Catechesi 2005-2013 31811

Mercoledì, 31 agosto 2011: BArte e preghiera

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Piazza della Libertà, Castel Gandolfo


Cari fratelli e sorelle,

più volte ho richiamato, in questo periodo, la necessità per ogni cristiano di trovare tempo per Dio, per la preghiera, in mezzo alle tante occupazioni delle nostre giornate. Il Signore stesso ci offre molte occasioni perché ci ricordiamo di Lui. Oggi vorrei soffermarmi brevemente su uno di questi canali che possono condurci a Dio ed essere anche di aiuto nell’incontro con Lui: è la via delle espressioni artistiche, parte di quella “via pulchritudinis” – “via della bellezza” - di cui ho parlato più volte e che l’uomo d’oggi dovrebbe recuperare nel suo significato più profondo.

Forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un’intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che “parla”, capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto.

Ma ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede. Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza… O quando entriamo in una chiesa romanica: siamo invitati in modo spontaneo al raccoglimento e alla preghiera. Percepiamo che in questi splendidi edifici è come racchiusa la fede di generazioni. Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio. Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c'era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio. Ma quante volte quadri o affreschi, frutto della fede dell’artista, nelle loro forme, nei loro colori, nella loro luce, ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza. Rimane profondamente vero quanto ha scritto un grande artista, Marc Chagall, che i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia. Quante volte allora le espressioni artistiche possono essere occasioni per ricordarci di Dio, per aiutare la nostra preghiera o anche la conversione del cuore! Paul Claudel, famoso poeta, drammaturgo e diplomatico francese, nella Basilica di Notre Dame a Parigi, nel 1886, proprio ascoltando il canto del Magnificat durante la Messa di Natale, avvertì la presenza di Dio. Non era entrato in chiesa per motivi di fede, era entrato proprio per cercare argomenti contro i cristiani, e invece la grazia di Dio operò nel suo cuore.

Cari amici, vi invito a riscoprire l’importanza di questa via anche per la preghiera, per la nostra relazione viva con Dio. Le città e i paesi in tutto il mondo racchiudono tesori d’arte che esprimono la fede e ci richiamano al rapporto con Dio. La visita ai luoghi d’arte, allora, non sia solo occasione di arricchimento culturale - anche questo - ma soprattutto possa diventare un momento di grazia, di stimolo per rafforzare il nostro legame e il nostro dialogo con il Signore, per fermarsi a contemplare - nel passaggio dalla semplice realtà esteriore alla realtà più profonda che esprime - il raggio di bellezza che ci colpisce, che quasi ci “ferisce” nell’intimo e ci invita a salire verso Dio. Finisco con una preghiera di un Salmo, il Salmo 27: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario” (v. 4). Speriamo che il Signore ci aiuti a contemplare la sua bellezza, sia nella natura che nelle opere d'arte, così da essere toccati dalla luce del suo volto, perché anche noi possiamo essere luci per il nostro prossimo. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi. Il tempo delle vacanze favorisce la apprendimento delle opere di cultura e d’arte. L’incanto della bellezza della creazione umana può condurre alla contemplazione di Dio, il datore di ogni bene e bello, quando insieme all’ammirazione del genio dell’uomo scopriamo il soffio creatore dello Spirito Santo. Auspico che si possa sperimentare sempre più tale stupore! Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua bulgara:

Saluto con affetto i giovani della diocesi di Sofia, in Bulgaria, ed auguro loro di essere coraggiosi testimoni di Cristo nell’ambiente in cui vivono. Volentieri benedico voi ed i vostri cari.


Saluto in lingua croata:

Saluto con affetto i pellegrini croati, in particolare gli alunni del Liceo classico Arcivescovile di Zagabria, augurando a ciascuno di coltivare un sincero amore per Cristo e la sua Chiesa. Siano lodati Gesù e Maria!


Saluto in lingua rumena:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini rumeni ed assicuro un orante ricordo affinché possano vivere in pienezza e con gioia la loro fede cristiana. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi: in particolare i militari, i poliziotti, i vigili del fuoco, i membri della polizia penitenziaria. Siate forti nella fede sull’esempio di San Sebastiano, vostro Patrono, e servite responsabilmente la pace, la giustizia e il bene comune. Saluto anche i fedeli provenienti da Brehy, Zlaté Klasy, Lucenec e dintorni. Fratelli e sorelle, benedico con affetto tutti voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua ungherese, specialmente coloro che sono venuti da Budapest e da Miercurea Ciuc. Vi incoraggio a proseguire con generosità nel vostro impegno di testimonianza cristiana nella scuola e nella società. Chiedendo la intercessione del Re Santo Stefano di Ungheria, imparto volentieri a voi e a tutti i vostri familiari la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo infine una parola di cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, i fedeli delle varie Parrocchie, accompagnati dai propri parroci, e gli sposi novelli. Auguro che questo incontro rinsaldi ciascuno nella rinnovata adesione a Dio, sorgente di luce, di speranza e di pace.

(dopo la preghiera)

Grazie, buona giornata a voi tutti. Grazie!



Mercoledì, 7 settembre 2011: "Sorgi, Signore! Salvami!": Salmo 3

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Piazza San Pietro


Cari fratelli e sorelle,

riprendiamo oggi le Udienze in Piazza San Pietro e, nella “scuola della preghiera” che stiamo vivendo insieme in queste Catechesi del mercoledì, vorrei iniziare a meditare su alcuni Salmi, che, come dicevo nel giugno scorso, formano il “libro di preghiera” per eccellenza. Il primo Salmo su cui mi soffermo è un Salmo di lamento e di supplica pervaso di profonda fiducia, in cui la certezza della presenza di Dio fonda la preghiera che scaturisce da una condizione di estrema difficoltà in cui si trova l’orante. Si tratta del Salmo 3, riferito dalla tradizione ebraica a Davide nel momento in cui fugge dal figlio Assalonne (cfr v. 1): è uno degli episodi più drammatici e sofferti nella vita del re, quando suo figlio usurpa il suo trono regale e lo costringe a lasciare Gerusalemme per salvarsi la vita (cfr 2Sam 15ss). La situazione di pericolo e di angoscia sperimentata da Davide fa dunque da sottofondo a questa preghiera e aiuta a comprenderla, presentandosi come la situazione tipica in cui un tale Salmo può essere recitato. Nel grido del Salmista, ogni uomo può riconoscere quei sentimenti di dolore, di amarezza e insieme di fiducia in Dio che, secondo la narrazione biblica, avevano accompagnato la fuga di Davide dalla sua città.

Il Salmo inizia con un’invocazione al Signore:

«Signore, quanti sono i miei avversari!
Molti contro di me insorgono.
Molti dicono della mia vita:
“Per lui non c’è salvezza in Dio!”» (vv. 2-3).

La descrizione che l’orante fa della sua situazione è quindi segnata da toni fortemente drammatici. Per tre volte si ribadisce l’idea di moltitudine - “numerosi”, “molti”, “tanti” - che nel testo originale è detta con la stessa radice ebraica, così da sottolineare ancora di più l’enormità del pericolo, in modo ripetitivo, quasi martellante. Questa insistenza sul numero e la grandezza dei nemici serve a esprimere la percezione, da parte del Salmista, dell’assoluta sproporzione esistente tra lui e i suoi persecutori, una sproporzione che giustifica e fonda l’urgenza della sua richiesta di aiuto: gli oppressori sono tanti, prendono il sopravvento, mentre l’orante è solo e inerme, in balìa dei suoi aggressori. Eppure, la prima parola che il Salmista pronuncia è “Signore”; il suo grido inizia con l’invocazione a Dio. Una moltitudine incombe e insorge contro di lui, generando una paura che ingigantisce la minaccia facendola apparire ancora più grande e terrificante; ma l’orante non si lascia vincere da questa visione di morte, mantiene saldo il rapporto con il Dio della vita e a Lui per prima cosa si rivolge, in cerca di aiuto. Però i nemici tentano anche di spezzare questo legame con Dio e di incrinare la fede della loro vittima. Essi insinuano che il Signore non può intervenire, affermano che neppure Dio può salvarlo. L’aggressione quindi non è solo fisica, ma tocca la dimensione spirituale: “il Signore non può salvarlo” - dicono -, il nucleo centrale dell’animo del Salmista va aggredito. È l’estrema tentazione a cui il credente è sottoposto, è la tentazione di perdere la fede, la fiducia nella vicinanza di Dio. Il giusto supera l'ultima prova, resta saldo nella fede e nella certezza della verità e nella piena fiducia in Dio, e proprio così trova la vita e la verità. Mi sembra che qui il Salmo ci tocchi molto personalmente: in tanti problemi siamo tentati di pensare che forse anche Dio non mi salva, non mi conosce, forse non ne ha possibilità; la tentazione contro la fede è l'ultima aggressione del nemico, e a questo dobbiamo resistere così troviamo Dio e troviamo la vita.

L'orante del nostro Salmo è quindi chiamato a rispondere con la fede agli attacchi degli empi: i nemici – come ho detto - negano che Dio possa aiutarlo, egli invece Lo invoca, Lo chiama per nome, “Signore”, e poi si rivolge a Lui con un “tu” enfatico, che esprime una rapporto saldo, solido, e racchiude in sé la certezza della risposta divina:

«Ma tu sei mio scudo Signore,
sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.
A gran voce grido al Signore
ed egli mi risponde dalla sua santa montagna» (vv. 4-5).

La visione dei nemici ora scompare, non hanno vinto perché chi crede in Dio è sicuro che Dio è il suo amico: resta solo il “Tu” di Dio, ai “molti” si contrappone ora uno solo, ma molto più grande e potente di molti avversari. Il Signore è aiuto, difesa, salvezza; come scudo protegge chi si affida a Lui, e gli fa sollevare la testa, nel gesto di trionfo e di vittoria. L’uomo non è più solo, i nemici non sono imbattibili come sembravano, perché il Signore ascolta il grido dell’oppresso e risponde dal luogo della sua presenza, dal suo monte santo. L’uomo grida, nell’angoscia, nel pericolo, nel dolore; l’uomo chiede aiuto, e Dio risponde. Questo intrecciarsi di grido umano e risposta divina è la dialettica della preghiera e la chiave di lettura di tutta la storia della salvezza. Il grido esprime il bisogno di aiuto e si appella alla fedeltà dell’altro; gridare vuol dire porre un gesto di fede nella vicinanza e nella disponibilità all’ascolto di Dio. La preghiera esprime la certezza di una presenza divina già sperimentata e creduta, che nella risposta salvifica di Dio si manifesta in pienezza. Questo è rilevante: che nella nostra preghiera sia importante, presente, la certezza della presenza di Dio. Così, il Salmista, che si sente assediato dalla morte, confessa la sua fede nel Dio della vita che, come scudo, lo avvolge all’intorno con una protezione invulnerabile; chi pensava di essere ormai perduto può sollevare il capo, perché il Signore lo salva; l’orante, minacciato e schernito, è nella gloria, perché Dio è la sua gloria.

La risposta divina che accoglie la preghiera dona al Salmista una sicurezza totale; è finita anche la paura, e il grido si acquieta nella pace, in una profonda tranquillità interiore:

«Io mi corico, mi addormento e mi risveglio:
il Signore mi sostiene.
Non temo la folla numerosa
che intorno a me si è accampata» (vv. 6-7).

L’orante, pur in mezzo al pericolo e alla battaglia, può addormentarsi tranquillo, in un inequivocabile atteggiamento di abbandono fiducioso. Intorno a lui gli avversari si accampano, lo assediano, sono tanti, si ergono contro di lui, lo deridono e tentano di farlo cadere, ma egli invece si corica e dorme tranquillo e sereno, sicuro della presenza di Dio. E al risveglio, trova Dio ancora accanto a sé, come custode che non dorme (cfr
Ps 121,3-4), che lo sostiene, lo tiene per mano, non lo abbandona mai. La paura della morte è vinta dalla presenza di Colui che non muore. E proprio la notte, popolata di timori atavici, la notte dolorosa della solitudine e dell’attesa angosciata, ora si trasforma: ciò che evoca la morte diventa presenza dell’Eterno.

Alla visibilità dell’assalto nemico, massiccio, imponente, si contrappone l’invisibile presenza di Dio, con tutta la sua invincibile potenza. Ed è a Lui che di nuovo il Salmista, dopo le sue espressioni di fiducia, rivolge la preghiera: «Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!» (v. 8a). Gli aggressori “si innalzavano” (cfr v. 2) contro la loro vittima, chi invece “si alzerà” è il Signore, e sarà per abbatterli. Dio lo salverà, rispondendo al suo grido. Perciò il Salmo si chiude con la visione della liberazione dal pericolo che uccide e dalla tentazione che può far perire. Dopo la richiesta rivolta al Signore di alzarsi a salvare, l’orante descrive la vittoria divina: i nemici che, con la loro ingiusta e crudele oppressione, sono simbolo di tutto ciò che si oppone a Dio e al suo piano di salvezza vengono sconfitti. Colpiti alla bocca, non potranno più aggredire con la loro distruttiva violenza e non potranno più insinuare il male del dubbio nella presenza e nell’azione di Dio: il loro parlare insensato e blasfemo è definitivamente smentito e ridotto al silenzio dall’intervento salvifico del Signore (cfr v. 8bc). Così, il Salmista può concludere la sua preghiera con una frase dalle connotazioni liturgiche che celebra, nella gratitudine e nella lode, il Dio della vita: «La salvezza viene dal Signore, sul tuo popolo la tua benedizione» (v. 9).

Cari fratelli e sorelle, il Salmo 3 ci ha presentato una supplica piena di fiducia e di consolazione. Pregando questo Salmo, possiamo fare nostri i sentimenti del Salmista, figura del giusto perseguitato che trova in Gesù il suo compimento. Nel dolore, nel pericolo, nell’amarezza dell’incomprensione e dell’offesa, le parole del Salmo aprono il nostro cuore alla certezza confortante della fede. Dio è sempre vicino - anche nelle difficoltà, nei problemi, nelle oscurità della vita - ascolta, risponde e salva nel suo modo. Ma bisogna saper riconoscere la sua presenza e accettare le sue vie, come Davide nella sua fuga umiliante dal figlio Assalonne, come il giusto perseguitato del Libro della Sapienza e, ultimamente e compiutamente, come il Signore Gesù sul Golgota. E quando, agli occhi degli empi, Dio sembra non intervenire e il Figlio muore, proprio allora si manifesta, per tutti i credenti, la vera gloria e la definitiva realizzazione della salvezza. Che il Signore ci doni fede, venga in aiuto della nostra debolezza e ci renda capaci di credere e di pregare in ogni angoscia, nelle notti dolorose del dubbio e nei lunghi giorni del dolore, abbandonandoci con fiducia a Lui, che è nostro “scudo” e nostra “gloria”. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do il mio benvenuto ai pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle! Ieri durante liturgia delle esequie abbiamo dato l’estremo saluto al Cardinale Andrei Maria Deskur, vostro connazionale, amico del beato Giovanni Paolo II. Con la preghiera e con le sofferenze, egli ha sostenuto il suo servizio papale, affidando sempre la propria vita all’Immacolata. Ella implori per lui la gloria celeste. Alle vostre preghiere affido la sua anima e benedico di cuore voi qui presenti e i vostri cari.


Saluto in lingua ceca:

Saluto con affetto i pellegrini di lingua ceca, in particolare i fedeli della Parrocchia di San Procopio in Praga. Vi incoraggio a testimoniare con gioia gli autentici valori spirituali e volentieri vi imparto l’Apostolica Benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua croata:

Saluto con gioia i pellegrini Croati ed in modo particolare i professori e gli studenti del Ginnasio Cattolico di Pozega. Cari amici, non dimenticate che Dio è sempre vicino a noi. Con la vostra vita testimoniate il Suo amore a tutti coloro che Lo stanno cercando. Siano lodati Gesù e Maria!


Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Pruské, Žilina e Praha. Fratelli e sorelle, in questi giorni inizia il nuovo anno scolastico. Imploriamo dallo Spirito Santo i suoi preziosi doni, specialmente la vera sapienza che ci conduce a Cristo. Con questo auspicio di cuore vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!


Saluto in lingua ungherese:

Un saluto cordiale ai pellegrini di lingua ungherese, specialmente al gruppo del Liceo dei Gesuiti a Miskolc ed a coloro che sono venuti da Satu Mare. Cari giovani, imparate a vivere con semplicità evangelica e con gioia per la vita. Chiedendo la intercessione dei santi martiri di Kosice, imparto volentieri a voi la Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i cresimati dell’Arcidiocesi di Lucca, accompagnati dal loro Pastore Mons. Italo Castellani; i giovani della Diocesi di Lamezia Terme; i cresimandi del Vicariato di Villafranca in Verona; i fedeli della Parrocchia S. Maria Assunta in Valle di Avellino e quelli della Parrocchia Maria Santissima Immacolata in Potenza. Cari amici, auguro che la vostra visita alle tombe degli Apostoli vi rinsaldi nell'adesione a Cristo e vi renda suoi testimoni nelle famiglie e nelle comunità ecclesiali.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, tornando dopo le vacanze alle consuete attività, sappiate trovare ogni giorno il tempo per il vostro dialogo con Dio e diffondete attorno a voi la sua luce e la sua pace. Voi, cari malati, trovate conforto nel Signore Gesù, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo. E voi, cari sposi novelli, imparate a pregare insieme, nell’intimità domestica, affinché il vostro amore sia sempre più vero, fecondo e duraturo.



Mercoledì, 14 settembre 2011: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Salmo 22 (21)

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Ps 22
Aula Paolo VI


Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di oggi vorrei affrontare un Salmo dalle forti implicazioni cristologiche, che continuamente affiora nei racconti della passione di Gesù, con la sua duplice dimensione di umiliazione e di gloria, di morte e di vita. È il Salmo 22, secondo la tradizione ebraica, 21 secondo la tradizione greco-latina, una preghiera accorata e toccante, di una densità umana e una ricchezza teologica che ne fanno uno tra i Salmi più pregati e studiati di tutto il Salterio. Si tratta di una lunga composizione poetica, e noi ci soffermeremo in particolare sulla sua prima parte, incentrata sul lamento, per approfondire alcune dimensioni significative della preghiera di supplica a Dio.

Questo Salmo presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte; ed egli ricorre a Dio in un lamento doloroso che, nella certezza della fede, si apre misteriosamente alla lode. Nella sua preghiera, la realtà angosciante del presente e la memoria consolante del passato si alternano, in una sofferta presa di coscienza della propria situazione disperata che però non vuole rinunciare alla speranza. Il suo grido iniziale è un appello rivolto a un Dio che appare lontano, che non risponde e sembra averlo abbandonato:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido.
Mio Dio, grido di giorno e non rispondi;
di notte, e non c’è tregua per me» (vv. 2-3).

Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente. La preghiera chiede ascolto e risposta, sollecita un contatto, cerca una relazione che possa donare conforto e salvezza. Ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile. Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore “mio” Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Nonostante ogni apparenza, il Salmista non può credere che il legame con il Signore si sia interrotto totalmente; e mentre chiede il perché di un presunto abbandono incomprensibile, afferma che il “suo” Dio non lo può abbandonare.

Come è noto, il grido iniziale del Salmo, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», è riportato dai Vangeli di Matteo e di Marco come il grido lanciato da Gesù morente sulla croce (cfr Mt 27,46 Mc 15,34). Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento. Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo. Ma il suo non è un grido disperato, come non lo era quello del Salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato sfociando però infine in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina. E poiché nell’uso ebraico citare l’inizio di un Salmo implicava un riferimento all’intero poema, la preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria. «Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?», dirà il Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,26). Nella sua passione, in obbedienza al Padre, il Signore Gesù attraversa l’abbandono e la morte per giungere alla vita e donarla a tutti i credenti.

A questo grido iniziale di supplica, nel nostro Salmo 22, fa seguito, in doloroso contrasto, il ricordo del passato:

«In te confidarono i nostri padri,
confidarono e tu li liberasti;
a te gridarono e furono salvati,
in te confidarono e non rimasero delusi» (vv. 5-6).

Quel Dio che oggi al Salmista appare così lontano, è però il Signore misericordioso che Israele ha sempre sperimentato nella sua storia. Il popolo a cui l’orante appartiene è stato oggetto dell’amore di Dio e può testimoniarne la sua fedeltà. A cominciare dai Patriarchi, e poi in Egitto e nel lungo peregrinare nel deserto, nella permanenza nella terra promessa a contatto con popolazioni aggressive e nemiche, fino al buio dell’esilio, tutta la storia biblica è stata una storia di grida di aiuto da parte del popolo e di risposte salvifiche da parte di Dio. E il Salmista fa riferimento all’incrollabile fede dei suoi padri, che “confidarono” - per tre volte questa parola viene ripetuta - senza mai rimanere delusi. Ora tuttavia, sembra che questa catena di invocazioni fiduciose e risposte divine si sia interrotta; la situazione del Salmista sembra smentire tutta la storia della salvezza, rendendo ancor più dolorosa la realtà presente.

Ma Dio non può smentirsi, ed ecco allora che la preghiera torna a descrivere la situazione penosa dell’orante, per indurre il Signore ad avere pietà e intervenire, come aveva sempre fatto in passato. Il Salmista si definisce «verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (v. 7), viene schernito, dileggiato (cfr v. 8) e ferito proprio nella fede: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama» (v. 9), dicono. Sotto i colpi beffardi dell’ironia e dello spregio, sembra quasi che il perseguitato perda i propri connotati umani, come il Servo sofferente tratteggiato nel Libro di Isaia (cfr Is 52,14 Is 53,2-3). E come il giusto oppresso del Libro della Sapienza (cfr 2,12-20), come Gesù sul Calvario (cfr Mt 27,39-43), il Salmista vede messo in questione il suo rapporto con il suo Signore, nella sottolineatura crudele e sarcastica di ciò che lo sta facendo soffrire: il silenzio di Dio, la sua apparente assenza. Eppure Dio è stato presente nell’esistenza dell’orante con una vicinanza e una tenerezza incontestabili. Il Salmista lo ricorda al Signore: «Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato» (vv. 10-11a). Il Signore è il Dio della vita, che fa nascere e accoglie il neonato e se ne prende cura con affetto di padre. E se prima si era fatta memoria della fedeltà di Dio nella storia del popolo, ora l’orante rievoca la propria storia personale di rapporto con il Signore, risalendo al momento particolarmente significativo dell’inizio della sua vita. E lì, nonostante la desolazione del presente, il Salmista riconosce una vicinanza e un amore divini così radicali da poter ora esclamare, in una confessione piena di fede e generatrice di speranza: «dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio» (v. 11b).

Il lamento diventa ora supplica accorata: «Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti» (v. 12). L’unica vicinanza che il Salmista percepisce e che lo spaventa è quella dei nemici. E’ dunque necessario che Dio si faccia vicino e soccorra, perché i nemici circondano l’orante, lo accerchiano, e sono come tori poderosi, come leoni che spalancano le fauci per ruggire e sbranare (cfr vv. 13-14). L’angoscia altera la percezione del pericolo, ingrandendolo. Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati animali feroci e pericolosissimi, mentre il Salmista è come un piccolo verme, impotente, senza difesa alcuna. Ma queste immagini usate nel Salmo servono anche a dire che quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità. Ora, per il Salmista, oggetto di tanta feroce aggressione, sembra non esserci più scampo, e la morte inizia ad impossessarsi di lui: «Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa […] arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato […] si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte» (vv. 15.16.19). Con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato, l’arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco nella richiesta di Gesù «Ho sete» (cfr Jn 19,28), per giungere al gesto definitivo degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima, considerata già morta (cfr Mt 27,35 Mc 15,24 Lc 23,34 Jn 19,23-24).

Ecco allora, impellente, di nuovo la richiesta di soccorso: «Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto […] Salvami» (vv. 20.22a). È questo un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza: «Tu mi hai risposto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (vv. 22c-23). Così, il Salmo si apre al rendimento di grazie, al grande inno finale che coinvolge tutto il popolo, i fedeli del Signore, l’assemblea liturgica, le generazioni future (cfr vv. 24-32). Il Signore è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza.

Fratelli e sorelle carissimi, questo Salmo ci ha portati sul Golgota, ai piedi della croce di Gesù, per rivivere la sua passione e condividere la gioia feconda della risurrezione. Lasciamoci dunque invadere dalla luce del mistero pasquale anche nell'apparente assenza di Dio, anche nel silenzio di Dio, e, come i discepoli di Emmaus, impariamo a discernere la vera realtà al di là delle apparenze, riconoscendo il cammino dell’esaltazione proprio nell’umiliazione, e il pieno manifestarsi della vita nella morte, nella croce. Così, riponendo tutta la nostra fiducia e la nostra speranza in Dio Padre, in ogni angoscia Lo potremo pregare anche noi con fede, e il nostro grido di aiuto si trasformerà in canto di lode. Grazie.

Saluti:


Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. In questi giorni si celebra in Polonia la “Settimana dell’educazione”. L’educazione, la cui meta è lo sviluppo integrale dell’uomo, è un compito che richiede la collaborazione dei genitori, degli insegnanti e dei pastori, nonché delle rispettive autorità statali e locali. Questa Settimana susciti in tutti il senso di responsabilità per una buona formazione delle menti e dei cuori dei giovani. Dio vi benedica.


Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i pellegrini slovacchi provenienti da Šurany, Záhorská Bystrica, Žilina, Prešov a Stará Lubovna; in particolare do il benvenuto al gruppo proveniente da Svit con il coro Laudamus.
Fratelli e sorelle, domani la Slovacchia celebrerà la festa della sua Patrona, la Vergine Addolorata. Gesù l’ha data come Madre ad ognuno di noi. Ella vi aiuti ad essere fedeli discepoli del Cristo. Volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Suore Serve dei Poveri, che partecipano al loro Capitolo Generale; i Religiosi salesiani, in partenza per la missione ad gentes; i rappresentanti della comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio. A tutti auguro di essere gioiosi strumenti dell’amore e della misericordia divina.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Oggi, la liturgia ci fa meditare sul mistero della Croce del Signore, e domani sui dolori della sua Madre. La Croce di Cristo e l'esempio di Maria, Vergine Addolorata, illuminino la vostra esistenza, cari giovani; vi sostengano nelle prove quotidiane, cari malati; e siano di stimolo per voi, cari sposi novelli, ad un'esistenza familiare coraggiosa e coerente con i principi evangelici.

Oggi, a Cosenza, viene proclamata Beata suor Elena Aiello, fondatrice delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Subito dopo il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona, la Chiesa che è in Italia gioisce per l’elevazione alla gloria degli altari di un’anima eminentemente eucaristica. Illustre figlia della terra di Calabria, suor Elena Aiello soleva dire: “L’Eucarestia è l’alimento essenziale della mia vita, il respiro profondo della mia anima, il Sacramento che dà senso alla mia vita, a tutte le azioni della giornata”. L’esempio e l’intercessione della nuova Beata accrescano in tutti l’amore per il mirabile Sacramento dell’altare.






Catechesi 2005-2013 31811