Catechesi 2005-2013 10069

Mercoledì, 10 giugno 2009: Giovanni Scoto Eriugena

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare di un notevole pensatore dell’Occidente cristiano: Giovanni Scoto Eriugena, le cui origini però sono oscure. Proveniva certamente dall’Irlanda, dove era nato agli inizi dell’800, ma non sappiamo quando abbia lasciato la sua Isola per attraversare la Manica ed entrare così a far parte pienamente di quel mondo culturale che stava rinascendo intorno ai Carolingi, e in particolare intorno a Carlo il Calvo, nella Francia del IX secolo. Come non si conosce la data certa della sua nascita, così ignoriamo anche l’anno della sua morte che, secondo gli studiosi, dovrebbe comunque collocarsi intorno all’anno 870.

Giovanni Scoto Eriugena aveva una cultura patristica, sia greca che latina, di prima mano: conosceva infatti direttamente gli scritti dei Padri latini e greci. Conosceva bene, fra le altre, le opere di Agostino, di Ambrogio, di Gregorio Magno, grandi Padri dell’Occidente cristiano, ma conosceva altrettanto bene il pensiero di Origene, di Gregorio di Nissa, di Giovanni Crisostomo e di altri Padri cristiani di Oriente non meno grandi. Era un uomo eccezionale, che dominava in quel tempo anche la lingua greca. Dimostrò un’attenzione particolarissima per San Massimo il Confessore e, soprattutto, per Dionigi l’Areopagita. Sotto questo pseudonimo si nasconde uno scrittore ecclesiastico del V secolo, della Siria, ma tutto il Medioevo e anche Giovanni Scoto Eriugena, fu convinto che questo autore fosse identico ad un discepolo diretto di san Paolo, del quale si parla negli Atti degli Apostoli (17,34). Scoto Eriugena, convinto di questa apostolicità degli scritti di Dionigi, lo qualificava ‘autore divino’ per eccellenza; gli scritti di lui furono perciò una fonte eminente del suo pensiero. Giovanni Scoto tradusse in latino le sue opere. I grandi teologi medioevali, come san Bonaventura, hanno conosciuto le opere di Dionigi tramite questa traduzione. Si dedicò per tutta la vita ad approfondire e sviluppare il suo pensiero, attingendo a questi scritti, al punto che ancora oggi qualche volta può essere arduo distinguere dove abbiamo a che fare col pensiero di Scoto Eriugena e dove invece egli non fa altro che riproporre il pensiero dello Pseudo Dionigi.

In verità, il lavoro teologico di Giovanni Scoto non ebbe molta fortuna. Non solo la fine dell’era carolingia fece dimenticare le sue opere; anche una censura da parte dell’Autorità ecclesiastica gettò un’ombra sulla sua figura. In realtà, Giovanni Scoto rappresenta un platonismo radicale, che qualche volta sembra avvicinarsi ad una visione panteistica, anche se le sue intenzioni personali soggettive furono sempre ortodosse. Di Giovanni Scoto Eriugena ci sono giunte alcune opere, tra le quali meritano di essere ricordate, in particolare, il trattato “Sulla divisione della natura” e le “Esposizioni sulla gerarchia celeste di san Dionigi”. Egli vi sviluppa stimolanti riflessioni teologiche e spirituali, che potrebbero suggerire interessanti approfondimenti anche ai teologi contemporanei. Mi riferisco, ad esempio, a quanto egli scrive sul dovere di esercitare un discernimento appropriato su ciò che viene presentato come auctoritas vera, oppure sull’impegno di continuare a cercare la verità fino a che non se ne raggiunga una qualche esperienza nell’adorazione silenziosa di Dio.

Il nostro autore dice: “Salus nostra ex fide inchoat: la nostra salvezza comincia con la fede”. Non possiamo cioè parlare di Dio partendo dalle nostre invenzioni, ma da quanto dice Dio di se stesso nelle Sacre Scritture. Poiché tuttavia Dio dice solo la verità, Scoto Eriugena è convinto che l’autorità e la ragione non possano mai essere in contrasto l’una con l’altra; è convinto che la vera religione e la vera filosofia coincidono. In questa prospettiva scrive: “Qualunque tipo di autorità che non venga confermata da una vera ragione dovrebbe essere considerata debole… Non è infatti vera autorità se non quella che coincide con la verità scoperta in forza della ragione, anche se si dovesse trattare di un’autorità raccomandata e trasmessa per l’utilità dei posteri dai santi Padri” (I, PL 122, col 513BC). Conseguentemente, egli ammonisce: “Nessuna autorità ti intimorisca o ti distragga da ciò che ti fa capire la persuasione ottenuta grazie ad una retta contemplazione razionale. Infatti l’autentica autorità non contraddice mai la retta ragione, né quest’ultima può mai contraddire una vera autorità. L’una e l’altra provengono senza alcun dubbio dalla stessa fonte, che è la sapienza divina” (I, PL 122, col 511B). Vediamo qui una coraggiosa affermazione del valore della ragione, fondata sulla certezza che l’autorità vera è ragionevole, perchè Dio è la ragione creatrice.

La Scrittura stessa non sfugge, secondo Eriugena, alla necessità di essere accostata utilizzando il medesimo criterio di discernimento. La Scrittura infatti - sostiene il teologo irlandese riproponendo una riflessione già presente in Giovanni Crisostomo - pur provenendo da Dio, non sarebbe stata necessaria se l’uomo non avesse peccato. Si deve dunque dedurre che la Scrittura fu data da Dio con un intento pedagogico e per condiscendenza, perché l’uomo potesse ricordare tutto ciò che gli era stato impresso nel cuore fin dal momento della sua creazione “ad immagine e somiglianza di Dio” (cfr
Gn 1,26) e che la caduta originale gli aveva fatto dimenticare. Scrive l’Eriugena nelle Expositiones: “Non è l’uomo che è stato creato per la Scrittura, della quale non avrebbe avuto bisogno se non avesse peccato, ma è piuttosto la Scrittura – intessuta di dottrina e di simboli - che è stata data per l’uomo. Grazie ad essa infatti la nostra natura razionale può essere introdotta nei segreti dell’autentica pura contemplazione di Dio” (II, PL 122, col 146C). La parola della Sacra Scrittura purifica la nostra ragione un po’ cieca e ci aiuta a ritornare al ricordo di ciò che noi, in quanto immagine di Dio, portiamo nel nostro cuore, vulnerato purtroppo dal peccato.

Derivano da qui alcune conseguenze ermeneutiche, circa il modo di interpretare la Scrittura, che possono indicare ancora oggi la strada giusta per una corretta lettura della Sacra Scrittura. Si tratta infatti di scoprire il senso nascosto nel testo sacro e questo suppone un particolare esercizio interiore grazie al quale la ragione si apre al cammino sicuro verso la verità. Tale esercizio consiste nel coltivare una costante disponibilità alla conversione. Per giungere infatti alla visione in profondità del testo è necessario progredire simultaneamente nella conversione del cuore e nell’analisi concettuale della pagina biblica sia essa di carattere cosmico, storico o dottrinale. E’ infatti solo grazie alla costante purificazione sia dell’occhio del cuore che dell’occhio della mente che si può conquistare l’esatta comprensione.

Questo cammino impervio, esigente ed entusiasmante, fatto di continue conquiste e relativizzazioni del sapere umano, porta la creatura intelligente fin sulla soglia del Mistero divino, dove tutte le nozioni accusano la propria debolezza e incapacità e impongono perciò, con la semplice forza libera e dolce della verità, di andare sempre oltre tutto ciò che viene continuamente acquisito. Il riconoscimento adorante e silenzioso del Mistero, che sfocia nella comunione unificante, si rivela perciò come l’unica strada di una relazione con la verità che sia insieme la più intima possibile e la più scrupolosamente rispettosa dell’alterità. Giovanni Scoto - utilizzando anche in questo un vocabolario caro alla tradizione cristiana di lingua greca - ha chiamato questa esperienza alla quale tendiamo “theosis” o divinizzazione, con affermazioni ardite al punto che fu possibile sospettarlo di panteismo eterodosso. Resta forte comunque l’emozione di fronte a testi come il seguente dove - ricorrendo all’antica metafora della fusione del ferro - scrive: “Dunque come tutto il ferro reso rovente si è liquefatto al punto che sembra esserci soltanto fuoco e tuttavia restano distinte le sostanze dell’uno e dell’altro, così si deve accettare che dopo la fine di questo mondo tutta la natura, sia quella corporea che quella incorporea, manifesti soltanto Dio e tuttavia resti integra in modo tale che Dio possa essere in qualche modo com-preso pur restando in-comprensibile e la creatura stessa venga trasformata, con meraviglia ineffabile, in Dio” (V, PL 122, col 451B).

In realtà, l’intero pensiero teologico di Giovanni Scoto è la dimostrazione più palese del tentativo di esprimere il dicibile dell’indicibile Dio, fondandosi unicamente sul mistero del Verbo fatto carne in Gesù di Nazaret. Le tante metafore da lui utilizzate per indicare questa realtà ineffabile dimostrano quanto egli sia consapevole dell’assoluta inadeguatezza dei termini con cui noi parliamo di queste cose. E tuttavia resta l’incanto e quell’atmosfera di autentica esperienza mistica che si può di tanto in tanto toccare con mano nei suoi testi. Basti citare, a riprova di ciò, una pagina del De divisione naturae che tocca in profondità l’animo anche di noi credenti del XXI secolo: “Non si deve desiderare altro – egli scrive - se non la gioia della verità che è Cristo, né altro evitare se non l’assenza di Lui. Questa infatti si dovrebbe ritenere causa unica di totale ed eterna tristezza. Toglimi Cristo e non mi rimarrà alcun bene né altro mi atterrirà quanto la sua assenza. Il più grande tormento di una creatura razionale sono la privazione e l’assenza di Lui” (V, PL 122, Col 989). Sono parole che possiamo fare nostre, traducendole in preghiera a Colui che costituisce l’anelito anche del nostro cuore.

Saluti:


Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia dell’Elevazione della Santa Croce di Netreticko Završje, ed ai membri dell’Associazione “Terra Santa” da Croazia, Bosnia ed Erzegovina e dal Montenegro. La partecipazione alla celebrazione Eucaristica e l’accostarvi al Corpo di Cristo vi diano la forza ed il coraggio nella vostra vita e testimonianza cristiana. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto tutti i polacchi. Domani si celebra la solennità del Sacratissimo Corpo e Sangue di Cristo. Questo giorno ci ricorda il miracolo della presenza Divina sotto le specie del pane e del vino nell’Eucaristia. In modo particolare adoreremo il Signore durante la Santa Messa e la processione. La partecipazione a questa liturgia ravvivi la nostra fede, affinché, ricevendo il Corpo e il Sangue di Cristo, sempre più pienamente sperimentiamo il suo infinito amore. Dio vi benedica.

Saluto in lingua slovacca:

Di cuore do un benvenuto ai pellegrini provenienti da Kláštor pod Znievom, Tajov, Horné Hámre, Kysuce, Košice e Považie. Particolarmente saluto la Scuola elementare e Schola cantorum Giovanni Paolo II da Bratislava-Vajnory. Fratelli e sorelle, Cristo è la via che conduce al Padre e nell’Eucaristia si offre ad ognuno di noi come sorgente di vita divina. Attingiamone con perseveranza. Con questi voti benedico voi ed i vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti della diocesi di Padova assicurando la mia preghiera affinché il loro ministero sia spiritualmente fecondo. Saluto i fedeli di Poggio Sannita, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Domenico Scotti e li esorto a proseguire nell’autentica devozione alla Vergine santa, Madre della Grazia. Saluto i fedeli di Bolsena e, nel ringraziarli per l’omaggio floreale che hanno realizzato, li incoraggio ad attingere dall’Eucaristia la forza per testimoniare incessantemente i valori cristiani.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. La festa del Corpus Domini, che celebreremo domani, ci offre l'occasione per approfondire la nostra fede ed il nostro amore per l'Eucaristia. Cari giovani - specialmente voi, cari ragazzi di Castellaneta, che avete ricevuto da poco la Prima Comunione - il sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo sia l'alimento spirituale d'ogni giorno per avanzare nel cammino della santità; per voi, cari ammalati, sia il sostegno ed il conforto nella prova e nella sofferenza; e per voi, cari sposi novelli, sia la ragione profonda del vostro amore che si esprime nella vostra quotidiana condotta.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 17 giugno 2009: Santi Cirillo e Metodio

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare dei Santi Cirillo e Metodio, fratelli nel sangue e nella fede, detti apostoli degli slavi. Cirillo nacque a Tessalonica dal magistrato imperiale Leone nell’826/827: era il più giovane di sette figli. Da ragazzo imparò la lingua slava. All’età di quattordici anni fu mandato a Costantinopoli per esservi educato e fu compagno del giovane imperatore Michele III. In quegli anni fu introdotto nelle diverse materie universitarie, fra le quali la dialettica, avendo come maestro Fozio. Dopo aver rifiutato un brillante matrimonio, decise di ricevere gli ordini sacri e divenne “bibliotecario” presso il Patriarcato. Poco dopo, desiderando ritirarsi in solitudine, andò a nascondersi in un monastero, ma fu presto scoperto e gli fu affidato l’insegnamento delle scienze sacre e profane, mansione che svolse così bene da guadagnarsi l’appellativo di “Filosofo”. Nel frattempo, il fratello Michele (nato nell’815 ), dopo una carriera amministrativa in Macedonia, verso l’anno 850 abbandonò il mondo per ritirarsi a vita monastica sul monte Olimpo in Bitinia, dove ricevette il nome di Metodio (il nome monastico doveva cominciare con la stessa lettera di quello di battesimo) e divenne igumeno del monastero di Polychron.

Attratto dall’esempio del fratello, anche Cirillo decise di lasciare l’insegnamento per recarsi sul monte Olimpo a meditare e a pregare. Alcuni anni più tardi però, (861 ), il governo imperiale lo incaricò di una missione presso i khazari del Mare di Azov, i quali chiedevano che fosse loro inviato un letterato che sapesse discutere con gli ebrei e i saraceni. Cirillo, accompagnato dal fratello Metodio, sostò a lungo in Crimea, dove imparò l’ebraico. Qui ricercò pure il corpo del Papa Clemente I, che vi era stato esiliato. Ne trovò la tomba e, quando col fratello riprese la via del ritorno, portò con sé le preziose reliquie. Giunti a Costantinopoli, i due fratelli furono inviati in Moravia dall’imperatore Michele III, al quale il principe moravo Ratislao aveva rivolto una precisa richiesta: “Il nostro popolo – gli aveva detto – da quando ha respinto il paganesimo, osserva la legge cristiana; però non abbiamo un maestro che sia in grado di spiegarci la vera fede nella nostra lingua”. La missione ebbe ben presto un successo insolito. Traducendo la liturgia nella lingua slava, i due fratelli guadagnarono una grande simpatia presso il popolo.

Questo, però, suscitò nei loro confronti l’ostilità del clero franco, che era arrivato in precedenza in Moravia e considerava il territorio come appartenente alla propria giurisdizione ecclesiale. Per giustificarsi, nell’867 i due fratelli si recarono a Roma. Durante il viaggio si fermarono a Venezia, dove ebbe luogo un’animata discussione con i sostenitori della cosiddetta “eresia trilingue”: costoro ritenevano che vi fossero solo tre lingue in cui si poteva lecitamente lodare Dio: l’ebraica, la greca e la latina. Ovviamente, a ciò i due fratelli si opposero con forza. A Roma Cirillo e Metodio furono ricevuti dal Papa Adriano II, che andò loro incontro in processione per accogliere degnamente le reliquie di san Clemente. Il Papa aveva anche compreso la grande importanza della loro eccezionale missione. Dalla metà del primo millennio, infatti, gli slavi si erano installati numerosissimi in quei territori posti tra le due parti dell’Impero Romano, l’orientale e l’occidentale, che erano già in tensione tra loro. Il Papa intuì che i popoli slavi avrebbero potuto giocare il ruolo di ponte, contribuendo così a conservare l’unione tra i cristiani dell’una e dell’altra parte dell’Impero. Egli quindi non esitò ad approvare la missione dei due Fratelli nella Grande Moravia, accogliendo e approvando l’uso della lingua slava nella liturgia. I libri slavi furono deposti sull’altare di Santa Maria di Phatmé (Santa Maria Maggiore) e la liturgia in lingua slava fu celebrata nelle Basiliche di San Pietro, Sant’Andrea, San Paolo.

Purtroppo a Roma Cirillo s’ammalò gravemente. Sentendo avvicinarsi la morte, volle consacrarsi totalmente a Dio come monaco in uno dei monasteri greci della Città (probabilmente presso Santa Prassede) ed assunse il nome monastico di Cirillo (il suo nome di battesimo era Costantino). Poi pregò con insistenza il fratello Metodio, che nel frattempo era stato consacrato Vescovo, di non abbandonare la missione in Moravia e di tornare tra quelle popolazioni. A Dio si rivolse con questa invocazione: “Signore, mio Dio…, esaudisci la mia preghiera e custodisci a te fedele il gregge a cui avevi preposto me… Liberali dall’eresia delle tre lingue, raccogli tutti nell’unità, e rendi il popolo che hai scelto concorde nella vera fede e nella retta confessione”. Morì il 14 febbraio 869.

Fedele all’impegno assunto col fratello, nell’anno seguente, 870, Metodio ritornò in Moravia e in Pannonia (oggi Ungheria), ove incontrò di nuovo la violenta avversione dei missionari franchi che lo imprigionarono. Non si perse d’animo e quando nell’anno 873 fu liberato si adoperò attivamente nella organizzazione della Chiesa, curando la formazione di un gruppo di discepoli. Fu merito di questi discepoli se poté essere superata la crisi che si scatenò dopo la morte di Metodio, avvenuta il 6 aprile 885: perseguitati e messi in prigione, alcuni di questi discepoli vennero venduti come schiavi e portati a Venezia, dove furono riscattati da un funzionario costantinopolitano, che concesse loro di tornare nei Paesi degli slavi balcanici. Accolti in Bulgaria, poterono continuare nella missione avviata da Metodio, diffondendo il Vangelo nella «terra della Rus’». Dio nella sua misteriosa provvidenza si avvaleva così della persecuzione per salvare l’opera dei santi Fratelli. Di essa resta anche la documentazione letteraria. Basti pensare ad opere quali l’Evangeliario (pericopi liturgiche del Nuovo Testamento), il Salterio, vari testi liturgici in lingua slava, a cui lavorarono ambedue i Fratelli. Dopo la morte di Cirillo, a Metodio e ai suoi discepoli si deve, tra l’altro, la traduzione dell’intera Sacra Scrittura, il Nomocanone e il Libro dei Padri.

Volendo ora riassumere in breve il profilo spirituale dei due Fratelli, si deve innanzitutto registrare la passione con cui Cirillo si avvicinò agli scritti di san Gregorio Nazianzeno, apprendendo da lui il valore della lingua nella trasmissione della Rivelazione. San Gregorio aveva espresso il desiderio che Cristo parlasse per mezzo di lui: “Sono servo del Verbo, perciò mi metto al servizio della Parola”. Volendo imitare Gregorio in questo servizio, Cirillo chiese a Cristo di voler parlare in slavo per mezzo suo. Egli introduce la sua opera di traduzione con l’invocazione solenne: “Ascoltate, o voi tutte genti slave, ascoltate la Parola che venne da Dio, la Parola che nutre le anime, la Parola che conduce alla conoscenza di Dio”. In realtà, già alcuni anni prima che il principe di Moravia venisse a chiedere all’imperatore Michele III l’invio di missionari nella sua terra, sembra che Cirillo e il fratello Metodio, attorniati da un gruppo di discepoli, stessero lavorando al progetto di raccogliere i dogmi cristiani in libri scritti in lingua slava. Apparve allora chiaramente l’esigenza di nuovi segni grafici, più aderenti alla lingua parlata: nacque così l’alfabeto glagolitico che, successivamente modificato, fu poi designato col nome di “cirillico” in onore del suo ispiratore. Fu quello un evento decisivo per lo sviluppo della civiltà slava in generale. Cirillo e Metodio erano convinti che i singoli popoli non potessero ritenere di aver ricevuto pienamente la Rivelazione finché non l’avessero udita nella propria lingua e letta nei caratteri propri del loro alfabeto.

A Metodio spetta il merito di aver fatto sì che l’opera intrapresa col fratello non fosse bruscamente interrotta. Mentre Cirillo, il “Filosofo”, era propenso alla contemplazione, egli era piuttosto portato alla vita attiva. Grazie a ciò poté porre i presupposti della successiva affermazione di quella che potremmo chiamare l’«idea cirillo-metodiana»: essa accompagnò nei diversi periodi storici i popoli slavi, favorendone lo sviluppo culturale, nazionale e religioso. E’ quanto riconosceva già Papa Pio XI con la Lettera apostolica Quod Sanctum Cyrillum, nella quale qualificava i due Fratelli: “figli dell’Oriente, di patria bizantini, d’origine greci, per missione romani, per i frutti apostolici slavi” (AAS 19 [1927] 93-96). Il ruolo storico da essi svolto è stato poi ufficialmente proclamato dal Papa Giovanni Paolo II che, con la Lettera apostolica Egregiae virtutis viri, li ha dichiarati compatroni d’Europa insieme con san Benedetto (AAS 73 [1981] 258-262). In effetti, Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine “inculturazione”: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di “traduzione” molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata. Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia dell’Assunzione della Beata Vergine Maria di Široki Brijeg e i cresimandi della parrocchia Cattedrale di Dubrovnik! Raccomandate al Sacratissimo Cuore di Gesù la vostra vita e le vostre famiglie per crescere nel Suo amore. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Rivolgo ora il mio pensiero e una mia parola di saluto a tutti i pellegrini polacchi. Venerdì, durante la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, si inaugurerà l’Anno Sacerdotale. Il suo motto sarà: Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Che il Cuore di Gesù, «colmo di bontà e d’amore», rafforzi i sacerdoti nella santità e nella fedeltà a Dio. Affidando tutti i sacerdoti alla vostra preghiera, vi benedico di cuore.

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi provenienti dalle parrocchie Banská Bystrica – Foncorda, Holíc e Ludanice.
Fratelli e sorelle, venerdì prossimo, nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, iniziamo l’Anno sacerdotale. Pregate per i sacerdoti, affinché nel loro ministero siano segno di Cristo – Buon Pastore.
Di cuore benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Aversa, qui convenuti così numerosi con il loro Pastore Mons. Mario Milano; della diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato, con il Vescovo Mons. Francesco Moraglia; della diocesi di Biella con il Vescovo Mons. Gabriele Mana. Cari amici, ad imitazione dell’apostolo Paolo, seguite Cristo coltivando una intensa vita di preghiera testimoniando dappertutto il suo amore. Saluto con affetto i fedeli dell’Abbazia territoriale di Monte Cassino, giunti con il loro Ordinario, l’Abate Dom Pietro Vittorelli, per ricambiare la visita che ho avuto la gioia di compiere il 24 maggio scorso. A voi, cari amici, rinnovo l’espressione della mia gratitudine per la cordiale accoglienza che mi avete riservato, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per la vostra Comunità diocesana una rinnovata vitalità spirituale e una sempre più generosa adesione a Cristo e alla Chiesa. Saluto i fedeli della Parrocchia Santa Maria del Carmine in Pavia e quelli di San Tammaro in Grumo Nevano, come pure i partecipanti al congresso promosso dalla Federazione Italiana Scuole Materne e i Seminaristi Pallottini, assicurando a ciascuno la mia preghiera, affinché possano testimoniare Gesù e il suo Vangelo in ogni ambiente.

Mi rivolgo ora ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Venerdì prossimo celebreremo la festa del Sacro Cuore di Gesù, giornata di santificazione sacerdotale e inizio dell’Anno Sacerdotale, da me voluto in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. Cari giovani, vi saluto con affetto e tra voi saluto specialmente i numerosi ragazzi degli Oratori della diocesi di Foligno, accompagnati dal loro Pastore Mons. Gualtiero Sigismondi. Cari amici, la ricchezza del Cuore di Cristo vi sostenga sempre. Aiuti voi, cari ammalati, ad affidarvi nelle mani della Provvidenza divina; ed incoraggi voi, cari sposi novelli, a vivere la vostra unione cristiana con reciproca dedizione.

Desidero con gioia presentare ora la Delegazione siro-cattolica: il Patriarca della Chiesa di Antiochia dei siro-cattolici, Sua Beatitudine Mar Ignace Youssef III Younan, accompagnato, in questa sua prima visita ufficiale, dai Patriarchi emeriti, dai Vescovi e da fedeli provenienti dal Medio Oriente e da diverse parti del mondo, dove risiedono i siro-cattolici mantenendo un vivo legame con la tradizione orientale cristiana e il Vescovo di Roma.

Saluto con affetto il venerato Patriarca Youssef, al quale ho già concesso la communio ecclesiastica che, a norma dei sacri canoni, mi aveva chiesto appena eletto, e tale comunione troverà pubblica significazione nella Divina Liturgia in rito siro-antiocheno, che si terrà domani nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla quale assisterà come mio Rappresentante il Signor Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Mentre assicuro per Lei, venerato Fratello, e per quanti La accompagnano la mia preghiera, vorrei nel contempo esprimere la mia sollecitudine e considerazione a tutte le Chiese Orientali Cattoliche, incoraggiandole a proseguire la missione ecclesiale, pur tra mille difficoltà, per edificare ovunque l'unità e la pace.






Piazza San Pietro

Mercoledì, 24 giugno 2009: Anno Sacerdotale

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Cari fratelli e sorelle,

venerdì scorso 19 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e Giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione dei sacerdoti, ho avuto la gioia d’inaugurare l’Anno Sacerdotale, indetto in occasione del centocinquantesimo anniversario della “nascita al Cielo” del Curato d’Ars, san Giovanni Battista Maria Vianney. Ed entrando nella Basilica Vaticana per la celebrazione dei Vespri, quasi come primo gesto simbolico, mi sono fermato nella Cappella del Coro per venerare la reliquia di questo santo Pastore d’anime: il suo cuore. Perché un Anno Sacerdotale? Perché proprio nel ricordo del santo Curato d’Ars, che apparentemente non ha compiuto nulla di straordinario?

La Provvidenza divina ha fatto sì che la sua figura venisse accostata a quella di san Paolo. Mentre infatti si va concludendo l’Anno Paolino, dedicato all’Apostolo delle genti, modello di straordinario evangelizzatore che ha compiuto diversi viaggi missionari per diffondere il Vangelo, questo nuovo anno giubilare ci invita a guardare ad un povero contadino diventato umile parroco, che ha consumato il suo servizio pastorale in un piccolo villaggio. Se i due Santi differiscono molto per i percorsi di vita che li hanno caratterizzati – l’uno è passato di regione in regione per annunciare il Vangelo, l’altro ha accolto migliaia e migliaia di fedeli sempre restando nella sua piccola parrocchia -, c’è però qualcosa di fondamentale che li accomuna: ed è la loro identificazione totale col proprio ministero, la loro comunione con Cristo che faceva dire a san Paolo: “ Sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ” (
Ga 2,20). E san Giovanni Maria Vianney amava ripetere: “Se avessimo fede, vedremmo Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro il vetro, come il vino mescolato all’acqua”. Scopo di questo Anno Sacerdotale come ho scritto nella lettera inviata ai sacerdoti per tale occasione - è pertanto favorire la tensione di ogni presbitero “verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del suo ministero”, e aiutare innanzitutto i sacerdoti, e con essi l’intero Popolo di Dio, a riscoprire e rinvigorire la coscienza dello straordinario ed indispensabile dono di Grazia che il ministero ordinato rappresenta per chi lo ha ricevuto, per la Chiesa intera e per il mondo, che senza la presenza reale di Cristo sarebbe perduto.

Indubbiamente sono mutate le condizioni storiche e sociali nelle quali ebbe a trovarsi il Curato d’Ars ed è giusto domandarsi come possano i sacerdoti imitarlo nella immedesimazione col proprio ministero nelle attuali società globalizzate. In un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale, la “funzionalità” diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale. Non di rado, sia negli ambienti teologici, come pure nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero, si confrontano, e talora si oppongono, due differenti concezioni del sacerdozio. Rilevavo in proposito alcuni anni or sono che esistono “da una parte una concezione sociale-funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione… Dall’altra parte, vi è la concezione sacramentale-ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento” (J. Ratzinger, Ministero e vita del Sacerdote, in Elementi di Teologia fondamentale. Saggio su fede e ministero, Brescia 2005, p. 165). Anche lo slittamento terminologico dalla parola “sacerdozio” a quelle di “servizio, ministero, incarico”, è segno di tale differente concezione. Alla prima, poi, quella ontologico-sacramentale, è legato il primato dell’Eucaristia, nel binomio “sacerdozio-sacrificio”, mentre alla seconda corrisponderebbe il primato della parola e del servizio dell’annuncio.

A ben vedere, non si tratta di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno. Così il Decreto Presbyterorum ordinis del Concilio Vaticano II afferma: “È proprio per mezzo dell'annuncio apostolico del Vangelo che il popolo di Dio viene convocato e adunato, in modo che tutti… possano offrire se stessi come «ostia viva, santa, accettabile da Dio» (Rm 12,1), ed è proprio attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore. Questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore” (n. 2).

Ci chiediamo allora: “Che cosa significa propriamente, per i sacerdoti, evangelizzare? In che consiste il cosiddetto primato dell’annuncio”?. Gesù parla dell’annuncio del Regno di Dio come del vero scopo della sua venuta nel mondo e il suo annuncio non è solo un “discorso”. Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoli che compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamente con la sua stessa persona. In questo senso, è doveroso ricordare che, anche nel primato dell’annuncio, parola e segno sono indivisibili. La predicazione cristiana non proclama “parole”, ma la Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Cristo, ontologicamente aperta alla relazione con il Padre ed obbediente alla sua volontà. Quindi, un autentico servizio alla Parola richiede da parte del sacerdote che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire con l’Apostolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Il presbitero non può considerarsi “padrone” della parola, ma servo. Egli non è la parola, ma, come proclamava Giovanni il Battista, del quale celebriamo proprio oggi la Natività, è “voce” della Parola: “ Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri ” (Mc 1,3).

Ora, essere “voce” della Parola, non costituisce per il sacerdote un mero aspetto funzionale. Al contrario presuppone un sostanziale “perdersi” in Cristo, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione con tutto il proprio io: intelligenza, libertà, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente (cfr Rm 12,1-2). Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chènosi, rende autentico l’annuncio! E questo è il cammino che deve percorrere con Cristo per giungere a dire al Padre insieme con Lui: si compia “non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi” (Mc 14,36). L’annuncio, allora, comporta sempre anche il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico ed efficace.

Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso la forma di servo, è divenuto servo (cfr Ph 2,5-11). Il sacerdote é servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente, assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo al servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando, in questa progressiva assunzione della volontà del Cristo, nella preghiera, nello “stare cuore a cuore” con Lui. È questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa.

Il santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: “Come è spaventoso essere prete!”. Ed aggiungeva: “Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Com’è sventurato un prete senza vita interiore!”. Possa l’Anno Sacerdotale condurre tutti i sacerdoti ad immedesimarsi totalmente con Gesù crocifisso e risorto, perché, ad imitazione di san Giovanni Battista, siano pronti a “diminuire” perché Lui cresca; perché, seguendo l’esempio del Curato d’Ars, avvertano in maniera costante e profonda la responsabilità della loro missione, che è segno e presenza dell’infinita misericordia di Dio. Affidiamo alla Madonna, Madre della Chiesa, l’Anno Sacerdotale appena iniziato e tutti i sacerdoti del mondo.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore tutti i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia di Madonna della Misericordia di Split! Cari amici, insieme con San Giovanni Battista riconosciamo il Signore nella Sua umiltà e testimoniamoLo agli altri con il nostro vivere corretto. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i Polacchi presenti in quest’Udienza. Oggi festeggiamo la Natività di san Giovanni Battista, il profeta che ha preparato la strada al Figlio di Dio, annunciando la Sua presenza in mezzo agli uomini. Con il Suo martirio ha dato a Cristo la più bella testimonianza possibile. Il suo messaggio alla conversione rimane attuale anche per noi. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava - Karlova Ves, Gbely, Pezinok, Horná Súca e Teplicka nad Váhom.
Fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma - sede del Successore di Pietro - rafforzi in voi la coscienza anche della vostra appartenenza alla Chiesa di Cristo.
Con questo desiderio vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalle Parrocchie Bertoki e Sveti Anton in Slovenia!
Questo vostro pellegrinaggio nella Città dei grandi Apostoli Pietro e Paolo vi sia d’aiuto, affinché anche voi possiate amare fedelmente il Cristo e seguire la Sua strada. Vi accompagni la mia benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Con affetto saluto i fedeli di lingua ungherese, specialmente coloro che sono giunti da Jászjákóhalma!
Fratelli e sorelle, pregate per i vostri sacerdoti novelli, ordinati in questo mese, perché siano fedeli nell'annuncio del Vangelo e nel santificare il popolo di Dio.
Volentieri benedico voi e tutti sacerdoti novelli.
Con la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!
* * *


Rivolgo un cordiale saluto alla Delegazione guidata dalla Sotto-Segretario dell'Onu e Rappresentante speciale per i Bambini in situazione di conflitto armato. Nell'esprimere a Lei e ai suoi accompagnatori vivo apprezzamento per l'impegno a difesa dell'infanzia vittima della violenza e delle armi, penso a tutti i bambini del mondo, in particolare a quelli che sono esposti alla paura, all'abbandono, alla fame, agli abusi, alla malattia, alla morte. Il Papa è vicino a tutte queste piccole vittime e li ricorda sempre nella preghiera.

Il 24 giugno di 150 anni fa nasceva l'idea di una grande mobilitazione per l'assistenza delle vittime delle guerre, che in seguito prenderà il nome di Croce Rossa. Nel corso degli anni, i valori di universalità, neutralità, indipendenza del servizio, hanno suscitato l'adesione di milioni di volontari in ogni parte del mondo, formando un importante baluardo di umanità e di solidarietà in tanti contesti di guerra e di conflitto, come pure in molte emergenze. Nell'auspicare che la persona umana, nella sua dignità e nella sua interezza sia sempre al centro dell'impegno umanitario della Croce Rossa, incoraggio specialmente i giovani ad impegnarsi concretamente in questa benemerita Istituzione. Approfitto di questa circostanza per chiedere il rilascio di tutte le persone sequestrate in zone di conflitto e nuovamente la liberazione di Eugenio Vagni, operatore della Croce Rossa nelle Filippine.

Il mio cordiale benvenuto va ora ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli della diocesi di San Marino-Montefeltro, accompagnati dal loro Vescovo, Mons. Luigi Negri, ed a quelli che partecipano al pellegrinaggio promosso dalla Congregazione di San Giovanni Battista Precursore. A ciascuno auguro che quest'incontro costituisca un'occasione provvidenziale per un rinnovato impegno di testimonianza cristiana. Saluto, poi, i Legionari di Cristo, invocando su ognuno la continua protezione del Signore. Il mio pensiero va, altresì, alle Suore Apostole del Santo Rosario, che incoraggio a diffondere con entusiasmo la novità del perenne messaggio salvifico portato da Cristo.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Celebriamo oggi la festa della natività di San Giovanni Battista, mandato da Dio per rendere testimonianza alla luce e preparare al Signore un popolo ben disposto. Auguro a voi, cari giovani, di trovare nell'amicizia con Gesù la forza necessaria per essere sempre all'altezza delle responsabilità che vi attendono. Esorto voi, cari ammalati, a considerare le sofferenze e le prove quotidiane come opportunità che Dio offre per cooperare alla salvezza delle anime. Ed invito voi, cari sposi novelli, a manifestare l'amore del Signore nella fedeltà reciproca e nella generosa accoglienza della vita.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 1° luglio 2009: Anno Sacerdotale (2)


Catechesi 2005-2013 10069