Catechesi 2005-2013 22022

Mercoledì, 22 febbraio 2012: Mercoledì delle Ceneri

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Cari fratelli e sorelle,

in questa Catechesi vorrei soffermarmi brevemente sul tempo della Quaresima, che inizia oggi con la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. Si tratta di un itinerario di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, il cuore del mistero della nostra salvezza. Nei primi secoli di vita della Chiesa questo era il tempo in cui coloro che avevano udito e accolto l’annuncio di Cristo iniziavano, passo dopo passo, il loro cammino di fede e di conversione per giungere a ricevere il sacramento del Battesimo. Si trattava di un avvicinamento al Dio vivo e di una iniziazione alla fede da compiersi gradualmente, mediante un cambiamento interiore da parte dei catecumeni, cioè di quanti desideravano diventare cristiani ed essere incorporati a Cristo e alla Chiesa.

Successivamente, anche i penitenti e poi tutti i fedeli furono invitati a vivere questo itinerario di rinnovamento spirituale, per conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo. La partecipazione dell’intera comunità ai diversi passaggi del percorso quaresimale sottolinea una dimensione importante della spiritualità cristiana: è la redenzione non di alcuni, ma di tutti, ad essere disponibile grazie alla morte e risurrezione di Cristo. Pertanto, sia coloro che percorrevano un cammino di fede come catecumeni per ricevere il Battesimo, sia coloro che si erano allontanati da Dio e dalla comunità della fede e cercavano la riconciliazione, sia coloro che vivevano la fede in piena comunione con la Chiesa, tutti insieme sapevano che il tempo che precede la Pasqua è un tempo di metanoia, cioè del cambiamento interiore, del pentimento; il tempo che identifica la nostra vita umana e tutta la nostra storia come un processo di conversione che si mette in movimento ora per incontrare il Signore alla fine dei tempi.

Con una espressione diventata tipica nella Liturgia, la Chiesa denomina il periodo nel quale siamo entrati oggi «Quadragesima», cioè tempo di quaranta giorni e, con un chiaro riferimento alla Sacra Scrittura ci introduce così in un preciso contesto spirituale. Quaranta è infatti il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo Testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del Popolo di Dio. E’ una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Questo numero non rappresenta un tempo cronologico esatto, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una paziente perseveranza, una lunga prova, un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. E’ il tempo delle decisioni mature.

Il numero quaranta appare anzitutto nella storia di Noè.
Quest’uomo giusto, a causa del diluvio trascorre quaranta giorni e quaranta notti nell’arca, insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva detto di portare con sé. E attende altri quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione (cfr
Gn 7,4 Gn 7,12 Gn 8,6). Poi, la prossima tappa: Mosè rimane sul monte Sinai, alla presenza del Signore, quaranta giorni e quaranta notti, per accogliere la Legge. In tutto questo tempo digiuna (cfr Ex 24,18). Quaranta sono gli anni di viaggio del popolo ebraico dall’Egitto alla Terra promessa, tempo adatto per sperimentare la fedeltà di Dio. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni», dice Mosè nel Deuteronomio alla fine di questi quarant'anni di migrazione (Dt 8,2 Dt 8,4). Gli anni di pace di cui gode Israele sotto i Giudici sono quaranta (cfr Jg 3,11 Jg 3,30), ma, trascorso questo tempo, inizia la dimenticanza dei doni di Dio e il ritorno al peccato. Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l’Oreb, il monte dove incontra Dio (cfr 1R 19,8). Quaranta sono i giorni durante i quali i cittadini di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (cfr Gn 3,4). Quaranta sono anche gli anni dei regni di Saul (cfr Ac 13,21), di Davide (cfr 2S 5,4-5) e di Salomone (cfr 1R 11,41), i tre primi re d’Israele. Anche i Salmi riflettono sul significato biblico dei quaranta anni, come ad esempio il Salmo 95, del quale abbiamo sentito un brano: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per quarant'anni mi disgustò quella generazione e dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”» (vv. 7c-10).

Nel Nuovo Testamento Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritira nel deserto per quaranta giorni, senza mangiare né bere (cfr Mt 4,2): si nutre della Parola di Dio, che usa come arma per vincere il diavolo. Le tentazioni di Gesù richiamano quelle che il popolo ebraico affrontò nel deserto, ma che non seppe vincere. Quaranta sono i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al Cielo e inviare lo Spirito Santo (cfr Ac 1,3).

Con questo ricorrente numero di quaranta è descritto un contesto spirituale che resta attuale e valido, e la Chiesa, proprio mediante i giorni del periodo quaresimale, intende mantenerne il perdurante valore e renderne a noi presente l’efficacia. La liturgia cristiana della Quaresima ha lo scopo di favorire un cammino di rinnovamento spirituale, alla luce di questa lunga esperienza biblica e soprattutto per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio. I quarant’anni della peregrinazione di Israele nel deserto presentano atteggiamenti e situazioni ambivalenti. Da una parte essi sono la stagione del primo amore con Dio e tra Dio e il suo popolo, quando Egli parlava al suo cuore, indicandogli continuamente la strada da percorrere. Dio aveva preso, per così dire, dimora in mezzo a Israele, lo precedeva dentro una nube o una colonna di fuoco, provvedeva ogni giorno al suo nutrimento facendo scendere la manna e facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Pertanto, gli anni trascorsi da Israele nel deserto si possono vedere come il tempo della speciale elezione di Dio e della adesione a Lui da parte del popolo: tempo del primo amore. D’altro canto, la Bibbia mostra anche un’altra immagine della peregrinazione di Israele nel deserto: è anche il tempo delle tentazioni e dei pericoli più grandi, quando Israele mormora contro il suo Dio e vorrebbe tornare al paganesimo e si costruisce i propri idoli, poiché avverte l’esigenza di venerare un Dio più vicino e tangibile. E' anche il tempo della ribellione contro il Dio grande e invisibile.

Questa ambivalenza, tempo della speciale vicinanza di Dio - tempo del primo amore -, e tempo della tentazione – tentazione del ritorno al paganesimo -, la ritroviamo in modo sorprendente nel cammino terreno di Gesù, naturalmente senza alcun compromesso col peccato. Dopo il battesimo di penitenza al Giordano, nel quale assume su di sé il destino del Servo di Dio che rinuncia a se stesso e vive per gli altri e si pone tra i peccatori per prendere su di sé il peccato del mondo, Gesù si reca nel deserto per stare quaranta giorni in profonda unione con il Padre, ripetendo così la storia di Israele, tutti quei ritmi di quaranta giorni o anni a cui ho accennato. Questa dinamica è una costante nella vita terrena di Gesù, che ricerca sempre momenti di solitudine per pregare il Padre suo e rimanere in intima comunione, in intima solitudine con Lui, in esclusiva comunione con Lui, e poi ritornare in mezzo alla gente. Ma in questo tempo di “deserto” e di incontro speciale col Padre, Gesù si trova esposto al pericolo ed è assalito dalla tentazione e dalla seduzione del Maligno, il quale gli propone una via messianica altra, lontana dal progetto di Dio, perché passa attraverso il potere, il successo, il dominio e non attraverso il dono totale sulla Croce. Questa è l'alternativa: un messianesimo di potere, di successo, o un messianesimo di amore, di dono di sé.

Questa situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel “deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno. Nonostante questo, anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora.

Cari fratelli e sorelle, in questi quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua di Risurrezione possiamo ritrovare nuovo coraggio per accettare con pazienza e con fede ogni situazione di difficoltà, di afflizione e di prova, nella consapevolezza che dalle tenebre il Signore farà sorgere il giorno nuovo. E se saremo stati fedeli a Gesù seguendolo sulla via della Croce, il chiaro mondo di Dio, il mondo della luce, della verità e della gioia ci sarà come ridonato: sarà l’alba nuova creata da Dio stesso. Buon cammino di Quaresima a voi tutti!

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle, cominciamo il tempo di Quaresima. Meditando la passione e la morte salvifica di Cristo sulla Croce, impariamo da Lui a compiere la volontà di Dio, affidiamo a Lui ogni difficoltà, la sofferenza e le prove della vita. Il digiuno e la preghiera, la penitenza e le opere di misericordia che faremo, ci preparino a vivere gioiosamente il mattino di Pasqua – il mistero di Cristo Risorto. Per questo tempo di rinnovo dello spirito, vi benedico di cuore.

Saluto in lingua croata:

Saluto con affetto i pellegrini di lingua croata. Oggi, con l'imposizione delle ceneri, entriamo nella Quaresima, tempo prezioso di preghiera e di penitenza. Vi invito a vivere con profonda fede questo tempo di grazia! Volentieri vi benedico tutti. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Do un cordiale benvenuto ai pellegrini provenienti dalla Slovacchia.
Fratelli e sorelle, l’Apostolo Paolo invita: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.” Sentiamo all’inizio del Tempo di Quaresima questo richiamo rivolto personalmente a ciascuno di noi e mettiamolo in pratica con generosità. Con affetto vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù riunite per il Capitolo Generale, i Diaconi di Milano e i vari gruppi parrocchiali: vi invito tutti a costruire sempre la vostra vita secondo la logica del Vangelo, la logica del “non conformismo cristiano”. Saluto con affetto la delegazione dei Mondiali Juniores di Sci come pure i rappresentanti della Lega italiana contro i tumori a novant’anni dalla fondazione. Il gesto dell’imposizione delle Ceneri, che segna l’inizio della Quaresima, ci invita a guardare con più umiltà a noi stessi per ricentrare la nostra vita su Dio. Un cordiale benvenuto agli avvocati dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana: vi esorto a svolgere il vostro lavoro seguendo sempre i criteri di amore alla giustizia e di servizio al bene comune.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La Quaresima è un tempo favorevole per intensificare la vostra vita spirituale: la pratica del digiuno vi sia di aiuto, cari giovani, per acquisire un sempre maggiore dominio su voi stessi; la preghiera sia per voi, cari ammalati, il mezzo per affidare a Dio le vostre sofferenze e sentirlo sempre vicino; le opere di misericordia, infine, aiutino voi, cari sposi novelli, a vivere la vostra esistenza coniugale aprendola alle necessità dei fratelli. Buona Quaresima a tutti!





Piazza San Pietro

Mercoledì, 7 marzo 2012: Preghiera e silenzio: Gesù maestro di preghiera

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Cari fratelli e sorelle,

in una serie di catechesi precedenti ho parlato della preghiera di Gesù e non vorrei concludere questa riflessione senza soffermarmi brevemente sul tema del silenzio di Gesù, così importante nel rapporto con Dio.

Nell'Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, avevo fatto riferimento al ruolo che il silenzio assume nella vita di Gesù, soprattutto sul Golgota: «Qui siamo posti di fronte alla “Parola della croce” (
1Co 1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è “detto” fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare» (n. 12). Davanti a questo silenzio della croce, san Massimo il Confessore mette sulle labbra della Madre di Dio la seguente espressione: «È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita» (La vita di Maria, n. 89: Testi mariani del primo millennio, 2, Roma 1989, p. 253).

La croce di Cristo non mostra solo il silenzio di Gesù come sua ultima parola al Padre, ma rivela anche che Dio parla per mezzo del silenzio: «Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Mc 15,34 Mt 27,46). Procedendo nell’obbedienza fino all’estremo alito di vita, nell’oscurità della morte, Gesù ha invocato il Padre. A Lui si è affidato nel momento del passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46)» (Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 21). L'esperienza di Gesù sulla croce è profondamente rivelatrice della situazione dell’uomo che prega e del culmine dell'orazione: dopo aver ascoltato e riconosciuto la Parola di Dio, dobbiamo misurarci anche con il silenzio di Dio, espressione importante della stessa Parola divina.

La dinamica di parola e silenzio, che segna la preghiera di Gesù in tutta la sua esistenza terrena, soprattutto sulla croce, tocca anche la nostra vita di preghiera in due direzioni.

La prima è quella che riguarda l’accoglienza della Parola di Dio. E' necessario il silenzio interiore ed esteriore perché tale parola possa essere udita. E questo è un punto particolarmente difficile per noi nel nostro tempo. Infatti, la nostra è un’epoca in cui non si favorisce il raccoglimento; anzi a volte si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante, dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le giornate. Per questo nella già menzionata Esortazione Verbum Domini ho ricordato la necessità di educarci al valore del silenzio: «Riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il senso del raccoglimento e della quiete interiore. La grande tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio» (n. 21). Questro principio – che senza silenzio non si sente, non si ascolta, non si riceve una parola – vale per la preghiera personale soprattutto, ma anche per le nostre liturgie: per facilitare un ascolto autentico, esse devono essere anche ricche di momenti di silenzio e di accoglienza non verbale. Vale sempre l'osservazione di sant’Agostino: Verbo crescente, verba deficiunt - «Quando il Verbo di Dio cresce, le parole dell'uomo vengono meno» (cfr Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo 120,2: PL 38,677). I Vangeli presentano spesso, soprattutto nelle scelte decisive, Gesù che si ritira tutto solo in un luogo appartato dalle folle e dagli stessi discepoli per pregare nel silenzio e vivere il suo rapporto filiale con Dio. Il silenzio è capace di scavare uno spazio interiore nel profondo di noi stessi, per farvi abitare Dio, perché la sua Parola rimanga in noi, perché l’amore per Lui si radichi nella nostra mente e nel nostro cuore, e animi la nostra vita. Quindi la prima direzione: reimparare il silenzio, l'apertura per l'ascolto, che ci apre all'altro, alla Parola di Dio.

C'è però anche una seconda importante relazione del silenzio con la preghiera. Non c’è, infatti, solo il nostro silenzio per disporci all’ascolto della Parola di Dio; spesso, nella nostra preghiera, ci troviamo di fronte al silenzio di Dio, proviamo quasi un senso di abbandono, ci sembra che Dio non ascolti e non risponda. Ma questo silenzio di Dio, come è avvenuto anche per Gesù, non segna la sua assenza. Il cristiano sa bene che il Signore è presente e ascolta, anche nel buio del dolore, del rifiuto e della solitudine. Gesù rassicura i discepoli e ciascuno di noi che Dio conosce bene le nostre necessità in qualunque momento della nostra vita. Egli insegna ai discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8): un cuore attento, silenzioso, aperto è più importante di tante parole. Dio ci conosce nell’intimo, più di noi stessi, e ci ama: e sapere questo deve essere sufficiente. Nella Bibbia l’esperienza di Giobbe è particolarmente significativa al riguardo. Quest’uomo in poco tempo perde tutto: familiari, beni, amici, salute; sembra proprio che l’atteggiamento di Dio verso di lui sia quello dell’abbandono, del silenzio totale. Eppure Giobbe, nel suo rapporto con Dio, parla con Dio, grida a Dio; nella sua preghiera, nonostante tutto, conserva intatta la sua fede e, alla fine, scopre il valore della sua esperienza e del silenzio di Dio. E così alla fine, rivolgendosi al Creatore, conclude: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Jb 42,5): noi tutti quasi conosciamo Dio solo per sentito dire e quanto più siamo aperti al suo silenzio e al nostro silenzio, tanto più cominciamo a conoscerlo realmente. Questa estrema fiducia che si apre all’incontro profondo con Dio è maturata nel silenzio. San Francesco Saverio pregava dicendo al Signore: io ti amo non perché puoi darmi il paradiso o condannarmi all’inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu.

Avviandoci alla conclusione delle riflessioni sulla preghiera di Gesù, tornano alla mente alcuni insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’evento della preghiera ci viene pienamente rivelato nel Verbo che si è fatto carne e dimora in mezzo a noi. Cercare di comprendere la sua preghiera, attraverso ciò che i suoi testimoni ci dicono di essa nel Vangelo, è avvicinarci al santo Signore Gesù come al roveto ardente: dapprima contemplarlo mentre prega, poi ascoltare come ci insegna a pregare, infine conoscere come egli esaudisce la nostra preghiera» (n. 2598). E come Gesù ci insegna a pregare? Nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo una chiara risposta: «Gesù ci insegna a pregare, non solo con la preghiera del Padre nostro» - certamente l'atto centrale dell'insegnamento di come pregare - «ma anche quando [Egli stesso] prega. In questo modo, oltre al contenuto, ci mostra le disposizioni richieste per una vera preghiera: la purezza del cuore, che cerca il Regno e perdona i nemici; la fiducia audace e filiale, che va al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo; la vigilanza, che protegge il discepolo dalla tentazione» (n. 544).

Percorrendo i Vangeli abbiamo visto come il Signore sia, per la nostra preghiera, interlocutore, amico, testimone e maestro. In Gesù si rivela la novità del nostro dialogo con Dio: la preghiera filiale, che il Padre aspetta dai suoi figli. E da Gesù impariamo come la preghiera costante ci aiuti ad interpretare la nostra vita, ad operare le nostre scelte, a riconoscere e ad accogliere la nostra vocazione, a scoprire i talenti che Dio ci ha dato, a compiere quotidianamente la sua volontà, unica via per realizzare la nostra esistenza.

A noi, spesso preoccupati dell'efficacia operativa e dei risultati concreti che conseguiamo, la preghiera di Gesù indica che abbiamo bisogno di fermarci, di vivere momenti di intimità con Dio, «staccandoci» dal frastuono di ogni giorno, per ascoltare, per andare alla «radice» che sostiene e alimenta la vita. Uno dei momenti più belli della preghiera di Gesù è proprio quando Egli, per affrontare malattie, disagi e limiti dei suoi interlocutori, si rivolge al Padre suo in orazione e insegna così a chi gli sta intorno dove bisogna cercare la fonte per avere speranza e salvezza. Ho già ricordato, come esempio commovente, la preghiera di Gesù alla tomba di Lazzaro. L’Evangelista Giovanni racconta: «Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!” » (Jn 11,41-43). Ma il punto più alto di profondità nella preghiera al Padre, Gesù lo raggiunge al momento della Passione e della Morte, in cui pronuncia l’estremo «sì» al progetto di Dio e mostra come la volontà umana trova il suo compimento proprio nell’adesione piena alla volontà divina e non nella contrapposizione. Nella preghiera di Gesù, nel suo grido al Padre sulla croce, confluiscono «tutte le angosce dell’umanità di ogni tempo, schiava del peccato e della morte, tutte le implorazioni e le intercessioni della storia della salvezza… Ed ecco che il Padre le accoglie e, al di là di ogni speranza, le esaudisce risuscitando il Figlio suo. Così si compie e si consuma l’evento della preghiera nell’Economia della creazione e della salvezza» (Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 2598).

Cari fratelli e sorelle, chiediamo con fiducia al Signore di vivere il cammino della nostra preghiera filiale, imparando quotidianamente dal Figlio Unigenito fattosi uomo per noi come deve essere il nostro modo di rivolgerci a Dio. Le parole di san Paolo sulla vita cristiana in generale, valgono anche per la nostra preghiera: «Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).

* * *


Saluto del Santo Padre al Sinodo Armeno:

Cari Fratelli e Sorelle, desidero ora salutare, con fraterno affetto, Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX Tarmouni, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici, e i Vescovi giunti a Roma da vari Continenti per la celebrazione del Sinodo. Esprimo ad essi sincera gratitudine per la fedeltà al patrimonio della loro veneranda tradizione cristiana e al Successore dell’Apostolo Pietro, fedeltà che li ha sempre sostenuti nelle innumerevoli prove della storia. Accompagno con la fervida preghiera e con la Benedizione Apostolica i lavori sinodali, auspicando che possano favorire ancora di più la comunione e l’intesa fra i Pastori, così che essi sappiano guidare con rinnovato impulso evangelico i cattolici armeni sui sentieri di una generosa e gioiosa testimonianza a Cristo e alla Chiesa. Mentre affido il Sinodo Armeno alla materna intercessione della Santissima Madre di Dio, estendo il mio orante pensiero alle Regioni del Medio Oriente, incoraggiando Pastori e fedeli tutti a perseverare con speranza nelle gravi sofferenze che affliggono quelle care popolazioni.
Il Signore vi benedica.
Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i pellegrini polacchi, e in particolare il Presidente e la Presidenza del Consiglio Nazionale dell’Indipendente, Autonomo Sindacato di Agricoltori Individuali “Solidarnosc”. A tutti gli agricoltori auguro la benedizione divina nel lavoro e un’abbondante messe.
Nella preghiera affido al Signore le vittime della recente catastrofe ferroviaria. Per i morti chiedo l’eterno riposo, e per i feriti la grazia del pronto ritorno alla salute. Dio vi benedica tutti!

Saluto in lingua croata:

Saluto cordialmente tutti i pellegrini Croati particolarmente i fedeli della parrocchia dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria di Posušje in Bosnia ed Erzegovina. Mentre pregate presso le tombe dei Santi Apostoli, seguite la loro testimonianza di fede, riconoscendo in Gesù di Nazaret il Figlio del Dio e il vostro Salvatore. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lituana:

Saluto cordialmente i pellegrini lituani, soprattutto i fedeli provenienti da Klaipeda. Questo tempo di Quaresima sia occasione propizia per riscoprire l’amore di Cristo per ciascuno di voi. Il Signore vi aiuti a vivere questo amore con i fratelli e vi benedica tutti! Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Námestovo.
Fratelli e sorelle, il Tempo della Quaresima ci invita alla conversione per mezzo dell’ascolto della Parola di Dio, della preghiera e dell’esercizio delle opere di misericordia. Per tale cammino quaresimale imparto volentieri la Benedizione Apostolica a voi ed ai vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:


Adesso saluto i fedeli di lingua ungherese, specialmente coloro che sono arrivati da Budapest, da Vác e dalla Slovacchia.
La Quaresima è il tempo per trasformare la nostra vita e per incontrare Cristo. Nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità regni sempre lo spirito di riconciliazione e di reciproca benevolenza. Dio vi benedica.
Sia lodato Gesù Cristo!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Lamezia Terme – benvenuti! – accompagnati dal loro Vescovo Mons. Luigi Cantafora, qui convenuti per ricambiare la mia indimenticabile visita dell’ottobre scorso. Cari amici, ricordo davvero con gioia e gratitudine quell’incontro ricco di fede e di comunione, ed auspico che esso produca numerosi frutti di bene. Saluto i sacerdoti e i seminaristi del Centro di spiritualità Vinea mea, del Movimento dei Focolari, come pure le Suore Serve di Gesù Cristo che ricordano significative ricorrenze della loro Congregazione; tutti esorto a trasmettere sempre con la testimonianza della vita la gioia della corrispondenza generosa e fedele alla divina chiamata. Saluto i rappresentanti della «Fondazione Santa Maria delle Armi», di Cerchiara di Calabria e delle Associazioni «L’inguaribile voglia di vivere» e «Padre Eusebio Chini». Per ciascuno formulo fervidi auguri per il servizio ai fratelli.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il cammino quaresimale che stiamo percorrendo vi conduca, cari giovani, alla maturità della fede in Cristo; accresca in voi, cari malati, la speranza in Lui, che sempre ci sostiene nella prova; aiuti voi, cari sposi novelli, a fare della vostra vita in famiglia una missione di amore fedele e generoso.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 14 marzo 2012

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Cari fratelli e sorelle,

con la Catechesi di oggi vorrei iniziare a parlare della preghiera negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di san Paolo. San Luca ci ha consegnato, come sappiamo, uno dei quattro Vangeli, dedicato alla vita terrena di Gesù, ma ci ha lasciato anche quello che è stato definito il primo libro sulla storia della Chiesa, cioè gli Atti degli Apostoli. In entrambi questi libri, uno degli elementi ricorrenti è proprio la preghiera, da quella di Gesù a quella di Maria, dei discepoli, delle donne e della comunità cristiana. Il cammino iniziale della Chiesa è ritmato anzitutto dall’azione dello Spirito Santo, che trasforma gli Apostoli in testimoni del Risorto sino all’effusione del sangue, e dalla rapida diffusione della Parola di Dio verso Oriente e Occidente. Tuttavia, prima che l’annuncio del Vangelo si diffonda, Luca riporta l’episodio dell’Ascensione del Risorto (cfr
Ac 1,6-9). Ai discepoli il Signore consegna il programma della loro esistenza votata all’evangelizzazione e dice: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, e la Samaria e fino ai confini della terra» (Ac 1,8). A Gerusalemme gli Apostoli, rimasti in Undici per il tradimento di Giuda Iscariota, sono riuniti in casa per pregare, ed è proprio nella preghiera che aspettano il dono promesso da Cristo Risorto, lo Spirito Santo.

In questo contesto di attesa, tra l’Ascensione e la Pentecoste, san Luca menziona per l’ultima volta Maria, la Madre di Gesù, e i suoi familiari (v. 14). A Maria ha dedicato gli inizi del suo Vangelo, dall’annuncio dell’Angelo alla nascita e all’infanzia del Figlio di Dio fattosi uomo. Con Maria inizia la vita terrena di Gesù e con Maria iniziano anche i primi passi della Chiesa; in entrambi i momenti il clima è quello dell’ascolto di Dio, del raccoglimento. Oggi, pertanto, vorrei soffermarmi su questa presenza orante della Vergine nel gruppo dei discepoli che saranno la prima Chiesa nascente. Maria ha seguito con discrezione tutto il cammino di suo Figlio durante la vita pubblica fino ai piedi della croce, e ora continua a seguire, con una preghiera silenziosa, il cammino della Chiesa. Nell’Annunciazione, nella casa di Nazaret, Maria riceve l’Angelo di Dio, è attenta alle sue parole, le accoglie e risponde al progetto divino, manifestando la sua piena disponibilità: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua volontà» (cfr Lc 1,38). Maria, proprio per l’atteggiamento interiore di ascolto, è capace di leggere la propria storia, riconoscendo con umiltà che è il Signore ad agire. In visita alla parente Elisabetta, Ella prorompe in una preghiera di lode e di gioia, di celebrazione della grazia divina, che ha colmato il suo cuore e la sua vita, rendendola Madre del Signore (cfr Lc 1,46-55). Lode, ringraziamento, gioia: nel cantico del Magnificat, Maria non guarda solo a ciò che Dio ha operato in Lei, ma anche a ciò che ha compiuto e compie continuamente nella storia. Sant’Ambrogio, in un celebre commento al Magnificat, invita ad avere lo stesso spirito nella preghiera e scrive: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam 2, 26: PL 15, 1561).

Anche nel Cenacolo, a Gerusalemme, nella «stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi» i discepoli di Gesù (cfr Ac 1,13), in un clima di ascolto e di preghiera, Ella è presente, prima che si spalanchino le porte ed essi inizino ad annunciare Cristo Signore a tutti i popoli, insegnando ad osservare tutto ciò che Egli aveva comandato (cfr Mt 28,19-20). Le tappe del cammino di Maria, dalla casa di Nazaret a quella di Gerusalemme, attraverso la Croce dove il Figlio le affida l’apostolo Giovanni, sono segnate dalla capacità di mantenere un perseverante clima di raccoglimento, per meditare ogni avvenimento nel silenzio del suo cuore, davanti a Dio (cfr Lc 2,19-51) e nella meditazione davanti a Dio anche comprenderne la volontà di Dio e divenire capaci di accettarla interiormente. La presenza della Madre di Dio con gli Undici, dopo l’Ascensione, non è allora una semplice annotazione storica di una cosa del passato, ma assume un significato di grande valore, perché con loro Ella condivide ciò che vi è di più prezioso: la memoria viva di Gesù, nella preghiera; condivide questa missione di Gesù: conservare la memoria di Gesù e così conservare la sua presenza.

L’ultimo accenno a Maria nei due scritti di san Luca è collocato nel giorno di sabato: il giorno del riposo di Dio dopo la Creazione, il giorno del silenzio dopo la Morte di Gesù e dell’attesa della sua Risurrezione. Ed è su questo episodio che si radica la tradizione di Santa Maria in Sabato. Tra l’Ascensione del Risorto e la prima Pentecoste cristiana, gli Apostoli e la Chiesa si radunano con Maria per attendere con Lei il dono dello Spirito Santo, senza il quale non si può diventare testimoni. Lei che l’ha già ricevuto per generare il Verbo incarnato, condivide con tutta la Chiesa l’attesa dello stesso dono, perché nel cuore di ogni credente «sia formato Cristo» (cfr Ga 4,19). Se non c’è Chiesa senza Pentecoste, non c’è neanche Pentecoste senza la Madre di Gesù, perché Lei ha vissuto in modo unico ciò che la Chiesa sperimenta ogni giorno sotto l’azione dello Spirito Santo. San Cromazio di Aquileia commenta così l’annotazione degli Atti degli Apostoli: «Si radunò dunque la Chiesa nella stanza al piano superiore insieme a Maria, la Madre di Gesù, e insieme ai suoi fratelli. Non si può dunque parlare di Chiesa se non è presente Maria, Madre del Signore… La Chiesa di Cristo è là dove viene predicata l’Incarnazione di Cristo dalla Vergine, e, dove predicano gli apostoli, che sono fratelli del Signore, là si ascolta il Vangelo » (Sermo 30,1: SC 164,135).

Il Concilio Vaticano II ha voluto sottolineare in modo particolare questo legame che si manifesta visibilmente nel pregare insieme di Maria e degli Apostoli, nello stesso luogo, in attesa dello Spirito Santo. La Costituzione dogmatica Lumen gentium afferma: «Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della salvezza umana prima di effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostoli prima del giorno della Pentecoste “perseveranti d’un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli” (Ac 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all'Annunciazione l’aveva presa sotto la sua ombra» (n. 59). Il posto privilegiato di Maria è la Chiesa, dove è «riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro…, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità» (ibid., n. 53).

Venerare la Madre di Gesù nella Chiesa significa allora imparare da Lei ad essere comunità che prega: è questa una delle note essenziali della prima descrizione della comunità cristiana delineata negli Atti degli Apostoli (cfr 2,42). Spesso la preghiera è dettata da situazioni di difficoltà, da problemi personali che portano a rivolgersi al Signore per avere luce, conforto e aiuto. Maria invita ad aprire le dimensioni della preghiera, a rivolgersi a Dio non solamente nel bisogno e non solo per se stessi, ma in modo unanime, perseverante, fedele, con un «cuore solo e un’anima sola» (cfr Ac 4,32).

Cari amici, la vita umana attraversa diverse fasi di passaggio, spesso difficili e impegnative, che richiedono scelte inderogabili, rinunce e sacrifici. La Madre di Gesù è stata posta dal Signore in momenti decisivi della storia della salvezza e ha saputo rispondere sempre con piena disponibilità, frutto di un legame profondo con Dio maturato nella preghiera assidua e intensa. Tra il venerdì della Passione e la domenica della Risurrezione, a Lei è stato affidato il discepolo prediletto e con lui tutta la comunità dei discepoli (cfr Jn 19,26). Tra l’Ascensione e la Pentecoste, Ella si trova con e nella Chiesa in preghiera (cfr Ac 1,14). Madre di Dio e Madre della Chiesa, Maria esercita questa sua maternità sino alla fine della storia. Affidiamo a Lei ogni fase di passaggio della nostra esistenza personale ed ecclesiale, non ultima quella del nostro transito finale. Maria ci insegna la necessità della preghiera e ci indica come solo con un legame costante, intimo, pieno di amore con suo Figlio possiamo uscire dalla «nostra casa», da noi stessi, con coraggio, per raggiungere i confini del mondo e annunciare ovunque il Signore Gesù, Salvatore del mondo. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi qui presenti. “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità” (Ps 51 [50], 1). Questa implorazione quaresimale che la Chiesa innalza a Dio con il Salmo di pentimento sia per noi oggetto di riflessione durante gli esercizi spirituali e chiamata alla conversione. Nella perseverante preghiera raccomandiamo a Maria, Madre del Salvatore, ogni difficoltà, ogni angoscia e il desiderio di cambiare la vita. Benedico di cuore voi qui presenti e i vostri cari.

Saluto in lingua ceca:

Saluto cordialmente i presenti della Repubblica Ceca, in particolare gli studenti dell’Accademia Commerciale di Pissek e del Ginnasio “Strakonize” . Il vostro pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli, in questo tempo favorevole della Quaresima, e l’incontro con la tradizione della Città Eterna rafforzino la vostra fede e diventino fonte di crescita spirituale. A tutti voi la mia benedizione!

Saluto in lingua croata:

Saluto con gioia tutti i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia della Madre di Dio di Fatima a Orehovica. Cari amici, convertirsi significa amare il Creatore con tutto il proprio essere. Non abbiate paura di aprire il vostro cuore a Gesù e condividere con Lui le gioie e le difficoltà. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua ungherese:

Un saluto cordiale ai fedeli di lingua ungherese, specialmente al gruppo del liceo dei gesuiti a Miskolc ed a coloro che sono arrivati da Budapest e da Sopron.
Cari amici, il tempo di Quaresima è un’occasione di rinnovamento spirituale. Chiediamo al Signore una vera conversione e l’amore profondo a Cristo. Con questi voti benedico di cuore voi e i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!


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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto la delegazione di ritorno da Malta con la “fiaccola benedettina della pace” accompagnata dall’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, Mons. Renato Boccardo, e dagli Abati di Montecassino e Subiaco, Dom Pietro Vittorelli e Dom Mauro Meacci. Saluto con affetto i numerosi gruppi parrocchiali, in particolare i fedeli di Alba Fucens e di Mercogliano, convenuti per la benedizione della statua di San Guglielmo, Patrono dell’Irpinia, con il Vescovo di Avellino, Mons. Francesco Marino, e l’Abate di Montevergine Dom Beda Paluzzi. Saluto inoltre le associazioni, le scolaresche, in particolare le Scuole del Regnum Christi e l’Istituto Champagnat di Genova e i seminaristi di Oristano, insieme al Vescovo Mons. Ignazio Sanna, che festeggiano il terzo centenario del Seminario Arcivescovile.

Rivolgo infine un affettuoso pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Il prezioso tempo quaresimale sia di stimolo a voi, cari giovani, per riscoprire l’importanza della fede; aiuti voi, cari ammalati, ad unire le vostre sofferenze alla croce di Cristo per la costruzione della civiltà dell’amore; accresca in voi, cari sposi novelli, il senso della presenza di Dio nella vostra nuova famiglia.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 4 aprile 2012: Viaggio Apostolico in Messico e a Cuba - Il Triduo Pasquale


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