Catechesi 2005-2013 30111

Mercoledì, 30 novembre 2011: La preghiera attraversa tutta la vita di Gesù

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Aula Paolo VI


Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell’Antico Testamento, oggi vorrei iniziare a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, «la preghiera è pienamente rivelata ed attuata in Gesù» (541-547). A Lui vogliamo guardare nelle prossime catechesi.

Un momento particolarmente significativo di questo suo cammino è la preghiera che segue il battesimo a cui si sottopone nel fiume Giordano. L'Evangelista Luca annota che Gesù, dopo aver ricevuto, insieme a tutto il popolo, il battesimo per mano di Giovanni il Battista, entra in una preghiera personalissima e prolungata: «Mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo» (
Lc 3,21-22). Proprio questo «stare in preghiera», in dialogo con il Padre illumina l'azione che ha compiuto insieme a tanti del suo popolo, accorsi alla riva del Giordano. Pregando, Egli dona a questo suo gesto, del battesimo, un tratto esclusivo e personale.

Il Battista aveva rivolto un forte appello a vivere veramente come «figli di Abramo», convertendosi al bene e compiendo frutti degni di tale cambiamento (cfr Lc 3,7-9). E un gran numero di Israeliti si era mosso, come ricorda l’Evangelista Marco, che scrive: «Accorrevano… [a Giovanni] tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,5). Il Battista portava qualcosa di realmente nuovo: sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie questo invito, entra nella grigia moltitudine dei peccatori che attendono sulla riva del Giordano. Ma, come ai primi cristiani, anche in noi sorge la domanda: perché Gesù si sottopone volontariamente a questo battesimo di penitenza e di conversione? Non ha da confessare peccati, non aveva peccati, quindi anche non aveva bisogno di convertirsi. Perché allora questo gesto? L’Evangelista Matteo riporta lo stupore del Battista che afferma: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14) e la risposta di Gesù: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (v. 15). Il senso della parola «giustizia» nel mondo biblico è accettare pienamente la volontà di Dio. Gesù mostra la sua vicinanza a quella parte del suo popolo che, seguendo il Battista, riconosce insufficiente il semplice considerarsi figli di Abramo, ma vuole compiere la volontà di Dio, vuole impegnarsi perché il proprio comportamento sia una risposta fedele all’alleanza offerta da Dio in Abramo. Discendendo allora nel fiume Giordano, Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un’ottica di novità di vita, di vita secondo Dio.

In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, adempiendo la volontà del Padre. Raccogliendosi in preghiera, Gesù mostra l’intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con il Padre riceve la conferma della sua missione. Nelle parole che risuonano dal Cielo (cfr Lc 3,22) vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione. La voce divina lo definisce «Il Figlio mio, l’amato», richiamando Isacco, l'amatissimo figlio che il padre Abramo era disposto a sacrificare, secondo il comando di Dio (cfr Gn 22,1-14). Gesù non è solo il Figlio di Davide discendente messianico regale, o il Servo di cui Dio si compiace, ma è anche il Figlio unigenito, l’amato, simile a Isacco, che Dio Padre dona per la salvezza del mondo. Nel momento in cui, attraverso la preghiera, Gesù vive in profondità la propria figliolanza e l’esperienza della paternità di Dio (cfr Lc 3,22), discende lo Spirito Santo (cfr Lc 3,22), che lo guida nella sua missione e che Egli effonderà dopo essere stato innalzato sulla croce (cfr Jn 1,32-34 Jn 7,37-39), perché illumini l’opera della Chiesa. Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini.

Sullo sfondo di questa straordinaria preghiera sta l’intera esistenza di Gesù vissuta in una famiglia profondamente legata alla tradizione religiosa del popolo di Israele. Lo mostrano i riferimenti che troviamo nei Vangeli: la sua circoncisione (cfr Lc 2,21) e la sua presentazione al tempio (cfr Lc 2,22-24), come pure l’educazione e la formazione a Nazaret, nella santa casa (cfr 2,51-52). Si tratta di «circa trent’anni» (Lc 3,23), un tempo lungo di vita nascosta e feriale, anche se con esperienze di partecipazione a momenti di espressione religiosa comunitaria, come i pellegrinaggi a Gerusalemme (cfr Lc 2,41). Narrandoci l'episodio di Gesù dodicenne nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (cfr Lc 2,42-52), l'evangelista Luca lascia intravedere come Gesù, che prega dopo il battesimo al Giordano, ha una lunga abitudine di orazione intima con Dio Padre, radicata nelle tradizioni, nello stile della sua famiglia, nelle esperienze decisive in essa vissute. La risposta del dodicenne a Maria e Giuseppe indica già quella filiazione divina, che la voce celeste manifesta dopo il battesimo: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Uscito dalle acque del Giordano, Gesù non inaugura la sua preghiera, ma continua il suo rapporto costante, abituale con il Padre; ed è in questa unione intima con Lui che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazaret al suo ministero pubblico.

L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica risponde alla domanda: Da chi Gesù ha imparato a pregare?, così: «Gesù, secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente più segreta, poiché è il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanità, rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta» (541).

Nella narrazione evangelica, le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio. «Il luogo deserto» (cfr Mc 1,35 Lc 5,16) in cui spesso si ritira, «il monte» dove sale a pregare (cfr Lc 6,12 Lc 9,28), «la notte» che gli permette la solitudine (cfr Mc 1,35 Mc 6,46-47 Lc 6,12) richiamano momenti del cammino della rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, indicando la continuità del suo progetto salvifico. Ma al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre.

Anche nella nostra preghiera noi dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per di noi.

La preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte. L'Evangelista Marco racconta una di queste notti, dopo la pesante giornata della moltiplicazione dei pani e scrive: «E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra» (Mc 6,45-47). Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse, la sua preghiera diventa più prolungata e intensa. Nell’imminenza della scelta dei Dodici Apostoli, ad esempio, Luca sottolinea la durata notturna della preghiera preparatoria di Gesù: «In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli» (Lc 6,12-13).

Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come prego io? come preghiamo noi? Quale tempo dedico al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro? Nell’Esortazione apostolica Verbum Domini ho parlato dell’importanza della lettura orante della Sacra Scrittura. Raccogliendo quanto emerso nell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ho posto un accento particolare sulla forma specifica della lectio divina. Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono, che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra; soprattutto, la continuità e la costanza sono importanti. Proprio l’esperienza esemplare di Gesù mostra che la sua preghiera, animata dalla paternità di Dio e dalla comunione dello Spirito, si è approfondita in un prolungato e fedele esercizio, fino al Giardino degli Ulivi e alla Croce. Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio. Anzi, nel percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano, possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana è vero che, camminando, si aprono cammini.

Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per la nostra l’esistenza. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini polacchi. In particolare rivolgo una parola di saluto e di spirituale vicinanza alle suore maestre della Congregazione delle Elisabettane. All’inizio dell’Avvento incoraggio tutti voi a vigilare nella preghiera e a preparare i cuori – attraverso le opere di misericordia verso i fratelli – all’incontro con il Signore che viene. Dio vi benedica!


Saluto in lingua croata:

Saluto di cuore i pellegrini Croati, in modo particolare le Suore della Congregazione delle Figlie della Divina Carità, accompagnate dal Signor Cardinale Vinko Puljic. Il vostro pellegrinaggio è occasione di ringraziamento per la recente beatificazione a Sarajevo delle cinque vostre consorelle che hanno subito il martirio durante la II^ Guerra mondiale. Mentre siamo grati per la loro testimonianza, preghiamo Dio che ci doni il coraggio e la perseveranza nel nostro servizio. Siano lodati Gesù e Maria!


Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do il benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia: particolarmente a quelli dalla Parrocchia di Modra.
Fratelli e sorelle, in questo tempo di grazia dell’Avvento chiediamo allo Spirito Santo che ci trasformi in testimoni dell’amore di Dio e portatori di pace. Cordialmente benedico voi e le vostre famiglie.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Cari fratelli e sorelle,

rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i rappresentanti della «Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri» ed esprimo loro viva riconoscenza per il gradito dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa. Saluto i volontari della «Croce Rossa della Puglia» e li esorto a proseguire nella loro attività in favore dei fratelli più bisognosi. Saluto la Delegazione del Comune di Cervia, ringraziando per il tradizionale omaggio di un prodotto tipico della loro terra.

Rivolgo infine un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Cari giovani, vi invito a riscoprire, nel clima spirituale dell'Avvento, l'intimità con Cristo, ponendovi alla scuola della Vergine Maria. Raccomando a voi, cari ammalati, di trascorrere questo periodo di attesa e di preghiera più intensa offrendo al Signore che viene le vostre sofferenze per la salvezza del mondo. Esorto infine voi, cari sposi novelli, ad essere costruttori di famiglie cristiane autentiche, ispirandovi al modello della Santa Famiglia di Nazaret, a cui guardiamo particolarmente in questo tempo di preparazione al Natale.





Mercoledì, 7 dicembre 2011: Il gioiello dell'Inno di giubilo

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Aula Paolo VI


Cari fratelli e sorelle,

gli evangelisti Matteo e Luca (cfr
Mt 11,25-30 Lc 10,21-22) ci hanno tramandato un «gioiello» della preghiera di Gesù, che spesso viene chiamato Inno di giubilo o Inno di giubilo messianico. Si tratta di una preghiera di riconoscenza e di lode, come abbiamo ascoltato. Nell’originale greco dei Vangeli il verbo con cui inizia questo inno, e che esprime l’atteggiamento di Gesù nel rivolgersi al Padre, è exomologoumai, tradotto spesso con «rendo lode» (Mt 11,25 e Lc 10,21). Ma negli scritti del Nuovo Testamento questo verbo indica principalmente due cose: la prima è «riconoscere fino in fondo»– ad esempio, Giovanni Battista chiedeva di riconoscere fino in fondo i propri peccati a chi andava da lui per farsi battezzare (cfr Mt 3,6) –; la seconda cosa è «trovarsi d’accordo». Quindi, l’espressione con cui Gesù inizia la sua preghiera contiene il suo riconoscere fino in fondo, pienamente, l’agire di Dio Padre, e, insieme, il suo essere in totale, consapevole e gioioso accordo con questo modo di agire, con il progetto del Padre. L’Inno di giubilo è l’apice di un cammino di preghiera in cui emerge chiaramente la profonda e intima comunione di Gesù con la vita del Padre nello Spirito Santo e si manifesta la sua filiazione divina.

Gesù si rivolge a Dio chiamandolo «Padre». Questo termine esprime la coscienza e la certezza di Gesù di essere «il Figlio», in intima e costante comunione con Lui, e questo è il punto centrale e la fonte di ogni preghiera di Gesù. Lo vediamo chiaramente nell’ultima parte dell’Inno, che illumina l’intero testo. Gesù dice: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Lc 10,22). Gesù quindi afferma che solo «il Figlio» conosce veramente il Padre. Ogni conoscenza tra le persone - lo sperimentiamo tutti nelle nostre relazioni umane – comporta un coinvolgimento, un qualche legame interiore tra chi conosce e chi è conosciuto, a livello più o meno profondo: non si può conoscere senza una comunione dell'essere. Nell’Inno di giubilo, come in tutta la sua preghiera, Gesù mostra che la vera conoscenza di Dio presuppone la comunione con Lui: solo essendo in comunione con l'altro comincio a conoscere; e così anche con Dio, solo se ho un contatto vero, se sono in comunione, posso anche conoscerlo. Quindi la vera conoscenza è riservata al « Figlio», l’Unigenito che è da sempre nel seno del Padre (cfr Jn 1,18), in perfetta unità con Lui. Solo il Figlio conosce veramente Dio, essendo in comunione intima dell'essere; solo il Figlio può rivelare veramente chi è Dio.

Il nome «Padre» è seguito da un secondo titolo, «Signore del cielo e della terra». Gesù, con questa espressione, ricapitola la fede nella creazione e fa risuonare le prime parole della Sacra Scrittura: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1). Pregando, Egli richiama la grande narrazione biblica della storia di amore di Dio per l’uomo, che inizia con l’atto della creazione. Gesù si inserisce in questa storia di amore, ne è il vertice e il compimento. Nella sua esperienza di preghiera, la Sacra Scrittura viene illuminata e rivive nella sua più completa ampiezza: annuncio del mistero di Dio e risposta dell’uomo trasformato. Ma attraverso l’espressione «Signore del cielo e della terra» possiamo anche riconoscere come in Gesù, il Rivelatore del Padre, viene riaperta all’uomo la possibilità di accedere a Dio.

Poniamoci adesso la domanda: a chi il Figlio vuole rivelare i misteri di Dio? All’inizio dell’Inno Gesù esprime la sua gioia perché la volontà del Padre è quella di tenere nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e rivelarle ai piccoli (cfr Lc 10,21). In questa espressione della sua preghiera, Gesù manifesta la sua comunione con la decisione del Padre che schiude i suoi misteri a chi ha il cuore semplice: la volontà del Figlio è una cosa sola con quella del Padre. La rivelazione divina non avviene secondo la logica terrena, per la quale sono gli uomini colti e potenti che possiedono le conoscenze importanti e le trasmettono alla gente più semplice, ai piccoli. Dio ha usato tutt’altro stile: i destinatari della sua comunicazione sono stati proprio i «piccoli». Questa è la volontà del Padre, e il Figlio la condivide con gioia. Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il suo trasalire «Sì, Padre!» esprime la profondità del suo cuore, la sua adesione al beneplacito del Padre, come eco al «Fiat» di sua Madre al momento del suo concepimento e come preludio a quello che egli dirà al Padre durante la sua agonia. Tutta la preghiera di Gesù è in questa amorosa adesione del suo cuore di uomo al “mistero della ... volontà” del Padre (Ep 1,9)» (2603). Da qui deriva l’invocazione che rivolgiamo a Dio nel Padre nostro: «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»: insieme con Cristo e in Cristo, anche noi chiediamo di entrare in sintonia con la volontà del Padre, diventando così anche noi suoi figli. Gesù, pertanto, in questo Inno di giubilo esprime la volontà di coinvolgere nella sua conoscenza filiale di Dio tutti coloro che il Padre vuole renderne partecipi; e coloro che accolgono questo dono sono i «piccoli».

Ma che cosa significa «essere piccoli», semplici? Qual è «la piccolezza» che apre l’uomo all’intimità filiale con Dio e ad accogliere la sua volontà? Quale deve essere l’atteggiamento di fondo della nostra preghiera? Guardiamo al «Discorso della montagna», dove Gesù afferma: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). E’ la purezza del cuore quella che permette di riconoscere il volto di Dio in Gesù Cristo; è avere il cuore semplice come quello dei bambini, senza la presunzione di chi si chiude in se stesso, pensando di non avere bisogno di nessuno, neppure di Dio.

E’ interessante anche notare l’occasione in cui Gesù prorompe in questo Inno al Padre. Nella narrazione evangelica di Matteo è la gioia perché, nonostante le opposizioni e i rifiuti, ci sono dei «piccoli» che accolgono la sua parola e si aprono al dono della fede in Lui. L’Inno di giubilo, infatti, è preceduto dal contrasto tra l’elogio di Giovanni il Battista, uno dei «piccoli» che hanno riconosciuto l’agire di Dio in Cristo Gesù (cfr Mt 11,2-19), e il rimprovero per l’incredulità delle città del lago «nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi» (cfr Mt 11,20-24). Il giubilo quindi è visto da Matteo in relazione alle parole con cui Gesù constata l’efficacia della sua parola e della sua azione: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,4-6).

Anche san Luca presenta l’Inno di giubilo in connessione con un momento di sviluppo dell’annuncio del Vangelo. Gesù ha inviato i «settantadue discepoli» (Lc 10,1) ed essi sono partiti con un senso di paura per il possibile insuccesso della loro missione. Anche Luca sottolinea il rifiuto incontrato nelle città in cui il Signore ha predicato e ha compiuto segni prodigiosi. Ma i settantadue discepoli tornano pieni di gioia, perché la loro missione ha avuto successo; essi hanno constatato che, con la potenza della parola di Gesù, i mali dell’uomo vengono vinti. E Gesù condivide la loro soddisfazione: «in quella stessa ora», in quel momento, Egli esultò di gioia.

Ci sono ancora due elementi che vorrei sottolineare. L’evangelista Luca introduce la preghiera con l’annotazione: «Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo» (Lc 10,21). Gesù gioisce partendo dall’intimo di se stesso, in ciò che ha di più profondo: la comunione unica di conoscenza e di amore con il Padre, la pienezza dello Spirito Santo. Coinvolgendoci nella sua figliolanza, Gesù invita anche noi ad aprirci alla luce dello Spirito Santo, perché – come afferma l’apostolo Paolo - «(Noi) non sappiamo … come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili … secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27) e ci rivela l’amore del Padre. Nel Vangelo di Matteo, dopo l’Inno di Giubilo, troviamo uno degli appelli più accorati di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Gesù chiede di andare a Lui che è la vera sapienza, a Lui che è «mite e umile di cuore»; propone «il suo giogo», la strada della sapienza del Vangelo che non è una dottrina da imparare o una proposta etica, ma una Persona da seguire: Egli stesso, il Figlio Unigenito in perfetta comunione con il Padre.

Cari fratelli e sorelle, abbiamo gustato per un momento la ricchezza di questa preghiera di Gesù. Anche noi, con il dono del suo Spirito, possiamo rivolgerci a Dio, nella preghiera, con confidenza di figli, invocandolo con il nome di Padre, «Abbà». Ma dobbiamo avere il cuore dei piccoli, dei «poveri in spirito» (Mt 5,3), per riconoscere che non siamo autosufficienti, che non possiamo costruire la nostra vita da soli, ma abbiamo bisogno di Dio, abbiamo bisogno di incontrarlo, di ascoltarlo, di parlargli. La preghiera ci apre a ricevere il dono di Dio, la sua sapienza, che è Gesù stesso, per compiere la volontà del Padre sulla nostra vita e trovare così ristoro nelle fatiche del nostro cammino. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. La liturgia d’Avvento ci esorta alla vigilanza e alla preghiera. Cristo ci insegna come dobbiamo pregare. Sa che senza l’assistenza dello spirito santo non siamo capaci di pregare come si deve. Perciò, quando Lo riceviamo pervade i nostri cuori e “sapendo quali sono le aspirazioni dello Spirito, intercede per noi secondo Dio” (cfr Rm 8,27). Insieme con Cristo preghiamo sempre il Padre con viva fede e filiale coraggio. Sia lodato Gesù Cristo.


Saluto in lingua ceca:

Saluto cordialmente i pellegrini cechi, in particolare gli alunni del ginnasio Jan Valerian, di Ceské Budejovice. Cari fratelli e sorelle, vi auguro di vivere questo tempo di Avvento come la Vergine Maria nella gioiosa attesa del Salvatore che viene. Volentieri benedico voi e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo infine un caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i gruppi parrocchiali, in particolare quelli convenuti in occasione di ricorrenze particolari: la Parrocchia San Pietro Apostolo in Ceccano, a 50 anni dalla ricostruzione della Chiesa parrocchiale distrutta nei bombardamenti aerei del 1943; e la Parrocchia Santa Maria ad nives in Atella, a 10 anni dalla barbara uccisione in Sudafrica del concittadino Padre Michele D’Annucci, missionario stimmatino. Saluto inoltre le scolaresche, le associazioni e l’Orchestra Filarmonica di Casarano, con l’augurio che l’imminenza del Natale del Signore sia occasione propizia di un incontro profondo e di rinnovata adesione di fede in Gesù nostro Salvatore.

Rivolgo infine un pensiero affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. La solennità dell'Immacolata, che domani celebreremo, ci ricorda la singolare adesione di Maria al progetto salvifico di Dio. Preservata da ogni ombra di peccato per essere dimora tutta santa del Verbo incarnato, Ella si è sempre fidata pienamente del Signore. Cari giovani, sforzatevi di imitarla con cuore puro e limpido, lasciandovi plasmare da Dio che anche in voi intende "fare grandi cose" (cfr Lc 1,49). Cari ammalati, con l'aiuto di Maria fidatevi sempre del Signore, il quale conosce le vostre sofferenze e, unendole alle Sue, le offre per la salvezza del mondo. E voi, cari sposi novelli, che volete edificare la vostra dimora sulla grazia di Dio, rendete la vostra casa, ad imitazione di quella di Nazareth, un focolare di amore e di pietà.




Mercoledì, 14 dicembre 2011: La preghiera di fronte all'azione benefica e sanante di Dio

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Aula Paolo VI


Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei riflettere con voi sulla preghiera di Gesù legata alla sua prodigiosa azione guaritrice. Nei Vangeli sono presentate varie situazioni in cui Gesù prega di fronte all’opera benefica e sanante di Dio Padre, che agisce attraverso di Lui. Si tratta di una preghiera che, ancora una volta, manifesta il rapporto unico di conoscenza e di comunione con il Padre, mentre Gesù si lascia coinvolgere con grande partecipazione umana nel disagio dei suoi amici, per esempio di Lazzaro e della sua famiglia, o dei tanti poveri e malati che Egli vuole aiutare concretamente.

Un caso significativo è la guarigione del sordomuto (cfr
Mc 7,32-37). Il racconto dell’evangelista Marco – appena sentito – mostra che l’azione sanante di Gesù è connessa con un suo intenso rapporto sia con il prossimo - il malato -, sia con il Padre. La scena del miracolo è descritta con cura così: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, “Apriti”» (7,33-34). Gesù vuole che la guarigione avvenga «in disparte, lontano dalla folla». Ciò non sembra dovuto soltanto al fatto che il miracolo deve essere tenuto nascosto alla gente per evitare che si formino interpretazioni limitative o distorte della persona di Gesù. La scelta di portare il malato in disparte fa sì che, al momento della guarigione, Gesù e il sordomuto si trovino da soli, avvicinati in una singolare relazione. Con un gesto, il Signore tocca le orecchie e la lingua del malato, ossia le sedi specifiche della sua infermità. L’intensità dell’attenzione di Gesù si manifesta anche nei tratti insoliti della guarigione: Egli impiega le proprie dita e, persino, la propria saliva. Anche il fatto che l’Evangelista riporti la parola originale pronunciata dal Signore - «Effatà», ossia «Apriti!» - evidenzia il carattere singolare della scena.

Ma il punto centrale di questo episodio è il fatto che Gesù, al momento di operare la guarigione, cerca direttamente il suo rapporto con il Padre. Il racconto dice, infatti, che Egli «guardando … verso il cielo, emise un sospiro» (v. 34). L’attenzione al malato, la cura di Gesù verso di lui, sono legati ad un profondo atteggiamento di preghiera rivolta a Dio. E l’emissione del sospiro è descritta con un verbo che nel Nuovo Testamento indica l’aspirazione a qualcosa di buono che ancora manca (cfr Rm 8,23). L’insieme del racconto, allora, mostra che il coinvolgimento umano con il malato porta Gesù alla preghiera. Ancora una volta riemerge il suo rapporto unico con il Padre, la sua identità di Figlio Unigenito. In Lui, attraverso la sua persona, si rende presente l’agire sanante e benefico di Dio. Non è un caso che il commento conclusivo della gente dopo il miracolo ricordi la valutazione della creazione all’inizio della Genesi: «Ha fatto bene ogni cosa» (Mc 7,37). Nell’azione guaritrice di Gesù entra in modo chiaro la preghiera, con il suo sguardo verso il cielo. La forza che ha sanato il sordomuto è certamente provocata dalla compassione per lui, ma proviene dal ricorso al Padre. Si incontrano queste due relazioni: la relazione umana di compassione con l'uomo, che entra nella relazione con Dio, e diventa così guarigione.

Nel racconto giovanneo della risurrezione di Lazzaro, questa stessa dinamica è testimoniata con un’evidenza ancora maggiore (cfr Jn 11,1-44). Anche qui s’intrecciano, da una parte, il legame di Gesù con un amico e con la sua sofferenza e, dall’altra, la relazione filiale che Egli ha con il Padre. La partecipazione umana di Gesù alla vicenda di Lazzaro ha tratti particolari. Nell’intero racconto è ripetutamente ricordata l’amicizia con lui, come pure con le sorelle Marta e Maria. Gesù stesso afferma: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Jn 11,11). L’affetto sincero per l’amico è evidenziato anche dalle sorelle di Lazzaro, come pure dai Giudei (cfr Jn 11,3 Jn 11,36), si manifesta nella commozione profonda di Gesù alla vista del dolore di Marta e Maria e di tutti gli amici di Lazzaro e sfocia nello scoppio di pianto – così profondamente umano - nell’avvicinarsi alla tomba: «Gesù allora, quando … vide piangere [Marta], e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: “Dove lo avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù scoppiò in pianto» (Jn 11,33-35).

Questo legame di amicizia, la partecipazione e la commozione di Gesù davanti al dolore dei parenti e conoscenti di Lazzaro, si collega, in tutto il racconto, con un continuo e intenso rapporto con il Padre. Fin dall’inizio, l’avvenimento è letto da Gesù in relazione con la propria identità e missione e con la glorificazione che Lo attende. Alla notizia della malattia di Lazzaro, infatti, Egli commenta: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» (Jn 11,4). Anche l’annuncio della morte dell’amico viene accolto da Gesù con profondo dolore umano, ma sempre in chiaro riferimento al rapporto con Dio e alla missione che gli ha affidato; dice: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate» (Jn 11,14-15). Il momento della preghiera esplicita di Gesù al Padre davanti alla tomba, è lo sbocco naturale di tutta la vicenda, tesa su questo doppio registro dell’amicizia con Lazzaro e del rapporto filiale con Dio. Anche qui le due relazioni vanno insieme. «Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato”» (Jn 11,41): è una eucaristia. La frase rivela che Gesù non ha lasciato neanche per un istante la preghiera di domanda per la vita di Lazzaro. Questa preghiera continua, anzi, ha rafforzato il legame con l’amico e, contemporaneamente, ha confermato la decisione di Gesù di rimanere in comunione con la volontà del Padre, con il suo piano di amore, nel quale la malattia e la morte di Lazzaro vanno considerate come un luogo in cui si manifesta la gloria di Dio.

Cari fratelli e sorelle, leggendo questa narrazione, ciascuno di noi è chiamato a comprendere che nella preghiera di domanda al Signore non dobbiamo attenderci un compimento immediato di ciò che noi chiediamo, della nostra volontà, ma affidarci piuttosto alla volontà del Padre, leggendo ogni evento nella prospettiva della sua gloria, del suo disegno di amore, spesso misterioso ai nostri occhi. Per questo, nella nostra preghiera, domanda, lode e ringraziamento dovrebbero fondersi assieme, anche quando ci sembra che Dio non risponda alle nostre concrete attese. L’abbandonarsi all’amore di Dio, che ci precede e ci accompagna sempre, è uno degli atteggiamenti di fondo del nostro dialogo con Lui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica commenta così la preghiera di Gesù nel racconto della risurrezione di Lazzaro: «Introdotta dal rendimento di grazie, la preghiera di Gesù ci rivela come chiedere: prima che il dono venga concesso, Gesù aderisce a colui che dona e che nei suoi doni dona se stesso. Il Donatore è più prezioso del dono accordato; è il “Tesoro”, ed il cuore del Figlio suo è in lui; il dono viene concesso “in aggiunta” (cfr 6,33)» (2604). Questo mi sembra molto importante: prima che il dono venga concesso, aderire a Colui che dona; il donatore è più prezioso del dono. Anche per noi, quindi, al di là di ciò che Dio ci da quando lo invochiamo, il dono più grande che può darci è la sua amicizia, la sua presenza, il suo amore. Lui è il tesoro prezioso da chiedere e custodire sempre.

La preghiera che Gesù pronuncia mentre viene tolta la pietra dall’ingresso della tomba di Lazzaro, presenta poi uno sviluppo singolare ed inatteso. Egli, infatti, dopo avere ringraziato Dio Padre, aggiunge: «Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato» (Jn 11,42). Con la sua preghiera, Gesù vuole condurre alla fede, alla fiducia totale in Dio e nella sua volontà, e vuole mostrare che questo Dio che ha tanto amato l’uomo e il mondo da mandare il suo Figlio Unigenito (cfr Jn 3,16), è il Dio della Vita, il Dio che porta speranza ed è capace di rovesciare le situazioni umanamente impossibili. La preghiera fiduciosa di un credente, allora, è una testimonianza viva di questa presenza di Dio nel mondo, del suo interessarsi all’uomo, del suo agire per realizzare il suo piano di salvezza.

Le due preghiere di Gesù meditate adesso, che accompagnano la guarigione del sordomuto e la risurrezione di Lazzaro, rivelano che il profondo legame tra l’amore a Dio e l’amore al prossimo deve entrare anche nella nostra preghiera. In Gesù, vero Dio e vero uomo, l’attenzione verso l’altro, specialmente se bisognoso e sofferente, il commuoversi davanti al dolore di una famiglia amica, Lo portano a rivolgersi al Padre, in quella relazione fondamentale che guida tutta la sua vita. Ma anche viceversa: la comunione con il Padre, il dialogo costante con Lui, spinge Gesù ad essere attento in modo unico alle situazioni concrete dell’uomo per portarvi la consolazione e l’amore di Dio. La relazione con l'uomo ci guida verso la relazione con Dio, e quella con Dio ci guida di nuovo al prossimo.

Cari fratelli e sorelle, la nostra preghiera apre la porta a Dio, che ci insegna ad uscire costantemente da noi stessi per essere capaci di farci vicini agli altri, specialmente nei momenti di prova, per portare loro consolazione, speranza e luce. Il Signore ci conceda di essere capaci di una preghiera sempre più intensa, per rafforzare il nostro rapporto personale con Dio Padre, allargare il nostro cuore alle necessità di chi ci sta accanto e sentire la bellezza di essere «figli nel Figlio» insieme con tanti fratelli. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i Polacchi partecipanti a questa udienza. La preghiera di Cristo, della quale tratta la catechesi odierna, nasce dalla Sua filiale fiducia verso il Padre, dall’accordo con la Sua volontà, dalla sicurezza che essa sarà esaudita. Impariamo da Gesù tale preghiera. Che essa rafforzi il nostro rapporto con Dio, cambi la nostra vita, ci faccia sensibili alle necessità del prossimo. Preghiamo perchè i nostri cuori sperimentino l’azione risanatrice di Dio. Sia lodato Gesù Cristo.


Saluto in lingua ucraina:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dall’Ucraina, in particolare ai fedeli dell’Eparchia di Mukachevo, accompagnati dal loro Pastore Mons. Milan Sasik. A tutti auguro di vivere con intensa fede questo tempo di preparazione al Natale ormai vicino. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto la comunità dei Legionari di Cristo, presenti numerosi a questo incontro, insieme con i rappresentanti dell’Associazione Regnum Christi, venuti a Roma per l’ordinazione di cinquanta nuovi sacerdoti. Il Signore vi sostenga nel vostro ministero, affinché possiate attuare con gioia e fedeltà la vostra missione a servizio del Vangelo. Saluto la comunità del Seminario Vescovile di San Miniato, qui convenuta con il Vescovo Mons. Fausto Tardelli, la Comunità del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma e i rappresentanti della Federazione Italiana delle Comunità Terapeutiche.

Saluto e ringrazio quanti hanno promosso, finanziato, e realizzato il restauro della celebre scultura denominata “La Resurrezione” del maestro Pericle Fazzini, che il Servo di Dio Paolo VI ha voluto in quest’Aula e che potete vedere davanti a voi. Dopo un periodo di accurati lavori, oggi abbiamo la gioia di ammirare in tutto il suo originario splendore quest’opera d’arte e di fede.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. A voi, cari giovani, auguro di disporre i vostri cuori ad accogliere Gesù, che ci salva con la potenza del suo amore. A voi, cari malati, che sperimentate ancor più il peso della croce, le prossime feste natalizie apportino serenità e conforto. E voi, cari sposi novelli, crescete sempre più in quell'amore che Gesù nel suo Natale è venuto a donarci.







Catechesi 2005-2013 30111