Catechesi 2005-2013 17030

Mercoledì, 17 marzo 2010: San Bonaventura (3)

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Cari fratelli e sorelle,

questa mattina, continuando la riflessione di mercoledì scorso, vorrei approfondire con voi altri aspetti della dottrina di san Bonaventura da Bagnoregio. Egli è un eminente teologo, che merita di essere messo accanto ad un altro grandissimo pensatore, suo contemporaneo, san Tommaso d’Aquino. Entrambi hanno scrutato i misteri della Rivelazione, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano, facendone un’epoca di grande vivacità intellettuale, oltre che di fede e di rinnovamento ecclesiale, spesso non sufficientemente evidenziata. Altre analogie li accomunano: sia Bonaventura, francescano, sia Tommaso, domenicano, appartenevano agli Ordini Mendicanti che, con la loro freschezza spirituale, come ho ricordato in precedenti catechesi, rinnovarono, nel secolo XIII, la Chiesa intera e attirarono tanti seguaci. Tutti e due servirono la Chiesa con diligenza, con passione e con amore, al punto che furono invitati a partecipare al Concilio Ecumenico di Lione nel 1274, lo stesso anno in cui morirono: Tommaso mentre si recava a Lione, Bonaventura durante lo svolgimento del medesimo Concilio. Anche in Piazza San Pietro le statue dei due Santi sono parallele, collocate proprio all’inizio del Colonnato partendo dalla facciata della Basilica Vaticana: una nel Braccio di sinistra e l’altra nel Braccio di destra. Nonostante tutti questi aspetti, possiamo cogliere nei due grandi Santi due diversi approcci alla ricerca filosofica e teologica, che mostrano l’originalità e la profondità di pensiero dell’uno e dell’altro. Vorrei accennare ad alcune di queste differenze.

Una prima differenza concerne il concetto di teologia. Ambedue i dottori si chiedono se la teologia sia una scienza pratica o una scienza teorica, speculativa. San Tommaso riflette su due possibili risposte contrastanti. La prima dice: la teologia è riflessione sulla fede e scopo della fede è che l’uomo diventi buono, viva secondo la volontà di Dio. Quindi, lo scopo della teologia dovrebbe essere quello di guidare sulla via giusta, buona; di conseguenza essa, in fondo, è una scienza pratica. L’altra posizione dice: la teologia cerca di conoscere Dio. Noi siamo opera di Dio; Dio sta al di sopra del nostro fare. Dio opera in noi l’agire giusto. Quindi si tratta sostanzialmente non del nostro fare, ma del conoscere Dio, non del nostro operare. La conclusione di san Tommaso è: la teologia implica ambedue gli aspetti: è teorica, cerca di conoscere Dio sempre di più, ed è pratica: cerca di orientare la nostra vita al bene. Ma c’è un primato della conoscenza: dobbiamo soprattutto conoscere Dio, poi segue l’agire secondo Dio (Summa Theologiae
I 1,4). Questo primato della conoscenza in confronto con la prassi è significativo per l’orientamento fondamentale di san Tommaso.

La risposta di san Bonaventura è molto simile, ma gli accenti sono diversi. San Bonaventura conosce gli stessi argomenti nell’una e nell’altra direzione, come san Tommaso, ma per rispondere alla domanda se la teologia sia una scienza pratica o teorica, san Bonaventura fa una triplice distinzione – allarga, quindi, l’alternativa tra teorico (primato della conoscenza) e pratico (primato della prassi), aggiungendo un terzo atteggiamento, che chiama “sapienziale” e affermando che la sapienza abbraccia ambedue gli aspetti. E poi continua: la sapienza cerca la contemplazione (come la più alta forma della conoscenza) e ha come intenzione “ut boni fiamus” - che diventiamo buoni, soprattutto questo: divenire buoni (cfr Breviloquium, Prologus, 5). Poi aggiunge: “La fede è nell’intelletto, in modo tale che provoca l’affetto. Ad esempio: conoscere che Cristo è morto “per noi” non rimane conoscenza, ma diventa necessariamente affetto, amore” (Proemium in I Sent., q. 3).

Nella stessa linea si muove la sua difesa della teologia, cioè della riflessione razionale e metodica della fede. San Bonaventura elenca alcuni argomenti contro il fare teologia, forse diffusi anche in una parte dei frati francescani e presenti anche nel nostro tempo: la ragione svuoterebbe la fede, sarebbe un atteggiamento violento nei confronti della parola di Dio, dobbiamo ascoltare e non analizzare la parola di Dio (cfr Lettera di san Francesco d’Assisi a sant’Antonio di Padova). A questi argomenti contro la teologia, che dimostrano i pericoli esistenti nella teologia stessa, il Santo risponde: è vero che c’è un modo arrogante di fare teologia, una superbia della ragione, che si pone al di sopra della parola di Dio. Ma la vera teologia, il lavoro razionale della vera e della buona teologia ha un’altra origine, non la superbia della ragione. Chi ama vuol conoscere sempre meglio e sempre più l’amato; la vera teologia non impegna la ragione e la sua ricerca motivata dalla superbia, “sed propter amorem eius cui assentit” – “motivata dall’amore di Colui, al quale ha dato il suo consenso” (Proemium in I Sent., q. 2), e vuol meglio conoscere l’amato: questa è l’intenzione fondamentale della teologia. Per san Bonaventura è quindi determinante alla fine il primato dell’amore.

Di conseguenza, san Tommaso e san Bonaventura definiscono in modo diverso la destinazione ultima dell’uomo, la sua piena felicità: per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. In questo semplice atto del vedere Dio trovano soluzione tutti i problemi: siamo felici, nient’altro è necessario.

Per san Bonaventura il destino ultimo dell’uomo è invece: amare Dio, l’incontrarsi ed unirsi del suo e del nostro amore. Questa è per lui la definizione più adeguata della nostra felicità.

In tale linea, potremmo anche dire che la categoria più alta per san Tommaso è il vero, mentre per san Bonaventura è il bene. Sarebbe sbagliato vedere in queste due risposte una contraddizione. Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta quindi di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune. Ambedue gli accenti hanno formato tradizioni diverse e spiritualità diverse e così hanno mostrato la fecondità della fede, una nella diversità delle sue espressioni.

Ritorniamo a san Bonaventura. E’ evidente che l’accento specifico della sua teologia, del quale ho dato solo un esempio, si spiega a partire dal carisma francescano: il Poverello di Assisi, al di là dei dibattiti intellettuali del suo tempo, aveva mostrato con tutta la sua vita il primato dell’amore; era un’icona vivente e innamorata di Cristo e così ha reso presente, nel suo tempo, la figura del Signore – ha convinto i suoi contemporanei non con le parole, ma con la sua vita. In tutte le opere di san Bonaventura, proprio anche le opere scientifiche, di scuola, si vede e si trova questa ispirazione francescana; si nota, cioè, che egli pensa partendo dall’incontro col Poverello d’Assisi. Ma per capire l’elaborazione concreta del tema “primato dell’amore”, dobbiamo tenere presente ancora un’altra fonte: gli scritti del cosiddetto Pseudo-Dionigi, un teologo siriaco del VI secolo, che si è nascosto sotto lo pseudonimo di Dionigi l’Areopagita, accennando, con questo nome, ad una figura degli Atti degli Apostoli (cfr 17,34). Questo teologo aveva creato una teologia liturgica e una teologia mistica, ed aveva ampiamente parlato dei diversi ordini degli angeli. I suoi scritti furono tradotti in latino nel IX secolo; al tempo di san Bonaventura – siamo nel XIII secolo – appariva una nuova tradizione, che provocò l’interesse del Santo e degli altri teologi del suo secolo. Due cose attiravano in modo particolare l’attenzione di san Bonaventura:

1. Lo Pseudo-Dionigi parla di nove ordini degli angeli, i cui nomi aveva trovato nella Scrittura e poi aveva sistemato a suo modo, dagli angeli semplici fino ai serafini. San Bonaventura interpreta questi ordini degli angeli come gradini nell’avvicinamento della creatura a Dio. Così essi possono rappresentare il cammino umano, la salita verso la comunione con Dio. Per san Bonaventura non c’è alcun dubbio: san Francesco d’Assisi apparteneva all’ordine serafico, al supremo ordine, al coro dei serafini, cioè: era puro fuoco di amore. E così avrebbero dovuto essere i francescani. Ma san Bonaventura sapeva bene che questo ultimo grado di avvicinamento a Dio non può essere inserito in un ordinamento giuridico, ma è sempre un dono particolare di Dio. Per questo la struttura dell’Ordine francescano è più modesta, più realista, ma deve, però, aiutare i membri ad avvicinarsi sempre più ad un’esistenza serafica di puro amore. Mercoledì scorso ho parlato su questa sintesi tra realismo sobrio e radicalità evangelica nel pensiero e nell’agire di san Bonaventura.

2. San Bonaventura, però, ha trovato negli scritti dello Preuso-Dionigi un altro elemento, per lui ancora più importante. Mentre per sant’Agostino l’intellectus, il vedere con la ragione ed il cuore, è l’ultima categoria della conoscenza, lo Pseudo-Dionigi fa ancora un altro passo: nella salita verso Dio si può arrivare ad un punto in cui la ragione non vede più. Ma nella notte dell’intelletto l’amore vede ancora – vede quanto rimane inaccessibile per la ragione. L’amore si estende oltre la ragione, vede di più, entra più profondamente nel mistero di Dio. San Bonaventura fu affascinato da questa visione, che s’incontrava con la sua spiritualità francescana. Proprio nella notte oscura della Croce appare tutta la grandezza dell’amore divino; dove la ragione non vede più, vede l’amore. Le parole conclusive del suo “Itinerario della mente in Dio”, ad una lettura superficiale, possono apparire come espressione esagerata di una devozione senza contenuto; lette, invece, alla luce della teologia della Croce di san Bonaventura, esse sono un’espressione limpida e realistica della spiritualità francescana: “Se ora brami sapere come ciò avvenga (cioè la salita verso Dio), interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; … non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio” (VII, 6). Tutto questo non è anti-intellettuale e non è anti-razionale: suppone il cammino della ragione, ma lo trascende nell’amore del Cristo crocifisso. Con questa trasformazione della mistica dello Pseudo-Dionigi, san Bonaventura si pone agli inizi di una grande corrente mistica, che ha molto elevato e purificato la mente umana: è un vertice nella storia dello spirito umano.

Questa teologia della Croce, nata dall’incontro tra la teologia dello Pseudo-Dionigi e la spiritualità francescana, non ci deve far dimenticare che san Bonaventura condivide con san Francesco d’Assisi anche l’amore per il creato, la gioia per la bellezza della creazione di Dio. Cito su questo punto una frase del primo capitolo dell’”Itinerario”: “Colui… che non vede gli splendori innumerevoli delle creature, è cieco; colui che non si sveglia per le tante voci, è sordo; colui che per tutte queste meraviglie non loda Dio, è muto; colui che da tanti segni non si innalza al primo principio, è stolto” (I, 15). Tutta la creazione parla ad alta voce di Dio, del Dio buono e bello; del suo amore.

Tutta la nostra vita è quindi per san Bonaventura un “itinerario”, un pellegrinaggio – una salita verso Dio. Ma con le nostre sole forze non possiamo salire verso l’altezza di Dio. Dio stesso deve aiutarci, deve “tirarci” in alto. Perciò è necessaria la preghiera. La preghiera - così dice il Santo - è la madre e l’origine della elevazione - “sursum actio”, azione che ci porta in alto - dice Bonaventura. Concludo perciò con la preghiera, con la quale comincia il suo “Itinerario”: “Preghiamo dunque e diciamo al Signore Dio nostro: ‘Conducimi, Signore, nella tua via e io camminerò nella tua verità. Si rallegri il mio cuore nel temere il tuo nome’ ” (I, 1).

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. L’esempio di San Bonaventura, il quale con passione approfondiva la dottrina della Chiesa, incoraggi ad approfondire la propria cultura religiosa attraverso lo studio scientifico, attraverso la lettura dei libri e la stampa cattolica e anche attraverso i programmi religiosi, che i mass media offrono. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i fedeli di lingua ungherese, specialmente quelli che sono arrivati da Budapest, da Pócspetri, Mérk e Vállaj. Chiedendo la intercessione di San Giuseppe, volentieri imparto su di voi la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Con gioia saluto tutti i pellegrini Croati, e in modo particolare la delegazione del Ministero del turismo, i governatori, i pittori ed i lavoratori turistici insieme con il Vescovo di Varazdin, S.E. Mons. Josip Mrzljak. Il cammino quaresimale verso la passione, la morte e la gloriosa Risurrezione di Cristo, vi rafforzi nella fede, speranza e carità. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente gli studenti e i docenti della Facoltà di Diritto dell’Università Matej Bel di Banská Bystrica.
Cari fratelli e sorelle, il Tempo della Quaresima ci esorta a riconoscere Gesù Cristo come nostra suprema speranza. Vi invito ad essere nel mondo testimoni fedeli della Buona Novella della redenzione.
Volentieri benedico voi e le vostre famiglie.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della Diocesi di Ivrea con il loro Pastore Mons. Arrigo Miglio, qui convenuti per ricambiare la visita, che ho avuto la gioia di compiere nella loro terra nello scorso mese di luglio. Cari amici, ancora una volta vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per la vostra Comunità diocesana una rinnovata, fedele e generosa adesione a Cristo e alla sua Chiesa. Saluto Mons. Renato Boccardo, Arcivescovo di Norcia-Spoleto, con la delegazione reduce dalla diocesi americana di Trenton ove è stata accesa la "Fiaccola Benedettina per la pace”. Possa tale impresa contribuire alla formazione di una coscienza attenta alla solidarietà ed alla cultura della pace, seguendo l'esempio di San Benedetto, apostolo infaticabile tra i popoli dell'Europa. Saluto le rappresentati dell’Associazione Donneuropee-Federcasalinghe e quelle della Fondazione Hruby, nel ringraziarvi per la vostra presenza, auspico che il tempo quaresimale, che stiamo vivendo, confermi la vostra fede e il vostro impegno di testimonianza evangelica.

Ed ora il mio saluto va ai giovani. Cari giovani, incontrarvi è sempre per me motivo di consolazione e di speranza, perché la vostra età è la primavera della vita. Siate sempre fedeli all'amore che Dio ha per voi. Rivolgo ora un pensiero affettuoso a voi, cari ammalati. Quando si soffre, tutta la realtà in noi e attorno a noi sembra rabbuiarsi, ma, nell'intimo del nostro cuore, questo non deve spegnere la luce consolante della fede. Cristo con la sua croce ci sostiene nella prova. E voi, cari sposi novelli, che saluto cordialmente, siate grati a Dio per il dono della famiglia. Contando sempre sul suo aiuto, fate della vostra esistenza una missione di amore fedele e generoso.





Piazza San Pietro

Mercoledì, 24 marzo 2010: Sant'Alberto Magno

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Cari fratelli e sorelle,

uno dei più grandi maestri della teologia medioevale è sant’Alberto Magno. Il titolo di “grande” (magnus), con il quale egli è passato alla storia, indica la vastità e la profondità della sua dottrina, che egli associò alla santità della vita. Ma già i suoi contemporanei non esitavano ad attribuirgli titoli eccellenti; un suo discepolo, Ulrico di Strasburgo, lo definì “stupore e miracolo della nostra epoca”.

Nacque in Germania all’inizio del XIII secolo, e ancora molto giovane si recò in Italia, a Padova, sede di una delle più famose università del Medioevo. Si dedicò allo studio delle cosiddette “arti liberali”: grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica, cioè della cultura generale, manifestando quel tipico interesse per le scienze naturali, che sarebbe diventato ben presto il campo prediletto della sua specializzazione. Durante il soggiorno a Padova, frequentò la chiesa dei Domenicani, ai quali poi si unì con la professione dei voti religiosi. Le fonti agiografiche lasciano capire che Alberto maturò gradualmente questa decisione. Il rapporto intenso con Dio, l’esempio di santità dei Frati domenicani, l’ascolto dei sermoni del Beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico nella guida dell’Ordine dei Predicatori, furono i fattori decisivi che lo aiutarono a superare ogni dubbio, vincendo anche resistenze familiari. Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequenza ai Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio. Ricevette l’abito religioso dal beato Giordano di Sassonia.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, i Superiori lo destinarono all’insegnamento in vari centri di studi teologici annessi ai conventi dei Padri domenicani. Le brillanti qualità intellettuali gli permisero di perfezionare lo studio della teologia nell’università più celebre dell’epoca, quella di Parigi. Fin da allora sant’Alberto intraprese quella straordinaria attività di scrittore, che avrebbe poi proseguito per tutta la vita.

Gli furono assegnati compiti prestigiosi. Nel 1248 fu incaricato di aprire uno studio teologico a Colonia, uno dei capoluoghi più importanti della Germania, dove egli visse a più riprese, e che divenne la sua città di adozione. Da Parigi portò con sé a Colonia un allievo eccezionale, Tommaso d’Aquino. Basterebbe solo il merito di essere stato maestro di san Tommaso, per nutrire profonda ammirazione verso sant’Alberto. Tra questi due grandi teologi si instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, attitudini umane che aiutano molto lo sviluppo della scienza. Nel 1254 Alberto fu eletto Provinciale della “Provincia Teutoniae” – teutonica - dei Padri domenicani, che comprendeva comunità diffuse in un vasto territorio del Centro e del Nord-Europa. Egli si distinse per lo zelo con cui esercitò tale ministero, visitando le comunità e richiamando costantemente i confratelli alla fedeltà, agli insegnamenti e agli esempi di san Domenico.

Le sue doti non sfuggirono al Papa di quell’epoca, Alessandro IV, che volle Alberto per un certo tempo accanto a sé ad Anagni - dove i Papi si recavano di frequente - a Roma stessa e a Viterbo, per avvalersi della sua consulenza teologica. Lo stesso Sommo Pontefice lo nominò Vescovo di Ratisbona, una grande e famosa diocesi, che si trovava, però, in un momento difficile. Dal 1260 al 1262 Alberto svolse questo ministero con infaticabile dedizione, riuscendo a portare pace e concordia nella città, a riorganizzare parrocchie e conventi, e a dare nuovo impulso alle attività caritative.

Negli anni 1263-1264 Alberto predicava in Germania ed in Boemia, incaricato dal Papa Urbano IV, per ritornare poi a Colonia e riprendere la sua missione di docente, di studioso e di scrittore. Essendo un uomo di preghiera, di scienza e di carità, godeva di grande autorevolezza nei suoi interventi, in varie vicende della Chiesa e della società del tempo: fu soprattutto uomo di riconciliazione e di pace a Colonia, dove l’Arcivescovo era entrato in duro contrasto con le istituzioni cittadine; si prodigò durante lo svolgimento del II Concilio di Lione, nel 1274, convocato dal Papa Gregorio X per favorire l’unione con i Greci, dopo la separazione del grande scisma d’Oriente del 1054; egli chiarì il pensiero di Tommaso d’Aquino, che era stato oggetto di obiezioni e persino di condanne del tutto ingiustificate.

Morì nella cella del suo convento della Santa Croce a Colonia nel 1280, e ben presto fu venerato dai confratelli. La Chiesa lo propose al culto dei fedeli con la beatificazione, nel 1622, e con la canonizzazione, nel 1931, quando il Papa Pio XI lo proclamò Dottore della Chiesa. Si trattava di un riconoscimento indubbiamente appropriato a questo grande uomo di Dio e insigne studioso non solo delle verità della fede, ma di moltissimi altri settori del sapere; infatti, dando uno sguardo ai titoli delle numerosissime opere, ci si rende conto che la sua cultura ha qualcosa di prodigioso, e che i suoi interessi enciclopedici lo portarono a occuparsi non solamente di filosofia e di teologia, come altri contemporanei, ma anche di ogni altra disciplina allora conosciuta, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla mineralogia, dalla botanica alla zoologia. Per questo motivo il Papa Pio XII lo nominò patrono dei cultori delle scienze naturali ed è chiamato anche “Doctor universalis” proprio per la vastità dei suoi interessi e del suo sapere.

Certamente, i metodi scientifici adoperati da sant’Alberto Magno non sono quelli che si sarebbero affermati nei secoli successivi. Il suo metodo consisteva semplicemente nell’osservazione, nella descrizione e nella classificazione dei fenomeni studiati, ma così ha aperto la porta per i lavori futuri.

Egli ha ancora molto da insegnare a noi. Soprattutto, sant’Alberto mostra che tra fede e scienza non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia. Un uomo di fede e di preghiera, quale fu sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio. La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio – che è somma intelligenza – ci rivela qualcosa di sé. Il libro della Sapienza, per esempio, afferma che i fenomeni della natura, dotati di grandezza e bellezza, sono come le opere di un artista, attraverso le quali, per analogia, noi possiamo conoscere l’Autore del creato (cfr
Sg 13,5). Con una similitudine classica nel Medioevo e nel Rinascimento si può paragonare il mondo naturale a un libro scritto da Dio, che noi leggiamo in base ai diversi approcci delle scienze (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 Ottobre 2008). Quanti scienziati, infatti, sulla scia di sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole! Lo studio scientifico si trasforma allora in un inno di lode. Lo aveva ben compreso un grande astrofisico dei nostri tempi, di cui è stata introdotta la causa di beatificazione, Enrico Medi, il quale scrisse: “Oh, voi misteriose galassie ..., io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare” (Le opere. Inno alla creazione).

Sant’Alberto Magno ci ricorda che tra scienza e fede c’è amicizia, e che gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità.

La sua straordinaria apertura di mente si rivela anche in un’operazione culturale che egli intraprese con successo, cioè nell’accoglienza e nella valorizzazione del pensiero di Aristotele. Ai tempi di sant’Alberto, infatti, si stava diffondendo la conoscenza di numerose opere di questo grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, soprattutto nell’ambito dell’etica e della metafisica. Esse dimostravano la forza della ragione, spiegavano con lucidità e chiarezza il senso e la struttura della realtà, la sua intelligibilità, il valore e il fine delle azioni umane. Sant’Alberto Magno ha aperto la porta per la recezione completa della filosofia di Aristotele nella filosofia e teologia medioevale, una recezione elaborata poi in modo definitivo da S. Tommaso. Questa recezione di una filosofia, diciamo, pagana pre-cristiana fu un’autentica rivoluzione culturale per quel tempo. Eppure, molti pensatori cristiani temevano la filosofia di Aristotele, la filosofia non cristiana, soprattutto perché essa, presentata dai suoi commentatori arabi, era stata interpretata in modo da apparire, almeno in alcuni punti, come del tutto inconciliabile con la fede cristiana. Si poneva cioè un dilemma: fede e ragione sono in contrasto tra loro o no?

Sta qui uno dei grandi meriti di sant’Alberto: con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele, convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre Scritture. In altre parole, sant’Alberto Magno, ha così contribuito alla formazione di una filosofia autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall’unità della verità. Così è nata nel XIII secolo una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che, in dialogo tra di loro, cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo, assetato di verità e di beatitudine: ed è soprattutto la teologia, definita da sant’Alberto “scienza affettiva”, quella che indica all’uomo la sua chiamata alla gioia eterna, una gioia che sgorga dalla piena adesione alla verità.

Sant’Alberto Magno fu capace di comunicare questi concetti in modo semplice e comprensibile. Autentico figlio di san Domenico, predicava volentieri al popolo di Dio, che rimaneva conquistato dalla sua parola e dall’esempio della sua vita.

Cari fratelli e sorelle, preghiamo il Signore perché non vengano mai a mancare nella santa Chiesa teologi dotti, pii e sapienti come sant’Alberto Magno e aiuti ciascuno di noi a fare propria la “formula della santità” che egli seguì nella sua vita: “Volere tutto ciò che io voglio per la gloria di Dio, come Dio vuole per la sua gloria tutto ciò che Egli vuole”, conformarsi cioè sempre alla volontà di Dio per volere e fare tutto solo e sempre per la Sua gloria.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Cari fratelli e sorelle. Domani ricorre la solennità dell’Annunciazione del Signore. In Polonia essa è celebrata anche come Giornata della Sacralità della Vita. Il mistero dell’Incarnazione svela il particolare valore e la dignità della vita umana. Dio ci ha dato questo dono e lo ha santificato, quando il Figlio si è fatto uomo ed è nato da Maria. Bisogna salvaguardare questo dono dal concepimento fino alla morte naturale. Con tutto il cuore mi unisco a coloro che intraprendono diverse iniziative a favore del rispetto per la vita e per la promozione della nuova sensibilità sociale. Dio vi benedica!

Saluto in lingua ungherese:

Un saluto cordiale rivolgo ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai membri del gruppo di Cluj-Napoca. Vi sono grato per le vostre preghiere. La Quaresima è il tempo opportuno per trasformare la nostra vita. Nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità regni sempre lo spirito di riconciliazione e di reciproca benevolenza. Dio vi benedica. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Con grande gioia saluto tutti i pellegrini Croati, e in modo particolare i poliziotti di Split, i medici ed il personale dell’Ospedale per i fanciulli di Zagreb ed i docenti e studenti del Ginnasio di Mostar. Nell’attesa di rivivere l’entrata di Cristo a Gerusalemme ed il suo abbandono alla volontà del Padre, prendiamo coscienza di quanto egli ci ha amato e, a nostra volta, amiamo i nostri fratelli. Siano lodati Gesù e Maria!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i diversi gruppi di religiose qui presenti, assicurando la mia preghiera per loro e per i rispettivi Istituti, affinché sappiano annunciare con rinnovata gioia Gesù Cristo, Salvatore del mondo. Saluto i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi del Movimento dei Focolari, ed auspico di cuore che questa visita rinsaldi in ciascuno la fedeltà al Vangelo e l'amore alla Chiesa.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. La Solennità dell'Annunciazione, che domani celebreremo, sia per tutti un invito a seguire l'esempio di Maria Santissima: per voi, cari giovani, si traduca in pronta disponibilità alla chiamata del Padre, perché possiate essere fermento evangelico nella società; per voi, cari ammalati, sia sprone a rinnovare l'accettazione serena e confidente della volontà divina e a trasformare la vostra sofferenza in mezzo di redenzione dell'intera umanità; il sì di Maria susciti in voi, cari sposi novelli, un sempre più generoso impegno nel costruire una famiglia fondata sul reciproco amore e sui perenni valori cristiani.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 31 marzo 2010: Triduo pasquale

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Cari Fratelli e Sorelle,

stiamo vivendo i giorni santi che ci invitano a meditare gli eventi centrali della nostra Redenzione, il nucleo essenziale della nostra fede. Domani inizia il Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico, nel quale siamo chiamati al silenzio e alla preghiera per contemplare il mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore.

Nelle omelie i Padri fanno spesso riferimento a questi giorni che, come osserva Sant’Atanasio in una delle sue Lettere Pasquali, ci introducono «in quel tempo che ci fa conoscere un nuovo inizio, il giorno della Santa Pasqua, nella quale il Signore si è immolato» (Lett.5,1-2: PG 26,1379).

Vi esorto pertanto a vivere intensamente questi giorni affinché orientino decisamente la vita di ciascuno all'adesione generosa e convinta a Cristo, morto e risorto per noi.

La Santa Messa Crismale, preludio mattutino del Giovedì Santo, vedrà domani mattina riuniti i presbiteri con il proprio Vescovo. Nel corso di una significativa celebrazione eucaristica, che ha luogo solitamente nelle Cattedrali diocesane, verranno benedetti l’olio degli infermi, dei catecumeni e il Crisma. Inoltre, il Vescovo e i Presbiteri, rinnoveranno le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’Ordinazione. Tale gesto assume quest’anno, un rilievo tutto speciale, perché collocato nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, che ho indetto per commemorare il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. A tutti i Sacerdoti vorrei ripetere l’auspicio che formulavo a conclusione della Lettera di indizione: «Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Cristo e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!».

Domani pomeriggio celebreremo il momento istitutivo dell’Eucaristia. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, confermava i primi cristiani nella verità del mistero eucaristico, comunicando loro quanto egli stesso aveva appreso: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (
1Co 11,23-25). Queste parole manifestano con chiarezza l’intenzione di Cristo: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato quale sacrificio della Nuova Alleanza. Al tempo stesso, Egli costituisce gli Apostoli e i loro successori ministri di questo sacramento, che consegna alla sua Chiesa come prova suprema del suo amore.

Con suggestivo rito, ricorderemo, inoltre, il gesto di Gesù che lava i piedi agli Apostoli (cfr Jn 13,1-25). Tale atto diviene per l’evangelista la rappresentazione di tutta la vita di Gesù e rivela il suo amore sino alla fine, un amore infinito, capace di abilitare l’uomo alla comunione con Dio e di renderlo libero. Al termine della liturgia del Giovedì santo, la Chiesa ripone il Santissimo Sacramento in un luogo appositamente preparato, che sta a rappresentare la solitudine del Getsemani e l’angoscia mortale di Gesù. Davanti all’Eucarestia, i fedeli contemplano Gesù nell’ora della sua solitudine e pregano affinché cessino tutte le solitudini del mondo. Questo cammino liturgico è, altresì, invito a cercare l’incontro intimo col Signore nella preghiera, a riconoscere Gesù fra coloro che sono soli, a vegliare con lui e a saperlo proclamare luce della propria vita.

Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore. Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante: la crocifissione. Esiste una inscindibile connessione fra l’Ultima Cena e la morte di Gesù. Nella prima Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue, ossia la sua esistenza terrena, se stesso, anticipando la sua morte e trasformandola in un atto di amore. Così la morte che, per sua natura, è la fine, la distruzione di ogni relazione, viene da lui resa atto di comunicazione di sé, strumento di salvezza e proclamazione della vittoria dell’amore. In tal modo, Gesù diventa la chiave per comprendere l’Ultima Cena che è anticipazione della trasformazione della morte violenta in sacrificio volontario, in atto di amore che redime e salva il mondo.

Il Sabato Santo è caratterizzato da un grande silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. In questo tempo di attesa e di speranza, i credenti sono invitati alla preghiera, alla riflessione, alla conversione, anche attraverso il sacramento della riconciliazione, per poter partecipare, intimamente rinnovati, alla celebrazione della Pasqua.

Nella notte del Sabato Santo, durante la solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", tale silenzio sarà rotto dal canto dell’Alleluia, che annuncia la resurrezione di Cristo e proclama la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. La Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore, entrando nel giorno della Pasqua che il Signore inaugura risorgendo dai morti.

Cari Fratelli e Sorelle, disponiamoci a vivere intensamente questo Triduo Santo ormai imminente, per essere sempre più profondamente inseriti nel Mistero di Cristo, morto e risorto per noi. Ci accompagni in questo itinerario spirituale la Vergine Santissima. Lei che seguì Gesù nella sua passione e fu presente sotto la Croce, ci introduca nel mistero pasquale, perché possiamo sperimentare la letizia e la pace del Risorto.

Con questi sentimenti, ricambio fin d’ora i più cordiali auguri di santa Pasqua a tutti voi, estendendoli alle vostre Comunità e a tutti i vostri cari.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Cari polacchi, sorelle e fratelli. Saluto cordialmente voi qui presenti, i vostri cari e tutti coloro che durante questi grandi giorni vegliano accanto a Cristo, meditando i misteri del Cenacolo, del Calvario, del Sepolcro vuoto. I salvifici misteri siano per voi fonte di fede viva e di speranza cristiana. Auguro che la Settimana Santa rechi abbondanti frutti spirituali, per giungere alla gioia della Domenica di Risurrezione. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua croata:

Cordialmente saluto tutti i pellegrini Croati, e in modo particolare gli studenti del II° liceo di Split. Cari amici, Gesù ci ha amato fino alla fine e ci ha lasciato l’esempio. SeguiteLo con cuore fiducioso dal Cenacolo, attraverso la passione del Getsèmani fino al sacrificio sulla croce verso la gloriosa Risurrezione per essere suoi testimoni. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lituana:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Lituania. Sia lodato Gesù Cristo! Cari Fratelli e Sorelle, invoco su di voi, sulle vostre famiglie e sull’intera vostra Patria l’abbondanza dei doni celesti. A tutti imparto la Benedizione Apostolica. Buona Santa Pasqua!

Saluto in lingua bielorussa:

Saluto con affetto il coro giovanile proveniente da Minsk, in Bielorussia. Cari giovani vi auguro di celebrare degnamente la passione, morte e risurrezione del Nostro Signore. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Nel rivolgere un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, saluto gli universitari, provenienti da diversi Paesi, che partecipano al Congresso internazionale promosso dalla Prelatura dell’Opus Dei. Cari amici, siete venuti a Roma in occasione della Settimana Santa per una esperienza di fede, di amicizia e di arricchimento spirituale. Vi invito a riflettere sull’importanza degli studi universitari per formare quella “mentalità cattolica universale” che san Josemaria descriveva così: “ampiezza di orizzonti e vigoroso approfondimento di ciò che è perennemente vivo nell’ortodossia cattolica”. Si accresca in ciascuno il desiderio di incontrare personalmente Gesù Cristo, per testimoniarlo con gioia in ogni ambiente. Saluto, inoltre, i partecipanti al torneo di calcio “Città di Rieti”, come pure i rappresentanti della Scuola “Monsignor Manfredini”, di Varese. Tutti ringrazio per la loro visita, augurando a ciascuno che questi giorni della Settimana Santa siano occasione propizia per rafforzare la fede e l'adesione al Vangelo.

Rivolgo infine il mio cordiale pensiero ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. La contemplazione della passione, morte e risurrezione di Gesù, cari giovani, vi renda sempre più saldi nella testimonianza cristiana. E voi, cari ammalati, traete dalla Croce di Cristo il sostegno quotidiano per superare i momenti di prova e di sconforto. A voi, cari sposi novelli, venga dal mistero pasquale, che in questi giorni contempliamo, un incoraggiamento a fare della vostra famiglia un luogo di amore fedele e fecondo.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 7 aprile 2010: L'ottava di Pasqua


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