Catechesi 2005-2013 29082

Mercoledì, 29 agosto 2012: Il martirio di San Giovanni Battista

29082
Cari fratelli e sorelle,

in quest’ultimo mercoledì del mese di agosto, ricorre la memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Nel Calendario Romano, è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio. Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.

Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr
Lc 3,4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Jn 1,29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.

Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).

Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do il benvenuto ai polacchi qui presenti. Carissimi, il martirio di San Giovanni Battista, che commemoriamo oggi, ci fa prendere consapevolezza che la fede fondata sul legame con Dio rende l’uomo capace di essere fedele al bene e alla verità anche al costo dell’abnegazione e del sacrificio. Come Giovanni perseveriamo accanto a Dio nella preghiera, affinché nessun compromesso con il male e con la menzogna di questo mondo falsifichi la nostra vita. Dio vi benedica.

Saluto in lingua slovacca:


Cordialmente do il benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Nitra e dintorni. Fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma - sede del Successore dell’Apostolo Pietro - rafforzi in voi la coscienza della vostra appartenenza alla Chiesa di Cristo. Con questo augurio volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


E rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Saluto i Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, convenuti a Roma per un periodo di preghiera e di riflessione, e le Suore Domenicane Missionarie di San Sisto che celebrano il Capitolo Generale. Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali, le associazioni e i seminaristi del Seminario San Pio X di Messina, ai quali auguro di continuare la formazione teologica nutrendosi costantemente della Parola di Dio e del Pane di Vita.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La radicalità della fede e della vita di San Giovanni Battista ispiri il vostro essere credenti: cari giovani, manifestate apertamente in tutti i contesti la vostra appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa; cari ammalati, attingete alla forza della preghiera per lenire le vostre sofferenze; e voi, cari sposi novelli, ponete sempre il Signore Gesù al centro della vostra vita familiare. Grazie a tutti voi. Una buona giornata. Grazie.

Saluto ai Ministranti francesi:

Cari fratelli e sorelle, vi saluto con affetto, cari ministranti venuti dalla Francia per il vostro pellegrinaggio nazionale a Roma, e saluto anche Monsignor Breton, gli altri Vescovi presenti e gli accompagnatori di questo importante gruppo. Cari giovani, il servizio che svolgete con fedeltà vi permette di essere particolarmente vicini a Cristo Gesù nell’Eucaristia. Voi avete l’enorme privilegio di stare vicino all’altare, vicino al Signore. Siate consapevoli dell’importanza di questo servizio per la Chiesa e per voi stessi. Che sia per voi l’occasione di far crescere un’amicizia, una relazione personale con Gesù. Non abbiate paura di trasmettere con entusiasmo attorno a voi la gioia che ricevete dalla sua presenza! Che tutta la vostra vita risplenda della felicità di questa vicinanza al Signore Gesù! E se un giorno udite la sua chiamata a seguirlo nel cammino del sacerdozio o della vita religiosa, rispondetegli con generosità! Auguro a tutti un buon pellegrinaggio sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo! Grazie. Buon pellegrinaggio. Il Signore vi benedica.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 5 settembre 2012: La preghiera nella prima parte dell'Apocalisse

50912
(
Ap 1,4-3,22)

Cari fratelli e sorelle,

oggi, dopo l’interruzione delle vacanze, riprendiamo le Udienze in Vaticano, continuando in quella «scuola della preghiera» che sto vivendo insieme con voi in queste Catechesi del mercoledì.

Oggi vorrei parlare della preghiera nel Libro dell’Apocalisse, che, come sapete, è l’ultimo del Nuovo Testamento. E’ un libro difficile, ma che contiene una grande ricchezza. Esso ci mette in contatto con la preghiera viva e palpitante dell’assemblea cristiana, radunata «nel giorno del Signore» (Ap 1,10): è questa infatti la traccia di fondo in cui si muove il testo.

Un lettore presenta all’assemblea un messaggio affidato dal Signore all’Evangelista Giovanni. Il lettore e l’assemblea costituiscono, per così dire, i due protagonisti dello sviluppo del libro; ad essi, fin dall’inizio, viene indirizzato un augurio festoso: «Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia» (1,3). Dal dialogo costante tra loro, scaturisce una sinfonia di preghiera, che si sviluppa con grande varietà di forme fino alla conclusione. Ascoltando il lettore che presenta il messaggio, ascoltando e osservando l’assemblea che reagisce, la loro preghiera tende a diventare nostra.

La prima parte dell’Apocalisse (Ap 1,4-3,22) presenta, nell’atteggiamento dell’assemblea che prega, tre fasi successive. La prima (1,4-8) è costituita da un dialogo che – unico caso nel Nuovo Testamento – si svolge tra l’assemblea appena radunata e il lettore, il quale le rivolge un augurio benedicente: «Grazia a voi e pace» (1,4). Il lettore prosegue sottolineando la provenienza di questo augurio: esso deriva dalla Trinità: dal Padre, dallo Spirito Santo, da Gesù Cristo, coinvolti insieme nel portare avanti il progetto creativo e salvifico per l’umanità. L’assemblea ascolta e, quando sente nominare Gesù Cristo, ha come un sussulto di gioia e risponde con entusiasmo, elevando la seguente preghiera di lode: «A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (1,5b-6). L’assemblea, avvolta dall’amore di Cristo, si sente liberata dai legami del peccato e si proclama «regno» di Gesù Cristo, che appartiene totalmente a Lui. Riconosce la grande missione che con il Battesimo le è stata affidata di portare nel mondo la presenza di Dio. E conclude questa sua celebrazione di lode guardando di nuovo direttamente a Gesù e, con entusiasmo crescente, ne riconosce «la gloria e la potenza» per salvare l’umanità. L’«amen» finale conclude l’inno di lode a Cristo. Già questi primi quattro versetti contengono una grande ricchezza di indicazioni per noi; ci dicono che la nostra preghiera deve essere anzitutto ascolto di Dio che ci parla. Sommersi da tante parole, siamo poco abituati ad ascoltare, soprattutto a metterci nella disposizione interiore ed esteriore del silenzio per essere attenti a ciò che Dio vuole dirci. Tali versetti ci insegnano inoltre che la nostra preghiera, spesso solo di richiesta, deve essere invece anzitutto di lode a Dio per il suo amore, per il dono di Gesù Cristo, che ci ha portato forza, speranza e salvezza.

Un nuovo intervento del lettore richiama poi all’assemblea, afferrata dall’amore di Cristo, l’impegno a coglierne la presenza nella propria vita. Dice così: «Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto» (1,7a). Dopo essere salito al cielo in una «nube», simbolo della trascendenza (cfr Ac 1,9), Gesù Cristo ritornerà così come è salito al Cielo (cfr Ac 1,11). Allora tutti i popoli lo riconosceranno e, come esorta san Giovanni nel Quarto Vangelo, «volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto» (19,37). Penseranno ai propri peccati, causa della sua crocifissione, e, come coloro che avevano assistito direttamente ad essa sul Calvario, «si batteranno il petto» (cfr Lc 23,48) chiedendogli perdono, per seguirlo nella vita e preparare così la comunione piena con Lui, dopo il suo ritorno finale. L’assemblea riflette su questo messaggio e dice: «Sì. Amen!» (Ap 1,7). Esprime col suo «sì» l’accoglienza piena di quanto le è comunicato e chiede che questo possa davvero diventare realtà. E’ la preghiera dell’assemblea, che medita sull’amore di Dio manifestato in modo supremo sulla Croce e chiede di vivere con coerenza da discepoli di Cristo. E c’è la risposta di Dio: «Io sono l’Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (1,8). Dio, che si rivela come l’inizio e la conclusione della storia, accoglie e prende a cuore la richiesta dell’assemblea. Egli è stato, è, e sarà presente e attivo con il suo amore nelle vicende umane, nel presente, nel futuro, come nel passato, fino a raggiungere il traguardo finale. Questa è la promessa di Dio. E qui troviamo un altro elemento importante: la preghiera costante risveglia in noi il senso della presenza del Signore nella nostra vita e nella storia, e la sua è una presenza che ci sostiene, ci guida e ci dona una grande speranza anche in mezzo al buio di certe vicende umane; inoltre, ogni preghiera, anche quella nella solitudine più radicale, non è mai un isolarsi e non è mai sterile, ma è la linfa vitale per alimentare un’esistenza cristiana sempre più impegnata e coerente.

La seconda fase della preghiera dell’assemblea (1,9-22) approfondisce ulteriormente il rapporto con Gesù Cristo: il Signore si fa vedere, parla, agisce, e la comunità, sempre più vicina a Lui, ascolta, reagisce ed accoglie. Nel messaggio presentato dal lettore, san Giovanni racconta una sua esperienza personale di incontro con Cristo: si trova nell’isola di Patmos a causa della «parola di Dio e della testimonianza di Gesù» (1,9) ed è il «giorno del Signore» (1,10a), la domenica, nella quale si celebra la Risurrezione. E san Giovanni viene «preso dallo Spirito» (1,10a). Lo Spirito Santo lo pervade e lo rinnova, dilatando la sua capacità di accogliere Gesù, il Quale lo invita a scrivere. La preghiera dell’assemblea che ascolta, assume gradualmente un atteggiamento contemplativo ritmato dai verbi «vede», «guarda»: contempla, cioè, quanto il lettore le propone, interiorizzandolo e facendolo suo.

Giovanni ode «una voce potente, come di tromba» (1,10b): la voce gli impone di inviare un messaggio «alle sette Chiese» (Ap 1,11) che si trovano nell’Asia Minore e,attraverso di esse, a tutte le Chiese di tutti i tempi, unitamente ai loro Pastori. L’espressione «voce … di tromba», presa dal libro dell’Esodo (cfr 20,18), richiama la manifestazione divina a Mosè sul monte Sinai e indica la voce di Dio, che parla dal suo Cielo, dalla sua trascendenza. Qui è attribuita a Gesù Cristo Risorto, che dalla gloria del Padre parla, con la voce di Dio, all’assemblea in preghiera. Voltatosi «per vedere la voce» (1,12), Giovanni scorge «sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo» (1,12-13), termine particolarmente familiare a Giovanni, che indica Gesù stesso. I candelabri d’oro, con le loro candele accese, indicano la Chiesa di ogni tempo in atteggiamento di preghiera nella Liturgia: Gesù Risorto, il «Figlio dell’uomo», si trova in mezzo ad essa e, rivestito delle vesti del sommo sacerdote dell’Antico Testamento, svolge la funzione sacerdotale di mediatore presso il Padre. Nel messaggio simbolico di Giovanni, segue una manifestazione luminosa di Cristo Risorto, con le caratteristiche proprie di Dio, che ricorrono nell’Antico Testamento. Si parla dei «capelli… candidi, simili a lana candida come neve» (1,14), simbolo dell’eternità di Dio (cfr Da 7,9) e della Risurrezione. Un secondo simbolo è quello del fuoco, che, nell’Antico Testamento, viene spesso riferito a Dio per indicare due proprietà. La prima è l’intensità gelosa del suo amore, che anima la sua alleanza con l’uomo (cfr Dt 4,24). Ed è questa stessa intensità bruciante dell’amore che si legge nello sguardo di Gesù Risorto: «i suoi occhi erano come fiamma di fuoco» (Ap 1,14). La seconda è la capacità inarrestabile di vincere il male come un «fuoco divoratore» (Dt 9,3). Così anche «i piedi» di Gesù, in cammino per affrontare e distruggere il male, hanno l’incandescenza del «bronzo splendente» (Ap 1,15). La voce di Gesù Cristo poi, «simile al fragore di grandi acque» (1,15c), ha il frastuono impressionante «della gloria del Dio di Israele» che si muove verso Gerusalemme, di cui parla il profeta Ezechiele (cfr 43,2). Seguono ancora tre elementi simbolici che mostrano quanto Gesù Risorto stia facendo per la sua Chiesa: la tiene saldamente nella sua mano destra - un’immagine molto importante: Gesù tiene la Chiesa nella sua mano - le parla con la forza penetrante di una spada affilata, e le mostra lo splendore della sua divinità: «il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza» (Ap 1,16). Giovanni è talmente preso da questa stupenda esperienza del Risorto, che si sente venire meno e cade come morto.

Dopo questa esperienza di rivelazione, l’Apostolo ha davanti il Signore Gesù che parla con lui, lo rassicura, gli pone una mano sulla testa, gli dischiude la sua identità di Crocifisso Risorto e gli affida l’incarico di trasmettere un suo messaggio alle Chiese (cfr Ap 1,17-18). Una cosa bella questo Dio davanti al quale viene meno, cade come morto. E’ l’amico della vita, e gli pone la mano sulla testa. E così sarà anche per noi: siamo amici di Gesù. Poi la rivelazione del Dio Risorto, del Cristo Risorto, non sarà tremenda, ma sarà l’incontro con l’amico. Anche l’assemblea vive con Giovanni il momento particolare di luce davanti al Signore, unito, però, all’esperienza dell’ incontro quotidiano con Gesù, avvertendo la ricchezza del contatto con il Signore, che riempie ogni spazio dell’esistenza.

Nella terza ed ultima fase della prima parte dell’Apocalisse (Ap 2-3), il lettore propone all’assemblea un messaggio settiforme in cui Gesù parla in prima persona. Indirizzato a sette Chiese situate nell’Asia Minore intorno ad Efeso, il discorso di Gesù parte dalla situazione particolare di ciascuna Chiesa, per poi estendersi alle Chiese di ogni tempo. Gesù entra subito nel vivo della situazione di ciascuna Chiesa, evidenziandone luci e ombre e rivolgendole un pressante invito: «Convertiti» (2,5.16; 3,19c); «Tieni saldo quello che hai» (3,11); «compi le opere di prima» (2,5); «Sii dunque zelante e convertiti» (3,19b)... Questa parola di Gesù, se ascoltata con fede, inizia subito ad essere efficace: la Chiesa in preghiera, accogliendo la Parola del Signore viene trasformata. Tutte le Chiese devono mettersi in attento ascolto del Signore, aprendosi allo Spirito come Gesù richiede con insistenza ripetendo questo comando sette volte: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (2,7.11.17.29; 3,6.13.22). L’assemblea ascolta il messaggio ricevendo uno stimolo per il pentimento, la conversione, la perseveranza, la crescita nell’amore, l’orientamento per il cammino.

Cari amici, l’Apocalisse ci presenta una comunità riunita in preghiera, perché è proprio nella preghiera che avvertiamo in modo sempre crescente la presenza di Gesù con noi e in noi. Quanto più e meglio preghiamo con costanza, con intensità, tanto più ci assimiliamo a Lui, ed Egli entra veramente nella nostra vita e la guida, donandole gioia e pace. E quanto più noi conosciamo, amiamo e seguiamo Gesù, tanto più sentiamo il bisogno di fermarci in preghiera con Lui, ricevendo serenità, speranza e forza nella nostra vita. Grazie per l’attenzione.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. L’Apocalisse di San Giovanni Apostolo ci insegna la preghiera che genera il senso della vicinanza di Cristo, ci rende consapevoli della Sua presenza e la Sua azione in noi e nella storia del mondo. Lui è la nostra forza e la nostra speranza. Ci dona la grazia e la pace. Preghiamo perché Lui stesso sia la guida della nostra vita e ci benedica. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Saluto con affetto i partecipanti al Pellegrinaggio dell’Ordinariato militare guidato dal loro Vescovo S.E. Mons. František Rábek, come pure il gruppo degli studenti e docenti del Ginnasio di San Giovanni Bosco di Bardejov.
Fratelli e sorelle, la vostra visita a Roma nell’Anno nel quale la Chiesa in Slovacchia ricorda i Santi Cirillo e Metodio, rafforzi la vostra fedeltà a Cristo e alla Sede Apostolica. Volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua croata, in particolare gli studenti del liceo classico arcivescovile di Spalato. Vi esorto a pregare con intensità per ricevere speranza e forza nella vostra vita. Siano lodati Gesù e Maria.

* * *


Cari fratelli e sorelle, rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Vescovi e i sacerdoti ex-alunni del Collegio Urbano, che ricordano il 40° di Ordinazione sacerdotale. Auguri. Saluto i giovani di Pesaro accompagnati dal loro Pastore Mons. Coccia; i ragazzi di Lucca che hanno ricevuto la Cresima, qui convenuti con il loro Vescovo Mons. Italo Castellani; gli altri ragazzi, provenienti da varie Regioni, che si apprestano a ricevere il Sacramento della Confermazione. Saluto altresì i rappresentanti della Pia Società San Gaetano. Auguro a tutti che questa visita alle tombe degli Apostoli vi rinsaldi nell'adesione a Cristo e vi renda suoi testimoni nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità ecclesiali.

Saluto infine tutti i giovani qui presenti, le persone ammalate e gli sposi novelli. Cari giovani, tornando dopo le vacanze alle consuete attività quotidiane, riprendete anche il ritmo regolare del vostro dialogo con Dio, che infonda luce in voi e attorno a voi. Cari ammalati, trovate sostegno e conforto nel Signore Gesù, che continua la sua opera di redenzione nella vita di ogni uomo. E voi, cari sposi novelli, sappiate coltivare la dimensione spirituale, affinché la vostra unione sia sempre solida e profonda. Grazie.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 12 settembre 2012: La preghiera nella seconda parte dell'Apocalisse

12092

(Ap 4,1-22,21)

Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso ho parlato sulla preghiera nella prima parte dell'Apocalisse, oggi passiamo alla seconda parte del libro, e mentre nella prima parte la preghiera è orientata verso l’interno della vita ecclesiale, l'attenzione nella seconda è rivolta al mondo intero; la Chiesa, infatti, cammina nella storia, ne è parte secondo il progetto di Dio. L’assemblea che, ascoltando il messaggio di Giovanni presentato dal lettore, ha riscoperto il proprio compito di collaborare allo sviluppo del Regno di Dio come «sacerdoti di Dio e di Cristo» (
Ap 20,6 cfr Ap 1,5 Ap 5,10), e si apre sul mondo degli uomini. E qui emergono due modi di vivere in rapporto dialettico tra loro: il primo lo potremmo definire il «sistema di Cristo», a cui l’assemblea è felice di appartenere, e il secondo il «sistema terrestre anti-Regno e anti-alleanza messo in atto dall’influsso del Maligno», il quale, ingannando gli uomini, vuole realizzare un mondo opposto a quello voluto da Cristo e da Dio (cfr Pontificia Commissione Biblica, Bibbia e Morale. Radici bibliche dell’agire cristiano, 70). L’assemblea deve allora saper leggere in profondità la storia che sta vivendo, imparando a discernere con la fede gli avvenimenti per collaborare, con la sua azione, allo sviluppo del Regno di Dio. E questa opera di lettura e di discernimento, come pure di azione, è legata alla preghiera.

Anzitutto, dopo l’appello insistente di Cristo che, nella prima parte dell’Apocalisse, ben sette volte ha detto: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla Chiesa» (cfr Ap 2,7 Ap 2,11 Ap 2,17 Ap 2,29 Ap 3,6 Ap 3,13 Ap 3,22), l’assemblea viene invitata a salire in Cielo per guardare la realtà con gli occhi di Dio; e qui ritroviamo tre simboli, punti di riferimento da cui partire per leggere la storia: il trono di Dio, l’Agnello e il libro (cfr Ap 4,1-5,14).

Primo simbolo è il trono, sul quale sta seduto un personaggio che Giovanni non descrive, perché supera qualsiasi rappresentazione umana; può solo accennare al senso di bellezza e gioia che prova trovandosi davanti a Lui. Questo personaggio misterioso è Dio, Dio onnipotente che non è rimasto chiuso nel suo Cielo, ma si è fatto vicino all’uomo, entrando in alleanza con lui; Dio che fa sentire nella storia, in modo misterioso ma reale, la sua voce simboleggiata dai lampi e dai tuoni. Vi sono vari elementi che appaiono attorno al trono di Dio, come i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi, che rendono lode incessantemente all’unico Signore della storia.

Primo simbolo, quindi, il trono. Secondo simbolo è il libro, che contiene il piano di Dio sugli avvenimenti e sugli uomini; è chiuso ermeticamente da sette sigilli e nessuno è in grado di leggerlo. Di fronte a questa incapacità dell’uomo di scrutare il progetto di Dio, Giovanni sente una profonda tristezza che lo porta al pianto. Ma c’è un rimedio allo smarrimento dell’uomo di fronte al mistero della storia: qualcuno è in grado di aprire il libro e di illuminarlo.

E qui appare il terzo simbolo: Cristo, l’Agnello immolato nel Sacrificio della Croce, ma che è in piedi, segno della sua Risurrezione. Ed è proprio l’Agnello, il Cristo morto e risorto, che progressivamente apre i sigilli e svela il piano di Dio, il senso profondo della storia.

Che cosa dicono questi simboli? Essi ci ricordano qual è la strada per saper leggere i fatti della storia e della nostra stessa vita. Alzando lo sguardo al Cielo di Dio, nel rapporto costante con Cristo, aprendo a Lui il nostro cuore e la nostra mente nella preghiera personale e comunitaria, noi impariamo a vedere le cose in modo nuovo e a coglierne il senso più vero. La preghiera è come una finestra aperta che ci permette di tenere lo sguardo rivolto verso Dio, non solo per ricordarci la meta verso cui siamo diretti, ma anche per lasciare che la volontà di Dio illumini il nostro cammino terreno e ci aiuti a viverlo con intensità e impegno.

In che modo il Signore guida la comunità cristiana ad una lettura più profonda della storia? Anzitutto invitandola a considerare con realismo il presente che stiamo vivendo. L’Agnello apre allora i primi quattro sigilli del libro e la Chiesa vede il mondo in cui è inserita, un mondo in cui vi sono vari elementi negativi. Vi sono i mali che l’uomo compie, come la violenza, che nasce dal desiderio di possedere, di prevalere gli uni sugli altri, tanto da giungere ad uccidersi (secondo sigillo); oppure l’ingiustizia, perché gli uomini non rispettano le leggi che si sono date (terzo sigillo). A questi si aggiungono i mali che l’uomo deve subire, come la morte, la fame, la malattia (quarto sigillo). Davanti a queste realtà, spesso drammatiche, la comunità ecclesiale è invitata a non perdere mai la speranza, a credere fermamente che l’apparente onnipotenza del Maligno si scontra con la vera onnipotenza che è quella di Dio. E il primo sigillo che scioglie l’Agnello contiene proprio questo messaggio. Narra Giovanni: «E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,2). Nella storia dell’uomo è entrata la forza di Dio, che non solo è in grado di bilanciare il male, ma addirittura di vincerlo; il colore bianco richiama la Risurrezione: Dio si è fatto così vicino da scendere nell’oscurità della morte per illuminarla con lo splendore della sua vita divina; ha preso su di sé il male del mondo per purificarlo col fuoco del suo amore.

Come crescere in questa lettura cristiana della realtà? L’Apocalisse ci dice che la preghiera alimenta in ciascuno di noi e nelle nostre comunità questa visione di luce e di profonda speranza: ci invita a non lasciarci vincere dal male, ma a vincere il male con il bene, a guardare al Cristo Crocifisso e Risorto che ci associa alla sua vittoria. La Chiesa vive nella storia, non si chiude in se stessa, ma affronta con coraggio il suo cammino in mezzo a difficoltà e sofferenze, affermando con forza che il male in definitiva non vince il bene, il buio non offusca lo splendore di Dio. Questo è un punto importante per noi; come cristiani non possiamo mai essere pessimisti; sappiamo bene che nel cammino della nostra vita incontriamo spesso violenza, menzogna, odio, persecuzione, ma questo non ci scoraggia. Soprattutto la preghiera ci educa a vedere i segni di Dio, la sua presenza e azione, anzi ad essere noi stessi luci di bene, che diffondono speranza e indicano che la vittoria è di Dio.

Questa prospettiva porta ad elevare a Dio e all’Agnello il ringraziamento e la lode: i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi cantano insieme il «cantico nuovo» che celebra l’opera di Cristo Agnello, il quale renderà «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Ma questo rinnovamento è anzitutto un dono da chiedere. E qui troviamo un altro elemento che deve caratterizzare la preghiera: invocare dal Signore con insistenza che il suo Regno venga, che l’uomo abbia il cuore docile alla signoria di Dio, che sia la sua volontà ad orientare la nostra vita e quella del mondo. Nella visione dell’Apocalisse questa preghiera di domanda è rappresentata da un particolare importante: «i ventiquattro anziani» e «i quattro esseri viventi» tengono in mano, insieme alla cetra che accompagna il loro canto, «delle coppe d’oro piene di incenso» (Ap 5,8a) che, come viene spiegato, «sono le preghiere dei santi» (Ap 5,8b), di coloro, cioè, che hanno già raggiunto Dio, ma anche di tutti noi che ci troviamo in cammino. E vediamo che davanti al trono di Dio, un angelo tiene in mano un turibolo d’oro in cui mette continuamente i grani di incenso, cioè nostre preghiere, il cui soave odore viene offerto insieme alle preghiere che salgono al cospetto di Dio (cfr Ap 8,1-4). E’ un simbolismo che ci dice come tutte le nostre preghiere - con tutti i limiti, la fatica, la povertà, l’aridità, le imperfezioni che possono avere - vengono quasi purificate e raggiungono il cuore di Dio. Dobbiamo essere certi, cioè, che non esistono preghiere superflue, inutili; nessuna va perduta. Ed esse trovano risposta, anche se a volte misteriosa, perché Dio è Amore e Misericordia infinita. L’angelo – scrive Giovanni - «prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, rumori, fulmini e scosse di terremoto» (Ap 8,5). Questa immagine significa che Dio non è insensibile alle nostre suppliche, interviene e fa sentire la sua potenza e la sua voce sulla terra, fa tremare e sconvolge il sistema del Maligno. Spesso, di fronte al male si ha la sensazione di non poter fare nulla, ma è proprio la nostra preghiera la risposta prima e più efficace che possiamo dare e che rende più forte il nostro quotidiano impegno nel diffondere il bene. La potenza di Dio rende feconda la nostra debolezza (cfr Rm 8,26-27).

Vorrei concludere con qualche cenno al dialogo finale (cfr Ap 22,6-21). Gesù ripete varie volte: «Ecco, io vengo presto» (Ap 22,7 Ap 22,12). Questa affermazione non indica solo la prospettiva futura alla fine dei tempi, ma anche quella presente: Gesù viene, pone la sua dimora in chi crede in Lui e lo accoglie. L’assemblea, allora, guidata dallo Spirito Santo, ripete a Gesù l’invito pressante a rendersi sempre più vicino: «Vieni» (Ap 22,17). E’ come la «sposa» (Ap 22,17) che aspira ardentemente alla pienezza della nuzialità. Per la terza volta ricorre l’invocazione: «Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20b); e il lettore conclude con un’espressione che manifesta il senso di questa presenza: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti» (Ap 22,21).

L’Apocalisse, pur nella complessità dei simboli, ci coinvolge in una preghiera molto ricca, per cui anche noi ascoltiamo, lodiamo, ringraziamo, contempliamo il Signore, gli chiediamo perdono. La sua struttura di grande preghiera liturgica comunitaria è anche un forte richiamo a riscoprire la carica straordinaria e trasformante che ha l’Eucaristia; in particolare vorrei invitare con forza ad essere fedeli alla Santa Messa domenicale nel Giorno del Signore, la Domenica, vero centro della settimana! La ricchezza della preghiera nell’Apocalisse ci fa pensare a un diamante, che ha una serie affascinante di sfaccettature, ma la cui preziosità risiede nella purezza dell’unico nucleo centrale. Le suggestive forme di preghiera che incontriamo nell’Apocalisse fanno brillare allora la preziosità unica e indicibile di Gesù Cristo. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto i Polacchi venuti a quest’udienza. Il Libro dell’Apocalisse, attraverso le simboliche visioni delle realtà ultime, ci coinvolge nella profondità della preghiera che ci permette di contemplare Dio, ascoltarlo, ringraziarlo, lodarlo, chiedergli perdono. Alle vostre preghiere affido il mio imminente viaggio apostolico in Libano. Chiediamo per gli abitanti del Medio Oriente il dono del dialogo, della riconciliazione e della pace. Che essi attuino le parole di Cristo: “Vi do la mia pace” (Jn 14,27). Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua slovacca:

Di cuore do il benvenuto alle comunità del Seminario diocesano Santi Cirillo e Metodio e della Scuola cattolica Sacra Famiglia di Bratislava come pure alla comunità del Seminario diocesano Vescovo Ján Vojtaššák di Spiš ed altresì ai pellegrini provenienti da Bardejov e Košice.
Fratelli e sorelle, sabato la Slovacchia celebrerà la solennità della sua Patrona, la Vergine Addolorata. Gesù l’ha donata come madre ad ognuno di noi. Ella vi accompagni sulla via verso di Lui. Volentieri vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

APPELLO


Chers pèlerins, dans deux jours à pareille heure, je serais en vol vers le Liban. Je me réjouis de ce Voyage apostolique. Il me permettra de rencontrer de nombreuses composantes de la société libanaise : des responsables civils et ecclésiaux, des fidèles catholiques de divers rites, et des autres chrétiens, des musulmans et des druzes de cette région. Je rends grâce au Seigneur pour cette richesse qui ne pourra continuer que si elle vit dans la paix et la réconciliation permanente. C’est pourquoi j’exhorte tous les chrétiens du Moyen-Orient, qu’ils soient de souche ou nouveaux arrivés, à être des constructeurs de paix et des acteurs de réconciliation. Demandons à Dieu de fortifier la foi des chrétiens du Liban et du Moyen-Orient, et de les remplir d’espérance. Je remercie Dieu pour leur présence et j’encourage l’ensemble de l’Église à la solidarité afin qu’ils puissent continuer à témoigner du Christ sur ces terres bénies en recherchant la communion dans l’unité. Je rends grâce à Dieu pour toutes les personnes et toutes les institutions qui, de multiples manières, les aident dans ce sens. L’histoire du Moyen-Orient nous enseigne le rôle important et souvent primordial joué par les différentes communautés chrétiennes dans le dialogue interreligieux et interculturel. Demandons à Dieu de donner à cette région du monde la paix si désirée, dans le respect des légitimes différences. Que Dieu bénisse le Liban et le Moyen-Orient ! Que Dieu vous bénisse tous !


* * *


E adesso rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto i religiosi dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: auguro loro di essere sempre fedeli ai carismi dei Fondatori, e li ringrazio per il loro prezioso contributo alla nuova evangelizzazione. Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali e le associazioni, in particolare la rappresentanza della Società Italiana delle Scienze Veterinarie e i soci del Distretto di Italia e San Marino del Kiwanis International. Vorrei invitare tutti ad accompagnare con la preghiera il mio imminente viaggio apostolico in Libano, durante il quale consegnerò l’Esortazione postsinodale sul Medio Oriente. Possa questa visita incoraggiare i cristiani e favorire la pace e la fraternità in tutta quella Regione.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria del SS.mo Nome di Maria: cari giovani, imparate ad amare alla scuola della Madre di Gesù; cari ammalati, nelle sofferenze chiedete aiuto e conforto a Maria con la preghiera del Rosario; e voi, cari sposi novelli, sappiate sempre, come la Madonna, ascoltare la volontà di Dio sulla vostra famiglia.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 19 settembre 2012: Il Viaggio apostolico in Libano


Catechesi 2005-2013 29082