Catechesi 2005-2013 61010

Mercoledì, 6 ottobre 2010 - Santa Gertrude la Grande

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Cari fratelli e sorelle,

Santa Gertrude la Grande, della quale vorrei parlarvi oggi, ci porta anche questa settimana nel monastero di Helfta, dove sono nati alcuni dei capolavori della letteratura religiosa femminile latino-tedesca. A questo mondo appartiene Gertrude, una delle mistiche più famose, unica donna della Germania ad avere l’appellativo di “Grande”, per la statura culturale ed evangelica: con la sua vita e il suo pensiero ha inciso in modo singolare sulla spiritualità cristiana. È una donna eccezionale, dotata di particolari talenti naturali e di straordinari doni di grazia, di profondissima umiltà e ardente zelo per la salvezza del prossimo, di intima comunione con Dio nella contemplazione e di prontezza nel soccorrere i bisognosi.

A Helfta si confronta, per così dire, sistematicamente con la sua maestra Matilde di Hackeborn, di cui ho parlato nell’Udienza di mercoledì scorso; entra in rapporto con Matilde di Magdeburgo, altra mistica medioevale; cresce sotto la cura materna, dolce ed esigente, della Badessa Gertrude. Da queste tre consorelle attinge tesori di esperienza e sapienza; li elabora in una propria sintesi, percorrendo il suo itinerario religioso con sconfinata confidenza nel Signore. Esprime la ricchezza della spiritualità non solo del suo mondo monastico, ma anche e soprattutto di quello biblico, liturgico, patristico e benedettino, con un timbro personalissimo e con grande efficacia comunicativa.

Nasce il 6 gennaio del 1256, festa dell’Epifania, ma non si sa nulla né dei genitori né del luogo di nascita. Gertrude scrive che il Signore stesso le svela il senso di questo suo primo sradicamento: “L'ho scelta per mia dimora perché mi compiaccio che tutto ciò che c'è di amabile in lei sia opera mia […]. Proprio per questa ragione io l'ho allontanata da tutti i suoi parenti perché nessuno cioè l'amasse per ragione di consanguineità e io fossi il solo motivo dell'affetto che le si porta” (Le Rivelazioni, I, 16, Siena 1994, p. 76-77).

All’età di cinque anni, nel 1261, entra nel monastero, come si usava spesso in quella epoca, per la formazione e lo studio. Qui trascorre tutta la sua esistenza, della quale lei stessa segnala le tappe più significative. Nelle sue memorie ricorda che il Signore l’ha prevenuta con longanime pazienza e infinita misericordia, dimenticando gli anni della infanzia, adolescenza e gioventù, trascorsi - scrive - “in un tale accecamento di mente che sarei stata capace […] di pensare, dire o fare senza alcun rimorso tutto ciò che mi fosse piaciuto e dovunque avessi potuto, se tu non mi avessi prevenuta, sia con un insito orrore del male ed una naturale inclinazione per il bene, sia con la vigilanza esterna degli altri. Mi sarei comportata come una pagana […] e ciò pur avendo tu voluto che fin dall'infanzia e cioè dal mio quinto anno di età, abitassi nel santuario benedetto della religione per esservi educata fra i tuoi amici più devoti” (Ibid., II, 23, p. 140s).

Gertrude è una studentessa straordinaria, impara tutto ciò che si può imparare delle scienze del Trivio e del Quadrivio, la formazione di quel tempo; è affascinata dal sapere e si dà allo studio profano con ardore e tenacia, conseguendo successi scolastici oltre ogni aspettativa. Se nulla sappiamo delle sue origini, molto ella ci dice delle sue passioni giovanili: letteratura, musica e canto, arte della miniatura la catturano; ha un carattere forte, deciso, immediato, impulsivo; sovente dice di essere negligente; riconosce i suoi difetti, ne chiede umilmente perdono. Con umiltà chiede consiglio e preghiere per la sua conversione. Vi sono tratti del suo temperamento e difetti che l’accompagneranno fino alla fine, tanto da far stupire alcune persone che si chiedono come mai il Signore la prediliga tanto.

Da studentessa passa a consacrarsi totalmente a Dio nella vita monastica e per vent’anni non accade nulla di eccezionale: lo studio e la preghiera sono la sua attività principale. Per le sue doti eccelle tra le consorelle; è tenace nel consolidare la sua cultura in svariati campi. Ma, durante l’Avvento del 1280, inizia a sentire disgusto di tutto ciò, ne avverte la vanità e il 27 gennaio del 1281, pochi giorni prima della festa della Purificazione della Vergine, verso l’ora di Compieta, la sera, il Signore illumina le sue dense tenebre. Con soavità e dolcezza calma il turbamento che l’angoscia, turbamento che Gertrude vede come un dono stesso di Dio “per abbattere quella torre di vanità e di curiosità che, pur portando ahimè e il nome e l'abito di religiosa, io ero andata innalzando con la mia superbia, onde almeno così trovar la via per mostrarmi la tua salvezza” (Ibid., II,1, p. 87). Ha la visione di un giovanetto che la guida a superare il groviglio di spine che opprime la sua anima, prendendola per mano. In quella mano, Gertrude riconosce “la preziosa traccia di quelle piaghe che hanno abrogato tutti gli atti di accusa dei nostri nemici” (Ibid., II,1, p. 89), riconosce Colui che sulla Croce ci ha salvati con il suo sangue, Gesù.

Da quel momento la sua vita di comunione intima con il Signore si intensifica, soprattutto nei tempi liturgici più significativi - Avvento-Natale, Quaresima-Pasqua, feste della Vergine - anche quando, ammalata, era impedita di recarsi in coro. È lo stesso humus liturgico di Matilde, sua maestra, che Gertrude, però, descrive con immagini, simboli e termini più semplici e lineari, più realistici, con riferimenti più diretti alla Bibbia, ai Padri, al mondo benedettino.

La sua biografa indica due direzioni di quella che potremmo definire una sua particolare “conversione”: negli studi, con il passaggio radicale dagli studi umanistici profani a quelli teologici, e nell’osservanza monastica, con il passaggio dalla vita che ella definisce negligente alla vita di preghiera intensa, mistica, con un eccezionale ardore missionario. Il Signore, che l’aveva scelta dal seno materno e fin da piccola l’aveva fatta partecipare al banchetto della vita monastica, la richiama con la sua grazia “dalle cose esterne alla vita interiore e dalle occupazioni terrene all'amore delle cose spirituali”. Gertrude comprende di essere stata lontana da Lui, nella regione della dissomiglianza, come ella dice con sant’Agostino; di essersi dedicata con troppa avidità agli studi liberali, alla sapienza umana, trascurando la scienza spirituale, privandosi del gusto della vera sapienza; ora è condotta al monte della contemplazione, dove lascia l’uomo vecchio per rivestirsi del nuovo. “Da grammatica diventa teologa, con l'indefessa e attenta lettura di tutti i libri sacri che poteva avere o procurarsi, riempiva il suo cuore delle più utili e dolci sentenze della Sacra Scrittura. Aveva perciò sempre pronta qualche parola ispirata e di edificazione con cui soddisfare chi veniva a consultarla, e insieme i testi scritturali più adatti per confutare qualsivoglia opinione errata e chiudere la bocca ai suoi oppositori”(Ibid., I,1, p. 25).

Gertrude trasforma tutto ciò in apostolato: si dedica a scrivere e divulgare la verità di fede con chiarezza e semplicità, grazia e persuasività, servendo con amore e fedeltà la Chiesa, tanto da essere utile e gradita ai teologi e alle persone pie. Di questa sua intensa attività ci resta poco, anche a causa delle vicende che portarono alla distruzione del monastero di Helfta. Oltre all’Araldo del divino amore o Le rivelazioni, ci restano gli Esercizi Spirituali, un raro gioiello della letteratura mistica spirituale.

Nell'osservanza religiosa la nostra Santa è “una salda colonna […], fermissima propugnatrice della giustizia e della verità” (Ibid., I, 1, p. 26), dice la sua biografa. Con le parole e l’esempio suscita negli altri grande fervore. Alle preghiere e alle penitenze della regola monastica ne aggiunge altre con tale devozione e tale abbandono fiducioso in Dio, da suscitare in chi la incontra la consapevolezza di essere alla presenza del Signore. E di fatto Dio stesso le fa comprendere di averla chiamata ad essere strumento della sua grazia. Di questo immenso tesoro divino Gertrude si sente indegna, confessa di non averlo custodito e valorizzato. Esclama: “Ahimè! Se Tu mi avessi dato per tuo ricordo, indegna come sono, anche un filo solo di stoppa, avrei pur dovuto riguardarlo con maggior rispetto e reverenza di quanto ne abbia avuta per questi tuoi doni!” (Ibid., II,5, p. 100). Ma, riconoscendo la sua povertà e la sua indegnità, ella aderisce alla volontà di Dio, “perché – afferma - ho così poco approfittato delle tue grazie che non posso risolvermi a credere che mi siano state elargite per me sola, non potendo la tua eterna sapienza venir frustrata da alcuno. Fa’ dunque, o Datore di ogni bene che mi hai gratuitamente elargito doni così indebiti, che, leggendo questo scritto, il cuore di uno almeno dei tuoi amici sia commosso al pensiero che lo zelo delle anime ti ha indotto a lasciare per tanto tempo una gemma di valore così inestimabile in mezzo al fango abominevole del mio cuore” (Ibid., II,5, p. 100s).

In particolare due favori le sono cari più di ogni altro, come Gertrude stessa scrive: “Le stimmate delle tue salutifere piaghe che mi imprimesti, quasi preziosi monili, nel cuore, e la profonda e salutare ferita d'amore con cui lo segnasti. Tu mi inondasti con questi Tuoi doni di tanta beatitudine che, anche dovessi vivere mille anni senza nessuna consolazione né interna né esterna, il loro ricordo basterebbe a confortarmi, illuminarmi, colmarmi di gratitudine. Volesti ancora introdurmi nell’inestimabile intimità della tua amicizia, aprendomi in diversi modi quel sacrario nobilissimo della tua Divinità che è il tuo Cuore divino […]. A questo cumulo di benefici aggiungesti quello di darmi per Avvocata la santissima Vergine Maria Madre Tua, e di avermi spesso raccomandata al suo affetto come il più fedele degli sposi potrebbe raccomandare alla propria madre la sposa sua diletta” (Ibid., II, 23, p. 145).

Protesa verso la comunione senza fine, conclude la sua vicenda terrena il 17 novembre del 1301 o 1302, all’età di circa 46 anni. Nel settimo Esercizio, quello della preparazione alla morte, santa Gertrude scrive: “O Gesù, tu che mi sei immensamente caro, sii sempre con me, perché il mio cuore rimanga con te e il tuo amore perseveri con me senza possibilità di divisione e il mio transito sia benedetto da te, così che il mio spirito, sciolto dai lacci della carne, possa immediatamente trovare riposo in te. Amen” (Esercizi, Milano 2006, p. 148).

Mi sembra ovvio che queste non sono solo cose del passato, storiche, ma l’esistenza di santa Gertrude rimane una scuola di vita cristiana, di retta via, e ci mostra che il centro di una vita felice, di una vita vera, è l’amicizia con Gesù, il Signore. E questa amicizia si impara nell’amore per la Sacra Scrittura, nell’amore per la liturgia, nella fede profonda, nell’amore per Maria, in modo da conoscere sempre più realmente Dio stesso e così la vera felicità, la meta della nostra vita. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do il benvenuto ai pellegrini slovacchi, in particolare a quelli provenienti dalla Parrocchia della Madonna Addolorata di Bratislava-Petržalka come pure da Tesáre e dintorni.
Fratelli e sorelle, la Chiesa domani fa memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario. Riscoprite il valore della preghiera del Rosario come via per un incontro personale con Cristo.
Di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua romena:

Saluto con affetto i pellegrini rumeni. Cari amici, auspico che il vostro pellegrinaggio in questo mese di ottobre dedicato alla Vergine Maria, vi aiuti a riscoprire il valore del Santo Rosario, questa preghiera semplice ma efficace. Di cuore imparto la Benedizione Apostolica.

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Domani ricorre la memoria della Beata Maria Vergine del Rosario. Il rosario è una particolare preghiera della Chiesa e un’arma spirituale per ognuno di noi. La meditazione della vita di Gesù e Maria sia per tutti noi luce sulla via evangelica del rinnovamento spirituale e della conversione del cuore. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore i pellegrini croati, in modo particolare i sacerdoti ed i fedeli tutti della Diocesi di Sisak, guidati dal loro Pastore Mons. Vlado Kosic, come pure i fedeli della Missione Croata di St. Gallen. Cari amici, siete venuti alle tombe degli Apostoli a manifestare la vostra fedeltà e gratitudine alla Sede Apostolica per la erezione della nuova Diocesi di Sisak. Nel mese dedicato alla nostra Madre Celeste, chiedete la sua intercessione e la sua protezione per voi e per le vostre famiglie. Vi esorto poi a pregare per le vocazioni al Sacerdozio ed alla Vita Consacrata, tanto necessarie specialmente nella vostra Diocesi. La benedizione, che volentieri vi imparto, vi aiuti a perseverare. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Missionari Oblati di Maria Immacolata, che stanno tenendo il loro Capitolo Generale ed auguro ad essi di impegnarsi con rinnovato slancio apostolico a rendere sempre più attuale il carisma dell’Istituto, per cooperare generosamente nell'opera della nuova evangelizzazione. Sono lieto di accogliere i sacerdoti, provenienti da varie Nazioni, iscritti presso il Pontificio Collegio San Paolo Apostolo per il completamento dei loro studi, come pure i Seminaristi dei Servi della Carità-Opera Don Guanella. A tutti auguro un proficuo anno accademico.

Indirizzo, infine, un affettuoso pensiero ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli.Domani la Chiesa celebrerà la festa della Madonna del Rosario. Ottobre è il mese del Santo Rosario, che ci invita a valorizzare questa preghiera così cara alla tradizione del popolo cristiano. Invito voi, cari giovani, a fare del Rosario la vostra preghiera d'ogni giorno. Incoraggio voi, cari malati, a crescere, grazie alla recita del Rosario, nel fiducioso abbandono nelle mani di Dio. Esorto voi, cari sposi novelli, a fare del Rosario una costante contemplazione dei misteri di Cristo.






Piazza San Pietro

Mercoledì, 13 ottobre 2010: Beata Angela da Foligno

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi della beata Angela da Foligno, una grande mistica medioevale vissuta nel XIII secolo. Di solito, si è affascinati dai vertici dell’esperienza di unione con Dio che ella ha raggiunto, ma si considerano forse troppo poco i primi passi, la sua conversione, e il lungo cammino che l’ha condotta dal punto di partenza, il “grande timore dell’inferno”, fino al traguardo, l’unione totale con la Trinità. La prima parte della vita di Angela non è certo quella di una fervente discepola del Signore. Nata intorno al 1248 in una famiglia benestante, rimase orfana di padre e fu educata dalla madre in modo piuttosto superficiale. Venne introdotta ben presto negli ambienti mondani della città di Foligno, dove conobbe un uomo, che sposò a vent’anni e dal quale ebbe dei figli. La sua vita era spensierata, tanto da permettersi di disprezzare i cosiddetti “penitenti” - molto diffusi in quell’epoca – coloro, cioè, che per seguire Cristo vendevano i loro beni e vivevano nella preghiera, nel digiuno, nel servizio alla Chiesa e nella carità.

Alcuni avvenimenti, come il violento terremoto del 1279, un uragano, l’annosa guerra contro Perugia e le sue dure conseguenze incidono nella vita di Angela, la quale progressivamente prende coscienza dei suoi peccati, fino ad un passo decisivo: invoca san Francesco, che le appare in visione, per chiedergli consiglio in vista di una buona Confessione generale da compiere: siamo nel 1285, Angela si confessa da un Frate a San Feliciano. Tre anni dopo, la strada della conversione conosce un’altra svolta: lo scioglimento dai legami affettivi, poiché, in pochi mesi, alla morte della madre seguono quelle del marito e di tutti i figli. Allora vende i suoi beni e nel 1291 aderisce al Terz’Ordine di San Francesco. Muore a Foligno il 4 gennaio 1309.

Il Libro della beata Angela da Foligno, in cui è raccolta la documentazione sulla nostra Beata, racconta questa conversione; ne indica i mezzi necessari: la penitenza, l’umiltà e le tribolazioni; e ne narra i passaggi, il susseguirsi delle esperienze di Angela, iniziate nel 1285. Ricordandole, dopo averle vissute, ella cercò di raccontarle attraverso il Frate confessore, il quale le trascrisse fedelmente tentando poi di sistemarle in tappe, che chiamò “passi o mutazioni”, ma senza riuscire a ordinarle pienamente (cfr Il Libro della beata Angela da Foligno, Cinisello Balsamo 1990, p. 51). Questo perché l’esperienza di unione per la beata Angela è un coinvolgimento totale dei sensi spirituali e corporali, e di ciò che ella “comprende” durante le sue estasi rimane, per così dire, solo un’“ombra” nella sua mente. “Sentii davvero queste parole - ella confessa dopo un rapimento mistico -, ma quello che vidi e compresi, e che egli [cioè Dio] mi mostrò, in nessun modo so o posso dirlo, sebbene rivelerei volentieri quello che capii con le parole che udii, ma fu un abisso assolutamente ineffabile”. Angela da Foligno presenta il suo “vissuto” mistico, senza elaborarlo con la mente, perché sono illuminazioni divine che si comunicano alla sua anima in modo improvviso e inaspettato. Lo stesso Frate confessore fa fatica a riportare tali eventi, “anche a causa della sua grande e mirabile riservatezza riguardo ai doni divini” (Ibid., p. 194). Alla difficoltà per Angela di esprimere la sua esperienza mistica si aggiunge anche la difficoltà per i suoi ascoltatori di comprenderla. Una situazione che indica con chiarezza come l’unico e vero Maestro, Gesù, vive nel cuore di ogni credente e desidera prenderne totale possesso. Così in Angela, che scriveva ad un suo figlio spirituale: “Figlio mio, se vedessi il mio cuore, saresti assolutamente costretto a fare tutte le cose che Dio vuole, perché il mio cuore è quello di Dio e il cuore di Dio è il mio”. Risuonano qui le parole di san Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (
Ga 2,20).

Consideriamo allora solo qualche “passo” del ricco cammino spirituale della nostra Beata. Il primo, in realtà, è una premessa: “Fu la conoscenza del peccato, - come ella precisa – in seguito alla quale l’anima ebbe un gran timore di dannarsi; in questo passo pianse amaramente” (Il Libro della beata Angela da Foligno, p. 39). Questo “timore” dell’inferno risponde al tipo di fede che Angela aveva al momento della sua “conversione”; una fede ancora povera di carità, cioè dell’amore di Dio. Pentimento, paura dell’inferno, penitenza aprono ad Angela la prospettiva della dolorosa “via della croce” che, dall’ottavo al quindicesimo passo, la porterà poi sulla “via dell’amore”. Racconta il Frate confessore: “La fedele allora mi disse: Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conservare la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla Croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli concedo o permetto»” (Ibid., p. 143). Ma in questa fase Angela ancora “non sente amore”; ella afferma: “L’anima prova vergogna e amarezza e non sperimenta ancora l’amore, ma il dolore” (Ibid., p. 39), ed è insoddisfatta.

Angela sente di dover dare qualcosa a Dio per riparare i suoi peccati, ma lentamente comprende di non aver nulla da darGli, anzi di “essere nulla” davanti a Lui; capisce che non sarà la sua volontà a darle l’amore di Dio, perché questa può solo darle il suo “nulla”, il “non amore”. Come ella dirà: solo “l’amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’anima e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà divina […] Tale amore porta l’anima in Cristo e lei comprende con sicurezza che non si può verificare o esserci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può mischiare qualcosa di quello del mondo” (Ibid., p. 124-125). Aprirsi solamente e totalmente all’amore di Dio, che ha la massima espressione in Cristo: “O mio Dio - prega - fammi degna di conoscere l’altissimo mistero, che il tuo ardentissimo e ineffabile amore attuò, insieme all’amore della Trinità, cioè l’altissimo mistero della tua santissima incarnazione per noi. […]. Oh incomprensibile amore! Al di sopra di quest’amore, che ha fatto sì che il mio Dio si è fatto uomo per farmi Dio, non c’è amore più grande” (Ibid., p. 295). Tuttavia, il cuore di Angela porta sempre le ferite del peccato; anche dopo una Confessione ben fatta, ella si trovava perdonata e ancora affranta dal peccato, libera e condizionata dal passato, assolta ma bisognosa di penitenza. E anche il pensiero dell’inferno l’accompagna perché quanto più l’anima progredisce sulla via della perfezione cristiana, tanto più essa si convincerà non solo di essere “indegna”, ma di essere meritevole dell’inferno.

Ed ecco che, nel suo cammino mistico, Angela comprende in modo profondo la realtà centrale: ciò che la salverà dalla sua “indegnità” e dal “meritare l’inferno” non sarà la sua “unione con Dio” e il suo possedere la “verità”, ma Gesù crocifisso, “la sua crocifissione per me”, il suo amore. Nell’ottavo passo, ella dice: “Ancora però non capivo se era bene maggiore la mia liberazione dai peccati e dall’inferno e la conversione a penitenza, oppure la sua crocifissione per me” (Ibid., p. 41). E’ l’instabile equilibrio fra amore e dolore, avvertito in tutto il suo difficile cammino verso la perfezione. Proprio per questo contempla di preferenza il Cristo crocifisso, perché in tale visione vede realizzato il perfetto equilibrio: in croce c’è l’uomo-Dio, in un supremo atto di sofferenza che è un supremo atto di amore. Nella terza Istruzione la Beata insiste su questa contemplazione e afferma: “Quanto più perfettamente e puramente vediamo, tanto più perfettamente e puramente amiamo. […] Perciò quanto più vediamo il Dio e uomo Gesù Cristo, tanto più veniamo trasformati in lui attraverso l’amore. […] Quello che ho detto dell’amore […] lo dico anche del dolore: l’anima quanto contempla l’ineffabile dolore del Dio e uomo Gesù Cristo, tanto si addolora e viene trasformata in dolore” (Ibid., p. 190-191). Immedesimarsi, trasformarsi nell’amore e nelle sofferenze del Cristo crocifisso, identificarsi con Lui. La conversione di Angela, iniziata da quella Confessione del 1285, arriverà a maturazione solo quando il perdono di Dio apparirà alla sua anima come il dono gratuito di amore del Padre, sorgente di amore: “Non c’è nessuno che possa portare scuse – ella afferma - perché chiunque può amare Dio, ed egli non chiede all’anima se non che gli voglia bene, perché egli l’ama ed è il suo amore” (Ibid., p. 76).

Nell’itinerario spirituale di Angela il passaggio dalla conversione all’esperienza mistica, da ciò che si può esprimere all’inesprimibile, avviene attraverso il Crocifisso. E’ il “Dio-uomo passionato”, che diventa il suo “maestro di perfezione”. Tutta la sua esperienza mistica è, dunque, tendere ad una perfetta “somiglianza” con Lui, mediante purificazioni e trasformazioni sempre più profonde e radicali. In tale stupenda impresa Angela mette tutta se stessa, anima e corpo, senza risparmiarsi in penitenze e tribolazioni dall’inizio alla fine, desiderando di morire con tutti i dolori sofferti dal Dio-uomo crocifisso per essere trasformata totalmente in Lui: “O figli di Dio, - ella raccomandava - trasformatevi totalmente nel Dio-uomo passionato, che tanto vi amò da degnarsi di morire per voi di morte ignominiosissima e del tutto ineffabilmente dolorosa e in modo penosissimo e amarissimo. Questo solo per amor tuo, o uomo!” (Ibid., p. 247). Questa identificazione significa anche vivere ciò che Gesù ha vissuto: povertà, disprezzo, dolore, perché – come ella afferma - “attraverso la povertà temporale l’anima troverà ricchezze eterne; attraverso il disprezzo e la vergogna otterrà sommo onore e grandissima gloria; attraverso poca penitenza, fatta con pena e dolore, possederà con infinita dolcezza e consolazione il Bene Sommo, Dio eterno” (Ibid., p. 293).

Dalla conversione all’unione mistica con il Cristo crocifisso, all’inesprimibile. Un cammino altissimo, il cui segreto è la preghiera costante: “Quanto più pregherai – ella afferma - tanto maggiormente sarai illuminato; quanto più sarai illuminato, tanto più profondamente e intensamente vedrai il Sommo Bene, l’Essere sommamente buono; quanto più profondamente e intensamente lo vedrai, tanto più lo amerai; quanto più lo amerai, tanto più ti diletterà; e quanto più ti diletterà, tanto maggiormente lo comprenderai e diventerai capace di capirlo. Successivamente arriverai alla pienezza della luce, perché capirai di non poter comprendere” (Ibid., p. 184).

Cari fratelli e sorelle, la vita di santa Angela comincia con un’esistenza mondana, abbastanza lontana da Dio. Ma poi l'incontro con la figura di san Francesco e, finalmente, l'incontro col Cristo Crocifisso risveglia l'anima per La presenza di Dio, per il fatto che solo con Dio la vita diventa vera vita, perché diventa, nel dolore per il peccato, amore e gioia. E così parla a noi santa Angela. Oggi siamo tutti in pericolo di vivere come se Dio non esistesse: sembra così lontano dalla vita odierna. Ma Dio ha mille modi, per ciascuno il suo, di farsi presente nell'anima, di mostrare che esiste e mi conosce e mi ama. E santa Angela vuol farci attenti a questi segni con i quali il Signore ci tocca l'anima, attenti alla presenza di Dio, per imparare così la via con Dio e verso Dio, nella comunione con Cristo Crocifisso. Preghiamo il Signore che ci renda attenti ai segni della sua presenza, che ci insegni a vivere realmente. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Con un cordiale saluto mi rivolgo ai polacchi. Si avvicina l’anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II. Insieme a voi ringrazio Dio per la testimonianza della fede, della speranza e dell’amore che ci ha dato il mio grande predecessore sulla Sede di Pietro. Prego, che i frutti della sua vita, del ministero e dell’insegnamento permangano nella Chiesa e nei cuori degli uomini. Alle vostre preghiere raccomando i lavori del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto e benedico i pellegrini croati, ed in modo particolare i sacerdoti ed i fedeli tutti dell’Arcidiocesi di Rijeka, guidati dal loro Arcivescovo Mons. Ivan Devcic, come pure i fedeli della Parrocchia di Nostra Signora di Fatima di Split ed il Coro Kraljica Jelena di Solin. Cari amici, la Chiesa pone grande speranza in voi, nelle vostre famiglie e comunità parrocchiali affinché costantemente costruiate l’amore e la riconciliazione nella vostra patria. Rafforzati nella fede, invocate l’intercessione della Beata Vergine Maria perché vi aiuti a perseverare. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, specialmente quelli provenienti da Nitra, Spiš, dalla Parrocchia di San Michele di Bajerov, come pure il gruppo dei diaconi dell’Arcidiocesi di Košice.
Fratelli e sorelle, il Rosario è per noi una scuola di preghiera. Auguro che il vostro pellegrinaggio in questo mese del Rosario di ottobre, vi aiuti a scoprire la bellezza di questa preghiera semplice, ma efficace. Con questo desiderio benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Con grande affetto saluto i fedeli ungheresi, specialmente quelli che sono arrivati da Miskolc, Tesmák, Göd, Dány, Kisléta.
Ricordo nelle preghiere gli abitanti di Kolontár, che hanno dovuto lasciare le loro case, e tutti coloro i quali sono stati colpiti dal fango tossico, specialmente coloro che hanno perso la vita.
Volentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi ed anche a tutti che aiutano alle persone colpite.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ucraina:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini ucraini e mentre li esorto a rendere ovunque una generosa testimonianza cristiana, invoco su ciascuno la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore Francescane del Signore, guidato dal Vescovo di Caltanissetta Mons. Mario Russotto e, nell’associarmi alla loro gioia per la ricorrenza giubilare dell’Istituto religioso fondato dal Servo di Dio Angelico Lipani, auspico per ciascuno una rinnovata effusione di favori celesti, perché siano rafforzati i generosi propositi di testimonianza evangelica. Saluto il gruppo “Amici e Benefattori di Telepace”, che ricordano il 20° anniversario di presenza a Roma: possa la vostra benemerita emittente continuare a crescere sotto lo sguardo materno di Maria. Saluto i fedeli di Piani d’Imperia e li esorto a vivere con entusiasmo la fede cristiana, nella consapevolezza che essa è la risposta pienamente valida alle speranze e alle attese di ogni uomo e di ogni società

Mi rivolgo ora ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Il mio pensiero va alla Madonna di Fatima, di cui proprio oggi ricordiamo l'ultima apparizione. Alla celeste Madre di Dio affido voi, cari giovani, perché possiate generosamente rispondere alla chiamata del Signore. Maria sia per voi, cari malati, conforto nelle vostre pene; ed accompagni voi, cari sposi novelli, nel vostro incipiente cammino familiare.








Piazza San Pietro

Mercoledì, 20 ottobre 2010: Santa Elisabetta d’Ungheria

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlarvi di una delle donne del Medioevo che ha suscitato maggiore ammirazione; si tratta di santa Elisabetta d’Ungheria, chiamata anche Elisabetta di Turingia.

Nacque nel 1207; gli storici discutono sul luogo. Suo padre era Andrea II, ricco e potente re di Ungheria, il quale, per rafforzare i legami politici, aveva sposato la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Merania, sorella di santa Edvige, la quale era moglie del duca di Slesia. Elisabetta visse nella Corte ungherese solo i primi quattro anni della sua infanzia, assieme a una sorella e tre fratelli. Amava il gioco, la musica e la danza; recitava con fedeltà le sue preghiere e mostrava già particolare attenzione verso i poveri, che aiutava con una buona parola o con un gesto affettuoso.

La sua fanciullezza felice fu bruscamente interrotta quando, dalla lontana Turingia, giunsero dei cavalieri per portarla nella sua nuova sede in Germania centrale. Secondo i costumi di quel tempo, infatti, suo padre aveva stabilito che Elisabetta diventasse principessa di Turingia. Il langravio o conte di quella regione era uno dei sovrani più ricchi ed influenti d’Europa all’inizio del XIII secolo, e il suo castello era centro di magnificenza e di cultura. Ma dietro le feste e l’apparente gloria si nascondevano le ambizioni dei principi feudali, spesso in guerra tra di loro e in conflitto con le autorità reali ed imperiali. In questo contesto, il langravio Hermann accolse ben volentieri il fidanzamento tra suo figlio Ludovico e la principessa ungherese. Elisabetta partì dalla sua patria con una ricca dote e un grande seguito, comprese le sue ancelle personali, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. Sono loro che ci hanno lasciato preziose informazioni sull’infanzia e sulla vita della Santa.

Dopo un lungo viaggio giunsero ad Eisenach, per salire poi alla fortezza di Wartburg, il massiccio castello sopra la città. Qui si celebrò il fidanzamento tra Ludovico ed Elisabetta. Negli anni successivi, mentre Ludovico imparava il mestiere di cavaliere, Elisabetta e le sue compagne studiavano tedesco, francese, latino, musica, letteratura e ricamo. Nonostante il fatto che il fidanzamento fosse stato deciso per motivi politici, tra i due giovani nacque un amore sincero, animato dalla fede e dal desiderio di compiere la volontà di Dio. All’età di 18 anni, Ludovico, dopo la morte del padre, iniziò a regnare sulla Turingia. Elisabetta divenne però oggetto di sommesse critiche, perché il suo modo di comportarsi non corrispondeva alla vita di corte. Così anche la celebrazione del matrimonio non fu sfarzosa e le spese per il banchetto furono in parte devolute ai poveri. Nella sua profonda sensibilità Elisabetta vedeva le contraddizioni tra la fede professata e la pratica cristiana. Non sopportava i compromessi. Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”. Come si comportava davanti a Dio, allo stesso modo si comportava verso i sudditi. Tra i Detti delle quattro ancelle troviamo questa testimonianza: “Non consumava cibi se prima non era sicura che provenissero dalle proprietà e dai legittimi beni del marito. Mentre si asteneva dai beni procurati illecitamente, si adoperava anche per dare risarcimento a coloro che avevano subito violenza” (nn. 25 e 37). Un vero esempio per tutti coloro che ricoprono ruoli di guida: l’esercizio dell’autorità, ad ogni livello, dev’essere vissuto come servizio alla giustizia e alla carità, nella costante ricerca del bene comune.

Elisabetta praticava assiduamente le opere di misericordia: dava da bere e da mangiare a chi bussava alla sua porta, procurava vestiti, pagava i debiti, si prendeva cura degli infermi e seppelliva i morti. Scendendo dal suo castello, si recava spesso con le sue ancelle nelle case dei poveri, portando pane, carne, farina e altri alimenti. Consegnava i cibi personalmente e controllava con attenzione gli abiti e i giacigli dei poveri. Questo comportamento fu riferito al marito, il quale non solo non ne fu dispiaciuto, ma rispose agli accusatori: “Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!”. In questo contesto si colloca il miracolo del pane trasformato in rose: mentre Elisabetta andava per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri, incontrò il marito che le chiese cosa stesse portando. Lei aprì il grembiule e, invece del pane, comparvero magnifiche rose. Questo simbolo di carità è presente molte volte nelle raffigurazioni di santa Elisabetta.

Il suo fu un matrimonio profondamente felice: Elisabetta aiutava il coniuge ad elevare le sue qualità umane a livello soprannaturale, ed egli, in cambio, proteggeva la moglie nella sua generosità verso i poveri e nelle sue pratiche religiose. Sempre più ammirato per la grande fede della sposa, Ludovico, riferendosi alla sua attenzione verso i poveri, le disse: “Cara Elisabetta, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura”. Una chiara testimonianza di come la fede e l’amore verso Dio e verso il prossimo rafforzino la vita familiare e rendano ancora più profonda l’unione matrimoniale.

La giovane coppia trovò appoggio spirituale nei Frati Minori, che, dal 1222, si diffusero in Turingia. Tra di essi Elisabetta scelse frate Ruggero (Rüdiger) come direttore spirituale. Quando egli le raccontò la vicenda della conversione del giovane e ricco mercante Francesco d’Assisi, Elisabetta si entusiasmò ulteriormente nel suo cammino di vita cristiana. Da quel momento, fu ancora più decisa nel seguire Cristo povero e crocifisso, presente nei poveri. Anche quando nacque il primo figlio, seguito poi da altri due, la nostra Santa non tralasciò mai le sue opere di carità. Aiutò inoltre i Frati Minori a costruire ad Halberstadt un convento, di cui frate Ruggero divenne il superiore. La direzione spirituale di Elisabetta passò, così, a Corrado di Marburgo.

Una dura prova fu l’addio al marito, a fine giugno del 1227 quando Ludovico IV si associò alla crociata dell’imperatore Federico II, ricordando alla sposa che quella era una tradizione per i sovrani di Turingia. Elisabetta rispose: “Non ti tratterrò. Ho dato tutta me stessa a Dio ed ora devo dare anche te”. La febbre, però, decimò le truppe e Ludovico stesso cadde malato e morì ad Otranto, prima di imbarcarsi, nel settembre 1227, all’età di ventisette anni. Elisabetta, appresa la notizia, ne fu così addolorata che si ritirò in solitudine, ma poi, fortificata dalla preghiera e consolata dalla speranza di rivederlo in Cielo, ricominciò ad interessarsi degli affari del regno. La attendeva, tuttavia, un’altra prova: suo cognato usurpò il governo della Turingia, dichiarandosi vero erede di Ludovico e accusando Elisabetta di essere una pia donna incompetente nel governare. La giovane vedova, con i tre figli, fu cacciata dal castello di Wartburg e si mise alla ricerca di un luogo dove rifugiarsi. Solo due delle sue ancelle le rimasero vicino, la accompagnarono e affidarono i tre bambini alle cure degli amici di Ludovico. Peregrinando per i villaggi, Elisabetta lavorava dove veniva accolta, assisteva i malati, filava e cuciva. Durante questo calvario sopportato con grande fede, con pazienza e dedizione a Dio, alcuni parenti, che le erano rimasti fedeli e consideravano illegittimo il governo del cognato, riabilitarono il suo nome. Così Elisabetta, all’inizio del 1228, poté ricevere un reddito appropriato per ritirarsi nel castello di famiglia a Marburgo, dove abitava anche il suo direttore spirituale Corrado. Fu lui a riferire al Papa Gregorio IX il seguente fatto: “Il venerdì santo del 1228, poste le mani sull’altare nella cappella della sua città Eisenach, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni frati e familiari, Elisabetta rinunziò alla propria volontà e a tutte le vanità del mondo. Ella voleva rinunziare anche a tutti i possedimenti, ma io la dissuasi per amore dei poveri. Poco dopo costruì un ospedale, raccolse malati e invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili e i più derelitti. Avendola io rimproverata su queste cose, Elisabetta rispose che dai poveri riceveva una speciale grazia ed umiltà” (Epistula magistri Conradi, 14-17).

Possiamo scorgere in quest’affermazione una certa esperienza mistica simile a quella vissuta da san Francesco: il Poverello di Assisi dichiarò, infatti, nel suo testamento, che, servendo i lebbrosi, quello che prima gli era amaro fu tramutato in dolcezza dell’anima e del corpo (Testamentum, 1-3). Elisabetta trascorse gli ultimi tre anni nell’ospedale da lei fondato, servendo i malati, vegliando con i moribondi. Cercava sempre di svolgere i servizi più umili e lavori ripugnanti. Ella divenne quella che potremmo chiamare una donna consacrata in mezzo al mondo (soror in saeculo) e formò, con altre sue amiche, vestite in abiti grigi, una comunità religiosa. Non a caso è patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare.

Nel novembre del 1231 fu colpita da forti febbri. Quando la notizia della sua malattia si propagò, moltissima gente accorse a vederla. Dopo una decina di giorni, chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio. Nella notte del 17 novembre si addormentò dolcemente nel Signore. Le testimonianze sulla sua santità furono tante e tali che, solo quattro anni più tardi, il Papa Gregorio IX la proclamò Santa e, nello stesso anno, fu consacrata la bella chiesa costruita in suo onore a Marburgo.

Cari fratelli e sorelle, nella figura di santa Elisabetta vediamo come la fede, l'amicizia con Cristo creino il senso della giustizia, dell'uguaglianza di tutti, dei diritti degli altri e creino l'amore, la carità. E da questa carità nasce anche la speranza, la certezza che siamo amati da Cristo e che l'amore di Cristo ci aspetta e così ci rende capaci di imitare Cristo e di vedere Cristo negli altri. Santa Elisabetta ci invita a riscoprire Cristo, ad amarLo, ad avere la fede e così trovare la vera giustizia e l'amore, come pure la gioia che un giorno saremo immersi nell'amore divino, nella gioia dell'eternità con Dio. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi partecipanti a quest’udienza. Oggi in Polonia ricorre la memoria liturgica di San Giovanni da Kety, filosofo, teologo dell’Università Jagellonica, patrono dell’Arcidiocesi di Cracovia. Era laborioso, perseverante, pio. Si distinse per lo spirito di misericordia e per la sollecitudine verso i poveri. Impariamo da lui la fedeltà a Cristo e al Vangelo. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini croati, provenienti da Šibenik e da Makarska, come pure ai fedeli della Missione cattolica Croata di Ludwigshafen. Rafforzati nella fede sulle tombe degli apostoli, testimoniate l’amore di Dio nel vostro popolo con la vita, la preghiera perseverante, il lavoro diligente ed onesto. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente quelli da Bratislava e da Kostolná pri Dunaji.
Fratelli e sorelle, l’odierna catechesi ci presenta la figura di S. Elisabetta d’Ungheria, anche a voi cosi vicina. Questa straordinaria testimone di amore verso i poveri susciti in voi un rinnovato impegno nelle opere di misericordia.
Di cuore benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i pellegrini ungheresi, specialmente i fedeli di Tarján e di Sumuleu Ciuc. Nella mia catechesi di oggi mi sono soffermato sulla figura di Santa Elisabetta d'Ungheria, su questa grande Santa della carità verso il prossimo. Chiedendo la sua intercessione e protezione, volentieri imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica.
Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore Catechiste del Sacro Cuore, in occasione della canonizzazione di santa Giulia Salzano, ed auguro che il suo esempio vi sia di incoraggiamento, i suoi insegnamenti vi orientino, e la sua intercessione vi sostenga nelle fatiche quotidiane. Saluto i cresimati della diocesi di Faenza-Modigliana, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Claudio Stagni, ed assicuro la mia preghiera affinché ciascuno possa testimoniare, con il buon esempio e l’assidua pratica delle virtù cristiane, gli insegnamenti del Vangelo. Saluto i fedeli della parrocchia Sacro Cuore di Gesù, in Viterbo, augurando di partecipare con crescente generosità alla vita della comunità cristiana.

Rivolgo, infine, il mio pensiero ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Cari amici, il mese di ottobre ci invita a rinnovare la nostra attiva cooperazione alla missione della Chiesa. Con le fresche energie della giovinezza, con la forza della preghiera e del sacrificio e con le potenzialità della vita coniugale, sappiate essere missionari del Vangelo, offrendo il vostro concreto sostegno a quanti faticano per portarlo a chi ancora non lo conosce.

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ANNUNCIO DI CONCISTORO PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI


E adesso con gioia annuncio che il prossimo 20 novembre terrò un Concistoro nel quale nominerò nuovi Membri del Collegio Cardinalizio. I Cardinali hanno il compito di aiutare il Successore dell’Apostolo Pietro nell’adempimento della sua missione di principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione nella Chiesa (cfr Lumen gentium
LG 18).

Ecco i nomi dei nuovi Porporati:

1. Mons. Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi;
2. S.B. Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto);
3. Mons. Robert Sarah, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum";
4. Mons. Francesco Monterisi, Arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura;
5. Mons. Fortunato Baldelli, Penitenziere Maggiore;
6. Mons. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica;
7. Mons. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani;
8. Mons. Paolo Sardi, Vice Camerlengo di Santa Romana Chiesa;
9. Mons. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero;
10. Mons. Velasio De Paolis, C.S., Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede;
11. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura;
12. Mons. Medardo Joseph Mazombwe, Arcivescovo emerito di Lusaka (Zambia);
13. Mons. Raúl Eduardo Vela Chiriboga, Arcivescovo emerito di Quito (Ecuador);
14. Mons. Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa (Rep. Democratica del Congo);
15. Mons. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo (Italia);
16. Mons. Donald William Wuerl, Arcivescovo di Washington (Stati Uniti d'America);
17. Mons. Raymundo Damasceno Assis, Arcivescovo di Aparecida (Brasile);
18. Mons. Kazimierz Nycz, Arcivescovo di Warszawa (Polonia);
19. Mons. Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, Arcivescovo di Colombo (Sri Lanka);
20. Mons. Reinhard Marx, Arcivescovo di München und Freising (Germania).

Ho deciso, inoltre, di elevare alla dignità cardinalizia due Presuli e due Ecclesiastici, che si sono distinti per la loro generosità e dedizione nel servizio alla Chiesa.

Essi sono:

1. Mons. José Manuel Estepa Llaurens, Arcivescovo Ordinario Militare emerito (Spagna);
2. Mons. Elio Sgreccia, già Presidente della Pontificia Accademia per la Vita (Italia);
3. Mons. Walter Brandmüller, già Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (Germania);
4. Mons. Domenico Bartolucci, già Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia (Italia).

Nella lista dei nuovi Porporati si riflette l’universalità della Chiesa; essi, infatti, provengono da varie parti del mondo e svolgono differenti compiti a servizio della Santa Sede o a contatto diretto con il Popolo di Dio quali Padri e Pastori di Chiese particolari.

Vi invito a pregare per i nuovi Cardinali, chiedendo la particolare intercessione della Santissima Madre di Dio, affinché svolgano con frutto il loro ministero nella Chiesa.








Piazza San Pietro

Mercoledì, 27 ottobre 2010: Santa Brigida di Svezia


Catechesi 2005-2013 61010