Catechesi 2005-2013 12089

Mercoledì, 12 agosto 2009: Maria Madre di tutti i Sacerdoti

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Cari fratelli e sorelle,

è imminente la celebrazione della solennità dell'Assunzione della Beata Vergine, sabato prossimo, e siamo nel contesto dell'Anno Sacerdotale; così vorrei parlare del nesso tra la Madonna e il sacerdozio. È un nesso profondamente radicato nel mistero dell'Incarnazione. Quando Dio decise di farsi uomo nel suo Figlio, aveva bisogno del «sì» libero di una sua creatura. Dio non agisce contro la nostra libertà. E succede una cosa veramente straordinaria: Dio si fa dipendente dalla libertà, dal «sì» di una sua creatura; aspetta questo «sì». San Bernardo di Chiaravalle, in una delle sue omelie, ha spiegato in modo drammatico questo momento decisivo della storia universale, dove il cielo, la terra e Dio stesso aspettano cosa dirà questa creatura.

Il «sì» di Maria è quindi la porta attraverso la quale Dio è potuto entrare nel mondo, farsi uomo. Così Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell'Incarnazione, della nostra salvezza. E l'Incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall'inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella Croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e Incarnazione vanno insieme e Maria sta nel centro di questo mistero.

Andiamo adesso alla Croce. Gesù, prima di morire, vede sotto la Croce la Madre; e vede il figlio diletto e questo figlio diletto certamente è una persona, un individuo molto importante, ma è di più: è un esempio, una prefigurazione di tutti i discepoli amati, di tutte le persone chiamate dal Signore per essere «discepolo amato» e, di conseguenza, in modo particolare anche dei sacerdoti. Gesù dice a Maria: «Madre ecco tuo figlio» (
Jn 19,26). È una specie di testamento: affida sua Madre alla cura del figlio, del discepolo. Ma dice anche al discepolo: «Ecco tua madre» (Jn 19,27). Il Vangelo ci dice che da questo momento san Giovanni, il figlio prediletto, prese la madre Maria «nella propria casa». Così è nella traduzione italiana; ma il testo greco è molto più profondo, molto più ricco. Potremmo tradurlo: prese Maria nell'intimo della sua vita, del suo essere, «eis tà ìdia», nella profondità del suo essere. Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell’intera propria esistenza – non è una cosa esteriore - e in tutto ciò che costituisce l’orizzonte del proprio apostolato. Mi sembra si comprenda pertanto come il peculiare rapporto di maternità esistente tra Maria e i presbiteri costituisca la fonte primaria, il motivo fondamentale della predilezione che nutre per ciascuno di loro. Maria li predilige infatti per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch’essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo. Per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre.

Il Concilio Vaticano II invita i sacerdoti a guardare a Maria come al modello perfetto della propria esistenza, invocandola “Madre del sommo ed eterno Sacerdote, Regina degli Apostoli, Ausilio dei presbiteri nel loro ministero”. E i presbiteri – prosegue il Concilio – “devono quindi venerarla ed amarla con devozione e culto filiale” (cfr. Presbyterorum ordinis PO 18). Il Santo Curato d'Ars, al quale pensiamo particolarmente in quest’anno, amava ripetere: «Gesù Cristo, dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa Madre» (B. Nodet, Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, Torino 1967, p. 305). Questo vale per ogni cristiano, per tutti noi, ma in modo speciale per i sacerdoti. Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché Maria renda tutti i sacerdoti, in tutti i problemi del mondo d’oggi, conformi all’immagine del suo Figlio Gesù, dispensatori del tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono. Maria, Madre dei sacerdoti, prega per noi!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do il mio benvenuto ai Polacchi presenti qui a Castel Gandolfo, e in modo particolare alla gioventù del movimento Luce e Vita che segue a Roma il corso di esercizi spirituali. Essi nacquero sotto l’invito del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Il tema di quest’anno vi consolidi nel vostro carisma. Chiedo a tutti voi presenti: implorate le grazie di cui i vostri pastori hanno bisogno per l’intercessione della Madre dei Sacerdoti nell’Anno Sacerdotale. Sia lodato Gesù Cristo.

* * *


Un cordiale saluto rivolgo ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Figlie della Madonna del Divino Amore e ai partecipanti alla Fiaccola della Speranza. Nel ringraziarvi per la vostra presenza, sono lieto di invocare su di voi l’abbondanza dei doni dello Spirito per un rinnovato fervore spirituale e apostolico.

Mi rivolgo ora ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Abbiamo celebrato ieri la memoria di Santa Chiara d'Assisi, che ha saputo vivere con coraggio e generosità la sua adesione a Cristo. Imitate il suo esempio particolarmente voi, cari giovani, perché possiate come lei rispondere fedelmente alla chiamata del Signore. Incoraggio voi, cari malati, ad unirvi a Gesù sofferente nel portare con fede la vostra croce. E voi, cari sposi novelli, siate nella vostra famiglia apostoli del Vangelo dell'amore.

Il mio pensiero va, infine, alle numerose popolazioni che nei giorni scorsi sono state colpite dalla violenza del tifone nelle Filippine, a Taiwan, in alcune province sud-orientali della Repubblica Popolare Cinese e in Giappone, Paese, quest’ultimo, provato anche da un forte terremoto. Desidero manifestare la mia vicinanza spirituale a quanti si sono venuti a trovare in condizioni di grave disagio e invito tutti a pregare per loro e per quanti hanno perso la vita. Mi auguro che non manchino il sollievo della solidarietà e l’aiuto dei soccorsi materiali.




Mercoledì, 19 agosto 2009: San Giovanni Eudes e la formazione del clero

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Cari fratelli e sorelle!

ricorre oggi la memoria liturgica di san Giovanni Eudes, apostolo infaticabile della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto in Francia nel secolo XVII, un secolo segnato da contrapposti fenomeni religiosi e anche da gravi problemi politici. E’ il tempo della guerra dei Trent’anni, che ha devastato non solo gran parte del Centro Europa, ma ha devastato anche le anime. Mentre si andava diffondendo il disprezzo per la fede cristiana da parte di alcune correnti di pensiero allora dominanti, lo Spirito Santo suscitava un rinnovamento spirituale pieno di fervore, con personalità di alto rilievo come il de Bérulle, san Vincenzo de Paoli, san Luigi M. Grignon de Montfort e san Giovanni Eudes. Questa grande “scuola francese” di santità ebbe tra i suoi frutti anche san Giovanni Maria Vianney. Per un misterioso disegno della Provvidenza, il mio venerato predecessore Pio XI proclamò santi insieme, il 31 maggio 1925, Giovanni Eudes e il Curato d’Ars, offrendo alla Chiesa e al mondo intero due straordinari esempi di santità sacerdotale.

Nel contesto dell’Anno Sacerdotale, mi è caro soffermarmi a sottolineare lo zelo apostolico di san Giovanni Eudes, particolarmente rivolto alla formazione del clero diocesano. I santi sono la vera interpretazione della Sacra Scrittura. I santi hanno verificato, nell'esperienza della vita, la verità del Vangelo; così ci introducono nel conoscere e capire il Vangelo. Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima. Questo nel 1563; ma siccome l'applicazione e la realizzazione delle norme tardavano sia in Germania, sia in Francia, san Giovanni Eudes vide le conseguenze di questa mancanza. Mosso dalla lucida consapevolezza del grave bisogno di aiuto spirituale, in cui versavano le anime proprio a causa anche dell’inadeguatezza di gran parte del clero, il santo, che era un parroco, istituì una Congregazione dedita in maniera specifica alla formazione dei sacerdoti. Nella città universitaria di Caen fondò il suo primo seminario, esperienza quanto mai apprezzata, che ben presto si allargò ad altre diocesi. Il cammino di santità, da lui percorso e proposto ai suoi discepoli, aveva come fondamento una solida fiducia nell’amore che Dio ha rivelato all’umanità nel Cuore sacerdotale di Cristo e nel Cuore materno di Maria. In quel tempo di crudeltà, di perdita di interiorità, egli si rivolse al cuore nella linea della parola profetica (
Is 46,8): Redite, praevaricatores, ad cor - spesso commentata da sant'Agostino. Voleva richiamare le persone, gli uomini e soprattutto i futuri sacerdoti al cuore, mostrando il cuore sacerdotale di Cristo e il cuore materno di Maria. Di questo amore del cuore di Cristo e di Maria ogni sacerdote deve essere testimone e apostolo. E qui arriviamo al nostro tempo.

Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta “conquistata” dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari. Papa Giovanni Paolo II, dopo il Sinodo del 1990, ha emanato l’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis nella quale riprende e aggiorna le norme del Concilio di Trento e sottolinea soprattutto la necessaria continuità tra il momento iniziale e quello permanente della formazione; questo per lui, per noi è un vero punto di partenza per un’autentica riforma della vita e dell’apostolato dei sacerdoti, ed è anche il punto nodale affinché la “nuova evangelizzazione” non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà. Le fondamenta poste nella formazione seminaristica, costituiscono quell’insostituibile “humus spirituale” nel quale “imparare Cristo”, lasciandosi progressivamente configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Il tempo del Seminario va visto pertanto come l’attualizzazione del momento in cui il Signore Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede loro di stare con Lui (cfr. Mc Mc 3,14). Quando san Marco racconta la vocazione dei dodici apostoli, ci dice che Gesù aveva un duplice scopo: il primo era che stessero con Lui, il secondo che fossero mandati a predicare. Ma andando sempre con Lui, realmente annunciano Cristo e portano la realtà del Vangelo al mondo.

Durante questo Anno Sacerdotale vi invito a pregare, cari fratelli e sorelle, per i sacerdoti e per quanti si preparano a ricevere il dono straordinario del Sacerdozio ministeriale. A tutti rivolgo, e così concludo, l’esortazione di san Giovanni Eudes, che dice così ai sacerdoti: “Donatevi a Gesù, per entrare nell’immensità del suo grande Cuore, che contiene il Cuore della sua Santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore, di carità, di misericordia, di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità” (Coeur admirable, III, 2).

In questo senso cantiamo adesso insieme il Padre Nostro in latino.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Il mese di agosto è il tempo della mietitura. Ringraziamo Dio per il dono del pane: sia per l’Eucaristia, il nutrimento dell’anima, sia per il pane quotidiano, nutrimento del corpo. Dio benedica il raccolto di quest’anno e quanti per esso faticano. Noi tutti apriamo i nostri cuori per dividere il pane con i fratelli bisognosi. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:

Con grande gioia saluto i pellegrini croati! Cari amici, particolarmente durante quest’anno, pregate nelle vostre famiglie per i vostri sacerdoti che siano fedeli imitatori del nostro Signore e per le nuove vocazioni sacerdotali dalla vostra nazione. Siano lodati Gesù e Maria!

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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Nel ringraziarvi per la vostra presenza, vi incoraggio a proseguire la vostra fedele testimonianza cristiana nella società.

Con affetto saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. La mirabile figura di san Giovanni Eudes, a cui ho fatto cenno poc’anzi, aiuti ciascuno a progredire sempre più nell’amore di Dio, che dona pienezza di significato alla giovinezza, alla sofferenza e alla vita familiare.




Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo

Mercoledì, 26 agosto 2009: La salvaguardia del creato

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Cari fratelli e sorelle!

Ci avviciniamo ormai alla fine del mese di agosto, che per molti significa la conclusione delle vacanze estive. Mentre si torna alle attività quotidiane, come non ringraziare Iddio per il dono prezioso del creato, di cui è possibile godere, e non solo durante il periodo delle ferie! I differenti fenomeni di degrado ambientale e le calamità naturali, che purtroppo non raramente la cronaca registra, ci richiamano l’urgenza del rispetto dovuto alla natura, recuperando e valorizzando, nella vita di ogni giorno, un corretto rapporto con l’ambiente. Verso questi temi, che suscitano la giusta preoccupazione delle Autorità e della pubblica opinione, si va sviluppando una nuova sensibilità, che si esprime nel moltiplicarsi di incontri anche a livello internazionale.

La terra è dono prezioso del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, dandoci così i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. E’ proprio a partire da questa consapevolezza, che la Chiesa considera le questioni legate all’ambiente e alla sua salvaguardia intimamente connesse con il tema dello sviluppo umano integrale. A tali questioni ho fatto più volte riferimento nella mia ultima Enciclica Caritas in veritate, richiamando “l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà” (n. 49) non solo nei rapporti tra i Paesi, ma anche tra i singoli uomini, poiché l’ambiente naturale è dato da Dio per tutti, e il suo uso comporta una nostra personale responsabilità verso l’intera umanità, in particolare verso i poveri e le generazioni future (cfr ivi, 48). Avvertendo la comune responsabilità per il creato (cfr ivi, 51), la Chiesa non solo è impegnata a promuovere la difesa della terra, dell’acqua e dell’aria, donate dal Creatore a tutti, ma soprattutto si adopera per proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso. Infatti, “quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (ibid.). Non è forse vero che l’uso sconsiderato della creazione inizia laddove Dio è emarginato o addirittura se ne nega l’esistenza? Se viene meno il rapporto della creatura umana con il Creatore, la materia è ridotta a possesso egoistico, l’uomo ne diventa “l’ultima istanza” e lo scopo dell’esistenza si riduce ad essere un’affannata corsa a possedere il più possibile.

Il creato, materia strutturata in modo intelligente da Dio, è affidato dunque alla responsabilità dell’uomo, il quale è in grado di interpretarlo e di rimodellarlo attivamente, senza considerarsene padrone assoluto. L’uomo è chiamato piuttosto ad esercitare un governo responsabile per custodirlo, metterlo a profitto e coltivarlo, trovando le risorse necessarie per una esistenza dignitosa di tutti. Con l’aiuto della stessa natura e con l’impegno del proprio lavoro e della propria inventiva, l’umanità è veramente in grado di assolvere al grave dovere di consegnare alle nuove generazioni una terra che anch’esse, a loro volta, potranno abitare degnamente e coltivare ulteriormente (cfr Caritas in veritate ). Perché ciò si realizzi, è indispensabile lo sviluppo di “quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 7), riconoscendo che noi tutti proveniamo da Dio e verso Lui siamo tutti in cammino. Quanto è importante allora che la comunità internazionale e i singoli governi sappiano dare i giusti segnali ai propri cittadini per contrastare in modo efficace le modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose! I costi economici e sociali, derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni, riconosciuti in maniera trasparente, vanno supportati da coloro che ne usufruiscono, e non da altre popolazioni o dalle generazioni future. La protezione dell’ambiente, la tutela delle risorse e del clima richiedono che i responsabili internazionali agiscano congiuntamente nel rispetto della legge e della solidarietà, soprattutto nei confronti delle regioni più deboli della terra (cfr Caritas in veritate ). Insieme possiamo costruire uno sviluppo umano integrale a beneficio dei popoli, presenti e futuri, uno sviluppo ispirato ai valori della carità nella verità. Perché ciò avvenga è indispensabile convertire l’attuale modello di sviluppo globale verso una più grande e condivisa assunzione di responsabilità nei confronti del creato: lo richiedono non solo le emergenze ambientali, ma anche lo scandalo della fame e della miseria.

Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore e facciamo nostre le parole di san Francesco nel Cantico delle creature: “Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et omne benedictione … Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature”.

Così san Francesco. Anche noi vogliamo pregare e vivere nello spirito di queste parole.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Oggi, nella Solennità della Beata Maria Vergine di Czestochowa, saluto con particolare affetto i pellegrini polacchi. Dalla Regina di Jasna Góra la vostra nazione ha ricevuto da secoli aiuto e difesa straordinari. Con l’esempio del servo di Dio Giovanni Paolo II e con il suo affidamento “Totus Tuus”, perseverate con Maria, intraprendendo con coraggio quello che Gesù vi dirà (cfr
Jn 2,5). A tutti i pellegrini a Jasna Góra e a voi qui presenti imparto di cuore la mia benedizione.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente il gruppo di pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalle parrocchie di Bratislava–Karlova Ves, Kostolany nad Hornádom e Šaštín. Fratelli e sorelle, cari giovani, ringraziando Dio per il prezioso dono del creato vi invito alla maggiore responsabilità verso la natura. Con affetto imparto la Benedizione Apostolica a voi ed ai vostri cari. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto e benedico i pellegrini croati. Carissimi, la forza della vostra vita sia l’amore e la fede nella verità che ci ha rivelato il Figlio di Dio. Siano lodati Gesù e Maria!


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Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai sacerdoti dell’Arcidiocesi di Milano che ricordano il 25° anniversario di Ordinazione, come pure ai partecipanti all’incontro estivo per Seminaristi del Seminario Maggiore. Cari amici l’Anno sacerdotale che stiamo celebrando sia per ciascuno di voi occasione propizia per approfondire il valore della missione dei presbiteri nella Chiesa e nel mondo.

Mi rivolgo ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Nei prossimi giorni la liturgia fa memoria di due grandi Santi, santa Monica e sant'Agostino, uniti in terra da vincoli familiari ed in cielo dallo stesso destino di gloria. Il loro esempio spinga voi, giovani, ad una ricerca sincera ed appassionata della Verità evangelica; sveli a voi, malati, il valore redentivo della sofferenza offerta a Dio in unione al sacrificio della Croce; sostenga voi, sposi novelli, nella generosa testimonianza della gratuità dell'amore di Dio.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 2 settembre 2009: Sant’Oddone di Cluny

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Cari fratelli e sorelle,

Dopo una lunga pausa, vorrei riprendere la presentazione dei grandi Scrittori della Chiesa di Oriente e di Occidente del tempo medioevale, perché, come in uno specchio, nelle loro vite e nei loro scritti vediamo che cosa vuol dire essere cristiani. Oggi vi propongo la figura luminosa di sant’Oddone, abate di Cluny: essa si colloca in quel medioevo monastico che vide il sorprendente diffondersi in Europa della vita e della spiritualità ispirate alla Regola di san Benedetto. Vi fu in quei secoli un prodigioso sorgere e moltiplicarsi di chiostri che, ramificandosi nel continente, vi diffusero largamente lo spirito e la sensibilità cristiana. Sant’Oddone ci riconduce, in particolare, ad un monastero, Cluny, che nel medioevo fu tra i più illustri e celebrati ed ancora oggi rivela attraverso le sue maestose rovine i segni di un passato glorioso per l’intensa dedizione all’ascesi, allo studio e, in special modo, al culto divino, avvolto di decoro e di bellezza.

Di Cluny Oddone fu il secondo abate. Era nato verso l’880, ai confini tra il Maine e la Touraine, in Francia. Dal padre fu consacrato al santo Vescovo Martino di Tours, alla cui ombra benefica e nella cui memoria Oddone passò poi l’intera vita, concludendola alla fine vicino alla sua tomba. La scelta della consacrazione religiosa fu in lui preceduta dall’esperienza di uno speciale momento di grazia, di cui parlò egli stesso ad un altro monaco, Giovanni l’Italiano, che fu poi suo biografo. Oddone era ancora adolescente, sui sedici anni, quando, durante una veglia natalizia, si sentì salire spontaneamente alle labbra questa preghiera alla Vergine: “Mia Signora, Madre di misericordia, che in questa notte hai dato alla luce il Salvatore, prega per me. Il tuo parto glorioso e singolare sia, o Piissima, il mio rifugio” (Vita sancti Odonis, I,9: PL 133,747). L’appellativo “Madre di misericordia”, con cui il giovane Oddone invocò allora la Vergine, sarà quello col quale egli amerà poi sempre rivolgersi a Maria, chiamandola anche «unica speranza del mondo, … grazie alla quale ci sono state aperte le porte del paradiso» (In veneratione S. Mariae Magdalenae: PL 133,721). Gli avvenne in quel tempo di imbattersi nella Regola di san Benedetto e di iniziarne alcune osservanze, «portando, non ancora monaco, il giogo leggero dei monaci» (ibid., I,14: PL 133,50). In un suo sermone Oddone celebrerà Benedetto come “lucerna che brilla nel tenebroso stadio di questa vita” (De sancto Benedicto abbate:PL 133,725), e lo qualificherà “maestro di disciplina spirituale” (ibid.: PL 133,727). Con affetto rileverà che la pietà cristiana “con più viva dolcezza fa memoria” di lui, nella consapevolezza che Dio lo ha innalzato “tra i sommi ed eletti Padri della santa Chiesa” (ibid.: PL 133,722).

Affascinato dall’ideale benedettino, Oddone lasciò Tours ed entrò come monaco nell’abbazia benedettina di Baume, per poi passare in quella di Cluny, di cui nel 927 divenne abate. Da quel centro di vita spirituale poté esercitare un vasto influsso sui monasteri del continente. Della sua guida e della sua riforma si giovarono anche in Italia diversi cenobi, tra i quali quello di San Paolo fuori le Mura. Oddone visitò più d’una volta Roma, raggiungendo anche Subiaco, Montecassino e Salerno. Fu proprio a Roma che, nell’estate del 942, cadde malato. Sentendosi prossimo alla fine, con ogni sforzo volle tornare presso il suo san Martino a Tours, ove morì nell’ottavario del Santo, il 18 novembre 942. Il biografo, nel sottolineare in Oddone la “virtù della pazienza”, offre un lungo elenco di altre sue virtù, quali il disprezzo del mondo, lo zelo per le anime, l’impegno per la pace delle Chiese. Grandi aspirazioni dell’abate Oddone erano la concordia tra i re e i principi, l’osservanza dei comandamenti, l’attenzione ai poveri, l’emendamento dei giovani, il rispetto per i vecchi (cfr Vita sancti Odonis, I,17: PL 133,49). Amava la celletta dove risiedeva, «sottratto agli occhi di tutti, sollecito di piacere solo a Dio» (ibid., I,14: PL 133,49). Non mancava, però, di esercitare pure, come “fonte sovrabbondante”, il ministero della parola e dell’esempio, “piangendo come immensamente misero questo mondo” (ibid., I,17: PL 133,51). In un solo monaco, commenta il suo biografo, si trovavano raccolte le diverse virtù esistenti in stato sparso negli altri monasteri: “Gesù nella sua bontà, attingendo ai vari giardini dei monaci, formava in un piccolo luogo un paradiso, per irrigare dalla sua fonte i cuori dei fedeli” (ibid., I,14: PL 133,49).

In un passo di un sermone in onore di Maria di Magdala l’abate di Cluny ci rivela come egli concepiva la vita monastica: “Maria che, seduta ai piedi del Signore, con spirito attento ascoltava la sua parola, è il simbolo della dolcezza della vita contemplativa, il cui sapore, quanto più è gustato, tanto maggiormente induce l’animo a distaccarsi dalle cose visibili e dai tumulti delle preoccupazioni del mondo” (In ven. S. Mariae Magd., PL 133,717). E’ una concezione che Oddone conferma e sviluppa negli altri suoi scritti, dai quali traspaiono l’amore all’interiorità, una visione del mondo come di realtà fragile e precaria da cui sradicarsi, una costante inclinazione al distacco dalle cose avvertite come fonti di inquietudine, un’acuta sensibilità per la presenza del male nelle varie categorie di uomini, un’intima aspirazione escatologica. Questa visione del mondo può apparire abbastanza lontana dalla nostra, tuttavia quella di Oddone è una concezione che, vedendo la fragilità del mondo, valorizza la vita interiore aperta all’altro, all’amore del prossimo, e proprio così trasforma l’esistenza e apre il mondo alla luce di Dio.

Merita particolare menzione la “devozione” al Corpo e al Sangue di Cristo che Oddone, di fronte a una estesa trascuratezza da lui vivacemente deplorata, coltivò sempre con convinzione. Era infatti fermamente convinto della presenza reale, sotto le specie eucaristiche, del Corpo e del Sangue del Signore, in virtù della conversione “sostanziale” del pane e del vino. Scriveva: “Dio, il Creatore di tutto, ha preso il pane, dicendo che era il suo Corpo e che lo avrebbe offerto per il mondo e ha distribuito il vino, chiamandolo suo Sangue”; ora, “è legge di natura che avvenga il mutamento secondo il comando del Creatore”, ed ecco, pertanto, che “subito la natura muta la sua condizione solita: senza indugio il pane diventa carne, e il vino diventa sangue”; all’ordine del Signore “la sostanza si muta” (Odonis Abb. Cluniac. occupatio, ed. A. Swoboda, Lipsia 1900, p.121). Purtroppo, annota il nostro abate, questo “sacrosanto mistero del Corpo del Signore, nel quale consiste tutta la salvezza del mondo” (Collationes, XXVIII: PL 133,572), è negligentemente celebrato. “I sacerdoti, egli avverte, che accedono all’altare indegnamente, macchiano il pane, cioè il Corpo di Cristo” (ibid., PL 133,572-573). Solo chi è unito spiritualmente a Cristo può partecipare degnamente al suo Corpo eucaristico: in caso contrario, mangiare la sua carne e bere il suo sangue non sarebbe di giovamento, ma di condanna (cfr ibid., XXX, PL 133,575). Tutto questo ci invita a credere con nuova forza e profondità la verità della presenza del Signore. La presenza del Creatore tra noi, che si consegna nelle nostre mani e ci trasforma come trasforma il pane e il vino, trasforma così il mondo.

Sant’Oddone è stato una vera guida spirituale sia per i monaci che per i fedeli del suo tempo. Di fronte alla “vastità dei vizi” diffusi nella società, il rimedio che egli proponeva con decisione era quello di un radicale cambiamento di vita, fondato sull’umiltà, l’austerità, il distacco dalle cose effimere e l’adesione a quelle eterne (cfr Collationes, XXX, PL 133, 613). Nonostante il realismo della sua diagnosi circa la situazione del suo tempo, Oddone non indulge al pessimismo: “Non diciamo questo – egli precisa – per precipitare nella disperazione quelli che vorranno convertirsi. La misericordia divina è sempre disponibile; essa aspetta l’ora della nostra conversione” (ibid.: PL 133, 563). Ed esclama: “O ineffabili viscere della pietà divina! Dio persegue le colpe e tuttavia protegge i peccatori” (ibid.: PL 133,592). Sostenuto da questa convinzione, l’abate di Cluny amava sostare nella contemplazione della misericordia di Cristo, il Salvatore che egli qualificava suggestivamente come “amante degli uomini”: “amator hominum Christus” (ibid., LIII: PL 133,637). Gesù ha preso su di sé i flagelli che sarebbero spettati a noi – osserva - per salvare così la creatura che è opera sua e che ama (cfr ibid.: PL 133, 638).

Appare qui un tratto del santo abate a prima vista quasi nascosto sotto il rigore della sua austerità di riformatore: la profonda bontà del suo animo. Era austero, ma soprattutto era buono, un uomo di una grande bontà, una bontà che proviene dal contatto con la bontà divina. Oddone, così ci dicono i suoi coetanei, effondeva intorno a sé la gioia di cui era ricolmo. Il suo biografo attesta di non aver sentito mai uscire da bocca d’uomo “tanta dolcezza di parola” (ibid., I,17: PL 133,31). Era solito, ricorda il biografo, invitare al canto i fanciulli che incontrava lungo la strada per poi far loro qualche piccolo dono, e aggiunge: “Le sue parole erano ricolme di esultanza…, la sua ilarità infondeva nel nostro cuore un’intima gioia” (ibid., II, 5: PL 133,63). In questo modo il vigoroso ed insieme amabile abate medioevale, appassionato di riforma, con azione incisiva alimentava nei monaci, come anche nei fedeli laici del suo tempo, il proposito di progredire con passo solerte sulla via della perfezione cristiana.

Vogliamo sperare che la sua bontà, la gioia che proviene dalla fede, unite all’austerità e all’opposizione ai vizi del mondo, tocchino anche il nostro cuore, affinché anche noi possiamo trovare la fonte della gioia che scaturisce dalla bontà di Dio.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia di San Florian di Pribislavac, ai pellegrini di Rijeka e di Porec ed ai professori e studenti di Liceo Classico Arcivescovile di Zagreb come pure di Liceo Classico Francescano di Sinj. L’eredità e l’esempio apostolico dei santi Pietro e Paolo siano il fondamento e lo stimolo della vostra vita e testimonianza cristiana. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Ieri abbiamo ricordato il 70° anniversario dell’inizio della II guerra mondiale. Nella memoria dei popoli rimangono le umane tragedie e l’assurdità della guerra. Chiediamo a Dio che lo spirito del perdono, della pace e della riconciliazione pervada i cuori degli uomini. L’Europa e il mondo di oggi hanno bisogno di uno spirito di comunione. Costruiamola su Cristo e sul suo Vangelo, sul fondamento della carità e della verità. A voi qui presenti e a tutti coloro che contribuiscono a creare il clima della pace, imparto di cuore la mia benedizione.

Saluto in lingua slovacca:

Cordialmente saluto i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente quelli da Bratislava e Nitra.
Fratelli e sorelle, cari giovani, in questi giorni inizia il nuovo anno scolastico. Imploriamo dallo Spirito Santo i suoi preziosi doni, specialmente la vera sapienza. Con questo desiderio vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i fedeli di lingua ungherese. Questo pellegrinaggio a Roma Vi conforti nella fede.
Di cuore imparto a voi la Benedizione Apostolica! Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i partecipanti al Simposio Intercristiano promosso dalla Pontificia Università Antonianum e dall’Università Aristoteles di Tessalonica ed auspico che la riflessione comune tra cattolici e ortodossi sulla figura di Sant’Agostino possa rafforzare il cammino verso la piena comunione. Saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, qui convenuti così numerosi con il loro Pastore Mons. Gerardo Pierro, in occasione del decimo anniversario di inaugurazione del Seminario “Giovanni Paolo II”. Saluto i fedeli di Nuoro, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Pietro Meloni, come pure i fedeli della parrocchia San Vito Martire di Gioia del Colle. Su tutti voi invoco la continua assistenza del Signore, perché possiate rendere ovunque una convinta e generosa testimonianza cristiana.

Rivolgo infine un affettuoso saluto ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Invito voi, giovani, ad accogliere e vivere la Parola del Signore con il coraggio e la fantasia che contraddistinguono la vostra età. Incoraggio voi, cari malati, a conservare nel cuore gli insegnamenti evangelici per trarne forza, serenità e sostegno nella prova della sofferenza. Auguro a voi, sposi novelli, di intraprendere con generosa fedeltà l'itinerario suggerito dal Figlio di Dio, affinché la vostra nuova famiglia sia edificata sulla salda roccia della sua Parola.


Aula Paolo VI



Catechesi 2005-2013 12089