Catechesi 2005-2013 27028

Mercoledì, 27 febbraio 2008: Sant’Agostino V: La triplice conversione

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:


Sono lieto di salutare cordialmente tutti voi, cari pellegrini provenienti da varie parti d’Italia. Vi incoraggio a crescere nella carità mediante concreti gesti di solidarietà verso le persone più deboli e bisognose, il cui volto è immagine di quello di Cristo. Quanto di materiale doniamo agli altri, è segno del dono più grande che possiamo offrire ai fratelli con l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. Questo tempo di Quaresima sia caratterizzato da uno sforzo personale e comunitario di adesione a Cristo per essere testimoni del suo amore.

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Sant’Agostino V: La triplice conversione

Cari fratelli e sorelle,

con l’incontro di oggi vorrei concludere la presentazione della figura di sant’Agostino. Dopo esserci soffermati sulla sua vita, sulle opere e su alcuni aspetti del suo pensiero, oggi vorrei tornare sulla sua vicenda interiore, che ne ha fatto uno dei più grandi convertiti della storia cristiana. A questa sua esperienza ho dedicato in particolare la mia riflessione durante il pellegrinaggio che ho compiuto a Pavia, l’anno scorso, per venerare le spoglie mortali di questo Padre della Chiesa. In tal modo ho voluto esprimere a lui l’omaggio di tutta la Chiesa cattolica, ma anche rendere visibile la mia personale devozione e riconoscenza nei confronti di una figura alla quale mi sento molto legato per la parte che ha avuto nella mia vita di teologo, di sacerdote e di Pastore.

Ancora oggi è possibile ripercorrere la vicenda di sant’Agostino grazie soprattutto alle Confessioni, che sono all’origine di una delle forme letterarie più specifiche dell’Occidente, l’autobiografia, cioè l’espressione personale della coscienza di sé. Ebbene, chiunque avvicini questo libro straordinario e affascinante, ancora oggi molto letto, si accorge facilmente come la conversione di Agostino non sia stata improvvisa né pienamente realizzata fin dall’inizio, ma possa essere definita piuttosto come un vero e proprio cammino, che resta un modello per ciascuno di noi. Questo itinerario culminò certamente con la conversione e poi con il Battesimo, ma non si concluse in quella Veglia pasquale dell’anno 387, quando a Milano il retore africano venne battezzato dal Vescovo Ambrogio. Il cammino di conversione di Agostino infatti continuò umilmente sino alla fine della sua vita, tanto che si può veramente dire che le sue diverse tappe – se ne possono distinguere facilmente tre – siano un’unica grande conversione.

Sant’Agostino è stato un ricercatore appassionato della verità: lo è stato fin dall’inizio e poi per tutta la sua vita. La prima tappa del suo cammino di conversione si è realizzata proprio nel progressivo avvicinamento al cristianesimo. In realtà, egli aveva ricevuto dalla madre Monica, alla quale restò sempre legatissimo, un’educazione cristiana e, benché avesse vissuto durante gli anni giovanili una vita sregolata, sempre avvertì un’attrazione profonda per Cristo, avendo bevuto l’amore per il nome del Signore con il latte materno, come lui stesso sottolinea (cfr Confessioni III,4,8). Ma anche la filosofia, soprattutto quella d’impronta platonica, aveva contribuito ad avvicinarlo ulteriormente a Cristo, manifestandogli l’esistenza del Logos, la Ragione creatrice. I libri dei filosofi gli indicavano che c’è la Ragione, dalla quale viene poi tutto il mondo, ma non gli dicevano come raggiungere questo Logos,che sembrava così lontano. Soltanto la lettura dell’epistolario di san Paolo, nella fede della Chiesa cattolica, gli rivelò pienamente la verità. Questa esperienza fu sintetizzata da Agostino in una delle pagine più famose delle Confessioni. Egli racconta che, nel tormento delle sue riflessioni, ritiratosi in un giardino, udì all’improvviso una voce infantile che ripeteva una cantilena, mai udita prima: tolle, lege, tolle, lege, «prendi, leggi, prendi, leggi» (VIII,12,29). Si ricordò allora della conversione di Antonio, padre del monachesimo, e con premura tornò al codice paolino che aveva poco prima tra le mani, lo aprì e lo sguardo gli cadde sul passo della Lettera ai Romani, dove l’Apostolo esorta ad abbandonare le opere della carne e a rivestirsi di Cristo (13,13-14). Aveva capito che quella parola in quel momento era rivolta personalmente a lui, veniva da Dio tramite l’Apostolo e gli indicava cosa fare in quel momento. Così sentì dileguarsi le tenebre del dubbio e si ritrovò finalmente libero di donarsi interamente a Cristo: «Avevi convertito a te il mio essere», egli commenta (Confessioni VIII,12,30). Fu questa la sua prima e decisiva conversione.

A questa tappa fondamentale del suo lungo cammino il retore africano arrivò grazie alla sua passione per l’uomo e per la verità, passione che lo portò a cercare Dio grande e inaccessibile. La fede in Cristo gli fece capire che il Dio, apparentemente così lontano, in realtà non lo era. Egli, infatti, si era fatto vicino a noi, divenendo uno di noi. In questo senso la fede in Cristo portò a compimento la lunga ricerca di Agostino sul cammino della verità. Solo un Dio fattosi «toccabile», uno di noi, era finalmente un Dio che si poteva pregare, per il quale e con il quale si poteva vivere. E’ questa una via da percorrere con coraggio e nello stesso tempo con umiltà, nell’apertura a una purificazione permanente, di cui ognuno di noi ha sempre bisogno. Ma con quella Veglia pasquale del 387, come abbiamo detto, il cammino di Agostino non era concluso. Tornato in Africa e fondato un piccolo monastero, vi si ritirò con pochi amici per dedicarsi alla vita contemplativa e di studio. Questo era il sogno della sua vita. Adesso era chiamato a vivere totalmente per la verità, con la verità, nell’amicizia di Cristo che è la Verità. Un bel sogno che durò tre anni, fino a quando egli non venne, suo malgrado, consacrato sacerdote a Ippona e destinato a servire i fedeli, continuando sì a vivere con Cristo e per Cristo, ma a servizio di tutti. Questo gli era molto difficile, ma capì fin dall’inizio che solo vivendo per gli altri, e non semplicemente per la sua privata contemplazione, poteva realmente vivere con Cristo e per Cristo. Così, rinunciando a una vita solo di meditazione, Agostino imparò, spesso con difficoltà, a mettere a disposizione il frutto della sua intelligenza a vantaggio degli altri. Imparò a comunicare la sua fede alla gente semplice e a vivere così per essa in quella che divenne la sua città, svolgendo senza stancarsi un’attività generosa e gravosa, che così descrive in uno dei suoi bellissimi sermoni: «Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica» (Sermoni 339,4). Ma questo peso egli prese su di sé, capendo che proprio così poteva essere più vicino a Cristo. Capire che si arriva agli altri con semplicità e umiltà, fu questa la sua seconda conversione.

Ma c’è un’ultima tappa del cammino agostiniano, una terza conversione: quella che lo portò ogni giorno della sua vita a chiedere perdono a Dio. Inizialmente aveva pensato che una volta battezzato, nella vita di comunione con Cristo, nei Sacramenti, nella celebrazione dell’Eucaristia, sarebbe arrivato alla vita proposta dal Discorso della montagna: alla perfezione donata nel Battesimo e riconfermata nell’Eucaristia. Nell’ultima parte della sua vita capì che quello che aveva detto nelle sue prime prediche sul Discorso della montagna – cioè che adesso noi da cristiani viviamo questo ideale permanentemente – era sbagliato. Solo Cristo stesso realizza veramente e completamente il Discorso della montagna. Noi abbiamo sempre bisogno di essere lavati da Cristo e da Lui rinnovati. Per questo abbiamo bisogno di quella conversione permanente, che si alimenta all’umiltà di saperci peccatori in cammino, finché il Signore ci dia la mano definitivamente e ci introduca nella vita eterna. In questo atteggiamento di umiltà, vissuto giorno dopo giorno, Agostino visse e morì.

Questo sentimento di indegnità davanti all’unico Signore Gesù lo introdusse all’esperienza di un’umiltà anche intellettuale. Agostino, infatti, che è una delle più grandi figure nella storia del pensiero, volle negli ultimi anni della sua vita sottoporre a un lucido esame critico tutte le sue numerosissime opere. Ebbero così origine le Retractationes (Ritrattazioni), che in questo modo inseriscono il suo pensiero teologico, davvero grande, nella fede umile e santa di quella che egli chiama semplicemente con il nome di Catholica, cioè della Chiesa. «Ho compreso – scrive appunto in questo originalissimo libro (I,19,1-3) – che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Convertito a Cristo, che è verità e amore, Agostino lo ha seguito per tutta la vita ed è diventato un modello per ogni essere umano, per noi tutti in cerca di Dio. Per questo ho voluto concludere il mio pellegrinaggio a Pavia riconsegnando idealmente alla Chiesa e al mondo, davanti alla tomba di questo grande innamorato di Dio, la mia prima Enciclica, intitolata Deus caritas est. Questa infatti molto deve, soprattutto nella sua prima parte, al pensiero di sant’Agostino. Anche oggi, come al suo tempo, l’umanità ha bisogno di conoscere e soprattutto di vivere questa realtà fondamentale: Dio è amore, e l’incontro con Lui è la sola risposta alle inquietudini del cuore umano. Un cuore che è abitato dalla speranza, forse ancora oscura e inconsapevole in molti nostri contemporanei, ma che per noi cristiani apre già oggi al futuro, tanto che san Paolo ha scritto che «nella speranza siamo stati salvati» (
Rm 8,24). Alla speranza ho voluto dedicare la mia seconda Enciclica, Spe salvi, e anch’essa è largamente debitrice nei confronti di Agostino e del suo incontro con Dio.

In un bellissimo testo sant’Agostino definisce la preghiera come espressione del desiderio e afferma che Dio risponde allargando verso di Lui il nostro cuore. Da parte nostra dobbiamo purificare i nostri desideri e le nostre speranze per accogliere la dolcezza di Dio (cfr Commento alla Prima Lettera di Jn 4,6).Questa sola, infatti, aprendoci anche agli altri, ci salva. Preghiamo dunque che nella nostra vita ci sia ogni giorno concesso di seguire l’esempio di questo grande convertito, incontrando come lui in ogni momento della nostra vita il Signore Gesù, l’unico che ci salva, ci purifica e ci dà la vera gioia, la vera vita.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi presenti in quest’udienza. In modo particolare saluto i sordi-ciechi provenienti da Varsavia. Il periodo della Quaresima sia per tutti un tempo di buona preparazione alla festa della Risurrezione del Signore. Cordialmente vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi provenienti dalla parrocchia di Blatné. Fratelli e sorelle, il tempo della Quaresima ci esorta a riconoscere Gesù Cristo come nostra suprema speranza. Vi invito ad essere nel mondo testimoni fedeli della Buona Novella della redenzione. Volentieri benedico voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli provenienti da Škofja Loka in Slovenia! In preparazione alla Cresima che riceverete quest’anno, siete in pellegrinaggio ai luoghi sacri dell’Italia e partecipate anche all’incontro con il Successore di Pietro. Siate sempre aperti alle ispirazioni dello Spirito Santo e la mia Benedizione vi accompagni!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Vescovi amici del Movimento dei Focolari, e assicuro la mia preghiera affinché il Signore li sostenga nel quotidiano ministero pastorale a servizio del Popolo di Dio. Saluto i rappresentanti della Pontificia Facoltà di Scienze dell'Educazione "Auxilium" e quelli della Scuola Antonio Rosmini di Roma ringraziando ciascuno perché, con la partecipazione a questo incontro, hanno voluto rinnovare la loro filiale devozione verso il Successore di Pietro. Saluto i partecipanti al convegno promosso dall'Associazione Italiana di Medicina Nucleare e auguro di portare avanti il loro impegnativo lavoro diagnostico e terapeutico con rinnovati sentimenti di profondo rispetto per la persona umana. Saluto poi gli esponenti della Marina Militare Italiana, i militari del Reggimento Lancieri di Montebello e i rappresentanti della Polizia di Stato di Isernia. Tutti incoraggio a seguire con generosa fedeltà Gesù e il suo Vangelo, per essere cristiani autentici in famiglia, nel lavoro e in ogni altro ambiente.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari fratelli e sorelle, proseguendo l'itinerario quaresimale, la Chiesa ci invita a seguire le orme di Cristo che si dirige verso Gerusalemme, dove darà compimento alla sua missione redentrice. Lasciatevi illuminare dalla sua parola affinché sia nello studio, sia nella malattia, sia nella vita di famiglia possiate sperimentare la sua presenza e percorrere un cammino di autentica conversione in questo sacro tempo di penitenza.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 5 marzo 2008: San Leone Magno

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:


Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in questa Basilica e di rivolgere a tutti il mio cordiale benvenuto. Saluto voi, rappresentanti dell'Opera Madonnina del Grappa e del Movimento Speranza e vita, e vi incoraggio ad approfondire sempre di più la vostra vita di fede, tenendo presenti gli insegnamenti del vostro fondatore p. Enrico Mauri. Non stancatevi di affidarvi a Cristo e di testimoniarlo in ogni ambiente.

Saluto gli insegnanti, gli alunni e i genitori delle Scuole gestite dalle Apostole del Sacro Cuore di Gesù.Cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza così numerosa ed auguro a ciascuno di vivere questo tempo della scuola come occasione propizia per una autentica formazione integrale. Vi incoraggio a rafforzare la vostra adesione al Vangelo per essere sempre disponibili e pronti a compiere la volontà del Signore. Saluto, infine, tutti voi, studenti dei vari Istituti scolastici e vi assicuro la mia preghiera affinché lo Spirito Santo infonda nei vostri cuori la vera gioia e vi colmi dei suoi doni.

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San Leone Magno

Cari fratelli e sorelle,

proseguendo il nostro cammino tra i Padri della Chiesa, veri astri che brillano da lontano, nel nostro incontro di oggi ci accostiamo alla figura di un Papa, che nel 1754 fu proclamato da Benedetto XIV Dottore della Chiesa: si tratta di san Leone Magno. Come indica l’appellativo presto attribuitogli dalla tradizione, egli fu davvero uno dei più grandi Pontefici che abbiano onorato la Sede romana, contribuendo moltissimo a rafforzarne l’autorità e il prestigio. Primo Vescovo di Roma a portare il nome di Leone, adottato in seguito da altri dodici Sommi Pontefici, è anche il primo Papa di cui ci sia giunta la predicazione, da lui rivolta al popolo che gli si stringeva attorno durante le celebrazioni. E’ spontaneo pensare a lui anche nel contesto delle attuali udienze generali del mercoledì, appuntamenti che negli ultimi decenni sono divenuti per il Vescovo di Roma una forma consueta di incontro con i fedeli e con tanti visitatori provenienti da ogni parte del mondo.

Leone era originario della Tuscia. Divenne diacono della Chiesa di Roma intorno all’anno 430, e col tempo acquistò in essa una posizione di grande rilievo. Questo ruolo di spicco indusse nel 440 Galla Placidia, che in quel momento reggeva l’Impero d’Occidente, a inviarlo in Gallia per sanare una difficile situazione. Ma nell’estate di quell’anno il Papa Sisto III – il cui nome è legato ai magnifici mosaici di Santa Maria Maggiore – morì, e a succedergli fu eletto proprio Leone, che ne ricevette la notizia mentre stava appunto svolgendo la sua missione di pace in Gallia. Rientrato a Roma, il nuovo Papa fu consacrato il 29 settembre del 440. Iniziava così il suo pontificato, che durò oltre ventun anni, e che è stato senza dubbio uno dei più importanti nella storia della Chiesa. Alla sua morte, il 10 novembre del 461, il Papa fu sepolto presso la tomba di san Pietro. Le sue reliquie sono custodite anche oggi in uno degli altari della Basilica vaticana.

Quelli in cui visse Papa Leone erano tempi molto difficili: il ripetersi delle invasioni barbariche, il progressivo indebolirsi in Occidente dell’autorità imperiale e una lunga crisi sociale avevano imposto al Vescovo di Roma – come sarebbe accaduto con evidenza ancora maggiore un secolo e mezzo più tardi, durante il pontificato di Gregorio Magno – di assumere un ruolo rilevante anche nelle vicende civili e politiche. Ciò non mancò, ovviamente, di accrescere l’importanza e il prestigio della Sede romana. Celebre è rimasto soprattutto un episodio della vita di Leone. Esso risale al 452, quando il Papa a Mantova, insieme a una delegazione romana, incontrò Attila, capo degli Unni, e lo dissuase dal proseguire la guerra d’invasione con la quale già aveva devastato le regioni nordorientali dell’Italia. E così salvò il resto della Penisola. Questo importante avvenimento divenne presto memorabile, e rimane come un segno emblematico dell’azione di pace svolta dal Pontefice. Non altrettanto positivo fu purtroppo, tre anni dopo, l’esito di un’altra iniziativa papale, segno comunque di un coraggio che ancora ci stupisce: nella primavera del 455 Leone non riuscì infatti a impedire che i Vandali di Genserico, giunti alle porte di Roma, invadessero la città indifesa, che fu saccheggiata per due settimane. Tuttavia il gesto del Papa – che, inerme e circondato dal suo clero, andò incontro all’invasore per scongiurarlo di fermarsi – impedì almeno che Roma fosse incendiata e ottenne che dal terribile sacco fossero risparmiate le Basiliche di San Pietro, di San Paolo e di San Giovanni, nelle quali si rifugiò parte della popolazione terrorizzata.

Conosciamo bene l’azione di Papa Leone, grazie ai suoi bellissimi sermoni – ne sono conservati quasi cento in uno splendido e chiaro latino – e grazie alle sue lettere, circa centocinquanta. In questi testi il Pontefice appare in tutta la sua grandezza, rivolto al servizio della verità nella carità, attraverso un esercizio assiduo della parola, che lo mostra nello stesso tempo teologo e pastore. Leone Magno, costantemente sollecito dei suoi fedeli e del popolo di Roma, ma anche della comunione tra le diverse Chiese e delle loro necessità, fu sostenitore e promotore instancabile del primato romano, proponendosi come autentico erede dell’apostolo Pietro: di questo si mostrarono ben consapevoli i numerosi Vescovi, in gran parte orientali, riuniti nel Concilio di Calcedonia.

Tenutosi nell’anno 451, con i trecentocinquanta Vescovi che vi parteciparono, questo Concilio fu la più importante assemblea fino ad allora celebrata nella storia della Chiesa. Calcedonia rappresenta il traguardo sicuro della cristologia dei tre Concili ecumenici precedenti: quello di Nicea del 325, quello di Costantinopoli del 381 e quello di Efeso del 431. Già nel VI secolo questi quattro Concili, che riassumono la fede della Chiesa antica, vennero infatti paragonati ai quattro Vangeli: è quanto afferma Gregorio Magno in una famosa lettera (I,24), in cui dichiara “di accogliere e venerare, come i quattro libri del santo Vangelo, i quattro Concili”, perché su di essi - spiega ancora Gregorio - “come su una pietra quadrata si leva la struttura della santa fede”. Il Concilio di Calcedonia – nel respingere l’eresia di Eutiche, che negava la vera natura umana del Figlio di Dio – affermò l’unione nella sua unica Persona, senza confusione e senza separazione, delle due nature umana e divina.

Questa fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo veniva affermata dal Papa in un importante testo dottrinale indirizzato al Vescovo di Costantinopoli, il cosiddetto Tomo a Flaviano, che, letto a Calcedonia, fu accolto dai Vescovi presenti con un’eloquente acclamazione, della quale è conservata notizia negli atti del Concilio: “Pietro ha parlato per bocca di Leone”, proruppero a una voce sola i Padri conciliari. Soprattutto da questo intervento, e da altri compiuti durante la controversia cristologica di quegli anni, risulta con evidenza come il Papa avvertisse con particolare urgenza le responsabilità del Successore di Pietro, il cui ruolo è unico nella Chiesa, perché “a un solo apostolo è affidato ciò che a tutti gli apostoli è comunicato”, come afferma Leone in uno dei suoi sermoni per la festa dei santi Pietro e Paolo (83,2). E queste responsabilità il Pontefice seppe esercitare, in Occidente come in Oriente, intervenendo in diverse circostanze con prudenza, fermezza e lucidità attraverso i suoi scritti e mediante i suoi legati. Mostrava in questo modo come l’esercizio del primato romano fosse necessario allora, come lo è oggi, per servire efficacemente la comunione, caratteristica dell’unica Chiesa di Cristo.

Consapevole del momento storico in cui viveva e del passaggio che stava avvenendo – in un periodo di profonda crisi – dalla Roma pagana a quella cristiana, Leone Magno seppe essere vicino al popolo e ai fedeli con l’azione pastorale e la predicazione. Animò la carità in una Roma provata dalle carestie, dall’afflusso dei profughi, dalle ingiustizie e dalla povertà. Contrastò le superstizioni pagane e l’azione dei gruppi manichei. Legò la liturgia alla vita quotidiana dei cristiani: per esempio, unendo la pratica del digiuno alla carità e all’elemosina soprattutto in occasione delle Quattro tempora, che segnano nel corso dell’anno il cambiamento delle stagioni. In particolare Leone Magno insegnò ai suoi fedeli – e ancora oggi le sue parole valgono per noi – che la liturgia cristiana non è il ricordo di avvenimenti passati, ma l’attualizzazione di realtà invisibili che agiscono nella vita di ognuno. E’ quanto egli sottolinea in un sermone (64,1-2) a proposito della Pasqua, da celebrare in ogni tempo dell’anno “non tanto come qualcosa di passato, quanto piuttosto come un evento del presente”. Tutto questo rientra in un progetto preciso, insiste il santo Pontefice: come infatti il Creatore ha animato con il soffio della vita razionale l’uomo plasmato dal fango della terra, così, dopo il peccato d’origine, ha inviato il suo Figlio nel mondo per restituire all’uomo la dignità perduta e distruggere il dominio del diavolo mediante la vita nuova della grazia.

È questo il mistero cristologico al quale san Leone Magno, con la sua lettera al Concilio di Calcedonia, ha dato un contributo efficace ed essenziale, confermando per tutti i tempi — tramite tale Concilio — quanto disse san Pietro a Cesarea di Filippo. Con Pietro e come Pietro confessò: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E perciò Dio e Uomo insieme, “non estraneo al genere umano, ma alieno dal peccato” (cfr Serm.64). Nella forza di questa fede cristologica egli fu un grande portatore di pace e di amore. Ci mostra così la via: nella fede impariamo la carità. Impariamo quindi con san Leone Magno a credere in Cristo, vero Dio e vero Uomo, e a realizzare questa fede ogni giorno nell'azione per la pace e nell'amore per il prossimo.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, in modo particolare i fedeli della parrocchia di San Antonio di Padova di Zagreb. Approfittate del tempo favorevole della quaresima per preparare i vostri cuori, con la preghiera e le opere di carità, per la Pasqua ormai vicina. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Ieri abbiamo ricordato San Casimiro, Santo venerato in modo particolare in Polonia e in Lituania. Egli si distinse per la purezza dello spirito, l’amore al prossimo e la misericordia verso i poveri. Nel nostro tempo offre un esempio più che mai attuale per i coniugi, per la gioventù e per le persone che vivono secondo i consigli evangelici. Vi affido alla sua intercessione e voi tutti benedico di cuore.

Saluto in lingua rumena:

Rivolgo un cordiale saluto a voi, fedeli del comune di Misca, Arad in Romania accompagnati dal parroco della comunità insieme al sindaco e alle autorità comunali, assicurando per voi e per i vostri connazionali la mia preghiera. Di cuore tutti vi benedico.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava e Zborov. Fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita alla conversione per mezzo della preghiera, dell’esercizio delle opere di misericordia e dell’ascolto della Parola di Dio. Vi accompagno con la mia Benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Religiose infermiere di diverse Congregazioni, che stanno partecipando ad un corso di aggiornamento. Care sorelle, sforzatevi di vedere sempre nei malati il volto di Cristo e ripartite da Lui ogni giorno con umile coraggio per essere testimoni del suo amore. Saluto i fedeli provenienti dal Santuario della Divina Misericordia, in Santa Lucia di Caserta e i Militari della Scuola di Fanteria, di Cesano.

Saluto, infine, i malati e gli sposi novelli. Cari malati, siate sempre consapevoli che contribuite in modo misterioso alla costruzione del Regno di Dio, offrendo generosamente le vostre sofferenze al Padre celeste in unione a quelle di Cristo. E voi, cari sposi novelli, sappiate quotidianamente edificare la vostra famiglia nell'ascolto di Dio, nel fedele reciproco amore e nell'accoglienza dei più bisognosi, seguendo l'esempio della Santa Famiglia di Nazaret.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 12 marzo 2008: Boezio e Cassiodoro

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Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana:


Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in questa Basilica e rivolgo il mio cordiale benvenuto a questa festosa vostra assemblea, composta prevalentemente da giovani studenti. Saluto in particolare i rappresentanti dei Gruppi Folkloristici del Friuli-Venezia Giulia, gli studenti della città di Paola e gli alunni di vari Istituti scolastici provenienti da diverse Regioni d’Italia. Cari amici, la scuola oggi affronta notevoli sfide che emergono nel campo dell’educazione delle nuove generazioni. Per questo motivo la scuola non può essere soltanto luogo di apprendimento nozionistico, ma è chiamata ad offrire agli alunni l’opportunità di approfondire validi messaggi di carattere culturale, sociale, etico e religioso. Chi insegna non può non percepire anche il risvolto morale di ogni umano sapere, perché l’uomo conosce per agire e l’agire è frutto della sua conoscenza. Nell’odierna società, segnata da rapidi e profondi mutamenti voi, cari giovani che volete seguire Cristo, abbiate cura di aggiornare la vostra formazione spirituale, cercando di comprendere sempre più i contenuti della fede. Potrete così essere pronti a rispondere senza esitazioni a chi vi domanda ragione della vostra adesione al Signore. Con tali voti invoco su ciascuno di voi l’abbondanza dei doni dello Spirito e vi auguro di prepararvi bene alle prossime Feste pasquali.

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Boezio e Cassiodoro

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare di due scrittori ecclesiastici, Boezio e Cassiodoro, che vissero in anni tra i più tribolati dell’Occidente cristiano e, in particolare, della penisola italiana. Odoacre, re degli Eruli, un'etnia germanica, si era ribellato, ponendo termine all’impero romano d’Occidente (a. 476), ma aveva poi ben presto dovuto soccombere agli Ostrogoti di Teodorico, che per alcuni decenni si assicurarono il controllo della penisola italiana. Boezio, nato a Roma nel 480 circa dalla nobile stirpe degli Anicii, entrò ancor giovane nella vita pubblica, raggiungendo già a venticinque anni la carica di senatore. Fedele alla tradizione della sua famiglia, si impegnò in politica convinto che si potessero temperare insieme le linee portanti della società romana con i valori dei popoli nuovi. E in questo nuovo tempo dell'incontro delle culture considerò come sua propria missione quella di riconciliare e di mettere insieme queste due culture, la classica romana con la nascente del popolo ostrogoto. Fu così attivo in politica anche sotto Teodorico, che nei primi tempi lo stimava molto. Nonostante questa attività pubblica, Boezio non trascurò gli studi, dedicandosi in particolare all’approfondimento di temi di ordine filosofico-religioso. Ma scrisse anche manuali di aritmetica, di geometria, di musica, di astronomia: tutto con l'intenzione di trasmettere alle nuove generazioni, ai nuovi tempi, la grande cultura greco-romana. In questo ambito, cioè nell’impegno di promuovere l'incontro delle culture, utilizzò le categorie della filosofia greca per proporre la fede cristiana, anche qui in ricerca di una sintesi fra il patrimonio ellenistico-romano e il messaggio evangelico. Proprio per questo, Boezio è stato qualificato come l’ultimo rappresentante della cultura romana antica e il primo degli intellettuali medievali.

La sua opera certamente più nota è il De consolatione philosophiae, che egli compose in carcere per dare un senso alla sua ingiusta detenzione. Era stato infatti accusato di complotto contro il re Teodorico per aver assunto la difesa in giudizio di un amico, il senatore Albino. Ma questo era un pretesto: in realtà Teodorico, ariano e barbaro, sospettava che Boezio avesse simpatie per l’imperatore bizantino Giustiniano. Di fatto, processato e condannato a morte, fu giustiziato il 23 ottobre del 524, a soli 44 anni. Proprio per questa sua drammatica fine, egli può parlare dall’interno della propria esperienza anche all’uomo contemporaneo e soprattutto alle tantissime persone che subiscono la sua stessa sorte a causa dell’ingiustizia presente in tanta parte della ‘giustizia umana’. In quest’opera, nel carcere cerca la consolazione, cerca la luce, cerca la saggezza. E dice di aver saputo distinguere, proprio in questa situazione, tra i beni apparenti – nel carcere essi scompaiono – e i beni veri, come come l’autentica amicizia che anche nel carcere non scompaiono. Il bene più alto è Dio: Boezio imparò – e lo insegna a noi – a non cadere nel fatalismo, che spegne la speranza. Egli ci insegna che non governa il fato, governa la Provvidenza ed essa ha un volto. Con la Provvidenza si può parlare, perché la Provvidenza è Dio. Così, anche nel carcere gli rimane la possibilità della preghiera, del dialogo con Colui che ci salva. Nello stesso tempo, anche in questa situazione egli conserva il senso della bellezza della cultura e richiama l’insegnamento dei grandi filosofi antichi greci e romani come Platone, Aristotile – aveva cominciato a tradurre questi greci in latino - Cicerone, Seneca, ed anche poeti come Tibullo e Virgilio.

La filosofia, nel senso della ricerca della vera saggezza, è secondo Boezio la vera medicina dell’anima (lib. I). D’altra parte, l’uomo può sperimentare l’autentica felicità unicamente nella propria interiorità (lib. II). Per questo, Boezio riesce a trovare un senso nel pensare alla propria tragedia personale alla luce di un testo sapienziale dell’Antico Testamento (Sap 7,30-8,1) che egli cita: “Contro la sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Lib. III, 12: PL 63,
Col 780). La cosiddetta prosperità dei malvagi, pertanto, si rivela menzognera (lib. IV), e si evidenzia la natura provvidenziale dell’adversa fortuna. Le difficoltà della vita non soltanto rivelano quanto quest’ultima sia effimera e di breve durata, ma si dimostrano perfino utili per individuare e mantenere gli autentici rapporti fra gli uomini. L’adversa fortuna permette infatti di discernere i falsi amici dai veri e fa capire che nulla è più prezioso per l’uomo di un’amicizia vera. Accettare fatalisticamente una condizione di sofferenza è assolutamente pericoloso, aggiunge il credente Boezio, perché “elimina alla radice la possibilità stessa della preghiera e della speranza teologale che stanno alla base del rapporto dell’uomo con Dio” (Lib. V, 3: PL 63, Col 842).

La perorazione finale del De consolatione philosophiae può essere considerata una sintesi dell’intero insegnamento che Boezio rivolge a se stesso e a tutti coloro che si dovessero trovare nelle sue stesse condizioni. Scrive così in carcere: “Combattete dunque i vizi, dedicatevi ad una vita virtuosa orientata dalla speranza che spinge in alto il cuore fino a raggiungere il cielo con le preghiere nutrite di umiltà. L’imposizione che avete subìto può tramutarsi, qualora rifiutiate di mentire, nell’enorme vantaggio di avere sempre davanti agli occhi il giudice supremo che vede e sa come stanno veramente le cose” (Lib. V, 6: PL 63, Col 862). Ogni detenuto, per qualunque motivo sia finito in carcere, intuisce quanto sia pesante questa particolare condizione umana, soprattutto quando essa è abbrutita, come accadde a Boezio, dal ricorso alla tortura. Particolarmente assurda è poi la condizione di chi, ancora come Boezio che la città di Pavia riconosce e celebra nella liturgia come martire della fede, viene torturato a morte senza alcun altro motivo che non sia quello delle proprie convinzioni ideali, politiche e religiose. Boezio, simbolo di un numero immenso di detenuti ingiustamente di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è di fatto oggettiva porta di ingresso alla contemplazione del misterioso Crocifisso del Golgota.

Contemporaneo di Boezio fu Marco Aurelio Cassiodoro, un calabrese nato a Squillace verso il 485, che morì pieno di giorni, a Vivarium intorno al 580. Anch’egli, uomo di alto livello sociale, si dedicò alla vita politica e all’impegno culturale come pochi altri nell’occidente romano del suo tempo. Forse gli unici che gli potevano stare alla pari in questo suo duplice interesse furono il già ricordato Boezio, e il futuro Papa di Roma, Gregorio Magno (590-604). Consapevole della necessità di non lasciare svanire nella dimenticanza tutto il patrimonio umano e umanistico, accumulato nei secoli d’oro dell’Impero Romano, Cassiodoro collaborò generosamente, e ai livelli più alti della responsabilità politica, con i popoli nuovi che avevano attraversato i confini dell’Impero e si erano stanziati in Italia. Anche lui fu modello di incontro culturale, di dialogo, di riconciliazione. Le vicende storiche non gli permisero di realizzare i suoi sogni politici e culturali, che miravano a creare una sintesi fra la tradizione romano-cristiana dell’Italia e la nuova cultura gotica. Quelle stesse vicende lo convinsero però della provvidenzialità del movimento monastico, che si andava affermando nelle terre cristiane. Decise di appoggiarlo dedicando ad esso tutte le sue ricchezze materiali e le sue forze spirituali.

Concepì l’idea di affidare proprio ai monaci il compito di recuperare, conservare e trasmettere ai posteri l’immenso patrimonio culturale degli antichi, perché non andasse perduto. Per questo fondò Vivarium, un cenobio in cui tutto era organizzato in modo tale che fosse stimato come preziosissimo e irrinunciabile il lavoro intellettuale dei monaci. Egli dispose che anche quei monaci che non avevano una formazione intellettuale non dovevano occuparsi solo del lavoro materiale, dell'agricoltura, ma anche trascrivere manoscritti e così aiutare nel trasmettere la grande cultura alle future generazioni. E questo senza nessuno scapito per l’impegno spirituale monastico e cristiano e per l’attività caritativa verso i poveri. Nel suo insegnamento, distribuito in varie opere, ma soprattutto nel trattato De anima e nelle Institutiones divinarum litterarum, la preghiera (cfr PL 69, Col 1108), nutrita dalla Sacra Scrittura e particolarmente dalla frequentazione assidua dei Salmi (cfr PL 69, Col 1149), ha sempre una posizione centrale quale nutrimento necessario per tutti. Ecco, ad esempio, come questo dottissimo calabrese introduce la sua Expositio in Psalterium: “Respinte e abbandonate a Ravenna le sollecitazioni della carriera politica segnata dal sapore disgustoso delle preoccupazioni mondane, avendo goduto del Salterio, libro venuto dal cielo come autentico miele dell’anima, mi tuffai avido come un assetato a scrutarlo senza posa per lasciarmi permeare tutto di quella dolcezza salutare dopo averne avuto abbastanza delle innumerevoli amarezze della vita attiva” (PL 70, Col 10).

La ricerca di Dio, tesa alla sua contemplazione – annota Cassiodoro -, resta lo scopo permanente della vita monastica (cfr PL 69, Col 1107). Egli aggiunge però che, con l’aiuto della grazia divina (cfr PL 69, Col 1131 Col 1142), una migliore fruizione della Parola rivelata si può raggiungere con l’utilizzazione delle conquiste scientifiche e degli strumenti culturali “profani” già posseduti dai Greci e dai Romani (cfr PL 69, Col 1140). Personalmente, Cassiodoro si dedicò a studi filosofici, teologici ed esegetici senza particolare creatività, ma attento alle intuizioni che riconosceva valide negli altri. Leggeva con rispetto e devozione soprattutto Girolamo ed Agostino. Di quest’ultimo diceva: “In Agostino c’è talmente tanta ricchezza che mi sembra impossibile trovare qualcosa che non sia già stato abbondantemente trattato da lui (cfr PL 70, Col 10). Citando Girolamo invece esortava i monaci di Vivarium: “Conseguono la palma della vittoria non soltanto coloro che lottano fino all’effusione del sangue o che vivono nella verginità, ma anche tutti coloro che, con l’aiuto di Dio, vincono i vizi del corpo e conservano la retta fede. Ma perché possiate, sempre con l’aiuto di Dio, vincere più facilmente le sollecitazioni del mondo e i suoi allettamenti, restando in esso come pellegrini continuamente in cammino, cercate anzitutto di garantirvi l’aiuto salutare suggerito dal primo salmo che raccomanda di meditare notte e giorno la legge del Signore. Il nemico non troverà infatti alcun varco per assalirvi se tutta la vostra attenzione sarà occupata da Cristo” (De Institutione Divinarum Scripturarum, 32: PL 70, col. 1147D-1148A). È un ammonimento che possiamo accogliere come valido anche per noi. Viviamo infatti anche noi in un tempo di incontro delle culture, di pericolo della violenza che distrugge le culture, e del necessario impegno di trasmettere i grandi valori e di insegnare alle nuove generazioni la via della riconciliazione e della pace. Questa via troviamo orientandoci verso il Dio con il volto umano, il Dio rivelatosi a noi in Cristo.

Saluti:

Saluto in latino:

Sueciam deinde ipsam longinquam consalutare Latino sermone cupimus cuius hodie “Schola Cathedralis Scarensis” adest cum linguae Latinae discipulis viginti septem ac magistro Ioanne Hjertén aliisque praeceptoribus. Volumus omnino eorum confirmare et incitare studia, dum hic Romae antiquitates degustant tum christianas tum etiam veterum Romanorum, ut inde magnopere augescat spiritalis illorum et humana haereditas.

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, particolarmente i fedeli di Blato nella Korcula. Contemplando in questi giorni l’abbandono di Cristo alla volontà del Padre e il sacrificio per il quale siamo stati salvati, prendiamo coscienza di come ci ha amato e ringraziamoLo vivendo santamente. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i polacchi qui presenti. Fra poco vivremo la Settimana Santa della Passione del Signore. Mediteremo i misteri dell’amore di Dio, che “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). Apriamo i nostri cuori al dono di quest’amore, affinché portiamo frutti buoni di conversione. Dio vi benedica!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli della parrocchia Santa Maria degli Angeli in San Remo, i partecipanti al corso promosso dal Consorzio per la Formazione Internazionale e i rappresentanti del personale e degli ospiti del Carcere di Lanciano. Tutti ringrazio per la loro presenza ed auspico che quest'incontro spinga ciascuno a riaffermare la propria fervida adesione agli insegnamenti del Vangelo.

Il mio pensiero va infine ai malati e agli sposi novelli. Il cammino quaresimale che stiamo percorrendo accresca in voi, cari malati, la speranza in Cristo crocifisso che ci sostiene nella prova e aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra vita familiare una missione di amore fedele e generoso.





Catechesi 2005-2013 27028