. Le immagini contrapposte sono da lui largamente privilegiate, perché gli servono per sottolineare il mistero di Dio.

Non posso adesso presentare molto di lui, anche perché la poesia è difficilmente traducibile, ma per dare almeno un’idea della sua teologia poetica vorrei citare in parte due inni. Innanzitutto, anche in vista del prossimo Avvento, vi propongo alcune splendide immagini tratte dagli Inni sulla natività di Cristo. Davanti alla Vergine Efrem manifesta con tono ispirato la sua meraviglia:

«Il Signore venne in lei
per farsi servo.
Il Verbo venne in lei
per tacere nel suo seno.
Il fulmine venne in lei
per non fare rumore alcuno.
Il Pastore venne in lei
ed ecco l’Agnello nato, che sommessamente piange.
Poiché il seno di Maria
ha capovolto i ruoli:
Colui che creò tutte le cose
ne è entrato in possesso, ma povero.
L’Altissimo venne in lei (Maria),
ma vi entrò umile.
Lo splendore venne in lei,
ma vestito con panni umili.
Colui che elargisce tutte le cose
conobbe la fame.
Colui che abbevera tutti
conobbe la sete.
Nudo e spogliato uscì da lei,
Egli che riveste (di bellezza) tutte le cose»
(Inno sulla Natività11, 6-8).

Per esprimere il mistero di Cristo, Efrem usa una grande diversità di temi, di espressioni, di immagini. In uno dei suoi inni, egli collega in modo efficace Adamo (nel paradiso) a Cristo (nell’Eucaristia):

«Fu chiudendo
con la spada del cherubino,
che fu chiuso
il cammino dell’albero della vita.
Ma per i popoli,
il Signore di quest’albero
si è dato come cibo
lui stesso nell’oblazione (eucaristica).
Gli alberi dell’Eden
furono dati come alimento
al primo Adamo.
Per noi, il giardiniere
del Giardino in persona
si è fatto alimento
per le nostre anime.
Infatti tutti noi eravamo usciti
dal Paradiso assieme con Adamo,
che lo lasciò indietro.
Adesso che la spada è stata tolta
laggiù (sulla croce) dalla lancia
noi possiamo ritornarvi»
(Inno 49,9-11).

Per parlare dell’Eucaristia, Efrem si serve di due immagini: la brace o il carbone ardente e la perla. Il tema della brace è preso dal profeta Isaia (cfr 6,6). E’ l’immagine del serafino, che prende la brace con le pinze, e semplicemente sfiora le labbra del profeta per purificarle; il cristiano, invece, tocca e consuma la Brace, che è Cristo stesso:

«Nel tuo pane si nasconde lo Spirito,
che non può essere consumato;
nel tuo vino c’è il fuoco, che non si può bere.
Lo Spirito nel tuo pane, il fuoco nel tuo vino:
ecco una meraviglia accolta dalle nostre labbra.
Il serafino non poteva avvicinare le sue dita alla brace,
che fu avvicinata soltanto alla bocca di Isaia;
né le dita l’hanno presa, né le labbra l’hanno inghiottita;
ma a noi il Signore ha concesso di fare ambedue cose.
Il fuoco discese con ira per distruggere i peccatori,
ma il fuoco della grazia discende sul pane e vi rimane.
Invece del fuoco che distrusse l’uomo,
abbiamo mangiato il fuoco nel pane
e siamo stati vivificati»
(Inno sulla fede10,8-10).


Ed ecco ancora un ultimo esempio degli inni di sant’Efrem, dove egli parla della perla quale simbolo della ricchezza e della bellezza della fede:

«Posi (la perla), fratelli miei, sul palmo della mia mano,
per poterla esaminare.
Mi misi ad osservarla dall’uno e dall’altro lato:
aveva un solo aspetto da tutti i lati.
(Così) è la ricerca del Figlio, imperscrutabile,
perché essa è tutta luce.
Nella sua limpidezza, io vidi il Limpido,
che non diventa opaco;
e nella sua purezza,
il simbolo grande del corpo di nostro Signore,
che è puro.
Nella sua indivisibilità, io vidi la verità,
che è indivisibile»
(Inno sulla perla 1,2-3).

La figura di Efrem è ancora pienamente attuale per la vita delle varie Chiese cristiane. Lo scopriamo in primo luogo come teologo, che a partire dalla Sacra Scrittura riflette poeticamente sul mistero della redenzione dell’uomo operata da Cristo, Verbo di Dio incarnato. La sua è una riflessione teologica espressa con immagini e simboli presi dalla natura, dalla vita quotidiana e dalla Bibbia. Alla poesia e agli inni per la liturgia, Efrem conferisce un carattere didattico e catechetico; si tratta di inni teologici e insieme adatti per la recita o il canto liturgico. Efrem si serve di questi inni per diffondere, in occasione delle feste liturgiche, la dottrina della Chiesa. Nel tempo essi si sono rivelati un mezzo catechetico estremamente efficace per la comunità cristiana.

E’ importante la riflessione di Efrem sul tema di Dio creatore: niente nella creazione è isolato, e il mondo è, accanto alla Sacra Scrittura, una Bibbia di Dio. Usando in modo sbagliato la sua libertà, l’uomo capovolge l’ordine del cosmo. Per Efrem è rilevante il ruolo della donna. Il modo in cui egli ne parla è sempre ispirato a sensibilità e rispetto: la dimora di Gesù nel seno di Maria ha innalzato grandemente la dignità della donna. Per Efrem, come non c’è redenzione senza Gesù, così non c’è incarnazione senza Maria. Le dimensioni divine e umane del mistero della nostra redenzione si trovano già nei testi di Efrem; in modo poetico e con immagini fondamentalmente scritturistiche, egli anticipa lo sfondo teologico e in qualche modo lo stesso linguaggio delle grandi definizioni cristologiche dei Concili del V secolo.

Efrem, onorato dalla tradizione cristiana con il titolo di «cetra dello Spirito Santo», restò diacono della sua Chiesa per tutta la vita. Fu una scelta decisiva ed emblematica: egli fu diacono, cioè servitore, sia nel ministero liturgico, sia, più radicalmente, nell’amore a Cristo, da lui cantato in modo ineguagliabile, sia infine nella carità verso i fratelli, che introdusse con rara maestria nella conoscenza della divina Rivelazione.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente i fedeli di Varaždin e Zagreb. Lo Spirito Santo vi guidi nel penetrare sempre di più i misteri della fede e nel trovare quotidianamente in essa la risposta alle domande più importanti della vostra vita. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Giunge alla fine l’anno liturgico. Ringraziamo Dio per tutte le grazie che in questo tempo ha elargito attraverso il ministero della Chiesa. Siano un lievito della nostra crescita spirituale. Dio vi benedica.

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i religiosi Fatebenefratelli, le Suore della Carità Domenicane della Presentazione, i partecipanti alla Scuola di formazione promossa dal Movimento dei Focolari, i rappresentanti del Centro Italiano di Solidarietà di Viterbo e i fedeli provenienti da Cervia. Cari amici, auguro che la sosta presso i luoghi sacri vi rinsaldi nell’adesione a Cristo e alimenti la carità nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità. Saluto gli incaricati della diffusione nel mondo de L’Osservatore Romano, accompagnati dal Direttore responsabile prof. Giovanni Maria Vian e dal Direttore generale Don Elio Torrigiani. Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno nel promuovere gli insegnamenti del Papa in tutto il mondo e vi accompagno con un particolare ricordo nella preghiera, perché il Signore vi ricolmi di copiosi doni spirituali.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La figura dell'apostolo Andrea, la cui festa si celebrerà nei prossimi giorni, sia per voi, cari giovani, un modello di fedele e coraggiosa testimonianza cristiana. Sant'Andrea interceda per voi, cari ammalati, affinché la consolazione divina promessa da Gesù agli afflitti riempia i vostri cuori e vi fortifichi nella fede. E voi, cari sposi novelli, impegnatevi a corrispondere sempre al progetto di amore del quale Cristo vi ha resi partecipi con il sacramento del matrimonio.

APPELLO


Il 1° dicembre prossimo ricorrerà la Giornata Mondiale contro l’AIDS. Sono spiritualmente vicino a quanti soffrono per questa terribile malattia come pure alle loro famiglie, in particolare a quelle colpite dalla perdita di un congiunto. Per tutti assicuro la mia preghiera.

Desidero, inoltre, esortare tutte le persone di buona volontà a moltiplicare gli sforzi per fermare la diffusione del virus HIV, a contrastare lo spregio che sovente colpisce quanti ne sono affetti, e a prendersi cura dei malati, specialmente quando sono ancora fanciulli.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 5 dicembre 2007: San Cromazio di Aquileia


Catechesi 2005-2013 14117