Catechesi 2005-2013 16100

Mercoledì, 16 giugno 2010 - San Tommaso d'Aquino (2)

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Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei continuare la presentazione di san Tommaso d’Aquino, un teologo di tale valore che lo studio del suo pensiero è stato esplicitamente raccomandato dal Concilio Vaticano II in due documenti, il decreto Optatam totius, sulla formazione al sacerdozio, e la dichiarazione Gravissimum educationis, che tratta dell’educazione cristiana. Del resto, già nel 1880 il Papa Leone XIII, suo grande estimatore e promotore di studi tomistici, volle dichiarare san Tommaso Patrono delle Scuole e delle Università Cattoliche.

Il motivo principale di questo apprezzamento risiede non solo nel contenuto del suo insegnamento, ma anche nel metodo da lui adottato, soprattutto la sua nuova sintesi e distinzione tra filosofia e teologia. I Padri della Chiesa si trovavano confrontati con diverse filosofie di tipo platonico, nelle quali si presentava una visione completa del mondo e della vita, includendo la questione di Dio e della religione. Nel confronto con queste filosofie, loro stessi avevano elaborato una visione completa della realtà, partendo dalla fede e usando elementi del platonismo, per rispondere alle questioni essenziali degli uomini. Questa visione, basata sulla rivelazione biblica ed elaborata con un platonismo corretto alla luce della fede, essi la chiamavano la "filosofia nostra". La parola "filosofia" non era quindi espressione di un sistema puramente razionale e, come tale, distinto dalla fede, ma indicava una visione complessiva della realtà, costruita nella luce della fede, ma fatta propria e pensata dalla ragione; una visione che, certo, andava oltre le capacità proprie della ragione, ma che, come tale, era anche soddisfacente per essa. Per san Tommaso l'incontro con la filosofia pre-cristiana di Aristotele (morto circa nel 322 a.C.) apriva una prospettiva nuova. La filosofia aristotelica era, ovviamente, una filosofia elaborata senza conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento, una spiegazione del mondo senza rivelazione, per la sola ragione. E questa razionalità conseguente era convincente. Così la vecchia forma della "filosofia nostra" dei Padri non funzionava più. La relazione tra filosofia e teologia, tra fede e ragione, era da ripensare. Esisteva una "filosofia" completa e convincente in se stessa, una razionalità precedente la fede, e poi la “teologia”, un pensare con la fede e nella fede. La questione pressante era questa: il mondo della razionalità, la filosofia pensata senza Cristo, e il mondo della fede sono compatibili? Oppure si escludono? Non mancavano elementi che affermavano l'incompatibilità tra i due mondi, ma san Tommaso era fermamente convinto della loro compatibilità - anzi che la filosofia elaborata senza conoscenza di Cristo quasi aspettava la luce di Gesù per essere completa. Questa è stata la grande “sorpresa” di san Tommaso, che ha determinato il suo cammino di pensatore. Mostrare questa indipendenza di filosofia e teologia e, nello stesso tempo, la loro reciproca relazionalità è stata la missione storica del grande maestro. E così si capisce che, nel XIX secolo, quando si dichiarava fortemente l'incompatibilità tra ragione moderna e fede, Papa Leone XIII indicò san Tommaso come guida nel dialogo tra l'una e l'altra. Nel suo lavoro teologico, san Tommaso suppone e concretizza questa relazionalità. La fede consolida, integra e illumina il patrimonio di verità che la ragione umana acquisisce. La fiducia che san Tommaso accorda a questi due strumenti della conoscenza – la fede e la ragione – può essere ricondotta alla convinzione che entrambe provengono dall’unica sorgente di ogni verità, il Logos divino, che opera sia nell’ambito della creazione, sia in quello della redenzione.

Insieme con l'accordo tra ragione e fede, si deve riconoscere, d'altra parte, che esse si avvalgono di procedimenti conoscitivi differenti. La ragione accoglie una verità in forza della sua evidenza intrinseca, mediata o immediata; la fede, invece, accetta una verità in base all’autorità della Parola di Dio che si rivela. Scrive san Tommaso al principio della sua Summa Theologiae: “Duplice è l’ordine delle scienze; alcune procedono da principi conosciuti mediante il lume naturale della ragione, come la matematica, la geometria e simili; altre procedono da principi conosciuti mediante una scienza superiore: come la prospettiva procede da principi conosciuti mediante la geometria e la musica da principi conosciuti mediante la matematica. E in questo modo la sacra dottrina (cioè la teologia) è scienza perché procede dai principi conosciuti attraverso il lume di una scienza superiore, cioè la scienza di Dio e dei santi” (
I 1,2).

Questa distinzione assicura l’autonomia tanto delle scienze umane, quanto delle scienze teologiche. Essa però non equivale a separazione, ma implica piuttosto una reciproca e vantaggiosa collaborazione. La fede, infatti, protegge la ragione da ogni tentazione di sfiducia nelle proprie capacità, la stimola ad aprirsi a orizzonti sempre più vasti, tiene viva in essa la ricerca dei fondamenti e, quando la ragione stessa si applica alla sfera soprannaturale del rapporto tra Dio e uomo, arricchisce il suo lavoro. Secondo san Tommaso, per esempio, la ragione umana può senz’altro giungere all’affermazione dell’esistenza di un unico Dio, ma solo la fede, che accoglie la Rivelazione divina, è in grado di attingere al mistero dell’Amore di Dio Uno e Trino.

D’altra parte, non è soltanto la fede che aiuta la ragione. Anche la ragione, con i suoi mezzi, può fare qualcosa di importante per la fede, rendendole un triplice servizio che san Tommaso riassume nel proemio del suo commento al De Trinitate di Boezio: “Dimostrare i fondamenti della fede; spiegare mediante similitudini le verità della fede; respingere le obiezioni che si sollevano contro la fede” (q. 2, a. 2). Tutta la storia della teologia è, in fondo, l’esercizio di questo impegno dell’intelligenza, che mostra l’intelligibilità della fede, la sua articolazione e armonia interna, la sua ragionevolezza e la sua capacità di promuovere il bene dell’uomo. La correttezza dei ragionamenti teologici e il loro reale significato conoscitivo si basano sul valore del linguaggio teologico, che è, secondo san Tommaso, principalmente un linguaggio analogico. La distanza tra Dio, il Creatore, e l'essere delle sue creature è infinita; la dissimilitudine è sempre più grande che la similitudine (cfr DS 806). Ciononostante, in tutta la differenza tra Creatore e creatura, esiste un'analogia tra l'essere creato e l'essere del Creatore, che ci permette di parlare con parole umane su Dio.

San Tommaso ha fondato la dottrina dell’analogia, oltre che su argomentazioni squisitamente filosofiche, anche sul fatto che con la Rivelazione Dio stesso ci ha parlato e ci ha, dunque, autorizzato a parlare di Lui. Ritengo importante richiamare questa dottrina. Essa, infatti, ci aiuta a superare alcune obiezioni dell’ateismo contemporaneo, il quale nega che il linguaggio religioso sia fornito di un significato oggettivo, e sostiene invece che abbia solo un valore soggettivo o semplicemente emotivo. Questa obiezione risulta dal fatto che il pensiero positivistico è convinto che l'uomo non conosce l'essere, ma solo le funzioni sperimentabili della realtà. Con san Tommaso e con la grande tradizione filosofica noi siamo convinti, che, in realtà, l'uomo non conosce solo le funzioni, oggetto delle scienze naturali, ma conosce qualcosa dell'essere stesso - per esempio conosce la persona, il Tu dell'altro, e non solo l'aspetto fisico e biologico del suo essere.

Alla luce di questo insegnamento di san Tommaso, la teologia afferma che, per quanto limitato, il linguaggio religioso è dotato di senso - perché tocchiamo l’essere -, come una freccia che si dirige verso la realtà che significa. Questo accordo fondamentale tra ragione umana e fede cristiana è ravvisato in un altro principio basilare del pensiero dell’Aquinate: la Grazia divina non annulla, ma suppone e perfeziona la natura umana. Quest’ultima, infatti, anche dopo il peccato, non è completamente corrotta, ma ferita e indebolita. La Grazia, elargita da Dio e comunicata attraverso il Mistero del Verbo incarnato, è un dono assolutamente gratuito con cui la natura viene guarita, potenziata e aiutata a perseguire il desiderio innato nel cuore di ogni uomo e di ogni donna: la felicità. Tutte le facoltà dell’essere umano vengono purificate, trasformate ed elevate dalla Grazia divina.

Un’importante applicazione di questa relazione tra la natura e la Grazia si ravvisa nella teologia morale di san Tommaso d’Aquino, che risulta di grande attualità. Al centro del suo insegnamento in questo campo, egli pone la legge nuova, che è la legge dello Spirito Santo. Con uno sguardo profondamente evangelico, insiste sul fatto che questa legge è la Grazia dello Spirito Santo data a tutti coloro che credono in Cristo. A tale Grazia si unisce l’insegnamento scritto e orale delle verità dottrinali e morali, trasmesso dalla Chiesa. San Tommaso, sottolineando il ruolo fondamentale, nella vita morale, dell’azione dello Spirito Santo, della Grazia, da cui scaturiscono le virtù teologali e morali, fa comprendere che ogni cristiano può raggiungere le alte prospettive del “Sermone della Montagna” se vive un rapporto autentico di fede in Cristo, se si apre all’azione del suo Santo Spirito. Però – aggiunge l’Aquinate – “anche se la grazia è più efficace della natura, tuttavia la natura è più essenziale per l’uomo” (Summa Theologiae, I-II 94,6, ad 2), per cui, nella prospettiva morale cristiana, c’è un posto per la ragione, la quale è capace di discernere la legge morale naturale. La ragione può riconoscerla considerando ciò che è bene fare e ciò che è bene evitare per il conseguimento di quella felicità che sta a cuore a ciascuno, e che impone anche una responsabilità verso gli altri, e, dunque, la ricerca del bene comune. In altre parole, le virtù dell’uomo, teologali e morali, sono radicate nella natura umana. La Grazia divina accompagna, sostiene e spinge l’impegno etico ma, di per sé, secondo san Tommaso, tutti gli uomini, credenti e non credenti, sono chiamati a riconoscere le esigenze della natura umana espresse nella legge naturale e ad ispirarsi ad essa nella formulazione delle leggi positive, quelle cioè emanate dalle autorità civili e politiche per regolare la convivenza umana.

Quando la legge naturale e la responsabilità che essa implica sono negate, si apre drammaticamente la via al relativismo etico sul piano individuale e al totalitarismo dello Stato sul piano politico. La difesa dei diritti universali dell’uomo e l’affermazione del valore assoluto della dignità della persona postulano un fondamento. Non è proprio la legge naturale questo fondamento, con i valori non negoziabili che essa indica? Il Venerabile Giovanni Paolo II scriveva nella sua Enciclica Evangelium vitae parole che rimangono di grande attualità: “Urge dunque, per l'avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l'esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell'essere umano, ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere” (n. EV 71).

In conclusione, Tommaso ci propone un concetto della ragione umana largo e fiducioso: largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; e fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le ispirazioni della fede cristiana, è promotrice di una civiltà che riconosce la dignità della persona, l'intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri. Non sorprende che la dottrina circa la dignità della persona, fondamentale per il riconoscimento dell’inviolabilità dei diritti dell’uomo, sia maturata in ambienti di pensiero che hanno raccolto l’eredità di san Tommaso d’Aquino, il quale aveva un concetto altissimo della creatura umana. La definì, con il suo linguaggio rigorosamente filosofico, come “ciò che di più perfetto si trova in tutta la natura, cioè un soggetto sussistente in una natura razionale” (Summa Theologiae, I 29,3).

La profondità del pensiero di san Tommaso d’Aquino sgorga – non dimentichiamolo mai – dalla sua fede viva e dalla sua pietà fervorosa, che esprimeva in preghiere ispirate, come questa in cui chiede a Dio: “Concedimi, ti prego, una volontà che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia e una fiducia che alla fine giunga a possederti”.

Saluti:

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto tutti i pellegrini Croati, particolarmente i fedeli provenienti dalla parrocchia di San Michele di Drinovci in Bosnia ed Erzegovina. Nutriti dai misteri della fede vicino alle tombe degli apostoli, cercate quello che viene dallo Spirito di Dio perché il vostro tempo, nella fatica e nel riposo, sia tutto orientato alla gloria di Dio. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Cari pellegrini polacchi. Domani si venera la memoria di San Alberto Chmielowski. Ricordando la sua dedizione ai poveri, ai senza tetto, ai malati incurabili, apriamo come lui i nostri cuori alle necessità dei nostri fratelli più bisognosi. Impariamo da lui “ad essere buoni come il pane”. Imitiamolo nel tendere alla santità. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti dalla parrocchia di Velký Lapáš e dalla Scuola František Hanák dei Padri Scolopi di Prievidza.
Fratelli e sorelle, in questo periodo si svolgono in Slovacchia le ordinazioni sacerdotali. Ringraziamo il Signore per questo dono di sacerdoti novelli, e preghiamo per loro perché siano ministri secondo il Cuore di Gesù. Con affetto benedico voi e tutti i sacerdoti novelli.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti novelli della diocesi di Brescia assicurando la mia preghiera affinché il loro ministero sia fecondo di preziosi frutti. Saluto il gruppo dei Frati Minori Conventuali provenienti dall’Africa per partecipare al Corso di Formazione Permanente: auspico che l’esempio del Poverello di Assisi conduca ciascuno di loro a conformarsi sempre di più a Cristo Signore. Saluto anche gli Ufficiali ed i militari della Scuola delle Trasmissioni e Informatica dell’Esercito Italiano ed i militari del IX Stormo “Francesco Baracca” di Grazzanise: auguro a tutti loro un proficuo impegno alla luce dei valori umani e cristiani. Rivolgo il mio pensiero ai partecipanti al Torneo Internazionale di Calcio “Memorial Vincenzo Romano” ed auguro di diffondere ovunque il perenne messaggio della solidarietà e della fraterna convivenza.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani attingete sempre da Cristo presente nell’Eucaristia l’alimento spirituale per avanzare nel cammino della santità; per voi, cari ammalati, Cristo sia il sostegno ed il conforto nella prova e nella sofferenza; e per voi, cari sposi novelli, il sacramento che vi ha radicati in Cristo sia la fonte che alimenta il vostro amore quotidiano.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 23 giugno 2010 - San Tommaso d'Aquino (3)

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Cari fratelli e sorelle,

vorrei oggi completare, con una terza parte, le mie catechesi su san Tommaso d’Aquino. Anche a più di settecento anni dopo la sua morte, possiamo imparare molto da lui. Lo ricordava anche il mio Predecessore, il Papa Paolo VI, che, in un discorso tenuto a Fossanova il 14 settembre 1974, in occasione del settimo centenario della morte di san Tommaso, si domandava: “Maestro Tommaso, quale lezione ci puoi dare?”. E rispondeva così: “la fiducia nella verità del pensiero religioso cattolico, quale da lui fu difeso, esposto, aperto alla capacità conoscitiva della mente umana” (Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974], pp. 833-834). E, nello stesso giorno, ad Aquino, riferendosi sempre a san Tommaso, affermava: “tutti, quanti siamo figli fedeli della Chiesa possiamo e dobbiamo, almeno in qualche misura, essere suoi discepoli!” (Ibid., p. 836).

Mettiamoci dunque anche noi alla scuola di san Tommaso e del suo capolavoro, la Summa Theologiae. Essa è rimasta incompiuta, e tuttavia è un’opera monumentale: contiene 512 questioni e 2669 articoli. Si tratta di un ragionamento serrato, in cui l’applicazione dell’intelligenza umana ai misteri della fede procede con chiarezza e profondità, intrecciando domande e risposte, nelle quali san Tommaso approfondisce l’insegnamento che viene dalla Sacra Scrittura e dai Padri della Chiesa, soprattutto da sant’Agostino. In questa riflessione, nell’incontro con vere domande del suo tempo, che sono anche spesso domande nostre, san Tommaso, utilizzando anche il metodo e il pensiero dei filosofi antichi, in particolare di Aristotele, arriva così a formulazioni precise, lucide e pertinenti delle verità di fede, dove la verità è dono della fede, risplende e diventa accessibile per noi, per la nostra riflessione. Tale sforzo, però, della mente umana – ricorda l’Aquinate con la sua stessa vita – è sempre illuminato dalla preghiera, dalla luce che viene dall’Alto. Solo chi vive con Dio e con i misteri può anche capire che cosa essi dicono.

Nella Summa di Teologia, san Tommaso parte dal fatto che ci sono tre diversi modi dell’essere e dell'essenza di Dio: Dio esiste in se stesso, è il principio e la fine di tutte le cose, per cui tutte le creature procedono e dipendono da Lui; poi Dio è presente attraverso la sua Grazia nella vita e nell’attività del cristiano, dei santi; infine, Dio è presente in modo del tutto speciale nella Persona di Cristo unito qui realmente con l'uomo Gesù, e operante nei Sacramenti, che scaturiscono dalla sua opera redentrice. Perciò, la struttura di questa monumentale opera (cfr. Jean-Pierre Torrell, La «Summa» di San Tommaso, Milano 2003, pp. 29-75), una ricerca con “sguardo teologico” della pienezza di Dio (cfr. Summa Theologiae,
I 1,7), è articolata in tre parti, ed è illustrata dallo stesso Doctor Communis – san Tommaso - con queste parole: “Lo scopo principale della sacra dottrina è quello di far conoscere Dio, e non soltanto in se stesso, ma anche in quanto è principio e fine delle cose, e specialmente della creatura ragionevole. Nell’intento di esporre questa dottrina, noi tratteremo per primo di Dio; per secondo del movimento della creatura verso Dio; e per terzo del Cristo, il quale, in quanto uomo, è per noi via per ascendere a Dio” (Ibid., I 2,0). È un circolo: Dio in se stesso, che esce da se stesso e ci prende per mano, così che con Cristo ritorniamo a Dio, siamo uniti a Dio, e Dio sarà tutto in tutti.

La prima parte della Summa Theologiae indaga dunque su Dio in se stesso, sul mistero della Trinità e sull’attività creatrice di Dio. In questa parte troviamo anche una profonda riflessione sulla realtà autentica dell’essere umano in quanto uscito dalle mani creatrici di Dio, frutto del suo amore. Da una parte siamo un essere creato, dipendente, non veniamo da noi stessi; ma, dall’altra, abbiamo una vera autonomia, così che siamo non solo qualcosa di apparente — come dicono alcuni filosofi platonici — ma una realtà voluta da Dio come tale, e con valore in se stessa.

Nella seconda parte san Tommaso considera l’uomo, spinto dalla Grazia, nella sua aspirazione a conoscere e ad amare Dio per essere felice nel tempo e nell’eternità. Per prima cosa, l’Autore presenta i principi teologici dell’agire morale, studiando come, nella libera scelta dell’uomo di compiere atti buoni, si integrano la ragione, la volontà e le passioni, a cui si aggiunge la forza che dona la Grazia di Dio attraverso le virtù e i doni dello Spirito Santo, come pure l’aiuto che viene offerto anche dalla legge morale. Quindi l'essere umano è un essere dinamico che cerca se stesso, cerca di divenire se stesso e cerca, in questo senso, di compiere atti che lo costruiscono, lo fanno veramente uomo; e qui entra la legge morale, entra la Grazia e la propria ragione, la volontà e le passioni. Su questo fondamento san Tommaso delinea la fisionomia dell’uomo che vive secondo lo Spirito e che diventa, così, un’icona di Dio. Qui l’Aquinate si sofferma a studiare le tre virtù teologali - fede, speranza e carità -, seguite dall’esame acuto di più di cinquanta virtù morali, organizzate attorno alle quattro virtù cardinali - la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. Termina poi con la riflessione sulle diverse vocazioni nella Chiesa.

Nella terza parte della Summa,san Tommaso studia il Mistero di Cristo - la via e la verità - per mezzo del quale noi possiamo ricongiungerci a Dio Padre. In questa sezione scrive pagine pressoché insuperate sul Mistero dell’Incarnazione e della Passione di Gesù, aggiungendo poi un’ampia trattazione sui sette Sacramenti, perché in essi il Verbo divino incarnato estende i benefici dell’Incarnazione per la nostra salvezza, per il nostro cammino di fede verso Dio e la vita eterna, rimane materialmente quasi presente con le realtà della creazione, ci tocca così nell'intimo.

Parlando dei Sacramenti, san Tommaso si sofferma in modo particolare sul Mistero dell’Eucaristia, per il quale ebbe una grandissima devozione, al punto che, secondo gli antichi biografi, era solito accostare il suo capo al Tabernacolo, come per sentire palpitare il Cuore divino e umano di Gesù. In una sua opera di commento alla Scrittura, san Tommaso ci aiuta a capire l’eccellenza del Sacramento dell’Eucaristia, quando scrive: “Essendo l’Eucaristia il sacramento della Passione di nostro Signore, contiene in sé Gesù Cristo che patì per noi. Pertanto tutto ciò che è effetto della Passione di nostro Signore, è anche effetto di questo sacramento, non essendo esso altro che l’applicazione in noi della Passione del Signore” (In Ioannem, c.6, lect. 6, n. 963). Comprendiamo bene perché san Tommaso e altri santi abbiano celebrato la Santa Messa versando lacrime di compassione per il Signore, che si offre in sacrificio per noi, lacrime di gioia e di gratitudine.

Cari fratelli e sorelle, alla scuola dei santi, innamoriamoci di questo Sacramento! Partecipiamo alla Santa Messa con raccoglimento, per ottenerne i frutti spirituali, nutriamoci del Corpo e del Sangue del Signore, per essere incessantemente alimentati dalla Grazia divina! Intratteniamoci volentieri e frequentemente, a tu per tu, in compagnia del Santissimo Sacramento!

Quanto san Tommaso ha illustrato con rigore scientifico nelle sue opere teologiche maggiori, come appunto la Summa Theologiae, anche la Summa contra Gentiles è stato esposto anche nella sua predicazione, rivolta agli studenti e ai fedeli. Nel 1273, un anno prima della sua morte, durante l’intera Quaresima, egli tenne delle prediche nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Il contenuto di quei sermoni è stato raccolto e conservato: sono gli Opuscoli in cui egli spiega il Simbolo degli Apostoli, interpreta la preghiera del Padre Nostro, illustra il Decalogo e commenta l’Ave Maria. Il contenuto della predicazione del Doctor Angelicus corrisponde quasi del tutto alla struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Infatti, nella catechesi e nella predicazione, in un tempo come il nostro di rinnovato impegno per l’evangelizzazione, non dovrebbero mai mancare questi argomenti fondamentali: ciò che noi crediamo, ed ecco il Simbolo della fede; ciò che noi preghiamo, ed ecco il Padre Nostro e l’Ave Maria; e ciò che noi viviamo come ci insegna la Rivelazione biblica, ed ecco la legge dell’amore di Dio e del prossimo e i Dieci Comandamenti, come esplicazione di questo mandato dell'amore.

Vorrei proporre qualche esempio del contenuto, semplice, essenziale e convincente, dell’insegnamento di san Tommaso. Nel suo Opuscolo sul Simbolo degli Apostoli egli spiega il valore della fede. Per mezzo di essa, dice, l’anima si unisce a Dio, e si produce come un germoglio di vita eterna; la vita riceve un orientamento sicuro, e noi superiamo agevolmente le tentazioni. A chi obietta che la fede è una stoltezza, perché fa credere in qualcosa che non cade sotto l’esperienza dei sensi, san Tommaso offre una risposta molto articolata, e ricorda che questo è un dubbio inconsistente, perché l’intelligenza umana è limitata e non può conoscere tutto. Solo nel caso in cui noi potessimo conoscere perfettamente tutte le cose visibili e invisibili, allora sarebbe un’autentica stoltezza accettare delle verità per pura fede. Del resto, è impossibile vivere, osserva san Tommaso, senza fidarsi dell’esperienza altrui, là dove la personale conoscenza non arriva. È ragionevole dunque prestare fede a Dio che si rivela e alla testimonianza degli Apostoli: essi erano pochi, semplici e poveri, affranti a motivo della Crocifissione del loro Maestro; eppure molte persone sapienti, nobili e ricche si sono convertite in poco tempo all’ascolto della loro predicazione. Si tratta, in effetti, di un fenomeno storicamente prodigioso, a cui difficilmente si può dare altra ragionevole risposta, se non quella dell’incontro degli Apostoli con il Signore Risorto.

Commentando l’articolo del Simbolo sull’Incarnazione del Verbo divino, san Tommaso fa alcune considerazioni. Afferma che la fede cristiana, considerando il mistero dell’Incarnazione, viene ad essere rafforzata; la speranza si eleva più fiduciosa, al pensiero che il Figlio di Dio è venuto tra noi, come uno di noi, per comunicare agli uomini la propria divinità; la carità è ravvivata, perché non vi è segno più evidente dell’amore di Dio per noi, quanto vedere il Creatore dell’universo farsi egli stesso creatura, uno di noi. Infine, considerando il mistero dell’Incarnazione di Dio, sentiamo infiammarsi il nostro desiderio di raggiungere Cristo nella gloria. Adoperando un semplice ed efficace paragone, san Tommaso osserva: “Se il fratello di un re stesse lontano, certo bramerebbe di potergli vivere accanto. Ebbene, Cristo ci è fratello: dobbiamo quindi desiderare la sua compagnia, diventare un solo cuore con lui” (Opuscoli teologico-spirituali, Roma 1976, p. 64).

Presentando la preghiera del Padre Nostro, san Tommaso mostra che essa è in sé perfetta, avendo tutte e cinque le caratteristiche che un’orazione ben fatta dovrebbe possedere: fiducioso e tranquillo abbandono; convenienza del suo contenuto, perché – osserva san Tommaso – “è assai difficile saper esattamente cosa sia opportuno chiedere e cosa no, dal momento che siamo in difficoltà di fronte alla selezione dei desideri” (Ibid., p. 120); e poi ordine appropriato delle richieste, fervore di carità e sincerità dell’umiltà.

San Tommaso è stato, come tutti i santi, un grande devoto della Madonna. L’ha definita con un appellativo stupendo: Triclinium totius Trinitatis, triclinio, cioè luogo dove la Trinità trova il suo riposo, perché, a motivo dell’Incarnazione, in nessuna creatura, come in Lei, le tre divine Persone inabitano e provano delizia e gioia a vivere nella sua anima piena di Grazia. Per la sua intercessione possiamo ottenere ogni aiuto.

Con una preghiera, che tradizionalmente viene attribuita a san Tommaso e che, in ogni caso, riflette gli elementi della sua profonda devozione mariana, anche noi diciamo: “O beatissima e dolcissima Vergine Maria, Madre di Dio..., io affido al tuo cuore misericordioso tutta la mia vita... Ottienimi, o mia dolcissima Signora, carità vera, con la quale possa amare con tutto il cuore il tuo santissimo Figlio e te, dopo di lui, sopra tutte le cose, e il prossimo in Dio e per Dio”.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini della Parrocchia della Natività di Maria, di Jimramov!
Domani celebreremo la festa di San Giovanni Battista. Carissimi, la vocazione di questo grande Profeta fu quella di preparare la via al nostro Signore. Anche noi, ciascuno secondo la propria vocazione, dobbiamo portare Cristo nel mondo di oggi.
Siate forti nel Signore! Vi benedico tutti.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Con gioia saluto tutti i pellegrini Croati, in modo particolare quelli provenienti da Zagabria e dalla parrocchia del Buon Pastore a Brestje. Cari amici, il Signore vi sia di sostegno nel cammino della vita e la Sua benedizione accompagni voi, le vostre famiglie, le vostre comunità parrocchiali e quanti vi stanno a cuore. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Do il cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. In modo particolare mi rivolgo ai diaconi dal Seminario Maggiore di Cracovia. Per il vostro tramite trasmetto il mio saluto e la benedizione a tutti i seminaristi in Polonia. Siate grati a Dio per il dono della vocazione, abbiate cura di essa e con la vita esemplare suscitate il coraggio di coloro, che il Signore chiama, affinché non esitino di rispondere: “Eccomi, manda me!” (Is 8,8). Dio benedica tutti qui presenti.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi: in particolare quelli provenienti dalle parrocchie di Senica, Igram, Cadca – Kýcerka, Žilina, Predmier e quelli del Ginnasio Vavrinec Benedikt Nedožerský di Prievidza.
Fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo vi riempia di un nuovo zelo sulla via della testimonianza cristiana.
Con affetto benedico voi ed i vostri cari in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Un particolare saluto ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai Membri dei gruppi di Deva e Szombathely. Questa settimana celebreremo la festa del Re San Ladislao. Il suo esempio vi conforti nella fede.
La Benedizione Apostolica vi accompagni sulle vostre vie. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della parrocchia di San Gavino Martire, in Camposanto; i militari del 37° Stormo dell’Aeronautica, di Trapani; gli esponenti dell’Associazione “Orizzonte Malati”. Tutti ringrazio per questa visita e, mentre vi esorto a rinnovare propositi di generosa testimonianza cristiana, invoco su ciascuno la continua assistenza del Signore.

Saluto, ora, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Oggi ricorre la memoria liturgica di san Giuseppe Cafasso e il 150° anniversario della sua morte. L’esempio di questa attraente figura di sacerdote esemplare, cui vorrei dedicare la prossima catechesi del Mercoledì, aiuti voi, cari giovani, a sperimentare personalmente la forza liberatrice dell'amore di Cristo, che rinnova profondamente la vita dell'uomo; sostenga voi, cari malati, ad offrire le vostre sofferenze per la conversione di chi è prigioniero del male; incoraggi voi, cari sposi novelli, ad essere segno della fedeltà di Dio anche con il perdono reciproco, motivato dall'amore.




Piazza San Pietro

Mercoledì, 30 giugno 2010 - San Giuseppe Cafasso

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Cari fratelli e sorelle,

abbiamo da poco concluso l’Anno Sacerdotale: un tempo di grazia, che ha portato e porterà frutti preziosi alla Chiesa; un’opportunità per ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno risposto a questa particolare vocazione. Ci hanno accompagnato in questo cammino, come modelli e intercessori, il Santo Curato d’Ars ed altre figure di santi sacerdoti, vere luci nella storia della Chiesa. Oggi, come ho annunciato mercoledì scorso, vorrei ricordarne un’altra, che spicca sul gruppo dei “Santi sociali” nella Torino dell’Ottocento: si tratta di san Giuseppe Cafasso.

Il suo ricordo appare doveroso perché proprio una settimana fa ricorreva il 150° anniversario della morte, avvenuta nel capoluogo piemontese il 23 giugno 1860, all’età di 49 anni. Inoltre, mi piace ricordare che il Papa Pio XI, il 1° novembre 1924, approvando i miracoli per la canonizzazione di san Giovanni Maria Vianney e pubblicando il decreto di autorizzazione per la beatificazione del Cafasso, accostò queste due figure di sacerdoti con le seguenti parole: “Non senza una speciale e benefica disposizione della Divina Bontà abbiamo assistito a questo sorgere sull’orizzonte della Chiesa cattolica di nuovi astri, il parroco d’Ars, ed il Venerabile Servo di Dio, Giuseppe Cafasso. Proprio queste due belle, care, provvidamente opportune figure ci si dovevano oggi presentare; piccola e umile, povera e semplice, ma altrettanto gloriosa la figura del parroco d’Ars, e l’altra bella, grande, complessa, ricca figura di sacerdote, maestro e formatore di sacerdoti, il Venerabile Giuseppe Cafasso”. Si tratta di circostanze che ci offrono l’occasione per conoscere il messaggio, vivo e attuale, che emerge dalla vita di questo santo. Egli non fu parroco come il curato d’Ars, ma fu soprattutto formatore di parroci e preti diocesani, anzi di preti santi, tra i quali san Giovanni Bosco. Non fondò, come gli altri santi sacerdoti dell’Ottocento piemontese, istituti religiosi, perché la sua “fondazione” fu la “scuola di vita e di santità sacerdotale” che realizzò, con l’esempio e l’insegnamento, nel “Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi” a Torino.

Giuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d’Asti, lo stesso paese di san Giovanni Bosco, il 15 gennaio 1811. E’ il terzo di quattro figli. L’ultima, la sorella Marianna, sarà la mamma del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Nasce nella Piemonte ottocentesca caratterizzata da gravi problemi sociali, ma anche da tanti Santi che si impegnavano a porvi rimedio. Essi erano legati tra loro da un amore totale a Cristo e da una profonda carità verso i più poveri: la grazia del Signore sa diffondere e moltiplicare i semi di santità! Il Cafasso compì gli studi secondari e il biennio di filosofia nel Collegio di Chieri e, nel 1830, passò al Seminario teologico, dove, nel 1833, venne ordinato sacerdote. Quattro mesi più tardi fece il suo ingresso nel luogo che per lui resterà la fondamentale ed unica “tappa” della sua vita sacerdotale: il “Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi” a Torino. Entrato per perfezionarsi nella pastorale, qui egli mise a frutto le sue doti di direttore spirituale e il suo grande spirito di carità. Il Convitto, infatti, non era soltanto una scuola di teologia morale, dove i giovani preti, provenienti soprattutto dalla campagna, imparavano a confessare e a predicare, ma era anche una vera e propria scuola di vita sacerdotale, dove i presbiteri si formavano nella spiritualità di sant’Ignazio di Loyola e nella teologia morale e pastorale del grande Vescovo sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il tipo di prete che il Cafasso incontrò al Convitto e che egli stesso contribuì a rafforzare – soprattutto come Rettore - era quello del vero pastore con una ricca vita interiore e un profondo zelo nella cura pastorale: fedele alla preghiera, impegnato nella predicazione, nella catechesi, dedito alla celebrazione dell’Eucarestia e al ministero della Confessione, secondo il modello incarnato da san Carlo Borromeo, da san Francesco di Sales e promosso dal Concilio di Trento. Una felice espressione di san Giovanni Bosco, sintetizza il senso del lavoro educativo in quella Comunità: “al Convitto si imparava ad essere preti”.

San Giuseppe Cafasso cercò di realizzare questo modello nella formazione dei giovani sacerdoti, affinché, a loro volta, diventassero formatori di altri preti, religiosi e laici, secondo una speciale ed efficace catena. Dalla sua cattedra di teologia morale educava ad essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato. Tre erano le virtù principali del Cafasso docente, come ricorda san Giovanni Bosco: calma, accortezza e prudenza. Per lui la verifica dell’insegnamento trasmesso era costituita dal ministero della confessione, alla quale egli stesso dedicava molte ore della giornata; a lui accorrevano vescovi, sacerdoti, religiosi, laici eminenti e gente semplice: a tutti sapeva offrire il tempo necessario. Di molti, poi, che divennero santi e fondatori di istituti religiosi, egli fu sapiente consigliere spirituale. Il suo insegnamento non era mai astratto, basato soltanto sui libri che si utilizzavano in quel tempo, ma nasceva dall’esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell’animo umano acquisita nel lungo tempo trascorso in confessionale e nella direzione spirituale: la sua era una vera scuola di vita sacerdotale.

Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, “quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime”. Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico, come il buon pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale. Il beato don Clemente Marchisio, fondatore delle Figlie di san Giuseppe, affermava: “Entrai in Convitto essendo un gran birichino e un capo sventato, senza sapere cosa volesse dire essere prete, e ne uscii affatto diverso, pienamente compreso della dignità del sacerdote”. Quanti sacerdoti furono da lui formati nel Convitto e poi seguiti spiritualmente! Tra questi – come ho già detto - emerge san Giovanni Bosco, che lo ebbe come direttore spirituale per ben 25 anni, dal 1835 al 1860: prima come chierico, poi come prete e infine come fondatore. Tutte le scelte fondamentali della vita di san Giovanni Bosco ebbero come consigliere e guida san Giuseppe Cafasso, ma in un modo ben preciso: il Cafasso non cercò mai di formare in don Bosco un discepolo “a sua immagine e somiglianza” e don Bosco non copiò il Cafasso; lo imitò certo nelle virtù umane e sacerdotali - definendolo “modello di vita sacerdotale” -, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione; un segno della saggezza del maestro spirituale e dell’intelligenza del discepolo: il primo non si impose sul secondo, ma lo rispettò nella sua personalità e lo aiutò a leggere quale fosse la volontà di Dio su di lui. Cari amici, è questo un insegnamento prezioso per tutti coloro che sono impegnati nella formazione ed educazione delle giovani generazioni ed è anche un forte richiamo di quanto sia importante avere una guida spirituale nella propria vita, che aiuti a capire ciò che Dio vuole da noi. Con semplicità e profondità, il nostro Santo affermava: “Tutta la santità, la perfezione e il profitto di una persona sta nel fare perfettamente la volontà di Dio (…). Felici noi se giungessimo a versare così il nostro cuore dentro quello di Dio, unire talmente i nostri desideri, la nostra volontà alla sua da formare ed un cuore ed una volontà sola: volere quello che Dio vuole, volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze che vuole Lui e volere tutto ciò non per altro se non perché così vuole Iddio”.

Ma un altro elemento caratterizza il ministero del nostro Santo: l’attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati, che nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti. Anche in questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, egli fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui origine era Dio stesso. La semplice presenza del Cafasso faceva del bene: rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti. Nei primi tempi del suo ministero in mezzo ai carcerati, egli ricorreva spesso alle grandi predicazioni che arrivavano a coinvolgere quasi tutta la popolazione carceraria. Con il passare del tempo, privilegiò la catechesi spicciola, fatta nei colloqui e negli incontri personali: rispettoso delle vicende di ciascuno, affrontava i grandi temi della vita cristiana, parlando della confidenza in Dio, dell’adesione alla Sua volontà, dell’utilità della preghiera e dei sacramenti, il cui punto di arrivo è la Confessione, l’incontro con Dio fattosi per noi misericordia infinita. I condannati a morte furono oggetto di specialissime cure umane e spirituali. Egli accompagnò al patibolo, dopo averli confessati ed aver amministrato loro l’Eucaristia, 57 condannati a morte. Li accompagnava con profondo amore fino all’ultimo respiro della loro esistenza terrena.

Morì il 23 giugno 1860, dopo una vita offerta interamente al Signore e consumata per il prossimo. Il mio Predecessore, il venerabile servo di Dio Papa Pio XII, il 9 aprile 1948, lo proclamò patrono delle carceri italiane e, con l’Esortazione Apostolica Menti nostrae, il 23 settembre 1950, lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella Confessione e nella direzione spirituale.

Cari fratelli e sorelle, san Giuseppe Cafasso sia un richiamo per tutti ad intensificare il cammino verso la perfezione della vita cristiana, la santità; in particolare, ricordi ai sacerdoti l’importanza di dedicare tempo al Sacramento della Riconciliazione e alla direzione spirituale, e a tutti l’attenzione che dobbiamo avere verso i più bisognosi. Ci aiuti l’intercessione della Beata Vergine Maria, di cui san Giuseppe Cafasso era devotissimo e che chiamava “la nostra cara Madre, la nostra consolazione, la nostra speranza”.

Saluti:

Saluto in lingua ceca:

Ieri, nella solennità degli Apostoli Pietro e Paolo ho consegnato il Sacro Pallio anche al qui presente Arcivescovo di Praga, il caro Monsignor Dominik Duka.
Possa il Signore accompagnare Lui, e voi tutti, con la Sua benedizione!
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto tutti i pellegrini Croati. Cari amici, in occasione della solennità degli apostoli Pietro e Paolo, siete venuti alle loro tombe a manifestare la vostra fedeltà alla Sede Apostolica. La Benedizione, che volentieri vi imparto, vi aiuti a perseverare nella fede. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua polacca:

Do il cordiale benvenuto ai polacchi, e in modo particolare al Metropolita di Gniezno, Primate della Polonia Józef Kowalczyk e ai suoi ospiti. Da oltre mille anni, il legame della fede, della speranza e della carità unisce la Chiesa in Polonia e la Sede degli Apostoli Pietro e Paolo. Ringraziamo il Signore per questa comunione e chiediamo che la rafforzi sempre con la potenza dello Spirito Santo. A tutti auguro l’abbondanza delle benedizioni di Dio. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini provenienti dalla Slovacchia: da Belža, Habura, Radvan e Certižné. In particolare saluto l’Arcivescovo di Košice S.E.Mons. Bernard Bober e quelli che lo accompagnano.
Fratelli e sorelle, il Pallio che ha ricevuto ieri questo nuovo Metropolita è segno della comunione speciale con il Successore di Pietro. Il Signore vi benedica e protegga tutti per l’intercessione dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo il mio saluto all'Arcivescovo di Ljubljana Mons. Anton Stres, al quale ieri ho conferito il pallio. Caro fratello nell'Episcopato! I santi Apostoli Pietro e Paolo lavoravano instancabilmente per il vangelo e curavano l’unità della Chiesa. Il loro fulgido esempio La guidi nel ministero che Le è stato affidato. A Lei e a tutti i pellegrini sloveni qui presenti imparto l’Apostolica Benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i fedeli di lingua ungherese, specialmente i Membri del gruppo di Miskolc. Ieri abbiamo celebrato la festa degli Santi Apostoli, Pietro e Paolo. Il loro martirio e la loro confessione siano per noi di conforto nel cammino di ogni giorno.
Volentieri vi imparto la Benedizione apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!


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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Mi rivolgo innanzitutto agli Arcivescovi Metropoliti che ieri hanno ricevuto il Pallio e che sono lieto di accogliere in questa Udienza, unitamente ai loro familiari ed amici che li accompagnano. Saluto Monsignor Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve; Monsignor Andrea Bruno Mazzocato, Arcivescovo di Udine; Monsignor Antonio Lanfranchi, Arcivescovo di Modena-Nonantola; e Monsignor Luigi Moretti, Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno. Colui che vi ha scelto come Pastori del suo gregge, il Signore Gesù, vi sostenga nel vostro quotidiano servizio e con la forza dello Spirito Santo vi renda fedeli araldi del Vangelo. Saluto le Suore Mercedarie del Santissimo Sacramento, che ricordano il primo Centenario di fondazione del loro Istituto e i fedeli della parrocchia Santa Lucia a Mare, in Napoli. Tutti esorto a testimoniare con gioia l’amore che Cristo ha riversato nei nostri cuori.

Il mio pensiero si rivolge infine ai giovani, agli ammalati ed agli sposi novelli. Alla solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo celebrata ieri, segue oggi la memoria dei Primi Martiri Romani. Cari giovani, imitate la loro eroica testimonianza evangelica e siate fedeli a Cristo in ogni situazione della vita. Incoraggio voi, cari ammalati, ad accogliere l'esempio dei Protomartiri per trasformare la vostra sofferenza in atto di donazione per amore a Dio ed ai fratelli. Voi, cari sposi novelli, sappiate aderire al progetto che il Creatore ha stabilito per la vostra vocazione, così da giungere a realizzare un’unione familiare feconda e duratura.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 7 luglio 2010 - Giovanni Duns Scoto


Catechesi 2005-2013 16100