Catechesi 2005-2013 30018

Mercoledì, 30 gennaio 2008: Sant’Agostino - La dottrina. Fede e ragione

30018


Cari amici,

dopo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ritorniamo oggi alla grande figura di sant’Agostino. Il mio caro Predecessore Giovanni Paolo II gli ha dedicato nel 1986, cioè nel sedicesimo centenario della sua conversione, un lungo e denso documento, la Lettera apostolica Augustinum Hipponensem. Il Papa stesso volle definire questo testo «un ringraziamento a Dio per il dono fatto alla Chiesa, e per essa all’umanità intera, con quella mirabile conversione» (AAS, 74, 1982, p. 802). Sul tema della conversione vorrei tornare in una prossima Udienza. È un tema fondamentale non solo per la sua vita personale, ma anche per la nostra. Nel Vangelo di domenica scorsa il Signore stesso ha riassunto la sua predicazione con la parola: «Convertitevi». Seguendo il cammino di sant’Agostino, potremmo meditare su che cosa sia questa conversione: è una cosa definitiva, decisiva, ma la decisione fondamentale deve svilupparsi, deve realizzarsi in tutta la nostra vita.

La catechesi oggi è dedicata invece al tema fede e ragione, che è un tema determinante, o meglio, il tema determinante per la biografia di sant’Agostino. Da bambino aveva imparato da sua madre Monica la fede cattolica. Ma da adolescente aveva abbandonato questa fede, perché non poteva più vederne la ragionevolezza e non voleva una religione che non fosse anche per lui espressione della ragione, cioè della verità. La sua sete di verità era radicale e lo ha condotto quindi ad allontanarsi dalla fede cattolica. Ma la sua radicalità era tale che egli non poteva accontentarsi di filosofie che non arrivassero alla verità stessa, che non arrivassero fino a Dio. E a un Dio che non fosse soltanto un’ultima ipotesi cosmologica, ma che fosse il vero Dio, il Dio che dà la vita e che entra nella nostra stessa vita. Così tutto l’itinerario intellettuale e spirituale di sant’Agostino costituisce un modello valido anche oggi nel rapporto tra fede e ragione, tema non solo per uomini credenti, ma per ogni uomo che cerca la verità, tema centrale per l’equilibrio e il destino di ogni essere umano. Queste due dimensioni, fede e ragione, non sono da separare né da contrapporre, ma piuttosto devono sempre andare insieme. Come ha scritto Agostino stesso dopo la sua conversione, fede e ragione sono «le due forze che ci portano a conoscere» (Contro gli Accademici III,20,43). A questo proposito rimangono giustamente celebri le due formule agostiniane (Sermoni 43,9) che esprimono questa coerente sintesi tra fede e ragione: crede ut intelligas («credi per comprendere») – il credere apre la strada per varcare la porta della verità –, ma anche, e inseparabilmente, intellige ut credas («comprendi per credere») – scruta la verità per poter trovare Dio e credere.

Le due affermazioni di Agostino esprimono con efficace immediatezza e con altrettanta profondità la sintesi di questo problema, nella quale la Chiesa cattolica vede espresso il proprio cammino. Storicamente questa sintesi va formandosi, prima ancora della venuta di Cristo, nell’incontro tra fede ebraica e pensiero greco nel giudaismo ellenistico. Successivamente nella storia questa sintesi è stata ripresa e sviluppata da molti pensatori cristiani. L’armonia tra fede e ragione significa soprattutto che Dio non è lontano: non è lontano dalla nostra ragione e dalla nostra vita; è vicino ad ogni essere umano, vicino al nostro cuore e vicino alla nostra ragione, se realmente ci mettiamo in cammino.

Proprio questa vicinanza di Dio all’uomo fu avvertita con straordinaria intensità da Agostino. La presenza di Dio nell’uomo è profonda e nello stesso tempo misteriosa, ma può essere riconosciuta e scoperta nel proprio intimo: non andare fuori – afferma il convertito – ma «torna in te stesso; nell’uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutabile, trascendi te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che tu trascendi un’anima che ragiona. Tendi dunque là dove si accende la luce della ragione» (La vera religione 39,72). Proprio come egli stesso sottolinea, con un’affermazione famosissima, all’inizio delle Confessioni, autobiografia spirituale scritta a lode di Dio: «Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te» (I,1,1).

La lontananza di Dio equivale allora alla lontananza da se stessi: «Tu infatti – riconosce Agostino (Confessioni, III,6,11) rivolgendosi direttamente a Dio – eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta», interior intimo meo et superior summo meo; tanto che – aggiunge in un altro passo ricordando il tempo antecedente la conversione – «tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno ritrovavo te» (Confessioni V,2,2). Proprio perché Agostino ha vissuto in prima persona questo itinerario intellettuale e spirituale, ha saputo renderlo nelle sue opere con tanta immediatezza, profondità e sapienza, riconoscendo in due altri celebri passi delle Confessioni (IV,4,9 e 14,22) che l’uomo è «un grande enigma» (magna quaestio) e «un grande abisso» (grande profundum), enigma e abisso che solo Cristo illumina e salva. Questo è importante: un uomo che è lontano da Dio è anche lontano da sé, alienato da se stesso, e può ritrovare se stesso solo incontrandosi con Dio. Così arriva anche a sé, al suo vero io, alla sua vera identità.

L’essere umano – sottolinea poi Agostino nel De civitate Dei (La città di Dio XII,27) – è sociale per natura ma antisociale per vizio, ed è salvato da Cristo, unico mediatore tra Dio e l’umanità e «via universale della libertà e della salvezza», come ha ripetuto il mio predecessore Giovanni Paolo II (Augustinum Hipponensem, 21): al di fuori di questa via, che mai è mancata al genere umano – afferma ancora Agostino nella stessa opera – «nessuno è stato mai liberato, nessuno viene liberato, nessuno sarà liberato» (La città di Dio X,32,2). In quanto unico mediatore della salvezza, Cristo è capo della Chiesa e ad essa è misticamente unito, al punto che Agostino può affermare: «Siamo diventati Cristo. Infatti se Egli è il capo, noi le sue membra, l’uomo totale è Lui e noi» (Commento al Vangelo di
Jn 21,8).

Popolo di Dio e casa di Dio, la Chiesa nella visione agostiniana è dunque legata strettamente al concetto di Corpo di Cristo, fondata sulla rilettura cristologica dell’Antico Testamento e sulla vita sacramentale centrata sull’Eucaristia, nella quale il Signore ci dà il suo Corpo e ci trasforma in suo Corpo. È allora fondamentale che la Chiesa, popolo di Dio in senso cristologico e non in senso sociologico, sia davvero inserita in Cristo, il quale – afferma Agostino in una bellissima pagina – «prega per noi, prega in noi, è pregato da noi; prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio: riconosciamo pertanto in Lui la nostra voce e in noi la sua» (Esposizione sui Ps 85,1).

Nella conclusione della Lettera apostolica Augustinum Hipponensem Giovanni Paolo II ha voluto chiedere allo stesso Santo che cosa abbia da dire agli uomini di oggi, e risponde anzitutto con le parole che Agostino affidò a una lettera dettata poco dopo la sua conversione: «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità» (Ep 1,1); quella verità che è Cristo stesso, Dio vero, al quale è rivolta una delle preghiere più belle e più famose delle Confessioni (X,27,38): «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro e io fuori, e lì ti cercavo, e nelle bellezze che hai creato, deforme, mi gettavo. Eri con me, ma io non ero con te. Da te mi tenevano lontano quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero. Hai chiamato e hai gridato e hai rotto la mia sordità, hai brillato, hai mostrato il tuo splendore e hai dissipato la mia cecità, hai sparso il tuo profumo e ho respirato e aspiro a te, ho gustato e ho fame e sete, mi hai toccato e mi sono infiammato nella tua pace».

Ecco, Agostino ha incontrato Dio e durante tutta la sua vita ne ha fatto esperienza, al punto che questa realtà – che è anzitutto incontro con una Persona, Gesù – ha cambiato la sua vita, come cambia quella di quanti, donne e uomini, in ogni tempo hanno la grazia di incontrarlo. Preghiamo che il Signore ci dia questa grazia e ci faccia trovare così la sua pace.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto tutti i Polacchi qui presenti. Sant’Agostino ci insegna l’amicizia con Dio. Nella famosa preghiera confida: “Tardi ti ho amato! Da te mi tenevano lontano quelle cose (che, se non fossero in te, non esisterebbero). Hai mostrato il tuo splendore e hai dissipato la mia cecità… mi hai toccato e mi sono infiammato nella tua pace” (cfr. Confessiones X, 27, 38). Possa questa preghiera risvegliare anche in noi la voglia di conoscere Dio. Sia lodato Gesù Cristo.

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi qui convenuti in occasione del 40° anniversario di fondazione della Comunità di Sant'Egidio, assicurando il mio orante ricordo affinché si rafforzi in ciascuno il fermo desiderio di annunciare a tutti Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Saluto con particolare affetto i fedeli della Parrocchia di Santa Caterina di Nardò - dove mi dicono che c'è un bellissimo mare -, con un pensiero speciale per i giovani musicisti. Cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza ed auspico che questo incontro possa accrescere in ciascuno il desiderio di testimoniare con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno. Vi accompagno con la mia preghiera, affinché possiate edificare ogni vostro progetto sulle solide basi della fedeltà a Dio. Saluto poi gli Operatori Caritas della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto e li incoraggio a proseguire con generosità la loro opera in favore dei più bisognosi.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.

Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, specialmente voi cresimandi di Serroni di Battipaglia, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per assumere con impegno generoso la vostra missione di sposi.


Aula Paolo VI

Mercoledì delle Ceneri, 6 febbraio 2008: Tempo quaresimale

60208

Cari fratelli e sorelle,

quest’oggi, Mercoledì delle Ceneri, riprendiamo, come ogni anno, il cammino quaresimale animati da un più intenso spirito di preghiera e di riflessione, di penitenza e di digiuno. Entriamo in un tempo liturgico “forte” che, mentre ci prepara alle celebrazioni della Pasqua – cuore e centro dell’anno liturgico e dell’intera nostra esistenza – ci invita, anzi potremmo dire ci provoca, a imprimere un più deciso impulso alla nostra esistenza cristiana. Poiché gli impegni, gli affanni e le preoccupazioni ci fanno ricadere nell’abitudine, ci espongono al rischio di dimenticare quanto straordinaria sia l’avventura nella quale Gesù ci ha coinvolti, abbiamo bisogno, ogni giorno, di iniziare nuovamente il nostro esigente itinerario di vita evangelica, rientrando in noi stessi mediante pause ristoratrici dello spirito. Con l’antico rito dell’imposizione delle ceneri, la Chiesa ci introduce nella Quaresima come in un grande ritiro spirituale che dura quaranta giorni.

Entriamo dunque nel clima quaresimale, che ci aiuta a riscoprire il dono della fede ricevuta con il Battesimo e ci spinge ad accostarci al sacramento della Riconciliazione, ponendo il nostro impegno di conversione sotto il segno della misericordia divina. In origine, nella Chiesa primitiva, la Quaresima era il tempo privilegiato per la preparazione dei catecumeni ai sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, che venivano celebrati nella Veglia di Pasqua. La Quaresima veniva considerata come il tempo del divenire cristiani, che non si attuava in un solo momento, ma esigeva un lungo percorso di conversione e di rinnovamento. A questa preparazione si univano anche i già battezzati riattivando il ricordo del Sacramento ricevuto, e disponendosi a una rinnovata comunione con Cristo nella celebrazione gioiosa della Pasqua. Così, la Quaresima aveva, ed ancor oggi conserva, il carattere di un itinerario battesimale, nel senso che aiuta a mantenere desta la consapevolezza che l’essere cristiani si realizza sempre come un nuovo diventare cristiani: non è mai una storia conclusa che sta alle nostre spalle, ma un cammino che esige sempre un esercizio nuovo.

Imponendo sul capo le ceneri il celebrante dice: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” (cfr
Gn 3,19), oppure ripete l’esortazione di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo” (cfr Mc 1,15). Entrambe le formule costituiscono un richiamo alla verità dell’esistenza umana: siamo creature limitate, peccatori bisognosi sempre di penitenza e di conversione. Quanto è importante ascoltare ed accogliere questo richiamo in questo nostro tempo! Quando proclama la sua totale autonomia da Dio, l’uomo contemporaneo diventa schiavo di sé stesso e spesso si ritrova in una solitudine sconsolata. L’invito alla conversione è allora una spinta a tornare tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a fidarsi di Lui, ad affidarsi a Lui come figli adottivi, rigenerati dal suo amore. Con sapiente pedagogia la Chiesa ripete che la conversione è anzitutto una grazia, un dono che apre il cuore all’infinita bontà di Dio. Egli stesso previene con la sua grazia il nostro desiderio di conversione e accompagna i nostri sforzi verso la piena adesione alla sua volontà salvifica. Convertirsi vuol dire allora lasciarsi conquistare da Gesù (cfr Ph 3,12) e con Lui “ritornare” al Padre.

La conversione comporta quindi porsi umilmente alla scuola di Gesù e camminare seguendo docilmente le sue orme. Illuminanti sono al riguardo le parole con cui Egli stesso indica le condizioni per essere suoi veri discepoli. Dopo aver affermato che “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”, aggiunge: “Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima”? (Mc 8,35-36). La conquista del successo, la bramosia del prestigio e la ricerca delle comodità, quando assorbono totalmente la vita sino ad escludere Dio dal proprio orizzonte, conducono veramente alla felicità? Ci può essere felicità autentica a prescindere da Dio? L’esperienza dimostra che non si è felici perché si soddisfano le attese e le esigenze materiali. In realtà, la sola gioia che colma il cuore umano è quella che viene da Dio: abbiamo infatti bisogno della gioia infinita. Né le preoccupazioni quotidiane, né le difficoltà della vita riescono a spegnere la gioia che nasce dall’amicizia con Dio. L’invito di Gesù a prendere la propria croce e a seguirlo in un primo momento può apparire duro e contrario a quanto noi vogliamo, mortificante per il nostro desiderio di realizzazione personale. Ma guardando più da vicino possiamo scoprire che non è così: la testimonianza dei santi dimostra che nella Croce di Cristo, nell’amore che si dona, rinunciando al possesso di se stesso, si trova quella profonda serenità che è sorgente di generosa dedizione ai fratelli, specialmente ai poveri e ai bisognosi. E questo dona gioia anche a noi stessi. Il cammino quaresimale di conversione, che oggi intraprendiamo con tutta la Chiesa, diventa pertanto l’occasione propizia, “il momento favorevole” (cfr 2Co 6,2) per rinnovare il nostro abbandono filiale nelle mani di Dio e per mettere in pratica quanto Gesù continua a ripeterci: “Se qualcuno vuole venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34), e così si inoltri sulla strada dell’amore e della vera felicità.

Nel tempo quaresimale la Chiesa, facendo eco al Vangelo, propone alcuni specifici impegni che accompagnano i fedeli in questo itinerario di rinnovamento interiore: la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Nel Messaggio per la Quaresima di quest’anno, pubblicato pochi giorni fa, ho voluto soffermarmi “sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni” (n. 1). Noi sappiamo quanto purtroppo la suggestione delle ricchezze materiali pervada in profondità la società moderna. Come discepoli di Gesù Cristo siamo chiamati a non idolatrare i beni terreni, ma ad utilizzarli come mezzi per vivere e per aiutare gli altri che sono nel bisogno. Indicandoci la pratica dell’elemosina, la Chiesa ci educa ad andare incontro alle necessità del prossimo, ad imitazione di Gesù, che, come nota san Paolo, si è fatto povero per arricchirci della sua povertà (cfr 2Co 8,9). “Alla sua scuola - ho scritto ancora nel citato Messaggio – possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi”. Ed ho aggiunto: “L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? Ecco allora che l’elemosina, praticata con profondo spirito di fede, diviene un mezzo per capire e realizzare meglio la nostra stessa vocazione cristiana. Quando infatti, gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore” (n. 5).

Cari fratelli e sorelle, chiediamo alla Madonna, Madre di Dio e della Chiesa, di accompagnarci nel cammino quaresimale, perché sia cammino di vera conversione. Lasciamoci condurre da Lei e giungeremo, interiormente rinnovati, alla celebrazione del grande mistero della Pasqua di Cristo, rivelazione suprema dell’amore misericordioso di Dio.

Buona Quaresima a tutti!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Cari fratelli e sorelle! Iniziamo la Quaresima. Sia questo un tempo di vera conversione, affinché, rinnovati nello spirito, possiamo partecipare al mistero della redenzione e gioire nel giorno della risurrezione. Sia questo un tempo di affidamento alla misericordia di Dio. Vi benedico cordialmente.

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale saluto ai fedeli della Parrocchia di Losiny e di Rapotín. Oggi, con l'imposizione delle sacre ceneri, stiamo entrando nella Quaresima, tempo prezioso di preghiera e di penitenza, che ci porta alla conversione. Cogliamo con profitto questo tempo di grazia! Volentieri vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto voi, Piccoli cantori di Merano, grazie per il vostro canto e vi incoraggio a proseguire con gioia il vostro impegno di animazione liturgica. Saluto voi, rappresentanti del Comitato Pio IX, di Senigallia, convenuti a Roma in occasione del 130° anniversario della morte del beato Pio IX, la cui memoria liturgica si celebra domani. Vi ringrazio per il vostro generoso impegno teso a richiamare l'attenzione sulla figura e sull'esemplarità delle virtù di questo grande Pontefice, che espletò con eroica carità la missione di pastore universale della Chiesa, avendo sempre come obiettivo la salvezza delle anime. Nel suo lungo pontificato, segnato da avvenimenti burrascosi, egli cercò di riaffermare con forza le verità della fede cristiana di fronte a una società esposta ad una progressiva secolarizzazione. La sua testimonianza di indomito e coraggioso servitore di Cristo e della Chiesa costituisce anche oggi un luminoso insegnamento per tutti. Auspico di cuore che questa significativa ricorrenza contribuisca a far conoscere meglio lo spirito e il "volto" di questo mio beato predecessore e a farne apprezzare ancor più la sapienza evangelica e la fortezza interiore.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli, invitando tutti ad accogliere con prontezza e attuare con generosa perseveranza l'invito alla conversione, che la Chiesa oggi ci rivolge in modo singolare.

APPELLO DEL SANTO PADRE PER IL CIAD


In questi giorni sono particolarmente vicino alle care popolazioni del Ciad, sconvolte da dolorose lotte intestine, che hanno causato numerose vittime e la fuga di migliaia di civili dalla Capitale. Affido anche alla vostra preghiera e alla vostra solidarietà questi fratelli e sorelle che soffrono, chiedendo che siano loro risparmiate ulteriori violenze e venga assicurata la necessaria assistenza umanitaria, mentre rivolgo un accorato appello a deporre le armi e a percorrere la via del dialogo e della riconciliazione.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 20 febbraio 2008: Sant’Agostino IV: Gli scritti

20028

Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:


Sono lieto di accogliere e di salutare cordialmente tutti voi, cari pellegrini provenienti da varie parti d’Italia. Il cammino quaresimale che stiamo percorrendo sia occasione favorevole di un deciso sforzo di conversione e di rinnovamento spirituale per un risveglio alla fede autentica, per un recupero salutare del rapporto con Dio e per un impegno evangelico più generoso. Nella consapevolezza che l'amore è stile di vita che contraddistingue il credente, non stancatevi di essere ovunque testimoni di carità.

...
Concludiamo questo nostro incontro cantando la preghiera del Pater Noster.

* * *


Sant’Agostino IV: Gli scritti

Cari fratelli e sorelle,

dopo la pausa degli Esercizi Spirituali della settimana scorsa ritorniamo oggi alla grande figura di sant’Agostino, sul quale già ripetutamente ho parlato nelle catechesi del mercoledì. E’ il Padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere, e di queste oggi intendo parlare brevemente. Alcuni degli scritti agostiniani sono d’importanza capitale, e non solo per la storia del cristianesimo ma per la formazione di tutta la cultura occidentale: l’esempio più chiaro sono le Confessioni, senza dubbio uno dei libri dell’antichità cristiana tuttora più letti. Come diversi Padri della Chiesa dei primi secoli, ma in misura incomparabilmente più vasta, anche il Vescovo d’Ippona ha infatti esercitato un influsso esteso e persistente, come appare già dalla sovrabbondante tradizione manoscritta delle sue opere, che sono davvero moltissime.

Lui stesso le passò in rassegna qualche anno prima di morire nelle Retractationes (Ritrattazioni), e poco dopo la sua morte esse vennero accuratamente registrate nell’Indiculus («elenco») aggiunto dal fedele amico Possidio alla biografia di sant’Agostino, Vita di Agostino. L’elenco delle opere di Agostino fu realizzato con l’intento esplicito di salvaguardarne la memoria, mentre l’invasione vandala dilagava in tutta l’Africa romana, e conta ben milletrenta scritti numerati dal loro Autore, con altri «che non si possono numerare, perché non vi ha apposto nessun numero». Vescovo di una città vicina, Possidio dettava queste parole proprio a Ippona – dove si era rifugiato e dove aveva assistito alla morte dell’amico – e quasi sicuramente si basava sul catalogo della biblioteca personale di Agostino. Oggi, sono oltre trecento le lettere sopravvissute del Vescovo di Ippona e quasi seicento le omelie, ma queste in origine erano moltissime di più, forse addirittura tra le tremila e le quattromila, frutto di un quarantennio di predicazione dell’antico retore che aveva deciso di seguire Gesù e di parlare non più ai grandi della corte imperiale, ma alla semplice popolazione di Ippona.

E ancora in tempi recenti, le scoperte di un gruppo di lettere e di alcune omelie hanno arricchito la nostra conoscenza di questo grande Padre della Chiesa. «Molti libri – scrive Possidio – furono da lui composti e pubblicati, molte prediche furono tenute in chiesa, trascritte e corrette, sia per confutare i diversi eretici sia per interpretare le Sacre Scritture ad edificazione dei santi figli della Chiesa. Queste opere – sottolinea il Vescovo amico – sono tante, che a stento uno studioso ha la possibilità di leggerle ed imparare a conoscerle» (Vita di Agostino 18,9).

Tra la produzione letteraria di Agostino – quindi più di mille pubblicazioni suddivise in scritti filosofici, apologetici, dottrinali, morali, monastici, esegetici, antieretici, oltre appunto le lettere e le omelie – spiccano alcune opere eccezionali di grande respiro teologico e filosofico. Innanzitutto bisogna ricordare le già menzionate Confessioni, scritte in tredici libri tra il 397 e il 400 a lode di Dio. Esse sono una specie di autobiografia nella forma di un dialogo con Dio. Questo genere letterario riflette proprio la vita di sant’Agostino, che era una vita non chiusa in sé, dispersa in tante cose, ma vissuta sostanzialmente come dialogo con Dio e così una vita con gli altri. Già il titolo Confessiones indica la specificità di questa autobiografia. Questa parola confessiones nel latino cristiano sviluppato dalla tradizione dei Salmi ha due significati, che tuttavia si intrecciano. Confessiones indica, in primo luogo, la confessione delle proprie debolezze, della miseria dei peccati; ma, allo stesso tempo, confessiones significa lode di Dio, riconoscimento a Dio. Vedere la propria miseria nella luce di Dio diventa lode a Dio e ringraziamento, perché Dio ci ama e ci accetta, ci trasforma e ci eleva verso se stesso. Su queste Confessioni, che ebbero grande successo già durante la vita di sant’Agostino, egli stesso ha scritto: «Esse hanno esercitato su di me tale azione mentre le scrivevo e l’esercitano ancora quando le rileggo. Vi sono molti fratelli ai quali queste opere piacciono» (Ritrattazioni II,6): e devo dire che anch’io sono uno di questi «fratelli». Grazie alle Confessioni possiamo seguire passo passo il cammino interiore di quest’uomo straordinario e appassionato di Dio. Meno diffuse, ma altrettanto originali e molto importanti, sono poi le Ritrattazioni, composte in due libri intorno al 427, nelle quali sant’Agostino, ormai anziano, compie un’opera di «revisione» (retractatio)di tutta la sua opera scritta, lasciando così un documento letterario singolare e preziosissimo, ma anche un insegnamento di sincerità e di umiltà intellettuale.

La città di Dio – opera imponente e decisiva per lo sviluppo del pensiero politico occidentale e per la teologia cristiana della storia – venne scritta tra il 413 e il 426 in ventidue libri. L’occasione era il Sacco di Roma compiuto dai Goti nel 410. I pagani, ancora numerosi in quel tempo, ed anche non pochi cristiani pensano che il Dio della nuova religione e gli stessi Apostoli avevano mostrato di non essere in grado di proteggere la città. Ai tempi delle divinità pagane Roma era caput mundi, la grande capitale, e nessuno poteva pensare che sarebbe caduta nelle mani dei nemici. Adesso, con il Dio dei cristiani, questa grande città non appariva più sicura. Quindi il Dio dei cristiani, che non proteggeva, non poteva essere il Dio al quale affidarsi. A questa obiezione, che toccava profondamente anche il cuore dei cristiani, risponde sant’Agostino con questa grandiosa opera, La città di Dio, chiarendo che cosa dobbiamo aspettarci da Dio e che cosa no, qual è la relazione tra la sfera politica e la sfera della fede, della Chiesa. Anche oggi questo libro è una fonte per definire bene la vera laicità e la competenza della Chiesa, la grande vera speranza che ci dona la fede.

Questo grande libro è una presentazione della storia dell’umanità governata dalla Provvidenza divina, ma attualmente divisa da due amori. E questo è il disegno fondamentale, la sua interpretazione della storia, che è la lotta tra due amori: amore di sé «sino all’indifferenza per Dio», e amore di Dio «sino all’indifferenza per sé» (La città di Dio XIV,28), alla piena libertà da sé per gli altri nella luce di Dio. Questo, quindi, è forse il più grande libro di sant’Agostino, di un’importanza permanente. Altrettanto importante è il De Trinitate (La Trinità), opera in quindici libri sul principale nucleo della fede cristiana, la fede nel Dio trinitario, scritta in due tempi: tra il 399 e il 412 i primi dodici libri, pubblicati all’insaputa di Agostino, che verso il 420 li completò e rivide l’intera opera. Qui egli riflette sul volto di Dio e cerca di capire questo mistero del Dio che è unico, l’unico Creatore del mondo, di noi tutti, e tuttavia, proprio questo unico Dio è trinitario, un cerchio di amore. Cerca di capire il mistero insondabile: proprio l’essere trinitario, in tre Persone, è la più reale e più profonda unità dell’unico Dio.

L’opera La dottrina cristiana è invece una vera e propria introduzione culturale all’interpretazione della Bibbia e in definitiva allo stesso cristianesimo, un trattato che ha avuto un’importanza decisiva nella formazione della cultura occidentale.

Pur con tutta la sua umiltà, Agostino certamente fu consapevole della propria statura intellettuale. Ma per lui, più importante del fare grandi opere di respiro alto, teologico, era portare il messaggio cristiano ai semplici. Questa sua intenzione più profonda, che ha guidato tutta la sua vita, appare da una lettera scritta al collega Evodio, dove comunica la decisione di sospendere per il momento la dettatura dei libri su La Trinità, «perché sono troppo faticosi e penso che possano essere capiti da pochi; per questo urgono di più testi che speriamo saranno utili a molti» (Ep. 169,1,1). Quindi più utile era per lui comunicare la fede in modo comprensibile a tutti, che non scrivere grandi opere teologiche. La responsabilità acutamente avvertita nei confronti della divulgazione del messaggio cristiano è poi all’origine di scritti come il La catechesi ai semplici, una teoria e anche una prassi della catechesi, o il Salmo contro il partito di Donato. I donatisti erano il grande problema dell’Africa di sant’Agostino, uno scisma volutamente africano. Essi affermavano: la vera cristianità è quella africana. Si opponevano all’unità della Chiesa. Contro questo scisma il grande Vescovo ha lottato per tutta la sua vita, cercando di convincere i donatisti che solo nell’unità anche l’africanità può essere vera. E per farsi capire dai semplici, che non potevano comprendere il grande latino del retore, Agostino ha deciso: devo scrivere, anche con errori grammaticali, in un latino molto semplificato. E lo ha fatto soprattutto in questo Salmo, una specie di poesia semplice contro i donatisti, per aiutare tutta la gente a capire che solo nell’unità della Chiesa si realizza per tutti realmente la nostra relazione con Dio e cresce la pace nel mondo.

In questa produzione destinata a un pubblico più largo riveste un’importanza particolare la massa delle omelie, spesso pronunciate «a braccio», trascritte dai tachigrafi durante la predicazione e subito messe in circolazione. Tra queste spiccano le bellissime Esposizione sui Salmi, molto lette nel Medioevo. Proprio la prassi di pubblicazione delle migliaia di omelie di Agostino – spesso senza il controllo dell’autore – spiega la loro diffusione e successiva dispersione, ma anche la loro vitalità. Subito infatti le prediche del Vescovo d’Ippona diventavano, per la fama del loro autore, testi molto ricercati e servivano anche per altri Vescovi e sacerdoti come modelli, adattati a sempre nuovi contesti.

La tradizione iconografica, già in un affresco lateranense risalente al VI secolo, rappresenta sant’Agostino con un libro in mano, certo per esprimere la sua produzione letteraria, che tanto influenzò la mentalità e il pensiero cristiani, ma per esprimere anche il suo amore per i libri, per la lettura e la conoscenza della grande cultura precedente. Alla sua morte non lasciò nulla, racconta Possidio, ma «raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri la biblioteca della chiesa con tutti i codici», soprattutto quelli delle sue opere. In queste, sottolinea Possidio, Agostino è «sempre vivo» e giova a chi legge i suoi scritti, anche se, conclude, «io credo che abbiano potuto trarre più profitto dal suo contatto quelli che lo poterono vedere e ascoltare quando di persona parlava in chiesa, e soprattutto quelli che ebbero pratica della sua vita quotidiana fra la gente» (Vita di Agostino 31). Sì, anche per noi sarebbe stato bello poterlo sentire vivo. Ma è realmente vivo nei suoi scritti, è presente in noi, e così vediamo anche la permanente vitalità della fede alla quale ha dato tutta la sua vita.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi giunti dalla Polonia e dagli altri paesi del mondo. La Quaresima è il tempo della conversione dei cuori, degli esercizi spirituali e del ritorno dell’uomo a Dio. Che le nostra preghiera ed i nostri buoni propositi siano animati dall’invocazione di sant’Agostino: “inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in Dio” (cfr. Confessiones I, 1, 1). Per questo tempo di rinnovamento dello spirito, a voi tutti qui presenti e ai vostri cari, imparto una benedizione di cuore.

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Slavkovice u Nového Mesta na Morave, Radešínská Svratka a Jámy! Carissimi, in questo tempo di Quaresima chiediamo al Signore una vera e profonda conversione. Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari! Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore Canossiane qui convenute in occasione della loro Assemblea capitolare e le esorto ad essere sempre più presenze significative ovunque operano, distinguendosi per una intensa comunione e attiva cooperazione con i Pastori della Chiesa. Saluto con affetto i Seminaristi del Seminario Vescovile di Lugano, accompagnati dal Vescovo Mons. Pier Giacomo Grampa, e li incoraggio a dedicarsi con serio impegno alla propria formazione spirituale e teologica, necessaria per l’impegno apostolico che li attende. Saluto le Guide della Necropoli Vaticana, accompagnate dal Cardinale Angelo Comastri e da Mons. Vittorio Lanzani, ed esprimo il mio apprezzamento per il competente e generoso servizio che svolgono in favore dei pellegrini provenienti da tutto il mondo. Saluto i fedeli della Parrocchia San Giovanni Battista, in Dossena e i rappresentanti della Federazione Italiana Amici dei Musei.

Saluto poi i fedeli delle Diocesi di Pavia e di Vigevano, guidati dai rispettivi Pastori Mons. Giovanni Giudici e Mons. Claudio Baggini, qui convenuti per ricambiare la visita, che ho avuto la gioia di compiere nel mese aprile dell’anno scorso in terra pavese e lomellina. Cari amici, ancora una volta vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per le vostre Comunità diocesane una rinnovata vitalità spirituale nella fedele e generosa adesione a Cristo e alla Chiesa. Guardate al futuro con speranza e lavorate con appassionata fiducia nella vigna del Signore!

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, e agli sposi novelli. L’amicizia nei confronti di Gesù, cari giovani, sia per voi fonte di gioia e spinta a compiere scelte impegnative. L’amore per Cristo vi rechi conforto, cari malati, nei momenti difficili e vi infonda serenità. Cari sposi novelli, alla luce dell’amicizia con il Signore, impegnatevi a corrispondere alla vostra vocazione e missione con un amore reciproco e fedele.


Aula Paolo VI

Mercoledì, 27 febbraio 2008: Sant’Agostino V: La triplice conversione


Catechesi 2005-2013 30018