Catechesi 2005-2013 30013

Mercoledì, 30 gennaio 2013: Io credo in Dio: il Padre onnipotente

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Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ci siamo soffermati sulle parole iniziali del Credo: “Io credo in Dio”. Ma la professione di fede specifica questa affermazione: Dio è il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Vorrei dunque riflettere ora con voi sulla prima, fondamentale definizione di Dio che il Credo ci presenta: Egli è Padre.

Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli. La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia.

Ma la rivelazione biblica aiuta a superare queste difficoltà parlandoci di un Dio che ci mostra che cosa significhi veramente essere “padre”; ed è soprattutto il Vangelo che ci rivela questo volto di Dio come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità. Il riferimento alla figura paterna aiuta dunque a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo. «Chi di voi, – dice Gesù per mostrare ai discepoli il volto del Padre – al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono» (
Mt 7,9-11 cfr Lc 11,11-13). Dio ci è Padre perché ci ha benedetti e scelti prima della creazione del mondo (cfr Ep 1,3-6), ci ha resi realmente suoi figli in Gesù (cfr 1Jn 3,1). E, come Padre, Dio accompagna con amore la nostra esistenza, donandoci la sua Parola, il suo insegnamento, la sua grazia, il suo Spirito.

Egli - come rivela Gesù - è il Padre che nutre gli uccelli del cielo senza che essi debbano seminare e mietere, e riveste di colori meravigliosi i fiori dei campi, con vesti più belle di quelle del re Salomone (cfr Mt 6,26-32 Lc 12,24-28); e noi – aggiunge Gesù - valiamo ben più dei fiori e degli uccelli del cielo! E se Egli è così buono da far «sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e … piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a coloro che chiedono (cfr Mt 18,19 Mc 11,24 Jn 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfr Jn 6,32 Jn 6,51 Jn 6,58).

Perciò l’orante del Salmo 27, circondato dai nemici, assediato da malvagi e calunniatori, mentre cerca aiuto dal Signore e lo invoca, può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (v. 10). Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità. «Perché il suo amore è per sempre», come continua a ripetere in modo litanico, ad ogni versetto, il Salmo 136 ripercorrendo la storia della salvezza. L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino a sacrificio del Figlio. La fede ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna.

È nel Signore Gesù che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr Jn 8,19 Jn 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr Jn 14,9 Jn 14,11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti», «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr Col 1,13-20).

La fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dandoci il suo Figlio; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire “Padre nostro” (Mt 6,9-13 cfr Lc 11,2-4).

La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). E’ proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci.

E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio, che muore e risorge per noi; entra nella nostra fragilità e opera ciò che da solo l’uomo non avrebbe mai potuto operare: prende su di Sé il peccato del mondo, come agnello innocente, e ci riapre la strada verso la comunione con Dio, ci rende veri figli di Dio. È lì, nel Mistero pasquale, che si rivela in tutta la sua luminosità il volto definitivo del Padre. Ed è lì, sulla Croce gloriosa, che avviene la manifestazione piena della grandezza di Dio come “Padre onnipotente”.

Ma potremmo chiederci: come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo? A questo potere del male, che arriva fino al punto di uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio “onnipotente” che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore. Così, oggi diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo. In realtà, davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza “magica” e nelle sue illusorie promesse.

Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: imparare a conoscere che il pensiero di Dio è diverso dal nostro, che le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8) e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna. In realtà, Dio, creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà. Così Egli ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Dio desidera che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui. La sua onnipotenza non si esprime nella violenza, non si esprime nella distruzione di ogni potere avverso come noi desideriamo, ma si esprime nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nell’accettare la nostra libertà e nell’instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole – Dio sembra debole, se pensiamo a Gesù Cristo che prega, che si fa uccidere. Un atteggiamento apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore, dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E questa potenza vincerà! Il saggio del Libro della Sapienza così si rivolge a Dio: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi; chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (11,23-24a.26).

Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere. Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita. Dio Padre risuscita il Figlio: la morte, la grande nemica (cfr 1Co 15,26), è inghiottita e privata del suo veleno (cfr 1Co 15,54-55), e noi, liberati dal peccato, possiamo accedere alla nostra realtà di figli di Dio.

Quindi, quando diciamo “Io credo in Dio Padre onnipotente”, noi esprimiamo la nostra fede nella potenza dell’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella “Casa del Padre”. Dire «Io credo in Dio Padre onnipotente», nella sua potenza, nel suo modo di essere Padre, è sempre un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di sostenere la nostra fede, di aiutarci a trovare veramente la fede e di darci la forza di annunciare Cristo crocifisso e risorto e di testimoniarlo nell’amore a Dio e al prossimo. E Dio ci conceda di accogliere il dono della nostra filiazione, per vivere in pienezza le realtà del Credo, nell’abbandono fiducioso all’amore del Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che è la vera onnipotenza e salva.

Saluti:

Saluto in lingua araba:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi venuti a quest’udienza. L’Anno della fede è un’occasione particolare per rendersi consapevoli che Dio è nostro Padre. Questa verità ci renda testimoni gioiosi del Vangelo! Ricordiamoci di essa anche nei momenti di prova, di crisi e di sofferenza che la vita ci porta. Dio è sempre con noi, ci guida e desidera il nostro bene. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Ošcadnica, Bánovce nad Bebravou e dall’Università Komenský di Bratislava.
Fratelli e sorelle, mentre vi auguro che la luce del Vangelo illumini tutti i passi della vostra vita, volentieri imparto la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi ed ai vostri cari in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ceca:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini della Repubblica Ceca. Vivete nell’abbandono fiducioso all’amore di Dio Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che salva.

* * *


Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Cari Confratelli, insieme con voi saluto anche quanti parteciperanno agli incontri organizzati in diverse regioni del mondo. Assicurando la mia preghiera, auspico che il carisma dell’unità a voi particolarmente caro, possa sostenervi e animarvi nel vostro ministero apostolico. E saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsiconuovo, accompagnati dal loro Pastore Mons. Agostino Superbo. Cari amici, continuate a dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede. La presenza a questo incontro delle Autorità civili della Basilicata, alle quali rivolgo un deferente saluto, mi offre l’opportunità di esprimere la mia viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l’allestimento del suggestivo presepio, collocato in questa Piazza, che è stato ammirato dai numerosi pellegrini, anche da me con grande gioia, quale espressione dell’arte lucana.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per vivere con impegno generoso la vostra missione di sposi. Grazie.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 6 febbraio 2013: Io credo in Dio: il Creatore del cielo e della terra, il Creatore dell'essere umano

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Cari fratelli e sorelle,

il Credo, che inizia qualificando Dio come “Padre Onnipotente”, come abbiamo meditato la settimana scorsa, aggiunge poi che Egli è il “Creatore del cielo e della terra”, e riprende così l’affermazione con cui inizia la Bibbia. Nel primo versetto della Sacra Scrittura, infatti, si legge: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (
Gn 1,1): è Dio l’origine di tutte le cose e nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama.

Dio si manifesta come Padre nella creazione, in quanto origine della vita, e, nel creare, mostra la sua onnipotenza. Le immagini usate dalla Sacra Scrittura al riguardo sono molto suggestive (cfr Is 40,12 Is 45,18 Is 48,13 Ps 104,2 Ps 104,5 Ps 135,7 Pr 8,27-29 Gb 38–39). Egli, come un Padre buono e potente, si prende cura di ciò che ha creato con un amore e una fedeltà che non vengono mai meno, dicono ripetutamente i salmi (cfr Ps 57,11 Ps 108,5 Ps 36,6). Così, la creazione diventa luogo in cui conoscere e riconoscere l’onnipotenza del Signore e la sua bontà, e diventa appello alla fede di noi credenti perché proclamiamo Dio come Creatore. «Per fede, - scrive l’autore della Lettera agli Ebrei - noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). La fede implica dunque di saper riconoscere l’invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile. Il credente può leggere il grande libro della natura e intenderne il linguaggio (cfr Ps 19,2-5); ma è necessaria la Parola di rivelazione, che suscita la fede, perché l’uomo possa giungere alla piena consapevolezza della realtà di Dio come Creatore e Padre. È nel libro della Sacra Scrittura che l’intelligenza umana può trovare, alla luce della fede, la chiave di interpretazione per comprendere il mondo. In particolare, occupa un posto speciale il primo capitolo della Genesi, con la solenne presentazione dell’opera creatrice divina che si dispiega lungo sette giorni: in sei giorni Dio porta a compimento la creazione e il settimo giorno, il sabato, cessa da ogni attività e si riposa. Giorno della libertà per tutti, giorno della comunione con Dio. E così, con questa immagine, il libro della Genesi ci indica che il primo pensiero di Dio era trovare un amore che risponda al suo amore. Il secondo pensiero è poi creare un mondo materiale dove collocare questo amore, queste creature che in libertà gli rispondono. Tale struttura, quindi, fa sì che il testo sia scandito da alcune ripetizioni significative. Per sei volte, ad esempio, viene ripetuta la frase: «Dio vide che era cosa buona» (vv. 4.10.12.18.21.25), per concludere, la settima volta, dopo la creazione dell’uomo: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (v. 31). Tutto ciò che Dio crea è bello e buono, intriso di sapienza e di amore; l’azione creatrice di Dio porta ordine, immette armonia, dona bellezza. Nel racconto della Genesi poi emerge che il Signore crea con la sua parola: per dieci volte si legge nel testo l’espressione «Dio disse» (vv. 3.6.9.11.14.20.24.26.28.29). E' la parola, il Logos di Dio che è l'origine della realtà del mondo e dicendo: “Dio disse”, fu così, sottolinea la potenza efficace della Parola divina. Così canta il Salmista: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera…, perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (33,6.9). La vita sorge, il mondo esiste, perché tutto obbedisce alla Parola divina.

Ma la nostra domanda oggi è: nell’epoca della scienza e della tecnica, ha ancora senso parlare di creazione? Come dobbiamo comprendere le narrazioni della Genesi? La Bibbia non vuole essere un manuale di scienze naturali; vuole invece far comprendere la verità autentica e profonda delle cose. La verità fondamentale che i racconti della Genesi ci svelano è che il mondo non è un insieme di forze tra loro contrastanti, ma ha la sua origine e la sua stabilità nel Logos, nella Ragione eterna di Dio, che continua a sorreggere l’universo. C’è un disegno sul mondo che nasce da questa Ragione, dallo Spirito creatore. Credere che alla base di tutto ci sia questo, illumina ogni aspetto dell’esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l’avventura della vita. Quindi, la scrittura ci dice che l'origine dell'essere, del mondo, la nostra origine non è l'irrazionale e la necessità, ma la ragione e l'amore e la libertà. Da questo l'alternativa: o priorità dell'irrazionale, della necessità, o priorità della ragione, della libertà, dell'amore. Noi crediamo in questa ultima posizione.

Ma vorrei dire una parola anche su quello che è il vertice dell’intera creazione: l’uomo e la donna, l’essere umano, l’unico “capace di conoscere e di amare il suo Creatore” (Cost. past. Gaudium et spes GS 12). Il Salmista guardando i cieli si chiede: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (8,4-5). L’essere umano, creato con amore da Dio, è ben piccola cosa davanti all’immensità dell’universo; a volte, guardando affascinati le enormi distese del firmamento, anche noi abbiamo percepito la nostra limitatezza. L’essere umano è abitato da questo paradosso: la nostra piccolezza e la nostra caducità convivono con la grandezza di ciò che l’amore eterno di Dio ha voluto per lui.

I racconti della creazione nel Libro della Genesi ci introducono anche in questo misterioso ambito, aiutandoci a conoscere il progetto di Dio sull’uomo. Anzitutto affermano che Dio formò l’uomo con la polvere della terra (cfr Gn 2,7). Questo significa che non siamo Dio, non ci siamo fatti da soli, siamo terra; ma significa anche che veniamo dalla terra buona, per opera del Creatore buono. A questo si aggiunge un’altra realtà fondamentale: tutti gli esseri umani sono polvere, al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia, al di là di ogni differenza sociale; siamo un’unica umanità plasmata con l’unica terra di Dio. Vi è poi un secondo elemento: l’essere umano ha origine perché Dio soffia l’alito di vita nel corpo modellato dalla terra (cfr Gn 2,7). L’essere umano è fatto a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26-27). Tutti allora portiamo in noi l’alito vitale di Dio e ogni vita umana – ci dice la Bibbia – sta sotto la particolare protezione di Dio. Questa è la ragione più profonda dell’inviolabilità della dignità umana contro ogni tentazione di valutare la persona secondo criteri utilitaristici e di potere. L’essere ad immagine e somiglianza di Dio indica poi che l’uomo non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio.

Nei primi capitoli del Libro della Genesi troviamo due immagini significative: il giardino con l’albero della conoscenza del bene e del male e il serpente (cfr Gn 2,15-17 Gn 3,1-5). Il giardino ci dice che la realtà in cui Dio ha posto l’essere umano non è una foresta selvaggia, ma luogo che protegge, nutre e sostiene; e l’uomo deve riconoscere il mondo non come proprietà da saccheggiare e da sfruttare, ma come dono del Creatore, segno della sua volontà salvifica, dono da coltivare e custodire, da far crescere e sviluppare nel rispetto, nell’armonia, seguendone i ritmi e la logica, secondo il disegno di Dio (cfr Gn 2,8-15). Poi, il serpente è una figura che deriva dai culti orientali della fecondità, che affascinavano Israele e costituivano una costante tentazione di abbandonare la misteriosa alleanza con Dio. Alla luce di questo, la Sacra Scrittura presenta la tentazione che subiscono Adamo ed Eva come il nocciolo della tentazione e del peccato. Che cosa dice infatti il serpente? Non nega Dio, ma insinua una domanda subdola: «È vero che Dio ha detto “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gn 3,1). In questo modo il serpente suscita il sospetto che l’alleanza con Dio sia come una catena che lega, che priva della libertà e delle cose più belle e preziose della vita. La tentazione diventa quella di costruirsi da soli il mondo in cui vivere, di non accettare i limiti dell’essere creatura, i limiti del bene e del male, della moralità; la dipendenza dall’amore creatore di Dio è vista come un peso di cui liberarsi. Questo è sempre il nocciolo della tentazione. Ma quando si falsa il rapporto con Dio, con una menzogna, mettendosi al suo posto, tutti gli altri rapporti vengono alterati. Allora l’altro diventa un rivale, una minaccia: Adamo, dopo aver ceduto alla tentazione, accusa immediatamente Eva (cfr Gn 3,12); i due si nascondono dalla vista di quel Dio con cui conversavano in amicizia (cfr 3,8-10); il mondo non è più il giardino in cui vivere con armonia, ma un luogo da sfruttare e nel quale si celano insidie (cfr 3,14-19); l’invidia e l’odio verso l’altro entrano nel cuore dell’uomo: esemplare è Caino che uccide il proprio fratello Abele (cfr 4,3-9). Andando contro il suo Creatore, in realtà l’uomo va contro se stesso, rinnega la sua origine e dunque la sua verità; e il male entra nel mondo, con la sua penosa catena di dolore e di morte. E così quanto Dio aveva creato era buono, anzi, molto buono, dopo questa libera decisione dell'uomo per la menzogna contro la verità, il male entra nel mondo.

Dei racconti della creazione, vorrei evidenziare un ultimo insegnamento: il peccato genera peccato e tutti i peccati della storia sono legati tra di loro. Questo aspetto ci spinge a parlare di quello che è chiamato il “peccato originale”. Qual è il significato di questa realtà, difficile da comprendere? Vorrei dare soltanto qualche elemento. Anzitutto dobbiamo considerare che nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo di sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri. Ebbene, il peccato è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che con il primo peccato l’uomo “ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione creaturale e conseguentemente contro il proprio bene” (n. 398). Turbata la relazione fondamentale, sono compromessi o distrutti anche gli altri poli della relazione, il peccato rovina le relazioni, così rovina tutto, perché noi siamo relazione. Ora, se la struttura relazionale dell’umanità è turbata fin dall’inizio, ogni uomo entra in un mondo segnato da questo turbamento delle relazioni, entra in un mondo turbato dal peccato, da cui viene segnato personalmente; il peccato iniziale intacca e ferisce la natura umana (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 404-406). E l’uomo da solo, uno solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore stesso può ripristinare le giuste relazioni. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Questo avviene in Gesù Cristo, che compie esattamente il percorso inverso di quello di Adamo, come descrive l’inno nel secondo capitolo della Lettera di San Paolo ai Filippesi (2,5-11): mentre Adamo non riconosce il suo essere creatura e vuole porsi al posto di Dio, Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita.

Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio e accettare la nostra piccolezza, la nostra condizione di creature lasciando che il Signore la ricolmi del suo amore e così cresca la nostra vera grandezza. Il male, con il suo carico di dolore e di sofferenza, è un mistero che viene illuminato dalla luce della fede, che ci dà la certezza di poterne essere liberati: la certezza che è bene essere un uomo.

Saluti:

Saluto in lingua araba:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, vivere di fede vuol dire riconoscere la grandezza di Dio Creatore e, accettando la nostra piccolezza, lasciare che il Signore la ricolmi del suo amore. La luce della fede smaschera ogni male e ci dà la certezza di poterne essere liberati. Questa certezza sia per noi fonte di speranza e di gioia! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente la comunità del Seminario arcidiocesano di San Carlo Borromeo di Košice guidata dall’Arcivescovo Emerito S.E. Mons. Alojz Tkác.
Cari seminaristi, vi auguro che il pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli nell’Anno della Fede rafforzi la vostra fedeltà a Cristo e la generosa risposta alla sua chiamata.
Volentieri benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua russa:

Sono lieto di salutare una delegazione del Kazakhstan, capeggiata dal Signor Kairat Mami, Presidente del Senato della Repubblica.
Dio Onnipotente benedica il vostro Paese e il vostro impegno per il dialogo tra le religioni e per il bene comune!

Saluto in lingua bulgara:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua bulgara. In particolare saluto i membri dell’Atlantic Club in Bulgaria: la visita alla Città Eterna accresca la vostra fiducia in Dio e la celeste intercessione del Beato Giovanni Paolo II sia sostegno ai vostri desideri di bene. Siano lodati Gesù e Maria!

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Cari amici, sono lieto di accogliere i Vescovi che prendono parte al convegno «Cristiani e Pastori per la Chiesa di domani», promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, in coincidenza con l’anniversario della sua fondazione. Benvenuti! Auguro a voi, cari Confratelli, e a tutti i membri di questa Comunità di ravvivare la fede nel Signore e di testimoniare con rinnovato entusiasmo la carità evangelica, in particolare per i deboli e i poveri. Un caloroso saluto rivolgo anche ai Frati Minori Conventuali, che celebrano il loro duecentesimo Capitolo Generale. Cari Fratelli, testimoniate agli uomini di oggi la bellezza di seguire il Vangelo in semplicità e fraternità.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai partecipanti al Corso di formazione umana per il sacerdozio e la vita consacrata, accompagnati dal Card. Elio Sgreccia, al Gruppo dello Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore, con l’Arcivescovo di Pisa, Mons. Benotto e alla Pia Opera Croce Verde di Padova, nel centenario della sua attività. Grazie per tutto.

Infine, un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. L’odierna memoria di San Paolo Miki e dei compagni martiri giapponesi, stimoli voi, cari giovani, in particolare gli studenti dell’Istituto Francescano “Faà di Bruno” di Torino, nel 150° anniversario di fondazione, e quelli delle Scuole Regnum Christi di Roma, a spendere le vostre energie per la causa del Vangelo; aiuti voi, cari ammalati, ad accettare la croce in spirituale unione con il cuore di Cristo; e incoraggi voi, cari sposi novelli, ad avere sempre fiducia nella Provvidenza, anche nei momenti difficili della vostra vita coniugale.





Aula Paolo VI

Mercoledì, 13 febbraio 2013: Le tentazioni di Gesù e la conversione per il Regno dei Cieli

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Cari fratelli e sorelle,

come sapete - grazie per la vostra simpatia! - ho deciso di rinunciare al ministero che il Signore mi ha affidato il 19 aprile 2005. Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza che esso richiede. Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura. Ringrazio tutti per l’amore e per la preghiera con cui mi avete accompagnato. Grazie! Ho sentito quasi fisicamente in questi giorni, per me non facili, la forza della preghiera, che l’amore della Chiesa, la vostra preghiera, mi porta. Continuate a pregare per me, per la Chiesa, per il futuro Papa. Il Signore ci guiderà.

Le tentazioni di Gesù e la conversione per il Regno dei Cieli

Cari fratelli e sorelle,

oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo il Tempo liturgico della Quaresima, quaranta giorni che ci preparano alla celebrazione della Santa Pasqua; è un tempo di particolare impegno nel nostro cammino spirituale. Il numero quaranta ricorre varie volte nella Sacra Scrittura. In particolare, come sappiamo, esso richiama i quarant’anni in cui il popolo di Israele peregrinò nel deserto: un lungo periodo di formazione per diventare il popolo di Dio, ma anche un lungo periodo in cui la tentazione di essere infedeli all’alleanza con il Signore era sempre presente. Quaranta furono anche i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere il Monte di Dio, l’Horeb; come pure il periodo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica e dove fu tentato dal diavolo. Nell’odierna Catechesi vorrei soffermarmi proprio su questo momento della vita terrena del Signore, che leggeremo nel Vangelo di domenica prossima.

Anzitutto il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l’uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, è spinto ad andare all’essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio. Ma il deserto è anche il luogo della morte, perché dove non c’è acqua non c’è neppure vita, ed è il luogo della solitudine, in cui l’uomo sente più intensa la tentazione. Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane (cfr
Lc 4,1-13). Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sè la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione.

Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita? Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambiare una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare (cfr vv. 3-4). Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore (cfr vv. 5-8). Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto (cfr vv. 9-12). Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? E’ la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E’ Lui il Signore o sono io?

Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. “Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei.

Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita.

Ci sono di esempio e di stimolo le grandi conversioni come quella di san Paolo sulla via di Damasco, o di sant’Agostino, ma anche nella nostra epoca di eclissi del senso del sacro, la grazia di Dio è al lavoro e opera meraviglie nella vita di tante persone. Il Signore non si stanca di bussare alla porta dell’uomo in contesti sociali e culturali che sembrano inghiottiti dalla secolarizzazione, come è avvenuto per il russo ortodosso Pavel Florenskij. Dopo un’educazione completamente agnostica, tanto da provare vera e propria ostilità verso gli insegnamenti religiosi impartiti a scuola, lo scienziato Florenskij si trova ad esclamare: “No, non si può vivere senza Dio!”, e a cambiare completamente la sua vita, tanto da diventare sacerdote.

Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: “Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri” (Diario, 97). Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah. Questa giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: “Vivo costantemente in intimità con Dio”.

La capacità di contrapporsi alle lusinghe ideologiche del suo tempo per scegliere la ricerca della verità e aprirsi alla scoperta della fede è testimoniata da un’altra donna del nostro tempo, la statunitense Dorothy Day. Nella sua autobiografia, confessa apertamente di essere caduta nella tentazione di risolvere tutto con la politica, aderendo alla proposta marxista: “Volevo andare con i manifestanti, andare in prigione, scrivere, influenzare gli altri e lasciare il mio sogno al mondo. Quanta ambizione e quanta ricerca di me stessa c’era in tutto questo!”. Il cammino verso la fede in un ambiente così secolarizzato era particolarmente difficile, ma la Grazia agisce lo stesso, come lei stessa sottolinea: “È certo che io sentii più spesso il bisogno di andare in chiesa, a inginocchiarmi, a piegare la testa in preghiera. Un istinto cieco, si potrebbe dire, perché non ero cosciente di pregare. Ma andavo, mi inserivo nell’atmosfera di preghiera…”. Dio l’ha condotta ad una consapevole adesione alla Chiesa, in una vita dedicata ai diseredati.

Nella nostra epoca non sono poche le conversioni intese come il ritorno di chi, dopo un’educazione cristiana magari superficiale, si è allontanato per anni dalla fede e poi riscopre Cristo e il suo Vangelo. Nel Libro dell’Apocalisse leggiamo: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3, 20). Il nostro uomo interiore deve prepararsi per essere visitato da Dio, e proprio per questo non deve lasciarsi invadere dalle illusioni, dalle apparenze, dalle cose materiali.

In questo Tempo di Quaresima, nell’Anno della fede, rinnoviamo il nostro impegno nel cammino di conversione, per superare la tendenza di chiuderci in noi stessi e per fare, invece, spazio a Dio, guardando con i suoi occhi la realtà quotidiana. L’alternativa tra la chiusura nel nostro egoismo e l’apertura all’amore di Dio e degli altri, potremmo dire che corrisponde all’alternativa delle tentazioni di Gesù: alternativa, cioè, tra potere umano e amore della Croce, tra una redenzione vista nel solo benessere materiale e una redenzione come opera di Dio, cui diamo il primato nell’esistenza. Convertirsi significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante.

Saluti:

Saluto in lingua araba:

Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.

Saluto in lingua polacca:

Cari pellegrini polacchi! Oggi, il mercoledì delle ceneri, iniziamo il periodo della Quaresima. La liturgia ci guiderà verso il mistero della passione, della morte e della risurrezione del Figlio di Dio. Questo è il cammino della conversione e della santificazione, mediante la grazia di Dio che precede tutti i nostri sforzi personali per il cambiamento della vita e per la fedeltà a Cristo. Ricordiamoci che la preghiera, il digiuno, l’elemosina, e in modo particolare i santi Sacramenti sono la sua inesauribile fonte.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore tutti i pellegrini croati e particolarmente i cresimandi provenienti da Esslingen. Cari amici, questa quaresima sia tempo favorevole per rafforzare in voi la fede e la speranza nella risurrezione. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia, particolarmente ai delegati dei movimenti e delle associazioni di fedeli laici, come pure della Matica Slovenská.
Fratelli e sorelle, il Tempo della Quaresima ci invita alla conversione per mezzo dell’ascolto della Parola di Dio, della preghiera e dell’esercizio delle opere di misericordia. Per tale cammino quaresimale, imparto volentieri la Benedizione Apostolica a voi ed ai vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!
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Grazie per questo dono di alcuni canti a me particolarmente cari. Grazie. E rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana, in particolare, alle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù. Saluto i rappresentanti dell’Ordine nazionale dei tecnologi alimentari e il gruppo dei Carabinieri dell’Umbria. Cari amici, la sosta presso le tombe degli Apostoli rinsaldi la vostra adesione a Cristo e faccia crescere la carità nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la festa dei Santi Cirillo e Metodio, apostoli e primi difensori della fede tra i popoli degli Slavi. La loro testimonianza vi aiuti ad essere anche voi apostoli del Vangelo, fermento di autentico rinnovamento nella vita personale, familiare e sociale.

Grazie a tutti voi.







Catechesi 2005-2013 30013