Catechesi 2005-2013 11029

Mercoledì, 11 febbraio 2009: Giovanni Climaco.

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Cari fratelli e sorelle,

dopo venti catechesi dedicate all’Apostolo Paolo, vorrei riprendere oggi la presentazione dei grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del tempo medioevale. E propongo la figura di Giovanni detto Climaco, traslitterazione latina del termine greco klímakos, che significa della scala (klímax). Si tratta del titolo della sua opera principale nella quale descrive la scalata della vita umana verso Dio. Egli nacque verso il 575. La sua vita si sviluppò dunque negli anni in cui Bisanzio, capitale dell’impero romano d’Oriente, conobbe la più grande crisi della sua storia. All’improvviso il quadro geografico dell’impero mutò e il torrente delle invasioni barbariche fece crollare tutte le sue strutture. Resse solo la struttura della Chiesa, che continuò in questi tempi difficili a svolgere la sua azione missionaria, umana e socio-culturale, specialmente attraverso la rete dei monasteri, in cui operavano grandi personalità religiose come quella, appunto, di Giovanni Climaco.

Tra le montagne del Sinai, ove Mosè incontrò Dio ed Elia ne udì la voce, Giovanni visse e raccontò le sue esperienze spirituali. Notizie su di lui sono conservate in una breve Vita (PG 88,596-608), scritta dal monaco Daniele di Raito: a sedici anni Giovanni, divenuto monaco sul monte Sinai, vi si fece discepolo dell’abate Martirio, un "anziano", cioè un "sapiente". Verso i vent’anni, scelse di vivere da eremita in una grotta ai piedi del monte, in località di Tola, a otto chilometri dall’attuale monastero di Santa Caterina. Ma la solitudine non gli impedì di incontrare persone desiderose di avere una direzione spirituale, come anche di recarsi in visita ad alcuni monasteri presso Alessandria. Il suo ritiro eremitico, infatti, lungi dall’essere una fuga dal mondo e dalla realtà umana, sfociò in un amore ardente per gli altri (Vita 5) e per Dio (Vita 7). Dopo quarant’anni di vita eremitica vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo, anni durante i quali pianse, pregò, lottò contro i demoni, fu nominato igumeno del grande monastero del monte Sinai e ritornò così alla vita cenobitica, in monastero. Ma alcuni anni prima della morte, nostalgico della vita eremitica, passò al fratello, monaco nello stesso monastero, la guida della comunità. Morì dopo il 650. La vita di Giovanni si sviluppa tra due montagne, il Sinai e il Tabor, e veramente si può dire che da lui si è irradiata la luce vista da Mosè sul Sinai e contemplata dai tre apostoli sul Tabor!

Divenne famoso, come ho già detto, per l’opera la Scala (klímax), qualificata in Occidente come Scala del Paradiso (PG 88,632-1164). Composta su insistente richiesta del vicino igumeno del monastero di Raito presso il Sinai, la Scala è un trattato completo di vita spirituale, in cui Giovanni descrive il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore. E’ un cammino che – secondo questo libro – si sviluppa attraverso trenta gradini, ognuno dei quali è collegato col successivo. Il cammino può essere sintetizzato in tre fasi successive: la prima si esprime nella rottura col mondo al fine di ritornare allo stato dell’infanzia evangelica. L’essenziale quindi non è la rottura, ma il collegamento con quanto Gesù ha detto, il ritornare cioè alla vera infanzia in senso spirituale, il diventare come i bambini. Giovanni commenta: "Un buon fondamento è quello formato da tre basi e da tre colonne: innocenza, digiuno e castità. Tutti i neonati in Cristo (cfr
1Co 3,1) comincino da queste cose, prendendo esempio da quelli che sono neonati fisicamente" (1,20; 636). Il distacco volontario dalle persone e dai luoghi cari permette all’anima di entrare in comunione più profonda con Dio. Questa rinuncia sfocia nell’obbedienza, che è via all’umiltà mediante le umiliazioni – che non mancheranno mai – da parte dei fratelli. Giovanni commenta: "Beato colui che ha mortificato la propria volontà fino alla fine e che ha affidato la cura della propria persona al suo maestro nel Signore: sarà infatti collocato alla destra del Crocifisso!" (4,37; 704).

La seconda fase del cammino è costituita dal combattimento spirituale contro le passioni. Ogni gradino della scala è collegato con una passione principale, che viene definita e diagnosticata, con l’indicazione della terapia e con la proposta della virtù corrispondente. L’insieme di questi gradini costituisce senza dubbio il più importante trattato di strategia spirituale che possediamo. La lotta contro le passioni, però, si riveste di positività – non rimane una cosa negativa – grazie all’immagine del "fuoco" dello Spirito Santo: "Tutti coloro che intraprendono questa bella lotta (cfr 1Tm 6,12), dura e ardua, [...], sappiano che sono venuti a gettarsi in un fuoco, se veramente desiderano che il fuoco immateriale abiti in loro" (1,18; 636). Il fuoco dello Spirito santo che è fuoco dell’amore e della verità. Solo la forza dello Spirito Santo assicura la vittoria. Ma secondo Giovanni Climaco è importante prendere coscienza che le passioni non sono cattive in sé; lo diventano per l’uso cattivo che ne fa la libertà dell’uomo. Se purificate, le passioni schiudono all’uomo la via verso Dio con energie unificate dall’ascesi e dalla grazia e, "se esse hanno ricevuto dal Creatore un ordine e un inizio..., il limite della virtù è senza fine" (26/2,37; 1068).

L’ultima fase del cammino è la perfezione cristiana, che si sviluppa negli ultimi sette gradini della Scala.Questi sono gli stadi più alti della vita spirituale, sperimentabili dagli "esicasti", i solitari, quelli che sono arrivati alla quiete e alla pace interiore; ma sono stadi accessibili anche ai cenobiti più ferventi. Dei primi tre - semplicità, umiltà e discernimento - Giovanni, in linea coi Padri del deserto, ritiene più importante l’ultimo, cioè la capacità di discernere. Ogni comportamento è da sottoporsi al discernimento; tutto infatti dipende dalle motivazioni profonde, che bisogna vagliare. Qui si entra nel vivo della persona e si tratta di risvegliare nell’eremita, nel cristiano, la sensibilità spirituale e il "senso del cuore", doni di Dio: "Come guida e regola in ogni cosa, dopo Dio, dobbiamo seguire la nostra coscienza" (26/1,5;1013). In questo modo si raggiunge la quiete dell’anima, l’esichía, grazie alla quale l’anima può affacciarsi sull’abisso dei misteri divini.

Lo stato di quiete, di pace interiore, prepara l’esicasta alla preghiera, che in Giovanni è duplice: la "preghiera corporea" e la "preghiera del cuore". La prima è propria di chi deve farsi aiutare da atteggiamenti del corpo: tendere le mani, emettere gemiti, percuotersi il petto, ecc. (15,26; 900); la seconda è spontanea, perché è effetto del risveglio della sensibilità spirituale, dono di Dio a chi è dedito alla preghiera corporea. In Giovanni essa prende il nome di "preghiera di Gesù" (Iesoû euché), ed è costituita dall’invocazione del solo nome di Gesù, un’invocazione continua come il respiro: "La memoria di Gesù faccia tutt’uno con il tuo respiro, e allora conoscerai l’utilità dell’esichía", della pace interiore (27/2,26; 1112). Alla fine la preghiera diventa molto semplice, semplicemente la parola "Gesù" divenuta una cosa sola con il nostro respiro.

L’ultimo gradino della scala (30), soffuso della "sobria ebbrezza dello Spirito", è dedicato alla suprema "trinità delle virtù": la fede, la speranza e soprattutto la carità. Della carità, Giovanni parla anche come éros (amore umano), figura dell’unione matrimoniale dell’anima con Dio. Ed egli sceglie ancora l’immagine del fuoco per esprimere l’ardore, la luce, la purificazione dell’amore per Dio. La forza dell’amore umano può essere riorientata a Dio, come sull’olivastro può venire innestato un olivo buono (cfr Rm 11,24) (15,66; 893). Giovanni è convinto che un’intensa esperienza di questo éros faccia avanzare l’anima assai più che la dura lotta contro le passioni, perché grande è la sua potenza. Prevale dunque la positività nel nostro cammino. Ma la carità è vista anche in stretto rapporto con la speranza: "La forza della carità è la speranza: grazie ad essa attendiamo la ricompensa della carità... La speranza è la porta della carità... L‘assenza della speranza annienta la carità: ad essa sono legate le nostre fatiche, da essa sono sostenuti i nostri travagli, e grazie ad essa siamo circondati dalla misericordia di Dio" (30,16; 1157). La conclusione della Scala contiene la sintesi dell’opera con parole che l’autore fa proferire da Dio stesso: "Questa scala t’insegni la disposizione spirituale delle virtù. Io sto sulla cima di questa scala, come disse quel mio grande iniziato (San Paolo): Ora rimangono dunque queste tre cose: fede, speranza e carità, ma di tutte più grande è la carità (1Co 13,13)!" (30,18; 1160).

A questo punto, s’impone un’ultima domanda: la Scala, opera scritta da un monaco eremita vissuto millequattrocento anni fa, può ancora dire qualcosa a noi oggi? L’itinerario esistenziale di un uomo che è vissuto sempre sulla montagna del Sinai in un tempo tanto lontano può essere di qualche attualità per noi? In un primo momento sembrerebbe che la risposta debba essere "no", perché Giovanni Climaco è troppo lontano da noi. Ma se osserviamo un po’ più da vicino, vediamo che quella vita monastica è solo un grande simbolo della vita battesimale, della vita da cristiano. Mostra, per così dire, in caratteri grandi ciò che noi scriviamo giorno per giorno in caratteri piccoli. Si tratta di un simbolo profetico che rivela che cosa sia la vita del battezzato, in comunione con Cristo, con la sua morte e risurrezione. E’ per me particolarmente importante il fatto che il vertice della "scala", gli ultimi gradini siano nello stesso tempo le virtù fondamentali, iniziali, più semplici: la fede, la speranza e la carità. Non sono virtù accessibili solo a eroi morali, ma sono dono di Dio a tutti i battezzati: in esse cresce anche la nostra vita. L’inizio è anche la fine, il punto di partenza è anche il punto di arrivo: tutto il cammino va verso una sempre più radicale realizzazione di fede, speranza e carità. In queste virtù tutta la scalata è presente. Fondamentale è la fede, perché tale virtù implica che io rinunci alla mia arroganza, al mio pensiero; alla pretesa di giudicare da solo, senza affidarmi ad altri. E’ necessario questo cammino verso l’umiltà, verso l’infanzia spirituale: occorre superare l’atteggiamento di arroganza che fa dire: Io so meglio, in questo mio tempo del ventunesimo secolo, di quanto potessero sapere quelli di allora. Occorre invece affidarsi solo alla Sacra Scrittura, alla Parola del Signore, affacciarsi con umiltà all’orizzonte della fede, per entrare così nella vastità enorme del mondo universale, del mondo di Dio. In questo modo cresce la nostra anima, cresce la sensibilità del cuore verso Dio. Giustamente dice Giovanni Climaco che solo la speranza ci rende capaci di vivere la carità. La speranza nella quale trascendiamo le cose di ogni giorno, non aspettiamo il successo nei nostri giorni terreni, ma aspettiamo alla fine la rivelazione di Dio stesso. Solo in questa estensione della nostra anima, in questa autotrascendenza, la vita nostra diventa grande e possiamo sopportare le fatiche e le delusioni di ogni giorno, possiamo essere buoni con gli altri senza aspettarci ricompensa. Solo se c’è Dio, questa speranza grande alla quale tendo, posso ogni giorno fare i piccoli passi della mia vita e così imparare la carità. Nella carità si nasconde il mistero della preghiera, della conoscenza personale di Gesù: una preghiera semplice, che tende soltanto a toccare il cuore del divino Maestro. E così si apre il proprio cuore, si impara da Lui la stessa sua bontà, il suo amore. Usiamo dunque di questa "scalata" della fede, della speranza e della carità; arriveremo così alla vera vita.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Oggi, nella memoria della Beata Maria Vergine di Lourdes, celebriamo la Giornata Mondiale del Malato. Saluto quindi in modo particolare tutti i malati e i sofferenti e anche tutti quelli che si prendono cura di loro. Affido nella preghiera alla Vergine Immacolata quanti portano la croce della sofferenza. Vi conforti la benedizione apostolica che impartisco di tutto cuore a voi qui presenti, alle persone a voi care e a voi malati.

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i fedeli di lingua ungherese, specialmente quelli della Scuola Superiore di Teologia "Sapientia" di Budapest ed il gruppo di Mukachevo! Il vostro soggiorno a Roma sia occasione per crescere nella fede! Con la particolare Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Znojmo e dintorni.
Possa questo vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo accrescere in voi il desiderio di perfezione spirituale. Con questi voti, volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i Vescovi venuti per gli incontri promossi dal Movimento dei Focolari e dalla Comunità di Sant'Egidio. Cari Fratelli nell’Episcopato, sono lieto di questa opportunità che vi è offerta per confrontare esperienze ecclesiali di diverse zone del mondo, ed auguro che questi giorni di preghiera e di riflessioni possano portare frutti abbondanti per le vostre comunità. Saluto i fedeli di Velletri e li esorto ad essere sempre più autentici testimoni di Dio e del suo amore per gli uomini. Saluto i Volontari vincenziani di Ugento-Santa Maria di Leuca, di Lecce e li incoraggio a proseguire con generosità nelle loro attività caritative in favore dei più bisognosi.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Oggi celebriamo la festa della Beata Vergine di Lourdes. Invito voi, cari giovani, ad affidarvi sempre alla materna protezione di Maria, affinché vi aiuti a conservare un cuore generoso, disponibile e pieno di entusiasmo apostolico. La Beata Vergine di Lourdes, alla cui intercessione ricorrono con fiducia numerosi malati nel corpo e nello spirito, rivolga su voi tutti, cari fratelli e sorelle ammalati, il suo sguardo di consolazione e di speranza, e vi sostenga nel portare la croce quotidiana in stretta unione con quella redentrice di Cristo. Maria accompagni voi, cari sposi novelli, nel vostro cammino, perché le vostre famiglie siano comunità di intensa vita spirituale e di concreta testimonianza cristiana.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 18 febbraio 2009: Beda il Venerabile

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Cari fratelli e sorelle,

il Santo che oggi avviciniamo si chiama Beda e nacque nel Nord-Est dell’Inghilterra, esattamente in Northumbria, nell’anno 672/673. Egli stesso racconta che i suoi parenti, all’età di sette anni, lo affidarono all’abate del vicino monastero benedettino perché venisse educato: “In questo monastero – egli ricorda – da allora sono sempre vissuto, dedicandomi intensamente allo studio della Scrittura e, mentre osservavo la disciplina della Regola e il quotidiano impegno di cantare in chiesa, mi fu sempre dolce o imparare o insegnare o scrivere” (Historia eccl. Anglorum, V, 24). Di fatto, Beda divenne una delle più insigni figure di erudito dell’alto Medioevo, potendo avvalersi dei molti preziosi manoscritti che i suoi abati, tornando dai frequenti viaggi in continente e a Roma, gli portavano. L’insegnamento e la fama degli scritti gli procurarono molte amicizie con le principali personalità del suo tempo, che lo incoraggiarono a proseguire nel suo lavoro da cui in tanti traevano beneficio. Ammalatosi, non smise di lavorare, conservando sempre un’interiore letizia che si esprimeva nella preghiera e nel canto. Concludeva la sua opera più importante la Historia ecclesiastica gentis Anglorum con questa invocazione: “Ti prego, o buon Gesù, che benevolmente mi hai permesso di attingere le dolci parole della tua sapienza, concedimi, benigno, di giungere un giorno da te, fonte di ogni sapienza, e di stare sempre di fronte al tuo volto”. La morte lo colse il 26 maggio 735: era il giorno dell’Ascensione.

Le Sacre Scritture sono la fonte costante della riflessione teologica di Beda. Premesso un accurato studio critico del testo (ci è giunta copia del monumentale Codex Amiatinus della Vulgata, su cui Beda lavorò), egli commenta la Bibbia, leggendola in chiave cristologica, cioè riunisce due cose: da una parte ascolta che cosa dice esattamente il testo, vuole realmente ascoltare, comprendere il testo stesso; dall’altra parte, è convinto che la chiave per capire la Sacra Scrittura come unica Parola di Dio è Cristo e con Cristo, nella sua luce, si capisce l’Antico e il Nuovo Testamento come “una” Sacra Scrittura. Le vicende dell’Antico e del Nuovo Testamento vanno insieme, sono cammino verso Cristo, benché espresse in segni e istituzioni diverse (è quella che egli chiama concordia sacramentorum). Ad esempio, la tenda dell’alleanza che Mosè innalzò nel deserto e il primo e secondo tempio di Gerusalemme sono immagini della Chiesa, nuovo tempio edificato su Cristo e sugli Apostoli con pietre vive, cementate dalla carità dello Spirito. E come per la costruzione dell’antico tempio contribuirono anche genti pagane, mettendo a disposizione materiali pregiati e l’esperienza tecnica dei loro capimastri, così all’edificazione della Chiesa contribuiscono apostoli e maestri provenienti non solo dalle antiche stirpi ebraica, greca e latina, ma anche dai nuovi popoli, tra i quali Beda si compiace di enumerare gli Iro-Celti e gli Anglo-Sassoni. San Beda vede crescere l’universalità della Chiesa che non è ristretta a una determinata cultura, ma si compone di tutte le culture del mondo che devono aprirsi a Cristo e trovare in Lui il loro punto di arrivo.

Un altro tema amato da Beda è la storia della Chiesa. Dopo essersi interessato all’epoca descritta negli Atti degli Apostoli, egli ripercorre la storia dei Padri e dei Concili, convinto che l’opera dello Spirito Santo continua nella storia. Nei Chronica Maiora Beda traccia una cronologia che diventerà la base del Calendario universale “ab incarnatione Domini”. Già da allora si calcolava il tempo dalla fondazione della città di Roma. Beda, vedendo che il vero punto di riferimento, il centro della storia è la nascita di Cristo, ci ha donato questo calendario che legge la storia partendo dall’Incarnazione del Signore. Registra i primi sei Concili Ecumenici e i loro sviluppi, presentando fedelmente la dottrina cristologica, mariologica e soteriologica, e denunciando le eresie monofisita e monotelita, iconoclastica e neo-pelagiana. Infine redige con rigore documentario e perizia letteraria la già menzionata Storia Ecclesiastica dei Popoli Angli, per la quale è riconosciuto come “il padre della storiografia inglese”. I tratti caratteristici della Chiesa che Beda ama evidenziare sono: a) la cattolicità come fedeltà alla tradizione e insieme apertura agli sviluppi storici, e come ricerca della unità nella molteplicità, nella diversità della storia e delle culture, secondo le direttive che Papa Gregorio Magno aveva dato all’apostolo dell’Inghilterra, Agostino di Canterbury; b) l’apostolicità e la romanità: a questo riguardo ritiene di primaria importanza convincere tutte le Chiese Iro-Celtiche e dei Pitti a celebrare unitariamente la Pasqua secondo il calendario romano. Il Computo da lui scientificamente elaborato per stabilire la data esatta della celebrazione pasquale, e perciò l’intero ciclo dell’anno liturgico, è diventato il testo di riferimento per tutta la Chiesa Cattolica.

Beda fu anche un insigne maestro di teologia liturgica. Nelle Omelie sui Vangeli domenicali e festivi, svolge una vera mistagogia, educando i fedeli a celebrare gioiosamente i misteri della fede e a riprodurli coerentemente nella vita, in attesa della loro piena manifestazione al ritorno di Cristo, quando, con i nostri corpi glorificati, saremo ammessi in processione offertoriale all’eterna liturgia di Dio nel cielo. Seguendo il “realismo” delle catechesi di Cirillo, Ambrogio e Agostino, Beda insegna che i sacramenti dell’iniziazione cristiana costituiscono ogni fedele “non solo cristiano ma Cristo”. Ogni volta, infatti, che un’anima fedele accoglie e custodisce con amore la Parola di Dio, a imitazione di Maria concepisce e genera nuovamente Cristo. E ogni volta che un gruppo di neofiti riceve i sacramenti pasquali, la Chiesa si “auto-genera”, o con un’espressione ancora più ardita, la Chiesa diventa “madre di Dio”, partecipando alla generazione dei suoi figli, per opera dello Spirito Santo.

Grazie a questo suo modo di fare teologia intrecciando Bibbia, Liturgia e Storia, Beda ha un messaggio attuale per i diversi “stati di vita”: a) agli studiosi (doctores ac doctrices) ricorda due compiti essenziali: scrutare le meraviglie della Parola di Dio per presentarle in forma attraente ai fedeli; esporre le verità dogmatiche evitando le complicazioni eretiche e attenendosi alla “semplicità cattolica”, con l’atteggiamento dei piccoli e umili ai quali Dio si compiace di rivelare i misteri del Regno; b) i pastori, per parte loro, devono dare la priorità alla predicazione, non solo mediante il linguaggio verbale o agiografico, ma valorizzando anche icone, processioni e pellegrinaggi. Ad essi Beda raccomanda l’uso della lingua volgare, com’egli stesso fa, spiegando in Northumbro il “Padre Nostro”, il “Credo” e portando avanti fino all’ultimo giorno della sua vita il commento in volgare al Vangelo di Giovanni; c) alle persone consacrate che si dedicano all’Ufficio divino, vivendo nella gioia della comunione fraterna e progredendo nella vita spirituale mediante l’ascesi e la contemplazione, Beda raccomanda di curare l’apostolato - nessuno ha il Vangelo solo per sé, ma deve sentirlo come un dono anche per gli altri - sia collaborando con i Vescovi in attività pastorali di vario tipo a favore delle giovani comunità cristiane, sia rendendosi disponibili alla missione evangelizzatrice presso i pagani, fuori del proprio paese, come “peregrini pro amore Dei”.

Ponendosi da questa prospettiva, nel commento al Cantico dei Cantici Beda presenta la Sinagoga e la Chiesa come collaboratrici nella diffusione della Parola di Dio. Cristo Sposo vuole una Chiesa industriosa, “abbronzata dalle fatiche dell’evangelizzazione” – è chiaro l’accenno alla parola del Cantico dei Cantici (1, 5), dove la sposa dice: “Nigra sum sed formosa” (Sono abbronzata, ma bella) –, intenta a dissodare altri campi o vigne e a stabilire fra le nuove popolazioni “non una capanna provvisoria ma una dimora stabile”, cioè a inserire il Vangelo nel tessuto sociale e nelle istituzioni culturali. In questa prospettiva il santo Dottore esorta i fedeli laici ad essere assidui all’istruzione religiosa, imitando quelle “insaziabili folle evangeliche, che non lasciavano tempo agli Apostoli neppure di prendere un boccone”. Insegna loro come pregare continuamente, “riproducendo nella vita ciò che celebrano nella liturgia”, offrendo tutte le azioni come sacrificio spirituale in unione con Cristo. Ai genitori spiega che anche nel loro piccolo ambito domestico possono esercitare “l’ufficio sacerdotale di pastori e di guide”, formando cristianamente i figli ed afferma di conoscere molti fedeli (uomini e donne, sposati o celibi) “capaci di una condotta irreprensibile che, se opportunamente seguiti, potrebbero accostarsi giornalmente alla comunione eucaristica” (Epist. ad Ecgberctum, ed. Plummer, p. 419)

La fama di santità e sapienza di cui Beda godette già in vita, valse a guadagnargli il titolo di “Venerabile”. Lo chiama così anche Papa Sergio I, quando nel 701 scrive al suo abate chiedendo che lo faccia venire temporaneamente a Roma per consulenza su questioni di interesse universale. Dopo la morte i suoi scritti furono diffusi estesamente in Patria e nel Continente europeo. Il grande missionario della Germania, il Vescovo san Bonifacio (+ 754), chiese più volte all’arcivescovo di York e all'abate di Wearmouth che facessero trascrivere alcune sue opere e glie­le mandassero in modo che anch'egli e i suoi compagni potessero godere della luce spirituale che ne emanava. Un secolo più tardi Notkero Galbulo, abate di San Gallo (+ 912), prendendo atto dello straordinario influsso di Beda, lo paragonò a un nuovo sole che Dio aveva fatto sorgere non dall’Oriente ma dall’Occidente per illuminare il mondo. A parte l’enfasi retorica, è un fatto che, con le sue opere, Beda contribuì efficacemente alla costruzione di una Europa cristiana, nella quale le diverse popolazioni e culture si sono fra loro amalgamate, conferendole una fisionomia unitaria, ispirata alla fede cristiana. Preghiamo perché anche oggi ci siano personalità della statura di Beda, per mantenere unito l’intero Continente; preghiamo affinché tutti noi siamo disponibili a riscoprire le nostre comuni radici, per essere costruttori di una Europa profondamente umana e autenticamente cristiana.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia di San Michele di Dubrovnik. Visitando la tomba dell’apostolo Pietro, seguite la sua testimonianza di fede, riconoscendo in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio e il vostro Salvatore. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Cari pellegrini provenienti dalla Polonia. Abbraccio con cuore e con la preghiera voi e i vostri cari. La visita alle tombe degli apostoli vi consolidi nella fede, ravvivi l’amore per Cristo e rafforzi l’unione con la comunità della Chiesa universale. Dio vi benedica.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi provenienti da Nitra e Mocenok come pure la Scuola elementare d’arte di Santa Cecilia da Bratislava. Fratelli e sorelle, cari giovani, cantate al Signore un canto nuovo soprattutto con una esemplare testimonianza cristiana.
Volentieri benedico voi e le vostre famiglie in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Slovenia, ed in particolare i cresimandi della Parrocchia Sveti Križ - Podbocje. Siate aperti ai doni dello Spirito Santo e abbiate cura che, nel corso degli anni, non svaniscono ma portino abbondati frutti della fedeltà e della carità cristiana! Vi accompagni la mia Benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli di lingua ungherese, specialmente a quelli di Baja ed al gruppo di Mukachevo! Cari fratelli e sorelle, vi accolgo volentieri ed auspico di cuore che il vostro pellegrinaggio apporti frutti di bene a voi ed alle vostre comunità. Con la particolare Benedizione Apostolica a voi tutti! Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli dell'Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni, che, guidati dall'Arcivescovo Monsignor Rocco Talucci, sono venuti a ricambiare la mia visita alla loro Comunità diocesana. Cari amici, vi ringrazio per la vostra presenza così numerosa e vi incoraggio a vivere il vostro Sinodo diocesano come una importante tappa di crescita nella comunione ecclesiale. Saluto voi, pellegrini provenienti dall’Arcidiocesi di Ancona-Osimo, accompagnati dal vostro Pastore Mons. Edoardo Menichelli, ed assicuro la mia preghiera perché si rafforzi in ciascuno il fermo desiderio di annunciare a tutti Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Saluto il pellegrinaggio promosso dai Chierici Regolari di San Paolo – Barnabiti, ed auspico che voi possiate testimoniare con sempre più forte ardore apostolico nella Chiesa il vostro specifico carisma paolino. Saluto le Suore Figlie di Maria Santissima dell’Orto, riunite per il Capitolo generale, e prego il Signore perché da questa assemblea scaturiscano generosi propositi di vita evangelica per l’intero Istituto.

Infine il mio saluto si rivolge ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Cari giovani, preparatevi ad affrontare le importanti tappe della vita con impegno spirituale, edificando ogni vostro progetto sulle solide basi della fedeltà a Dio. Cari malati, siate sempre consapevoli che, offrendo le vostre sofferenze al Padre celeste in unione a quelle di Cristo, voi contribuite alla costruzione del Regno di Dio. E voi, cari sposi novelli, fate crescere ogni giorno la vostra famiglia grazie all'ascolto di Dio, perché saldo resti il vostro reciproco amore e si apra all'accoglienza dei più bisognosi.






Piazza San Pietro

Mercoledì, 11 marzo 2009: San Bonifacio

11039 Cari fratelli e sorelle,

oggi ci soffermiamo su un grande missionario dell’VIII secolo, che ha diffuso il cristianesimo nell’Europa centrale, proprio anche nella mia patria: san Bonifacio, passato alla storia come l’«apostolo dei Germani». Possediamo non poche notizie sulla sua vita grazie alla diligenza dei suoi biografi: nacque da una famiglia anglosassone nel Wessex attorno al 675 e fu battezzato col nome di Winfrido. Entrò molto giovane in monastero, attratto dall’ideale monastico. Possedendo notevoli capacità intellettuali, sembrava avviato ad una tranquilla e brillante carriera di studioso: divenne insegnante di grammatica latina, scrisse alcuni trattati, compose anche varie poesie in latino. Ordinato sacerdote all’età di circa trent’anni, si sentì chiamato all’apostolato tra i pagani del continente. La Gran Bretagna, sua terra, evangelizzata appena cent’anni prima dai Benedettini guidati da sant’Agostino, mostrava una fede così solida e una carità così ardente da inviare missionari nell’Europa centrale per annunziarvi il Vangelo. Nel 716 Winfrido con alcuni compagni si recò in Frisia (l’odierna Olanda), ma si scontrò con l’opposizione del capo locale e il tentativo di evangelizzazione fallì. Tornato in patria, non si perse d’animo, e due anni dopo si recò a Roma per parlare col Papa Gregorio II ed averne direttive. Il Papa, secondo il racconto di un biografo, lo accolse «col viso sorridente e lo sguardo pieno di dolcezza», e nei giorni seguenti tenne con lui «colloqui importanti» (Willibaldo, Vita S. Bonifatii, ed. Levison, pp. 13-14) e infine, dopo avergli imposto il nuovo nome di Bonifacio, gli affidò con lettere ufficiali la missione di predicare il Vangelo fra i popoli della Germania.

Confortato e sostenuto dall’appoggio del Papa, Bonifacio si impegnò nella predicazione del Vangelo in quelle regioni, lottando contro i culti pagani e rafforzando le basi della moralità umana e cristiana. Con grande senso del dovere egli scriveva in una delle sue lettere: «Stiamo saldi nella lotta nel giorno del Signore, poiché sono giunti giorni di afflizione e miseria... Non siamo cani muti, né osservatori taciturni, né mercenari che fuggono davanti ai lupi! Siamo invece Pastori solerti che vegliano sul gregge di Cristo, che annunciano alle persone importanti e a quelle comuni, ai ricchi e ai poveri la volontà di Dio... nei tempi opportuni e non opportuni...» (Epistulae, 3,352.354: MGH). Con la sua attività instancabile, con le sue doti organizzative, con il suo carattere duttile e amabile nonostante la fermezza, Bonifacio ottenne grandi risultati. Il Papa allora «dichiarò che voleva imporgli la dignità episcopale, perché così potesse con maggiore determinazione correggere e riportare sulla via della verità gli erranti, si sentisse sostenuto dalla maggiore autorità della dignità apostolica e fosse tanto più accetto a tutti nell'ufficio della predicazione quanto più appariva che per questo motivo era stato ordinato dall'apostolico presule» (Otloho, Vita S. Bonifatii, ed. Levison, lib.
1P 127).

Fu lo stesso Sommo Pontefice a consacrare «Vescovo regionale» - cioè per tutta la Germania - Bonifacio, il quale riprese poi le sue fatiche apostoliche nei territori a lui affidati ed estese la sua azione anche alla Chiesa della Gallia: con grande prudenza restaurò la disciplina ecclesiastica, indisse vari sinodi per garantire l’autorità dei sacri canoni, rafforzò la necessaria comunione col Romano Pontefice: un punto che gli stava particolarmente a cuore. Anche i successori del Papa Gregorio II lo ebbero in altissima considerazione: Gregorio III lo nominò arcivescovo di tutte le tribù germaniche, gli inviò il pallio e gli diede facoltà di organizzare la gerarchia ecclesiastica in quelle regioni (cf Epist.28: S. Bonifatii Epistulae, ed. Tangl, Berolini 1916); Papa Zaccaria ne confermò l’ufficio e ne lodò l’impegno (cfr Epist. 51, 57, 58, 60, 68, 77, 80, 86, 87, 89: op. cit.); Papa Stefano III, appena eletto, ricevette da lui una lettera, con cui gli esprimeva il suo filiale ossequio (cfr Epist. 108: op. cit.).

Il grande Vescovo, oltre a questo lavoro di evangelizzazione e di organizzazione della Chiesa mediante la fondazione di diocesi e la celebrazione di Sinodi, non mancò di favorire la fondazione di vari monasteri, maschili e femminili, perché fossero come un faro per l’irradiazione della fede e della cultura umana e cristiana nel territorio. Dai cenobi benedettini della sua patria aveva chiamato monaci e monache che gli prestarono un validissimo e prezioso aiuto nel compito di annunciare il Vangelo e di diffondere le scienze umane e le arti tra le popolazioni. Egli infatti giustamente riteneva che il lavoro per il Vangelo dovesse essere anche lavoro per una vera cultura umana. Soprattutto il monastero di Fulda - fondato verso il 743 - fu il cuore e il centro di irradiazione della spiritualità e della cultura religiosa: ivi i monaci, nella preghiera, nel lavoro e nella penitenza, si sforzavano di tendere alla santità, si formavano nello studio delle discipline sacre e profane, si preparavano per l'annuncio del Vangelo, per essere missionari. Per merito dunque di Bonifacio, dei suoi monaci e delle sue monache - anche le donne hanno avuto una parte molto importante in quest’opera di evangelizzazione - fiorì anche quella cultura umana che è inseparabile dalla fede e ne rivela la bellezza. Lo stesso Bonifacio ci ha lasciato significative opere intellettuali. Anzitutto il suo copioso epistolario, in cui lettere pastorali si alternano a lettere ufficiali e ad altre di carattere privato, che svelano fatti sociali e soprattutto il suo ricco temperamento umano e la sua profonda fede. Compose anche un trattato di Ars grammatica, in cui spiegava declinazioni, verbi, sintassi della lingua latina, ma che per lui diventava anche uno strumento per diffondere la fede e la cultura. Gli si attribuiscono pure una Ars metrica, cioè un'introduzione a come fare poesia, e varie composizioni poetiche e infine una collezione di 15 sermoni.

Sebbene fosse già avanzato negli anni, - era vicino agli 80 - si preparò ad una nuova missione evangelizzatrice: con una cinquantina di monaci fece ritorno in Frisia dove aveva iniziato la sua opera. Quasi presago della morte imminente, alludendo al viaggio della vita, scriveva al discepolo e successore nella sede di Magonza, il Vescovo Lullo: «Io desidero condurre a termine il proposito di questo viaggio; non posso in alcun modo rinunziare al desiderio di partire. È vicino il giorno della mia fine e si approssima il tempo della mia morte; deposta la salma mortale, salirò all'eterno premio. Ma tu, figlio carissimo, richiama senza posa il popolo dal ginepraio dell'errore, compi l'edificazione della già iniziata basilica di Fulda e ivi deporrai il mio corpo invecchiato per lunghi anni di vita» (Willibaldo, Vita S. Bonifatii, ed. cit., p. 46). Mentre stava iniziando la celebrazione della Messa a Dokkum (nell’odierna Olanda settentrionale), il 5 giugno del 754 fu assalito da una banda di pagani. Egli, fattosi avanti con fronte serena, «vietò ai suoi di combattere dicendo: “Cessate, figliuoli, dai combattimenti, abbandonate la guerra, poiché la testimonianza della Scrittura ci ammonisce di non rendere male per male, ma bene per male. Ecco il giorno da tempo desiderato, ecco che il tempo della nostra fine è venuto; coraggio nel Signore!”» (Ibid. pp. 49-50). Furono le ultime sue parole prima di cadere sotto i colpi degli aggressori. Le spoglie del Vescovo martire furono poi portate nel monastero di Fulda, ove ricevettero degna sepoltura. Già uno dei suoi primi biografi si esprime su di lui con questo giudizio: «Il santo Vescovo Bonifacio può dirsi padre di tutti gli abitanti della Germania, perché per primo li ha generati a Cristo con la parola della sua santa predicazione, li ha confermati con l'esempio, e infine ha dato per essi la vita, carità questa di cui non può darsi maggiore» (Otloho, Vita S. Bonifatii, ed. cit., lib. 1P 158).

A distanza di secoli, quale messaggio possiamo noi oggi raccogliere dall’insegnamento e dalla prodigiosa attività di questo grande missionario e martire? Una prima evidenza si impone a chi accosta Bonifacio: la centralità della Parola di Dio, vissuta e interpretata nella fede della Chiesa, Parola che egli visse, predicò e testimoniò fino al dono supremo di sé nel martirio. Era talmente appassionato della Parola di Dio da sentire l’urgenza e il dovere di portarla agli altri, anche a proprio personale rischio. Su di essa poggiava quella fede alla cui diffusione si era solennemente impegnato al momento della sua consacrazione episcopale: «Io professo integralmente la purità della santa fede cattolica e con l'aiuto di Dio voglio restare nell'unità di questa fede, nella quale senza alcun dubbio sta tutta la salvezza dei cristiani». (Epist. 12, in S. Bonifatii Epistolae, ed. cit., p. 29). La seconda evidenza, molto importante, che emerge dalla vita di Bonifacio è la sua fedele comunione con la Sede Apostolica, che era un punto fermo e centrale del suo lavoro di missionario, egli sempre conservò tale comunione come regola della sua missione e la lasciò quasi come suo testamento. In una lettera a Papa Zaccaria affermava: «Io non cesso mai d'invitare e di sottoporre all'obbedienza della Sede Apostolica coloro che vogliono restare nella fede cattolica e nell'unità della Chiesa romana e tutti coloro che in questa mia missione Dio mi dà come uditori e discepoli» (Epist. 50: in ibid. p. 81). Frutto di questo impegno fu il saldo spirito di coesione intorno al Successore di Pietro che Bonifacio trasmise alle Chiese del suo territorio di missione, congiungendo con Roma l’Inghilterra, la Germania, la Francia e contribuendo così in misura determinante a porre quelle radici cristiane dell’Europa che avrebbero prodotto fecondi frutti nei secoli successivi. Per una terza caratteristica Bonifacio si raccomanda alla nostra attenzione: egli promosse l’incontro tra la cultura romano-cristiana e la cultura germanica. Sapeva infatti che umanizzare ed evangelizzzare la cultura era parte integrante della sua missione di Vescovo. Trasmettendo l’antico patrimonio di valori cristiani, egli innestò nelle popolazioni germaniche un nuovo stile di vita più umano, grazie al quale venivano meglio rispettati i diritti inalienabili della persona. Da autentico figlio di san Benedetto, egli seppe unire preghiera e lavoro (manuale e intellettuale), penna e aratro.

La testimonianza coraggiosa di Bonifacio è un invito per tutti noi ad accogliere nella nostra vita la parola di Dio come punto di riferimento essenziale, ad amare appassionatamente la Chiesa, a sentirci corresponsabili del suo futuro, a cercarne l’unità attorno al successore di Pietro. Allo stesso tempo, egli ci ricorda che il cristianesimo, favorendo la diffusione della cultura, promuove il progresso dell’uomo. Sta a noi, ora, essere all’altezza di un così prestigioso patrimonio e farlo fruttificare a vantaggio delle generazioni che verranno.

Mi impressiona sempre questo suo zelo ardente per il Vangelo: a quarant'anni esce da una vita monastica bella e fruttuosa, da una vita di monaco e di professore per annunciare il Vangelo ai semplici, ai barbari; a ottant'anni, ancora una volta, va in una zona dove prevede il suo martirio. Paragonando questa sua fede ardente, questo zelo per il Vangelo alla nostra fede così spesso tiepida e burocratizzata, vediamo cosa dobbiamo fare e come rinnovare la nostra fede, per dare in dono al nostro tempo la perla preziosa del Vangelo.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente i pellegrini croati, in modo particolare i membri del coro della parrocchia di Cristo Re di Citluk. Approfittate del tempo favorevole della quaresima per preparare i vostri cuori, con la preghiera e le opere di carità, per la Pasqua ormai vicina. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. So che in Polonia, durante la Quaresima partecipate volentieri agli esercizi spirituali, alle celebrazioni della Via Crucis ed alle altre funzioni quaresimali. La meditazione della Passione del Signore sia per tutti fonte di pace e di conforto: aiuti voi e chi soffre a portare insieme a Cristo il peso della croce quotidiana. Benedico di cuore voi tutti.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi provenienti da Lubiša e Ruskov, Nemšová e Topolcany.
Fratelli e sorelle, la Quaresima ci invita alla conversione per mezzo della preghiera, dell’esercizio delle opere di misericordia e dell’ascolto della Parola di Dio.
Vi accompagno con la mia Benedizione.
Sia lodato Gesù Cristo!

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Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore di Santa Dorotea Frassinetti, e li incoraggio ad approfondire sempre più la loro vita di fede, seguendo gli insegnamenti di questa apostola dei tempi moderni. Saluto i fedeli della diocesi di Fabriano-Matelica, con il Vescovo Mons. Giancarlo Vecerrica; dell’Arcidicoesi di Benevento, con l’Arcivescovo Mons. Andrea Mugione; della diocesi di Alife-Caiazzo, con il Vescovo Mons. Pietro Farina. Cari amici, questo nostro tempo, del quale si sottolineano spesso le ombre che lo segnano, deve essere illuminato dal sole vivo della speranza, da Cristo nostra speranza. Egli ha promesso di restare sempre con noi e in molti modi manifesta la sua presenza. A voi il compito di annunciarne e testimoniarne l’indefettibile amore che ci accompagna in ogni situazione. Non stancatevi, pertanto di affidarvi a Cristo e di diffondere il suo Vangelo in ogni ambiente.

Il mio più cordiale saluto, infine, va ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli.Cari giovani, il cammino quaresimale che stiamo percorrendo sia occasione di autentica conversione perché possiate giungere alla maturità della fede in Cristo. Cari ammalati, partecipando con amore alla stessa sofferenza del Figlio di Dio incarnato, possiate condividere fin d'ora la gloria e la gioia della sua risurrezione. E voi, cari sposi novelli, trovate nell'alleanza che, a prezzo del suo sangue, Cristo ha stretto con la sua Chiesa, il sostegno del vostro patto coniugale e della vostra missione familiare.

APPELLO

Ho appreso con profondo dolore le notizie dell’assassinio di due giovani soldati britannici e di un agente della polizia nell’Irlanda del Nord. Mentre assicuro la mia spirituale vicinanza alle famiglie delle vittime e ai feriti, esprimo la più ferma condanna per tali esecrabili atti di terrorismo, che, oltre a profanare la vita umana, pongono in serio pericolo il processo politico in corso nell’Irlanda del Nord e rischiano di spegnere le tante speranze da esso suscitate nella regione e nel mondo intero. Prego il Signore affinché nessuno si lasci vincere nuovamente dall’orrenda tentazione della violenza, ma ognuno moltiplichi gli sforzi per continuare a costruire, attraverso la pazienza del dialogo, una società pacifica, giusta e riconciliata.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 1° aprile 2009: Viaggio Apostolico in Camerun e Angola


Catechesi 2005-2013 11029