Catechesi 2005-2013 10409

Mercoledì, 1° aprile 2009: Viaggio Apostolico in Camerun e Angola

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Cari fratelli e sorelle!

Come ho preannunciato domenica scorsa all’Angelus, quest’oggi mi soffermo a parlare del recente viaggio apostolico in Africa, il primo del mio pontificato in quel continente. Esso si è limitato al Camerun e all’Angola, ma idealmente con la mia visita ho voluto abbracciare tutti i popoli africani e benedirli nel nome del Signore. Ho sperimentato la tradizionale calorosa accoglienza africana, che mi è stata riservata dappertutto, e colgo volentieri questa occasione per esprimere nuovamente la mia viva gratitudine agli Episcopati dei due Paesi, ai Capi di Stato, a tutte le Autorità e a quanti in vario modo si sono prodigati per la riuscita di questa mia visita pastorale.

Il mio soggiorno in terra africana è iniziato il 17 marzo a Yaoundé, capitale del Camerun, dove sono venuto a trovarmi immediatamente nel cuore dell’Africa, e non solo geograficamente. Questo Paese infatti riassume molte caratteristiche di quel grande continente, prima fra tutte la sua anima profondamente religiosa, che accomuna tutti i numerosissimi gruppi etnici che lo popolano. In Camerun, oltre un quarto degli abitanti sono cattolici, e convivono pacificamente con le altre comunità religiose. Per questo il mio amato predecessore Giovanni Paolo II, nel 1995, scelse proprio la capitale di questa nazione per promulgare l’Esortazione apostolica Ecclesia in Africa, dopo la prima Assemblea sinodale dedicata appunto al continente africano. Questa volta, il Papa vi è tornato per consegnare l’Instrumentum laboris della seconda Assemblea sinodale per l’Africa, in programma a Roma per il prossimo ottobre e che avrà per tema: “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace: «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (
Mt 5,13-14)”.

Negli incontri che, a due giorni di distanza, ho avuto con gli Episcopati, rispettivamente del Camerun e dell’Angola e São Tomé e Príncipe, ho voluto – tanto più in questo Anno Paolino – richiamare l’urgenza dell’evangelizzazione, che compete in primo luogo proprio ai Vescovi, sottolineando la dimensione collegiale, fondata sulla comunione sacramentale. Li ho esortati ad essere sempre di esempio per i loro sacerdoti e per tutti i fedeli, e a seguire attentamente la formazione dei seminaristi, che grazie a Dio sono numerosi, e dei catechisti, che diventano sempre più necessari per la vita della Chiesa in Africa. Ho incoraggiato i Vescovi a promuovere la pastorale del matrimonio e della famiglia, della liturgia e della cultura, anche per mettere in grado i laici di resistere all’attacco delle sette e dei gruppi esoterici. Li ho voluti confermare con affetto nell’esercizio della carità e nella difesa dei diritti dei poveri.

Ripenso poi alla solenne celebrazione dei Vespri che si è tenuta a Yaoundé, nella chiesa di Maria Regina degli Apostoli, Patrona del Camerun, un tempio grande e moderno, che sorge nel luogo in cui operarono i primi evangelizzatori del Camerun, i Missionari Spiritani. Nella vigilia della solennità di san Giuseppe, alla cui custodia premurosa Dio ha affidato i suoi tesori più preziosi, Maria e Gesù, abbiamo reso gloria all’unico Padre che è nei cieli, insieme ai rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Contemplando la figura spirituale di san Giuseppe, che ha consacrato la sua esistenza a Cristo e alla Vergine Maria, ho invitato i sacerdoti, le persone consacrate e i membri dei movimenti ecclesiali a restare sempre fedeli alla loro vocazione, vivendo alla presenza di Dio e nell’obbedienza gioiosa alla sua Parola.

Nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé ho avuto l’opportunità di incontrare anche i rappresentanti della comunità musulmana in Camerun, ribadendo l’importanza del dialogo inter-religioso e della collaborazione tra cristiani e musulmani per aiutare il mondo ad aprirsi a Dio. E’ stato un incontro veramente molto cordiale.

Sicuramente uno dei momenti culminanti del viaggio è stata la consegna dell’Instrumentum laboris della II Assemblea sinodale per l’Africa, avvenuta il 19 marzo – giorno di San Giuseppe e mio onomastico - nello stadio di Yaoundé, al termine della solenne Celebrazione eucaristica in onore di san Giuseppe. Ciò è avvenuto nella coralità del popolo di Dio, “tra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa” – come dice il Salmo (42,5), del quale abbiamo fatto una concreta esperienza. L’Assemblea sinodale si svolgerà a Roma, ma essa è in un certo senso già iniziata nel cuore del continente africano, nel cuore della famiglia cristiana che là vive, soffre e spera. Per questo mi è parsa felice la coincidenza della pubblicazione dello “Strumento di lavoro” con la festa di san Giuseppe, modello di fede e di speranza come il primo patriarca Abramo. La fede nel “Dio vicino”, che in Gesù ci ha mostrato il suo volto d’amore, è la garanzia di una speranza affidabile, per l’Africa e per il mondo intero, garanzia di un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace.

Dopo la solenne assemblea liturgica e la festosa presentazione del Documento di lavoro, nella Nunziatura Apostolica di Yaoundé ho potuto intrattenermi con i Membri del Consiglio Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi e vivere con essi un momento di intensa comunione: abbiamo insieme riflettuto sulla storia dell’Africa in una prospettiva teologica e pastorale. Era quasi come una prima riunione del Sinodo stesso, in un dibattito fraterno tra i diversi episcopati e il Papa sulle prospettive del Sinodo della riconciliazione e della pace in Africa. Il cristianesimo, infatti, - e questo si poteva vedere - ha affondato fin dalle origini profonde radici nel suolo africano, come attestano i numerosi martiri e santi, pastori, dottori e catechisti fioriti dapprima nel nord e poi, in epoche successive, nel resto del continente: pensiamo a Cipriano, ad Agostino, alla madre Monica, ad Atanasio; e poi ai martiri dell’Uganda, a Giuseppina Bakhita e a tanti altri. Nella stagione attuale, che vede l’Africa impegnata a consolidare l’indipendenza politica e la costruzione delle identità nazionali in un contesto ormai globalizzato, la Chiesa accompagna gli africani richiamando il grande messaggio del Concilio Vaticano II, applicato mediante la prima e, ora, la seconda Assemblea sinodale speciale. In mezzo ai conflitti purtroppo numerosi e drammatici che ancora affliggono diverse regioni di quel continente, la Chiesa sa di dover essere segno e strumento di unità e di riconciliazione, perché tutta l’Africa possa costruire insieme un avvenire di giustizia, di solidarietà e di pace, attuando gli insegnamenti del Vangelo.

Un segno forte dell’azione umanizzante del messaggio di Cristo è senz’altro il Centro Cardinal Léger di Yaoundé, destinato alla riabilitazione delle persone portatrici di handicap. Ne fu fondatore il Cardinale canadese Paul Émil Léger, che là volle ritirarsi dopo il Concilio, nel 1968, per lavorare tra i poveri. In quel Centro, successivamente ceduto allo Stato, ho incontrato numerosi fratelli e sorelle che versano in situazioni di sofferenza, condividendo con loro – ma anche attingendo da loro – la speranza che proviene dalla fede, anche in situazioni di sofferenza.

Seconda tappa – e seconda parte del mio viaggio – è stata l’Angola, Paese anch’esso per certi aspetti emblematico: uscito infatti da una lunga guerra interna, è ora impegnato nell’opera di riconciliazione e di ricostruzione nazionale. Ma come potrebbero essere autentiche questa riconciliazione e questa ricostruzione se avvenissero a scapito dei più poveri, che hanno diritto come tutti a partecipare alle risorse della loro terra? Ecco perché, con questa mia visita, il cui primo obiettivo è stato ovviamente di confermare nella fede la Chiesa, ho inteso anche incoraggiare il processo sociale in atto. In Angola si tocca veramente con mano quanto più volte i miei venerati Predecessori hanno ripetuto: tutto è perduto con la guerra, tutto può rinascere con la pace. Ma per ricostruire una nazione ci vogliono grandi energie morali. E qui, ancora una volta, risulta importante il ruolo della Chiesa, chiamata a svolgere una funzione educativa, lavorando in profondità per rinnovare e formare le coscienze.

Il Patrono della città di Luanda, capitale dell’Angola, è san Paolo: per questo ho scelto di celebrare l’Eucaristia con i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi, i catechisti e gli altri operatori pastorali, sabato 21 marzo, nella chiesa dedicata all’Apostolo. Ancora una volta l’esperienza personale di san Paolo ci ha parlato dell’incontro con Cristo Risorto, capace di trasformare le persone e la società. Cambiano i contesti storici – e bisogna tenerne conto –, ma Cristo resta la vera forza di rinnovamento radicale dell’uomo e della comunità umana. Perciò ritornare a Dio, convertirsi a Cristo significa andare avanti, verso la pienezza della vita.

Per esprimere la vicinanza della Chiesa agli sforzi di ricostruzione dell’Angola e di tante regioni africane, a Luanda ho voluto dedicare due incontri speciali rispettivamente ai giovani e alle donne. Con i giovani, nello stadio, è stata una festa di gioia e di speranza, rattristata purtroppo dalla morte di due ragazze, rimaste schiacciate nella calca dell’ingresso. L’Africa è un continente molto giovane, ma troppi suoi figli, bambini e adolescenti hanno già subito gravi ferite, che solo Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto, può sanare infondendo in loro, con il suo Spirito, la forza di amare e di impegnarsi per la giustizia e la pace. Alle donne, poi, ho reso omaggio per il servizio che tante di loro offrono alla fede, alla dignità umana, alla vita, alla famiglia. Ho ribadito il loro pieno diritto ad impegnarsi nella vita pubblica, tuttavia senza che venga mortificato il loro ruolo nella famiglia, missione questa fondamentale da svolgere sempre in responsabile condivisione con tutti gli altri elementi della società e soprattutto con i mariti e padri. Ecco dunque il messaggio che ho lasciato alle nuove generazioni e al mondo femminile, estendendolo poi a tutti nella grande assemblea eucaristica di domenica 22 marzo, concelebrata con i Vescovi dei Paesi dell’Africa Australe, con la partecipazione di un milione di fedeli. Se i popoli africani – ho detto loro –, come l’antico Israele, fondano la loro speranza sulla Parola di Dio, ricchi del loro patrimonio religioso e culturale, possono realmente costruire un futuro di riconciliazione e di stabile pacificazione per tutti.

Cari fratelli e sorelle, quante altre considerazioni ho nel cuore e quanti ricordi mi riaffiorano alla mente pensando a questo viaggio! Vi chiedo di ringraziare il Signore per le meraviglie che Egli ha compiuto e che continua a compiere in Africa grazie all’azione generosa dei missionari, dei religiosi e delle religiose, dei volontari, dei sacerdoti, dei catechisti, in giovani comunità piene di entusiasmo e di fede. Vi domando pure di pregare per le popolazioni africane, a me molto care, perché possano affrontare con coraggio le grandi sfide sociali, economiche e spirituali del momento presente. Tutto e tutti affidiamo alla materna intercessione di Maria Santissima, Regina dell’Africa, e dei Santi e Beati africani.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Con grande gioia saluto i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia di San Kajo di Solin. Ci avviciniamo alla Domenica delle Palme e alla memoria dell’entrata del Signore a Gerusalemme. Anche lui si avvicina a noi. La sua vicinanza sia anche per voi motivo costante di gioia per tutti i giorni della vita. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Domani ricorre il quarto anniversario della morte del Servo di Dio Giovanni Paolo II. So che in così gran numero state arrivando alla sua tomba. Che l’eredità spirituale del vostro Grande Connazionale ispiri la vostra vita personale, familiare, sociale e nazionale. Insieme con voi chiedo nella preghiera il dono della sua beatificazione. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalla parrocchia di Bratislava-Lamac.
Fratelli e sorelle, il tempo della Quaresima ci esorta a riconoscere Gesù Cristo come nostra suprema speranza.
Vi invito ad essere nel mondo testimoni fedeli della Buona Novella della redenzione.
Di cuore benedico voi e le vostre famiglie.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Genova che, guidati dal loro Arcivescovo, il Cardinale Angelo Bagnasco, sono venuti a ricambiare la mia visita alla loro Comunità diocesana. Saluto i pellegrini delle Diocesi di Carpi, con il loro Pastore Mons. Elio Tinti, di Isernia-Venafro, accompagnati dal Vescovo Mons. Salvatore Visco, e i fedeli della parrocchia Sant’Anna in Nettuno, con il Vescovo di Albano, Mons. Marcello Semeraro. Saluto il pellegrinaggio delle Suore Calasanziane in occasione della chiusura dell’anno dedicato alla fondatrice la Beata Celestina Donati. Ringrazio tutti per la gradita presenza, ed assicuro la mia preghiera affinchè si rafforzi in ciascuno il desiderio di testimoniare con ardore missionario Cristo e il suo Vangelo.

Rivolgo ora un pensiero speciale ai rappresentanti della “Fondazione Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, guidati dal Vescovo di Mantova, Mons. Roberto Busti. Cari amici, il cinquantesimo anniversario della morte di don Mazzolari sia occasione opportuna per riscoprirne l’eredità spirituale e promuovere la riflessione sull’attualità del pensiero di un così significativo protagonista del cattolicesimo italiano del Novecento. Auspico che il suo profilo sacerdotale limpido di alta umanità e di filiale fedeltà al messaggio cristiano e alla Chiesa, possa contribuire a una fervorosa celebrazione dell’Anno Sacerdotale, che avrà inizio il 19 giugno prossimo.

Saluto infine i giovani, i malati, gli sposi novelli. Nell'imminenza della Settimana Santa, in cui ripercorreremo i momenti della passione, morte e risurrezione di Cristo, desidero invitarvi a compiere una pausa di intimo raccoglimento, per contemplare questo sommo Mistero, da cui scaturisce la nostra salvezza. Troverete in esso, cari giovani, la sorgente della gioia e voi, cari ammalati, la consolazione sentendo a voi vicino il volto sofferente del Salvatore. A voi, cari sposi novelli, auguro di andare avanti con fiducia nella strada comune appena intrapresa, sostenuti dalla gioia di Cristo crocifisso e risorto.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 8 aprile 2009: Triduo Pasquale

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Cari fratelli e sorelle,

la Settimana Santa, che per noi cristiani è la settimana più importante dell’anno, ci offre l’opportunità di immergerci negli eventi centrali della Redenzione, di rivivere il Mistero pasquale, il grande Mistero della fede. A partire da domani pomeriggio, con la Messa in Coena Domini, i solenni riti liturgici ci aiuteranno a meditare in maniera più viva la passione, la morte e la risurrezione del Signore nei giorni del Santo Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico. Possa la grazia divina aprire i nostri cuori alla comprensione del dono inestimabile che è la salvezza ottenutaci dal sacrificio di Cristo. Questo dono immenso lo troviamo mirabilmente narrato in un celebre inno contenuto nella Lettera ai Filippesi (cfr 2, 6-11), che in Quaresima abbiamo più volte meditato. L’apostolo ripercorre, in modo tanto essenziale quanto efficace, tutto il mistero della storia della salvezza accennando alla superbia di Adamo che, pur non essendo Dio, voleva essere come Dio. E contrappone a questa superbia del primo uomo, che tutti noi sentiamo un po' nel nostro essere, l'umiltà del vero Figlio di Dio che, diventando uomo, non esitò a prendere su di sé tutte le debolezze dell'essere umano, eccetto il peccato, e si spinse fino alla profondità della morte. A questa discesa nell'ultima profondità della passione e della morte segue poi la sua esaltazione, la vera gloria, la gloria dell'amore che è andato fino alla fine. Ed è perciò giusto – come dice Paolo – che «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore!» (2, 10-11). San Paolo accenna, con queste parole, a una profezia di Isaia dove Dio dice: Io sono il Signore, ogni ginocchio si pieghi davanti a me nei cieli e nella terra (cfr
Is 45,23). Questo – dice Paolo – vale per Gesù Cristo. Lui realmente, nella sua umiltà, nella vera grandezza del suo amore, è il Signore del mondo e davanti a Lui realmente ogni ginocchio si piega.

Quanto meraviglioso, e insieme sorprendente, è questo mistero! Non possiamo mai sufficientemente meditare questa realtà. Gesù, pur essendo Dio, non volle fare delle sue prerogative divine un possesso esclusivo; non volle usare il suo essere Dio, la sua dignità gloriosa e la sua potenza, come strumento di trionfo e segno di distanza da noi. Al contrario, «svuotò se stesso» assumendo la misera e debole condizione umana - Paolo usa, a questo riguardo, un verbo greco assai pregnante per indicare la kénosis, questa discesa di Gesù. La forma (morphé) divina si nascose in Cristo sotto la forma umana, ossia sotto la nostra realtà segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dai nostri limiti umani e dalla morte. La condivisione radicale e vera della nostra natura, condivisione in tutto fuorché nel peccato, lo condusse fino a quella frontiera che è il segno della nostra finitezza, la morte. Ma tutto ciò non è stato frutto di un meccanismo oscuro o di una cieca fatalità: fu piuttosto una sua libera scelta, per generosa adesione al disegno salvifico del Padre. E la morte a cui andò incontro – aggiunge Paolo - fu quella di croce, la più umiliante e degradante che si potesse immaginare. Tutto questo il Signore dell’universo lo ha compiuto per amore nostro: per amore ha voluto “svuotare se stesso” e farsi nostro fratello; per amore ha condiviso la nostra condizione, quella di ogni uomo e di ogni donna. Scrive in proposito un grande testimone della tradizione orientale, Teodoreto di Ciro: «Essendo Dio e Dio per natura e avendo l’uguaglianza con Dio, non ha ritenuto questo qualcosa di grande, come fanno coloro che hanno ricevuto qualche onore al di sopra dei loro meriti, ma nascondendo i suoi meriti, ha scelto l’umiltà più profonda e ha preso la forma di un essere umano» (Commento all’epistola ai Ph 2,6-7).

Preludio al Triduo pasquale, che incomincerà domani – come dicevo - con i suggestivi riti pomeridiani del Giovedì Santo, è la solenne Messa Crismale, che nella mattinata il Vescovo celebra con il proprio presbiterio, e nel corso della quale insieme vengono rinnovate le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’ Ordinazione. E’ un gesto di grande valore, un’occasione quanto mai propizia in cui i sacerdoti ribadiscono la propria fedeltà a Cristo che li ha scelti come suoi ministri. Quest’incontro sacerdotale assume inoltre un significato particolare, perché è quasi una preparazione all’Anno Sacerdotale, che ho indetto in occasione del 150 anniversario della morte del Santo Curato d’Ars e che avrà inizio il prossimo 19 giugno. Sempre nella Messa Crismale verranno poi benedetti l’olio degli infermi e quello dei catecumeni, e sarà consacrato il Crisma. Riti questi con i quali sono simbolicamente significate la pienezza del Sacerdozio di Cristo e quella comunione ecclesiale che deve animare il popolo cristiano, radunato per il sacrificio eucaristico e vivificato nell’unità dal dono dello Spirito Santo.

Nella Messa del pomeriggio, chiamata in Coena Domini, la Chiesa commemora l’istituzione dell’Eucaristia, il Sacerdozio ministeriale ed il Comandamento nuovo della carità, lasciato da Gesù ai suoi discepoli. Di quanto avvenne nel Cenacolo, la vigilia della passione del Signore, san Paolo offre una delle più antiche testimonianze. «Il Signore Gesù, - egli scrive, all'inizio degli anni cinquanta, basandosi su un testo che ha ricevuto dall’ambiente del Signore stesso - nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Co 11,23-25). Parole cariche di mistero, che manifestano con chiarezza il volere di Cristo: sotto le specie del pane e del vino Egli si rende presente col suo corpo dato e col suo sangue versato. E’ il sacrificio della nuova e definitiva alleanza offerta a tutti, senza distinzione di razza e di cultura. E di questo rito sacramentale, che consegna alla Chiesa come prova suprema del suo amore, Gesù costituisce ministri i suoi discepoli e quanti ne proseguiranno il ministero nel corso dei secoli. Il Giovedì Santo costituisce pertanto un rinnovato invito a rendere grazie a Dio per il sommo dono dell’Eucaristia, da accogliere con devozione e da adorare con viva fede. Per questo, la Chiesa incoraggia, dopo la celebrazione della Santa Messa, a vegliare in presenza del Santissimo Sacramento, ricordando l’ora triste che Gesù passò in solitudine e preghiera nel Getsemani, prima di essere arrestato per poi venire condannato a morte.

E siamo così al Venerdì Santo, giorno della passione e della crocifissione del Signore. Ogni anno, ponendoci in silenzio di fronte a Gesù appeso al legno della croce, avvertiamo quanto siano piene di amore le parole da Lui pronunciate la vigilia, nel corso dell’Ultima Cena. “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (cfr Mc 14,24). Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità. Come di fronte all’Eucaristia, così di fronte alla passione e morte di Gesù in Croce il mistero si fa insondabile per la ragione. Siamo posti davanti a qualcosa che umanamente potrebbe apparire assurdo: un Dio che non solo si fà uomo, con tutti i bisogni dell'uomo, non solo soffre per salvare l’uomo caricandosi di tutta la tragedia dell’umanità, ma muore per l’uomo.

La morte di Cristo richiama il cumulo di dolore e di mali che grava sull’umanità di ogni tempo: il peso schiacciante del nostro morire, l’odio e la violenza che ancora oggi insanguinano la terra. La passione del Signore continua nella sofferenze degli uomini. Come giustamente scrive Blaise Pascal, “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo” (Pensieri, 553). Se il Venerdì Santo è giorno pieno di tristezza, è dunque al tempo stesso, giorno quanto mai propizio per ridestare la nostra fede, per rinsaldare la nostra speranza e il coraggio di portare ciascuno la nostra croce con umiltà, fiducia ed abbandono in Dio, certi del suo sostegno e della sua vittoria. Canta la liturgia di questo giorno: O Crux, ave, spes unica – Ave, o croce, unica speranza!” .

Questa speranza si alimenta nel grande silenzio del Sabato Santo, in attesa della risurrezione di Gesù. In questo giorno le Chiese sono spoglie e non sono previsti particolari riti liturgici. La Chiesa veglia in preghiera come Maria e insieme a Maria, condividendone gli stessi sentimenti di dolore e di fiducia in Dio. Giustamente si raccomanda di conservare durante tutta la giornata un clima orante, favorevole alla meditazione e alla riconciliazione; si incoraggiano i fedeli ad accostarsi al sacramento della Penitenza, per poter partecipare realmente rinnovati alle Feste Pasquali.

Il raccoglimento e il silenzio del Sabato Santo ci condurranno nella notte alla solenne Veglia Pasquale, “madre di tutte le veglie”, quando proromperà in tutte le chiese e comunità il canto della gioia per la risurrezione di Cristo. Ancora una volta, verrà proclamata la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte, e la Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore. Entreremo così nel clima della Pasqua di Risurrezione.

Cari fratelli e sorelle, disponiamoci a vivere intensamente il Triduo Santo, per essere sempre più profondamente partecipi del Mistero di Cristo. Ci accompagna in questo itinerario la Vergine Santa, che ha seguito in silenzio il Figlio Gesù fino al Calvario, prendendo parte con grande pena al suo sacrificio, cooperando così al mistero della Redenzione e divenendo Madre di tutti i credenti (cfr Jn 19,25-27). Insieme a Lei entreremo nel Cenacolo, resteremo ai piedi della Croce, veglieremo idealmente accanto al Cristo morto attendendo con speranza l’alba del giorno radioso della risurrezione. In questa prospettiva, formulo fin d’ora a tutti voi i più cordiali auguri di una lieta e santa Pasqua, insieme con le vostre famiglie, parrocchie e comunità.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore tutti i pellegrini croati in modo particolare i professori e studenti del Secondo ginnasio di Split! Carissimi, Gesù ci amò sino alla fine! In questi giorni ai nostri occhi si rinnoverà il mistero dell’amore crocifisso. Seguite il Signore con cuore fiducioso e ringraziatelo con fede sicura e con amore fedele, affinché si manifesterà in voi la forza portentosa del Risorto. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i polacchi. Alla soglia del Sacro Triduo pasquale auguro che il vivere nella fede i misteri della passione, della morte e della risurrezione di Cristo permetta a tutti di sperimentare l’amore di Dio e risvegli la speranza della partecipazione alla sua gloria. Buona Pasqua! Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ungherese:

Saluto di cuore i pellegrini di lingua ungherese, specialmente i gruppi di Pécs e di Szentmárton!
In questi santi giorni sentite la grandezza dell’amore che ci ha mostrato il Figlio di Dio con la sua dolorosa passione, con la morte sulla croce e con la sua gloriosa risurrezione. Ringraziatelo con fede sicura e con amore fedele.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In primo luogo rinnovo la mia vicinanza spirituale alla cara comunità de L’Aquila e degli altri paesi, duramente colpiti dal violento fenomeno sismico dei giorni scorsi, che ha provocato numerose vittime, tanti feriti e ingenti danni materiali. La sollecitudine con cui Autorità, forze dell’ordine, volontari e altri operatori stanno soccorrendo questi nostri fratelli dimostra quanto sia importante la solidarietà per superare insieme prove così dolorose. Ancora una volta desidero dire a quelle care popolazioni che il Papa condivide la loro pena e le loro preoccupazioni. Carissimi, appena possibile spero di venire a trovarvi. Sappiate che il Papa prega per tutti, implorando la misericordia del Signore per i defunti, e per i familiari e i superstiti il conforto materno di Maria e il sostegno della speranza cristiana. Saluto poi i partecipanti al Convegno internazionale UNIV, promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Cari amici, vi esorto a rispondere con gioia alla chiamata del Signore per dare un senso pieno alla vostra vita: nello studio, nei rapporti con i colleghi, in famiglia e nella società. “Dal fatto che tu e io –diceva san Josémaria Escivà– ci comportiamo come Dio vuole, non dimenticarlo, dipendono molte cose grandi” (Cammino, 755). Saluto i fedeli della parrocchia San Giovanni Battista, in Campagnano di Roma, e i dirigenti, gli insegnanti e i numerosi giovani studenti del Circolo didattico Don Milani, di Galatone. Auguro che la visita alle tombe degli Apostoli susciti in tutti il desiderio di servire sempre più generosamente Cristo e i fratelli.

Saluto i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani entreremo nel Sacro Triduo che ci farà rivivere i misteri centrali della nostra salvezza. Invito voi, cari giovani, a trarre dalla Croce la luce necessaria per camminare sulle orme del Redentore. Per voi, cari malati, la Passione del Signore, culminante nel trionfo della Pasqua, costituisca sempre sorgente di speranza. E voi, cari sposi novelli, vivendo il Mistero pasquale, fate della vostra esistenza diventi un dono reciproco.






Piazza San Pietro

Mercoledì, 15 aprile 2009: L'ottava di Pasqua

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Cari fratelli e sorelle,

la consueta Udienza Generale del mercoledì è oggi pervasa di gaudio spirituale, quel gaudio che nessuna sofferenza e pena possono cancellare, perché è gioia che scaturisce dalla certezza che Cristo, con la sua morte e risurrezione, ha definitivamente trionfato sul male e sulla morte. “Cristo è risorto! Alleluia! ”, canta la Chiesa in festa. E questo clima festoso, questi sentimenti tipici della Pasqua, si prolungano non soltanto durante questa settimana - l’Ottava di Pasqua - ma si estendono nei cinquanta giorni che vanno fino alla Pentecoste. Anzi, possiamo dire: il mistero della Pasqua abbraccia l’intero arco della nostra esistenza.

In questo tempo liturgico sono davvero tanti i riferimenti biblici e gli stimoli alla meditazione che ci vengono offerti per approfondire il significato e il valore della Pasqua. La “via crucis”, che nel Triduo Santo abbiamo ripercorso con Gesù sino al Calvario rivivendone la dolorosa passione, nella solenne Veglia pasquale è diventata la consolante “via lucis”. Visto dalla risurrezione, possiamo dire che tutta questa via della sofferenza è cammino di luce e di rinascita spirituale, di pace interiore e di salda speranza. Dopo il pianto, dopo lo smarrimento del Venerdì Santo, seguito dal silenzio carico di attesa del Sabato Santo, all’alba del “primo giorno dopo il sabato” è risuonato con vigore l’annuncio della Vita che ha sconfitto la morte: “Dux vitae mortuus/regnat vivus - il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa!” La novità sconvolgente della risurrezione è così importante che la Chiesa non cessa di proclamarla, prolungandone il ricordo specialmente ogni domenica: ogni domenica, infatti, è “giorno del Signore” e Pasqua settimanale del popolo di Dio. I nostri fratelli orientali, quasi a evidenziare questo mistero di salvezza che investe la nostra vita quotidiana, chiamano in lingua russa la domenica “giorno della risurrezione” (voskrescénje).

È pertanto fondamentale per la nostra fede e per la nostra testimonianza cristiana proclamare la risurrezione di Gesù di Nazaret come evento reale, storico, attestato da molti e autorevoli testimoni. Lo affermiamo con forza perché, anche in questi nostri tempi, non manca chi cerca di negarne la storicità riducendo il racconto evangelico a un mito, ad una “visione” degli Apostoli, riprendendo e presentando vecchie e già consumate teorie come nuove e scientifiche. Certamente la risurrezione non è stata per Gesù un semplice ritorno alla vita precedente. In questo caso, infatti, sarebbe stata una cosa del passato: duemila anni fa uno è risorto, è ritornato alla sua vita precedente, come per esempio Lazzaro. La risurrezione si pone in un’altra dimensione: é il passaggio ad una dimensione di vita profondamente nuova, che interessa anche noi, che coinvolge tutta la famiglia umana, la storia e l’universo. Questo evento che ha introdotto una nuova dimensione di vita, un’apertura di questo nostro mondo verso la vita eterna, ha cambiato l’esistenza dei testimoni oculari come dimostrano i racconti evangelici e gli altri scritti neotestamentari; è un annuncio che intere generazioni di uomini e donne lungo i secoli hanno accolto con fede e hanno testimoniato non raramente a prezzo del loro sangue, sapendo che proprio così entravano in questa nuova dimensione della vita. Anche quest’anno, a Pasqua risuona immutata e sempre nuova, in ogni angolo della terra, questa buona notizia: Gesù morto in croce è risuscitato, vive glorioso perché ha sconfitto il potere della morte, ha portato l’essere umano in una nuova comunione di vita con Dio e in Dio. Questa è la vittoria della Pasqua, la nostra salvezza! E quindi possiamo con sant’Agostino cantare: “La risurrezione di Cristo è la nostra speranza”, perché ci introduce in un nuovo futuro.

È vero: la risurrezione di Gesù fonda la nostra salda speranza e illumina l’intero nostro pellegrinaggio terreno, compreso l’enigma umano del dolore e della morte. La fede in Cristo crocifisso e risorto è il cuore dell’intero messaggio evangelico, il nucleo centrale del nostro “Credo”. Di tale “Credo” essenziale possiamo trovare una espressione autorevole in un noto passo paolino, contenuto nella Prima Lettera ai Corinzi (15,3-8) dove, l’Apostolo, per rispondere ad alcuni della comunità di Corinto che paradossalmente proclamavano la risurrezione di Gesù ma negavano quella dei morti – la nostra speranza –, trasmette fedelmente quello che egli – Paolo – aveva ricevuto dalla prima comunità apostolica circa la morte e risurrezione del Signore.

Egli inizia con una affermazione quasi perentoria: “Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!” (vv. 1-2). Aggiunge subito di aver loro trasmesso quello che lui stesso aveva ricevuto. Segue poi la pericope che abbiamo ascoltato all’inizio di questo nostro incontro. San Paolo presenta innanzitutto la morte di Gesù e pone, in un testo così scarno, due aggiunte alla notizia che «Cristo morì». La prima aggiunta è: morì «per i nostri peccati»; la seconda è: «secondo le Scritture» (v. 3). Questa espressione «secondo le Scritture» pone l’evento della morte del Signore in relazione con la storia dell’alleanza veterotestamentaria di Dio con il suo popolo, e ci fa comprendere che la morte del Figlio di Dio appartiene al tessuto della storia della salvezza, ed anzi ci fa capire che tale storia riceve da essa la sua logica ed il suo vero significato. Fino a quel momento la morte di Cristo era rimasta quasi un enigma, il cui esito era ancora insicuro. Nel mistero pasquale si compiono le parole della Scrittura, cioè, questa morte realizzata “secondo le Scritture” è un avvenimento che porta in sé un logos, una logica: la morte di Cristo testimonia che la Parola di Dio si è fatta sino in fondo “carne”, “storia” umana. Come e perché ciò sia avvenuto lo si comprende dall’altra aggiunta che san Paolo fa: Cristo morì «per i nostri peccati». Con queste parole il testo paolino pare riprendere la profezia di Isaia contenuta nel Quarto Canto del Servo di Dio (cfr
Is 53,12). Il Servo di Dio – così dice il Canto – “ha spogliato se stesso fino alla morte”, ha portato “il peccato di molti”, ed intercedendo per i “colpevoli” ha potuto recare il dono della riconciliazione degli uomini tra loro e degli uomini con Dio: la sua è dunque una morte che mette fine alla morte; la via della Croce porta alla Risurrezione.

Nei versetti che seguono, l’Apostolo si sofferma poi sulla risurrezione del Signore. Egli dice che Cristo «è risorto il terzo giorno secondo le Scritture». Di nuovo: “secondo le Scritture”! Non pochi esegeti intravedono nell’espressione: «è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» un significativo richiamo di quanto leggiamo nel Salmo 16, dove il Salmista proclama: «Non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la corruzione» (v.10). È questo uno dei testi dell’Antico Testamento, citati spesso nel cristianesimo primitivo, per provare il carattere messianico di Gesù. Poiché secondo l’interpretazione giudaica la corruzione cominciava dopo il terzo giorno, la parola della Scrittura si adempie in Gesù che risorge il terzo giorno, prima cioè che cominci la corruzione. San Paolo, tramandando fedelmente l’insegnamento degli Apostoli, sottolinea che la vittoria di Cristo sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio. Questa potenza divina reca speranza e gioia: è questo in definitiva il contenuto liberatore della rivelazione pasquale. Nella Pasqua, Dio rivela se stesso e la potenza dell’amore trinitario che annienta le forze distruttrici del male e della morte.

Cari fratelli e sorelle, lasciamoci illuminare dallo splendore del Signore risorto. Accogliamolo con fede e aderiamo generosamente al suo Vangelo, come fecero i testimoni privilegiati della sua risurrezione; come fece, diversi anni dopo, san Paolo che incontrò il divino Maestro in modo straordinario sulla Via di Damasco. Non possiamo tenere solo per noi l’annuncio di questa Verità che cambia la vita di tutti. E con umile fiducia preghiamo: “Gesù, che risorgendo dai morti hai anticipato la nostra risurrezione, noi crediamo in Te!”. Mi piace concludere con una esclamazione che amava ripetere Silvano del Monte Athos: “Gioisci, anima mia. È sempre Pasqua, perché Cristo risorto è la nostra risurrezione!”. Ci aiuti la Vergine Maria a coltivare in noi, e attorno a noi, questo clima di gioia pasquale, per essere testimoni dell’Amore divino in ogni situazione della nostra esistenza. Ancora una volta, Buona Pasqua a voi tutti!

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore i pellegrini croati, particolarmente i seminaristi e loro superiori! Il Signore risorto, che ha vinto la morte e ci ha regalato la vita, è apparso ai discepoli, li ha confermati nella fede e li ha fatti suoi testimoni. Non abbiate paura crederGli e consacrare la sua vita a Cristo, condividendo con lui sue felicità e difficoltà. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Il Signore è risorto e noi ne siamo testimoni. Vi auguro che la luce del mattino della risurrezione illumini ogni tenebra e che perduri in voi la gioia pasquale di testimoni dell’amore di Dio. Dio vi benedica!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava, Bucany e Trakovice.
Fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma nell’Ottava di Pasqua sia per ognuno di voi occasione di autentico rinnovamento spirituale. Il Signore Risorto vi accompagni con la sua pace. Volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Cristo è risorto! Con questa acclamazione antica saluto i pellegrini ungheresi, in primo luogo i gruppi di Gyor, di Satu Mare e di Transilvania! Carissimi! Vi auguro di vivere con grande profitto spirituale il Mistero Pasquale che costituisce il fulcro centrale della nostra fede.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Saluto ora con affetto i pellegrini di lingua italiana. In particolare, i Diaconi della Compagnia di Gesù, che, come ogni anno, sono venuti a rendere omaggio al Successore di Pietro insieme ai loro familiari; saluto i seminaristi del Seminario Arcivescovile di Catania, come pure i Rettori e gli Educatori dei Pontifici Seminari Regionali d’Italia riuniti per il loro periodico incontro presso il Pontifico Collegio Leonino - Seminario Regionale di Anagni. Vorrei poi salutare i fedeli della diocesi di Oria con il Vescovo Mons. Michele Castoro e dell’Arcidiocesi di Trani - Barletta – Bisceglie con l’Arcivescovo Mons. Giovanni Battista Pichierri, che compiono questo loro pellegrinaggio nel contesto dell’Anno Paolino e la parrocchia dell’Addolorata della città di Margherita di Savoia, che ricorda quest’anno il 50° di fondazione. Saluto inoltre i pellegrini di Fidenza con il loro Pastore, Mons Carlo Mazza, quelli della comunità di Frignano e i membri dell’Associazione “Solidarietà Uganda”. A tutti e ciascuno auguro che la risurrezione del Signore sia un profondo invito a rinnovare la propria esistenza ponendola al servizi del Vangelo.

Saluto voi, cari giovani, tra i quali ricordo particolarmente quelli dell’Arcidiocesi di Milano che si preparano alla professione di fede, tappa che segue il sacramento della Confermazione. Saluto voi, cari malati, e infine voi, cari sposi novelli. A ciascuno di voi auguro di cuore che vi lasciate illuminare dalla luce del Cristo risorto per poter sperimentare la gioia della sua presenza in voi.





Piazza San Pietro

Mercoledì, 22 aprile 2009: Ambrogio Autperto


Catechesi 2005-2013 10409