Catechesi 2005-2013 51207

Mercoledì, 5 dicembre 2007: San Cromazio di Aquileia

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Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime due catechesi abbiamo fatto un’escursione attraverso le Chiese d’Oriente di lingua semitica, meditando su Afraate persiano e su sant’Efrem siro; oggi ritorniamo nel mondo latino, al Nord dell’Impero romano, con san Cromazio di Aquileia. Questo Vescovo svolse il suo ministero nell’antica Chiesa di Aquileia, fervente centro di vita cristiana situato nella Decima regione dell’Impero romano, la Venetia et Histria. Nel 388, quando Cromazio salì sulla cattedra episcopale della città, la comunità cristiana locale aveva già maturato una storia gloriosa di fedeltà al Vangelo. Tra la metà del terzo e i primi anni del quarto secolo le persecuzioni di Decio, di Valeriano e di Diocleziano avevano mietuto un gran numero di martiri. Inoltre, la Chiesa di Aquileia si era misurata, come tante altre Chiese del tempo, con la minaccia dell’eresia ariana. Lo stesso Atanasio – l’alfiere dell’ortodossia nicena, che gli ariani avevano cacciato in esilio –, per qualche tempo trovò rifugio ad Aquileia. Sotto la guida dei suoi Vescovi, la comunità cristiana resistette alle insidie dell’eresia e rinsaldò la propria adesione alla fede cattolica.

Nel settembre del 381 Aquileia fu sede di un Sinodo, che vide convenire circa 35 Vescovi dalle coste dell’Africa, dalla valle del Rodano e da tutta la Decima regione. Il Sinodo si proponeva di debellare gli ultimi residui dell’arianesimo in Occidente. Al Concilio prese parte anche il presbitero Cromazio, in qualità di esperto del Vescovo di Aquileia, Valeriano (370-388 ). Gli anni intorno al Sinodo del 381 rappresentano «l’età d’oro» della comunità aquileiese. San Girolamo, che era nativo della Dalmazia, e Rufino di Concordia parlano con nostalgia del loro soggiorno ad Aquileia (370-373), in quella specie di cenacolo teologico, che Girolamo non esita a definire quasi chorus beatorum, «come un coro di beati» (Chronache 11). In questo cenacolo – che ricorda per alcuni aspetti le esperienze comunitarie condotte da Eusebio di Vercelli e da Agostino – si formarono le più notevoli personalità delle Chiese dell’Alto Adriatico.

Ma già nella sua famiglia Cromazio aveva imparato a conoscere e ad amare Cristo. Ce ne parla, con termini pieni di ammirazione, lo stesso Girolamo, che paragona la madre di Cromazio alla profetessa Anna, le sue due sorelle alle vergini prudenti della parabola evangelica, Cromazio stesso e il suo fratello Eusebio al giovane Samuele (cfr Ep. VII,4). Di Cromazio e di Eusebio Girolamo scrive ancora: «Il beato Cromazio e il santo Eusebio erano fratelli per il vincolo del sangue, non meno che per l’identità degli ideali» (Ep. VIII).

Cromazio era nato ad Aquileia verso il 345. Venne ordinato diacono e poi presbitero; infine fu eletto Pastore di quella Chiesa (a. 388). Ricevuta la consacrazione episcopale dal Vescovo Ambrogio, si dedicò con coraggio ed energia a un compito immane per la vastità del territorio affidato alle sue cure pastorali: la giurisdizione ecclesiastica di Aquileia, infatti, si estendeva dai territori attuali della Svizzera, della Baviera, dell’Austria e della Slovenia fino all’Ungheria. Quanto Cromazio fosse conosciuto e stimato nella Chiesa del suo tempo, lo si può arguire da un episodio della vita di san Giovanni Crisostomo. Quando il Vescovo di Costantinopoli fu esiliato dalla sua sede, scrisse tre lettere a quelli che egli riteneva i più importanti Vescovi d’Occidente, per ottenerne l’appoggio presso gli imperatori: una lettera la scrisse al Vescovo di Roma, la seconda al Vescovo di Milano, la terza al Vescovo di Aquileia, Cromazio appunto (Ep. CLV). Quest’ultimo, però, si trovava pure lui in grande difficoltà a motivo della precaria situazione politica: molto probabilmente nello stesso anno 407, in cui Crisostomo soccombette ai travagli della sua deportazione, anche Cromazio morì in esilio, a Grado, mentre cercava di scampare alle scorrerie dei barbari.

Quanto a prestigio e importanza, Aquileia era la quarta città della penisola italiana, e la nona dell’Impero romano: anche per questo motivo essa attirava le mire dei Goti e degli Unni. Oltre a causare gravi lutti e distruzioni, le invasioni di questi popoli compromisero gravemente la trasmissione delle opere dei Padri conservate nella biblioteca episcopale, ricca di codici. Andarono dispersi anche gli scritti di san Cromazio, che finirono qua e là, e furono spesso attribuiti ad altri autori: a Giovanni Crisostomo (anche per l’equivalente inizio dei due nomi, Chromatius – Chrysostomus); oppure ad Ambrogio e ad Agostino, come anche a Girolamo, che Cromazio aveva aiutato molto nella revisione del testo e nella traduzione latina della Bibbia. La riscoperta di gran parte dell’opera di Cromazio è dovuta a felici e fortunose vicende, che hanno consentito solo in anni recenti di ricostruire un corpus di scritti abbastanza consistente: più di una quarantina di sermoni, dei quali una decina frammentari, e oltre sessanta trattati di commento al Vangelo di Matteo.

Cromazio fu sapiente maestro e zelante Pastore. Il suo primo e principale impegno fu quello di porsi in ascolto della Parola, per essere capace di farsene poi annunciatore: nel suo insegnamento egli parte sempre dalla Parola di Dio e ad essa sempre ritorna. Alcune tematiche gli sono particolarmente care: anzitutto il mistero trinitario, che egli contempla nella sua rivelazione lungo tutta la storia della salvezza. Poi il tema dello Spirito Santo: Cromazio richiama costantemente i fedeli alla presenza e all’azione della terza Persona della Santissima Trinità nella vita della Chiesa. Ma con particolare insistenza il santo Vescovo ritorna sul mistero di Cristo. Il Verbo incarnato è vero Dio e vero uomo: ha assunto integralmente l’umanità, per farle dono della propria divinità. Queste verità, ribadite con insistenza anche in funzione antiariana, approderanno una cinquantina di anni più tardi alla definizione del Concilio di Calcedonia. La forte sottolineatura della natura umana di Cristo conduce Cromazio a parlare della Vergine Maria. La sua dottrina mariologica è tersa e precisa. A lui dobbiamo alcune suggestive descrizioni della Vergine Santissima: Maria è la «vergine evangelica capace di accogliere Dio»; è la «pecorella immacolata e inviolata», che ha generato l’«agnello ammantato di porpora» (cfr Sermone XXIII,3). Il Vescovo di Aquileia mette spesso la Vergine in relazione con la Chiesa: entrambe, infatti, sono «vergini» e «madri». L’ecclesiologia di Cromazio è sviluppata soprattutto nel commento a Matteo. Ecco alcuni concetti ricorrenti: la Chiesa è unica, è nata dal sangue di Cristo; è veste preziosa intessuta dallo Spirito Santo; la Chiesa è là dove si annuncia che Cristo è nato dalla Vergine, dove fiorisce la fraternità e la concordia. Un’immagine a cui Cromazio è particolarmente affezionato è quella della nave sul mare in tempesta – e i suoi erano tempi di tempesta, come abbiamo sentito –: «Non c’è dubbio», afferma il santo Vescovo, «che questa nave rappresenta la Chiesa» (cfr Trattato XLII,5).

Da zelante Pastore qual è, Cromazio sa parlare alla sua gente con linguaggio fresco, colorito e incisivo. Pur non ignorando il perfetto cursus latino, preferisce ricorrere al linguaggio popolare, ricco di immagini facilmente comprensibili. Così, ad esempio, prendendo spunto dal mare, egli mette a confronto, da una parte, la pesca naturale di pesci che, tirati a riva, muoiono e, dall’altra, la predicazione evangelica, grazie alla quale gli uomini vengono tratti in salvo dalle acque limacciose della morte, e introdotti alla vita vera (cfr Trattato XVI,3). Sempre nell’ottica del buon Pastore, in un periodo burrascoso come il suo, funestato dalle scorrerie dei barbari, egli sa mettersi a fianco dei fedeli per confortarli e per aprirne l’animo alla fiducia in Dio, che non abbandona mai i suoi figli.

Raccogliamo infine, a conclusione di queste riflessioni, un’esortazione di Cromazio, ancor oggi perfettamente valida: «Preghiamo il Signore con tutto il cuore e con tutta la fede – raccomanda il Vescovo di Aquileia in un suo sermone –, preghiamolo di liberarci da ogni incursione dei nemici, da ogni timore degli avversari. Non guardi i nostri meriti, ma la sua misericordia, Lui che anche in passato si degnò di liberare i figli di Israele non per i loro meriti, ma per la sua misericordia. Ci protegga con il solito amore misericordioso e operi per noi ciò che il santo Mosè disse ai figli di Israele: “Il Signore combatterà in vostra difesa, e voi starete in silenzio” (cfr
Ex 14,14). È Lui che combatte, è Lui che riporta la vittoria … E affinché si degni di farlo, dobbiamo pregare il più possibile. Egli stesso infatti dice per bocca del profeta: “Invocami nel giorno della tribolazione; io ti libererò, e tu mi darai gloria” (cfr Ps 50,15)» (Sermone XVI,4).

Così, proprio all’inizio del tempo di Avvento, san Cromazio ci ricorda che l’Avvento è tempo di preghiera, in cui occorre entrare in contatto con Dio. Dio ci conosce, conosce me, conosce ognuno di noi, mi vuol bene, non mi abbandona. Andiamo avanti con questa fiducia nel tempo liturgico appena iniziato.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Dò il mio benvenuto ai Padri Mariani ed ai fedeli che rendono grazie a Dio per la beatificazione del beato Stanislaw Papczynski. Il salvifico tempo di attesa del Natale, sia per noi un’occasione per riflettere sulla propria vita, per la vigilanza evangelica e per la metanoia spirituale. Vi raccomando al Signore nella mia preghiera e di cuore vi benedico per l’intera durata dell’Avvento.

* * *


Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della parrocchia San Cromazio d’Aquileia in Udine e quelli di Gorizia, guidati dall’Arcivescovo Mons. Dino De Antoni, qui convenuti in occasione dell’apertura dell’Anno cromaziano. Saluto i membri del gruppo Follereau-de Foucauld, accompagnati dall’Arcivescovo di Pompei Mons. Carlo Liberati, e i rappresentanti dell’Istituto bancario Artigiancassa, di Roma. Saluto, inoltre, le Ancelle dell’Amore Misericordioso, che stanno celebrando in questi giorni il loro capitolo, e le incoraggio ad andare incontro a Cristo con la coerenza della fede per testimoniare con rinnovato ardore apostolico la divina misericordia.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Ci stiamo preparando a celebrare tra qualche giorno la solennità della Vergine Immacolata. Sia Lei a guidarvi, cari giovani, nel vostro cammino di adesione a Cristo. Per voi, cari malati, sia sostegno nella sofferenza e susciti in voi rinnovata speranza, e guidi voi, cari sposi novelli, a scoprire sempre più l’amore di Cristo.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 12 dicembre 2007: San Paolino di Nola

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Cari fratelli e sorelle,

il Padre della Chiesa a cui oggi volgiamo l’attenzione è san Paolino di Nola. Contemporaneo di sant’Agostino, al quale fu legato da viva amicizia, Paolino esercitò il suo ministero in Campania, a Nola, dove fu monaco, poi presbitero e Vescovo. Era però originario dell’Aquitania, nel sud della Francia, e precisamente di Bordeaux, dove era nato da famiglia altolocata. Qui ricevette una fine educazione letteraria, avendo come maestro il poeta Ausonio. Dalla sua terra si allontanò una prima volta per seguire la sua precoce carriera politica, che lo vide assurgere, ancora in giovane età, al ruolo di governatore della Campania. In questa carica pubblica fece ammirare le sue doti di saggezza e di mitezza. Fu in questo periodo che la grazia fece germogliare nel suo cuore il seme della conversione. Lo stimolo venne dalla fede semplice e intensa con cui il popolo onorava la tomba di un Santo, il martire Felice, nel Santuario dell’attuale Cimitile. Come responsabile della cosa pubblica, Paolino si interessò a questo Santuario e fece costruire un ospizio per i poveri e una strada per rendere più agevole l’accesso ai tanti pellegrini.

Mentre si adoperava per costruire la città terrena, egli andava scoprendo la strada verso la città celeste. L’incontro con Cristo fu il punto d’arrivo di un cammino laborioso, seminato di prove. Circostanze dolorose, a partire dal venir meno del favore dell’autorità politica, gli fecero toccare con mano la caducità delle cose. Una volta arrivato alla fede scriverà: «L’uomo senza Cristo è polvere ed ombra» (Carme X,289). Desideroso di gettar luce sul senso dell’esistenza, si recò a Milano per porsi alla scuola di Ambrogio. Completò poi la formazione cristiana nella sua terra natale, ove ricevette il Battesimo per le mani del Vescovo Delfino, di Bordeaux. Nel suo percorso di fede si colloca anche il matrimonio. Sposò infatti Terasia, una pia nobildonna di Barcellona, dalla quale ebbe un figlio. Avrebbe continuato a vivere da buon laico cristiano, se la morte del bimbo nato da pochi giorni non fosse intervenuta a scuoterlo, mostrandogli che altro era il disegno di Dio sulla sua vita. Si sentì in effetti chiamato a votarsi a Cristo in una rigorosa vita ascetica.

In pieno accordo con la moglie Terasia, vendette i suoi beni a vantaggio dei poveri e, insieme con lei, lasciò l’Aquitania per Nola, dove i due coniugi presero dimora accanto alla Basilica del protettore san Felice, vivendo ormai in casta fraternità, secondo una forma di vita alla quale anche altri si aggregarono. Il ritmo comunitario era tipicamente monastico, ma Paolino, che a Barcellona era stato ordinato presbitero, prese ad impegnarsi pure nel ministero sacerdotale a favore dei pellegrini. Ciò gli conciliò la simpatia e la fiducia della comunità cristiana che, alla morte del Vescovo, verso il 409, volle sceglierlo come successore sulla cattedra di Nola. La sua azione pastorale si intensificò, caratterizzandosi per un’attenzione particolare verso i poveri. Lasciò l’immagine di un autentico Pastore della carità, come lo descrisse san Gregorio Magno nel capitolo III dei suoi Dialoghi, dove Paolino è scolpito nel gesto eroico di offrirsi prigioniero al posto del figlio di una vedova. L’episodio è storicamente discusso, ma rimane la figura di un Vescovo dal cuore grande, che seppe stare vicino al suo popolo nelle tristi contingenze delle invasioni barbariche.

La conversione di Paolino impressionò i contemporanei. Il suo maestro Ausonio, un poeta pagano, si sentì «tradito», e gli indirizzò parole aspre, rimproverandogli da un lato il «disprezzo», giudicato dissennato, dei beni materiali, dall’altro l’abbandono della vocazione di letterato. Paolino replicò che il suo donare ai poveri non significava disprezzo per i beni terreni, ma semmai una loro valorizzazione per il fine più alto della carità. Quanto agli impegni letterari, ciò da cui Paolino aveva preso congedo non era il talento poetico, che avrebbe continuato a coltivare, ma i moduli poetici ispirati alla mitologia e agli ideali pagani. Una nuova estetica governava ormai la sua sensibilità: era la bellezza del Dio incarnato, crocifisso e risorto, di cui egli si faceva adesso cantore. Non aveva lasciato, in realtà, la poesia, ma attingeva ormai dal Vangelo la sua ispirazione, come egli dice in questo verso: «Per me l’unica arte è la fede, e Cristo la mia poesia» («At nobis ars una fides, et musica Christus»: Carme XX,32).

I suoi carmi sono canti di fede e di amore, nei quali la storia quotidiana dei piccoli e grandi eventi è colta come storia di salvezza, come storia di Dio con noi. Molti di questi componimenti, i cosiddetti Carmi natalizi, sono legati all’annuale festa del martire Felice, che egli aveva eletto quale celeste Patrono. Ricordando san Felice, egli intendeva glorificare Cristo stesso, convinto com’era che l’intercessione del Santo gli avesse ottenuto la grazia della conversione: «Nella tua luce, gioioso, ho amato Cristo» (Carme XXI,373). Questo stesso concetto egli volle esprimere ampliando lo spazio del Santuario con una nuova Basilica, che fece decorare in modo che i dipinti, illustrati da opportune didascalie, costituissero per i pellegrini una catechesi visiva. Così egli spiegava il suo progetto in un Carme dedicato a un altro grande catecheta, san Niceta di Remesiana, mentre lo accompagnava nella visita alle sue Basiliche: «Ora voglio che tu contempli le pitture che si snodano in lunga serie sulle pareti dei portici dipinti … A noi è sembrata opera utile rappresentare con la pittura argomenti sacri in tutta la casa di Felice, nella speranza che, alla vista di queste immagini, la figura dipinta susciti l’interesse delle menti attonite dei contadini» (Carme XXVII, vv. 511.580-583). Ancora oggi si possono ammirare i resti di queste realizzazioni, che collocano a buon diritto il Santo nolano tra le figure di riferimento dell’archeologia cristiana.

Nell’asceterio di Cimitile la vita scorreva nella povertà, nella preghiera e tutta immersa nella lectio divina.La Scrittura letta, meditata, assimilata, era la luce sotto il cui raggio il Santo nolano scrutava la sua anima nella tensione verso la perfezione. A chi rimaneva ammirato della decisione da lui presa di abbandonare i beni materiali, egli ricordava che tale gesto era ben lontano dal rappresentare già la piena conversione: «L’abbandono o la vendita dei beni temporali posseduti in questo mondo non costituisce il compimento, ma soltanto l’inizio della corsa nello stadio; non è, per così dire, il traguardo, ma solo la partenza. L’atleta infatti non vince allorché si spoglia, perché egli depone le sue vesti proprio per incominciare a lottare, mentre è degno di essere coronato vincitore solo dopo che avrà combattuto a dovere» (cfr Ep. XXIV,7 a Sulpicio Severo).

Accanto all’ascesi e alla Parola di Dio, la carità: nella comunità monastica i poveri erano di casa. Ad essi Paolino non si limitava a fare l’elemosina: li accoglieva come se fossero Cristo stesso. Aveva riservato per loro un reparto del monastero e, così facendo, gli sembrava non tanto di dare, ma di ricevere, nello scambio di doni tra l’accoglienza offerta e la gratitudine orante degli assistiti. Chiamava i poveri suoi «patroni» (cfr Ep. XIII,11 a Pammachio) e, osservando che erano alloggiati al piano inferiore, amava dire che la loro preghiera faceva da fondamento alla sua casa (cfr Carme XXI,393-394).

San Paolino non scrisse trattati di teologia, ma i suoi carmi e il denso epistolario sono ricchi di una teologia vissuta, intrisa di Parola di Dio, costantemente scrutata come luce per la vita. In particolare, emerge il senso della Chiesa come mistero di unità. La comunione era da lui vissuta soprattutto attraverso una spiccata pratica dell’amicizia spirituale. In questa Paolino fu un vero maestro, facendo della sua vita un crocevia di spiriti eletti: da Martino di Tours a Girolamo, da Ambrogio ad Agostino, da Delfino di Bordeaux a Niceta di Remesiana, da Vittricio di Rouen a Rufino di Aquileia, da Pammachio a Sulpicio Severo, e a tanti altri ancora, più o meno noti. Nascono in questo clima le intense pagine scritte ad Agostino. Al di là dei contenuti delle singole lettere, impressiona il calore con cui il Santo nolano canta l’amicizia stessa, quale manifestazione dell’unico corpo di Cristo animato dallo Spirito Santo. Ecco un brano significativo, agli inizi della corrispondenza tra i due amici: «Non c’è da meravigliarsi se noi, pur lontani, siamo presenti l’uno all’altro e senza esserci conosciuti ci conosciamo, poiché siamo membra di un solo corpo, abbiamo un unico capo, siamo inondati da un’unica grazia, viviamo di un solo pane, camminiamo su un’unica strada, abitiamo nella medesima casa» (
Ep 6,2). Come si vede, è questa una bellissima descrizione di che cosa significhi essere cristiani, essere Corpo di Cristo, vivere nella comunione della Chiesa. La teologia del nostro tempo ha trovato proprio nel concetto di comunione la chiave di approccio al mistero della Chiesa. La testimonianza di san Paolino di Nola ci aiuta a sentire la Chiesa, quale ce la presenta il Concilio Vaticano II, come sacramento dell’intima unione con Dio e così dell’unità di tutti noi e infine di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium LG 1). In questa prospettiva auguro a tutti voi un buon tempo di Avvento.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. Nel cammino di avvento verso l’incontro con Cristo che viene ci accompagna oggi San Paolino di Nola. Ci dà un esempio di santità caratterizzata dall’ascesi, dalla preghiera e dalla cura per i poveri e sofferenti. E’ un’indicazione sempre attuale. In questo cammino Dio benedica voi e i vostri cari.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi da Cadca – Kýcerka, Žilina e Konská. Fratelli e sorelle, vi auguro di vivere questo tempo di Avvento come la Vergine Maria nella gioiosa attesa del Salvatore. Di cuore benedico voi ed i vostri cari in Patria. Sia lodato Gesù Cristo!
* * *


Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana: grazie per la vostra presenza. In particolare, saluto i Militari del 6° Reggimento Genio Pionieri di Roma, e auguro a ciascuno di aderire sempre più a Cristo e al suo Vangelo. Saluto, poi, i rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori e li ringrazio per il gradito dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa: grazie di cuore.

Saluto, infine, i, giovani, i malati e gli sposi novelli. A voi, cari giovani, auguro di disporre i vostri cuori ad accogliere Gesù, che ci salva con la potenza del suo amore. A voi, cari malati, che nella vostra malattia sperimentate ancor più il peso della croce, le prossime feste natalizie apportino serenità e conforto. E voi, cari sposi novelli, che da poco tempo avete formato la vostra famiglia, crescete sempre più in quell'amore che Gesù nel suo Natale è venuto a donarci.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 19 dicembre 2007: Nascita di Cristo

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Cari fratelli e sorelle!

In questi giorni, via via che ci avviciniamo alla grande festa del Natale, la liturgia ci sprona a intensificare la nostra preparazione, ponendoci a disposizione molti testi biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento, che ci stimolano a ben focalizzare il senso e il valore di questa annuale ricorrenza. Se da una parte il Natale ci fa commemorare il prodigio incredibile della nascita del Figlio Unigenito di Dio dalla Vergine Maria nella grotta di Betlemme, dall’altra ci esorta anche ad attendere, vegliando e pregando, lo stesso nostro Redentore, che nell’ultimo giorno “verrà a giudicare i vivi e i morti”. Forse noi oggi, anche noi credenti, aspettiamo realmente il Giudice; tutti però aspettiamo giustizia. Vediamo tanta ingiustizia nel mondo, nel nostro piccolo mondo, nella casa, nel quartiere, ma anche nel grande mondo degli Stati, delle società. E aspettiamo che sia fatta giustizia. La giustizia è un concetto astratto: si fa giustizia. Noi aspettiamo che venga in concreto chi può fare giustizia. Ed in questo senso preghiamo: Vieni, Signore, Gesù Cristo come Giudice, vieni secondo il modo tuo. Il Signore sa come entrare nel mondo e creare giustizia. Preghiamo che il Signore, il Giudice, ci risponda, che realmente crei giustizia nel mondo. Aspettiamo giustizia, ma questo non può essere solo l’espressione di una certa esigenza nei confronti degli altri. Aspettare giustizia nel senso cristiano indica soprattutto che noi stessi cominciamo a vivere sotto gli occhi del Giudice, secondo i criteri del Giudice; che cominciamo a vivere in presenza sua, realizzando la giustizia nella nostra vita. Così, realizzando la giustizia, mettendoci alla presenza del Giudice, aspettiamo nella realtà la giustizia. E questo è il senso dell’Avvento, della vigilanza. Vigilanza dell’Avvento vuol dire vivere sotto gli occhi del Giudice e preparare così noi stessi e il mondo alla giustizia. In questo modo, quindi, vivendo sotto gli occhi del Dio-Giudice, possiamo aprire il mondo alla venuta del suo Figlio, predisporre il cuore ad accogliere “il Signore che viene”. Il Bambino, che circa duemila anni or sono i pastori adorarono in una grotta nella notte di Betlemme, non si stanca di visitarci nella vita quotidiana, mentre come pellegrini siamo incamminati verso il Regno. Nella sua attesa il credente si fa allora interprete delle speranze dell'intera umanità; l’umanità anela alla giustizia e così, benché spesso in modo inconsapevole, aspetta Dio, aspetta la salvezza che solo Dio può donarci. Per noi cristiani questa attesa è segnata dalla preghiera assidua, come ben appare nella serie particolarmente suggestiva di invocazioni che ci vengono proposte, in questi giorni della Novena di Natale, sia nella Messa, nel canto al Vangelo, sia nella celebrazione dei Vespri, prima del cantico del Magnificat.

Ciascuna delle invocazioni, che implorano la venuta della Sapienza, del Sole di giustizia, del Dio-con-noi, contiene una preghiera rivolta all'Atteso delle genti, affinché affretti la sua venuta. Invocare il dono della nascita del Salvatore promesso, significa però anche impegnarsi a prepararne la strada, a predisporne una degna dimora non soltanto nell'ambiente attorno a noi, ma soprattutto nel nostro animo. Lasciandoci guidare dall’evangelista Giovanni, cerchiamo pertanto di volgere in questi giorni la mente e il cuore al Verbo eterno, al Logos, alla Parola che si è fatta carne e dalla cui pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia (cfr 1,14.16). Questa fede nel Logos Creatore, nella Parola che ha creato il mondo, in Colui che è venuto come Bambino, questa fede e la sua grande speranza appaiono oggi purtroppo lontane dalla realtà della vita vissuta ogni giorno, pubblica o privata. Questa verità pare troppo grande. Noi stessi ci arrangiamo secondo le possibilità che troviamo, almeno così sembra. Ma in questo modo il mondo diventa sempre più caotico ed anche violento: lo vediamo ogni giorno. E la luce di Dio, la luce della Verità, si spegne. La vita diventa oscura e senza bussola.

Quanto è allora importante che noi siamo realmente credenti e da credenti riaffermiamo con forza, con la nostra vita, il mistero di salvezza che reca con sé la celebrazione del Natale di Cristo! A Betlemme si è manifestata al mondo la Luce che illumina la nostra vita; ci è stata rivelata la Via che ci conduce alla pienezza della nostra umanità. Se non si riconosce che Dio si è fatto uomo, che senso ha festeggiare il Natale? La celebrazione diventa vuota. Dobbiamo innanzitutto noi cristiani riaffermare con convinzione profonda e sentita la verità del Natale di Cristo, per testimoniare di fronte a tutti la consapevolezza di un dono inaudito che è ricchezza non solo per noi, ma per tutti. Scaturisce di qui il dovere dell’evangelizzazione che è proprio la comunicazione di questo “eu-angelion”, di questa “buona notizia”. È quanto è stato richiamato di recente dal documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, denominato Nota Dottrinale su alcuni aspetti dell’Evangelizzazione, che desidero consegnare alla vostra riflessione ed al vostro approfondimento personale e comunitario.

Cari amici, in questa ormai immediata preparazione al Natale la preghiera della Chiesa si fa più intensa, affinché si realizzino le speranze di pace, di salvezza, di giustizia di cui ancora oggi il mondo ha urgentemente bisogno. Chiediamo a Dio che la violenza sia vinta dalla forza dell'amore, le contrapposizioni cedano il posto alla riconciliazione, la volontà di sopraffazione si trasformi in desiderio di perdono, di giustizia e di pace. L'augurio di bontà e di amore che ci scambiamo in questi giorni raggiunga tutti gli ambiti del nostro vivere quotidiano. La pace sia nei nostri cuori, perché si aprano all'azione della grazia di Dio. La pace abiti nelle famiglie e possano trascorrere il Natale unite davanti al presepe e all'albero addobbato di luci. Il messaggio di solidarietà e di accoglienza che proviene dal Natale, contribuisca a creare una più profonda sensibilità verso le vecchie e le nuove forme di povertà, verso il bene comune, a cui tutti siamo chiamati a partecipare. Tutti i membri della comunità familiare, soprattutto i bambini, gli anziani, le persone più deboli, possano sentire il calore di questa festa, che si dilati poi per tutti i giorni dell'anno.

Il Natale sia per tutti festa della pace e della gioia: gioia per la nascita del Salvatore, Principe della pace. Come i pastori, affrettiamo fin d’ora il nostro passo verso Betlemme. Nel cuore della Notte Santa anche noi potremo allora contemplare il «Bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia», insieme con Maria e Giuseppe (
Lc 2,12 Lc 2,16). Chiediamo al Signore di aprire il nostro animo, perché possiamo entrare nel mistero del suo Natale. Maria, che ha donato il suo grembo verginale al Verbo di Dio, che lo ha contemplato bambino tra le sue braccia materne, e che continua ad offrirlo a tutti quale Redentore del mondo, ci aiuti a fare del prossimo Natale un’occasione di crescita nella conoscenza e nell’amore di Cristo. E' questo l'augurio che formulo con affetto a tutti voi, qui presenti, alle vostre famiglie e a quanti vi sono cari.

Buon Natale a voi tutti!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:


In quest’ultima udienza dell’anno, saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Auguro a voi e ai vostri cari che il Natale sia una festa piena di gioia e di pace: la gioia per la nascita del Salvatore, Principe della pace. Possa Maria, che stringe Gesù bambino sul suo cuore, intercedere per l’irrobustimento della vostra fede. Accompagnandovi nel vostro cammino spirituale a Betlemme, vi benedico di cuore.

* * *


Rivolgo ora un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, ricordando, in modo speciale, gli esponenti del Movimento dei Focolari, le Suore Francescane Alcantarine, che celebrano il loro Capitolo Generale, i rappresentanti del Volontariato delle Provincie di Latina e Frosinone.

Desidero, poi, salutare i giovani, i malati e gli sposi novelli. A pochi giorni dalla solennità del Natale, possa l'amore, che Dio manifesta all'umanità nella nascita di Cristo, accrescere in voi, cari giovani, il desiderio di servire generosamente i fratelli. Sia per voi, cari malati, fonte di conforto e di serenità, perché il Signore viene a visitarci, recando consolazione e speranza. Ispiri voi, cari sposi novelli, a consolidare la vostra promessa di amore e di reciproca fedeltà.



Mercoledì, 2 gennaio 2008: Divina Maternità di Maria

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Cari fratelli e sorelle!

Un’antichissima formula di benedizione, riportata nel Libro dei Numeri, recita: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,24–26). Con queste parole che la liturgia ci ha fatto riascoltare ieri, primo giorno dell’anno, vorrei formulare cordiali auguri a voi, qui presenti, e a quanti in queste feste natalizie mi hanno fatto pervenire attestati di affettuosa vicinanza spirituale.

Ieri abbiamo celebrato la solenne festa di Maria, Madre di Dio. “Madre di Dio”, Theotokos, è il titolo attribuito ufficialmente a Maria nel V secolo, esattamente nel Concilio di Efeso del 431, ma affermatosi nella devozione del popolo cristiano già a partire dal III secolo, nel contesto delle accese discussioni di quel periodo sulla persona di Cristo. Si sottolineava, con quel titolo, che Cristo è Dio ed è realmente nato come uomo da Maria: veniva così preservata la sua unità di vero Dio e di vero uomo. In verità, quantunque il dibattito sembrasse vertere su Maria, esso riguardava essenzialmente il Figlio. Volendo salvaguardare la piena umanità di Gesù, alcuni Padri suggerivano un termine più attenuato: invece del titolo di Theotokos, proponevano quello di Christotokos, “Madre di Cristo”; giustamente però ciò venne visto come una minaccia alla dottrina della piena unità della divinità con l’umanità di Cristo. Perciò, dopo ampia discussione, nel Concilio di Efeso del 431, come ho detto, venne solennemente confermata, da una parte, l’unità delle due nature, quella divina e quella umana, nella persona del Figlio di Dio (cfr
DS 250) e, dall’altra, la legittimità dell’attribuzione alla Vergine del titolo di Theotokos, Madre di Dio (ibid., n. 251).

Dopo questo Concilio si registrò una vera esplosione di devozione mariana e furono costruite numerose chiese dedicate alla Madre di Dio. Tra queste primeggia la Basilica di Santa Maria Maggiore, qui a Roma. La dottrina concernente Maria, Madre di Dio, trovò inoltre nuova conferma nel Concilio di Calcedonia (451) in cui Cristo fu dichiarato “vero Dio e vero uomo (…) nato per noi e per la nostra salvezza da Maria, Vergine e Madre di Dio, nella sua umanità” (DS 301). Com’è noto, il Concilio Vaticano II ha raccolto in un capitolo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, l’ottavo, la dottrina su Maria, ribadendone la divina maternità. Il capitolo s’intitola: “La Beata Maria Vergine, Madre di Dio, nel mistero di Cristo e della Chiesa”.

La qualifica di Madre di Dio, così profondamente legata alle festività natalizie, è pertanto l'appellativo fondamentale con cui la Comunità dei credenti onora, potremmo dire, da sempre la Vergine Santa. Essa esprime bene la missione di Maria nella storia della salvezza. Tutti gli altri titoli attribuiti alla Madonna trovano il loro fondamento nella sua vocazione ad essere la Madre del Redentore, la creatura umana eletta da Dio per realizzare il piano della salvezza, incentrato sul grande mistero dell'incarnazione del Verbo divino. In questi giorni di festa ci siamo soffermati a contemplare nel presepe la rappresentazione della Natività. Al centro di questa scena troviamo la Vergine Madre che offre Gesù Bambino alla contemplazione di quanti si recano ad adorare il Salvatore: i pastori, la gente povera di Betlemme, i Magi venuti dall’Oriente. Più tardi, nella festa della “Presentazione del Signore”, che celebreremo il 2 febbraio, saranno il vecchio Simeone e la profetessa Anna a ricevere dalle mani della Madre il piccolo Bambino e ad adorarlo. La devozione del popolo cristiano ha sempre considerato la nascita di Gesù e la divina maternità di Maria come due aspetti dello stesso mistero dell'incarnazione del Verbo divino e perciò non ha mai considerato la Natività come una cosa del passato. Noi siamo “contemporanei” dei pastori, dei magi, di Simeone e di Anna, e mentre andiamo con loro siamo pieni di gioia, perchè Dio ha voluto essere il Dio con noi ed ha una madre, che è la nostra madre.

Dal titolo di “Madre di Dio” derivano poi tutti gli altri titoli con cui la Chiesa onora la Madonna, ma questo è il fondamentale. Pensiamo al privilegio dell’“Immacolata Concezione”, all’essere cioè immune dal peccato fin dal suo concepimento: Maria fu preservata da ogni macchia di peccato perché doveva essere la Madre del Redentore. La stessa cosa vale per il titolo di “Assunta”: non poteva essere soggetta alla corruzione derivante dal peccato originale Colei che aveva generato il Salvatore. E sappiamo che tutti questi privilegi non sono concessi per allontanare Maria da noi, ma al contrario per renderla vicina; infatti, essendo totalmente con Dio, questa Donna è vicinissima a noi e ci aiuta come madre e come sorella. Anche il posto unico e irripetibile che Maria ha nella Comunità dei credenti deriva da questa sua fondamentale vocazione ad essere la Madre del Redentore. Proprio in quanto tale, Maria è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Giustamente, pertanto, durante il Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964, Paolo VI attribuì solennemente a Maria il titolo di “Madre della Chiesa”.

Proprio perché Madre della Chiesa, la Vergine è anche Madre di ciascuno di noi, che siamo membra del Corpo mistico di Cristo. Dalla Croce Gesù ha affidato la Madre ad ogni suo discepolo e, allo stesso tempo, ha affidato ogni suo discepolo all'amore della Madre sua. L'evangelista Giovanni conclude il breve e suggestivo racconto con le parole: “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Jn 19,27). Così è la traduzione italiana del testo greco: “ei? t? íd?a”, egli l’accolse nella realtà propria, nel suo proprio essere. Così che fa parte della sua vita e le due vite si compenetrano; e questo accettarla (ei? t? íd?a) nella propria vita è il testamento del Signore. Dunque, al momento supremo del compimento della missione messianica, Gesù lascia a ciascuno dei suoi discepoli, come eredità preziosa, la sua stessa Madre, la Vergine Maria.

Cari fratelli e sorelle, in questi primi giorni dell'anno, siamo invitati a considerare attentamente l’importanza della presenza di Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esistenza personale. Affidiamoci a Lei perchè guidi i nostri passi in questo nuovo periodo di tempo che il Signore ci dona da vivere, e ci aiuti ad essere autentici amici del suo Figlio e così anche coraggiosi artefici del suo Regno nel mondo, Regno della luce e della verità. Buon Anno a tutti! È questo l'augurio che desidero rivolgere a voi qui presenti e ai vostri cari in questa prima Udienza generale del 2008. Che il nuovo anno, iniziato sotto il segno della Vergine Maria, ci faccia sentire più vivamente la sua presenza materna, così che, sostenuti e confortati dalla protezione della Vergine, possiamo contemplare con occhi rinnovati il volto del suo Figlio Gesù e camminare più speditamente sulle vie del bene.

Ancora una volta, Buon Anno a tutti!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. All’inizio dell’anno rivolgo a ciascuno e ciascuna di voi il biblico augurio: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”. Portate questo saluto ai vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

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A tutti i pellegrini di lingua italiana presenti a questa prima Udienza Generale del 2008 porgo un affettuoso augurio di serenità e di bene per il nuovo anno.

Uno speciale saluto rivolgo alla Comunità dei Legionari di Cristo, che provengono da diversi Paesi, in particolare ai sacerdoti novelli e ai rappresentanti di "Regnum Christi". Carissimi, il mistero dell'Incarnazione che celebriamo in questo tempo liturgico vi illumini nel cammino della fedeltà a Cristo. Sull'esempio di Maria, sappiate custodire, meditare e seguire il Verbo che a Betlemme si è fatto carne, e diffondere con entusiasmo il suo messaggio di salvezza.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. A voi, cari giovani, auguro di saper considerare ogni giorno come un dono di Dio, da accogliere con riconoscenza e da vivere con rettitudine. A voi, cari malati, il nuovo anno porti consolazione nel corpo e nello spirito. E voi, cari sposi novelli, ponetevi alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth, per imparare a realizzare un'autentica comunione di vita e d'amore.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 9 gennaio 2008: Sant’Agostino - I: La vita


Catechesi 2005-2013 51207