Catechesi 79-2005 24179

Mercoledì, 24 gennaio 1979

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1. Nella festa dell’Epifania abbiamo letto il brano del Vangelo di San Matteo, che descrive l’arrivo a Betlemme di alcuni Magi dall’Oriente: “Entrati nella casa videro il bambino con Maria sua Madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (
Mt 2,11-12).

Abbiamo già parlato un giorno, in questa sede, dei pastori che trovarono il bambino, il nato Figlio di Dio, che giaceva nella mangiatoia (cfr Lc 2,16).

Oggi ancora una volta torniamo a quei personaggi che, come vuole la tradizione, erano tre: i Re Magi. Il testo conciso di San Matteo rende bene ciò che fa parte della sostanza stessa dell’incontro dell’uomo con Iddio: “prostratisi lo adorarono”. L’uomo incontra Dio nell’atto di venerazione, di adorazione, di culto. Giova notare che la parola “culto” (“cultus”) è in stretta relazione con il termine “cultura”. Alla sostanza stessa della cultura umana, delle diverse culture, appartiene l’ammirazione, la venerazione di ciò che è divino, di ciò che solleva l’uomo in alto. Un secondo elemento dell’incontro dell’uomo con Dio, messo in risalto dal Vangelo, è contenuto nelle parole: “aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono...”. In queste parole, San Matteo indica un fattore che caratterizza profondamente la sostanza stessa della religione, intesa insieme come conoscenza e incontro. Un concetto solamente astratto di Dio non costituisce, non forma ancora questa sostanza.

L’uomo conosce Dio incontrandosi con lui, e viceversa lo incontra nell’atto della conoscenza. Si incontra con Dio quando si apre davanti a lui con il dono interiore del suo “io” umano, per accettare e ricambiare il suo dono.


I Re Magi, nel momento in cui si presentano davanti al Bambino che si trovava fra le braccia della Madre, accettano nella luce dell’Epifania il dono di Dio Incarnato, la sua ineffabile dedizione all’uomo nel mistero dell’Incarnazione. Nello stesso tempo: “aprirono i loro scrigni con i doni”; si tratta dei doni concreti di cui parla l’evangelista, ma soprattutto aprono se stessi davanti a lui, con il dono interno del proprio cuore. E questo è il vero tesoro da loro offerto, del quale l’oro, l’incenso e la mirra costituiscono solo un’espressione esteriore. In questo dono consiste il frutto dell’Epifania: riconoscono Dio e s’incontrano con lui.

2. Quando medito così, insieme a voi qui riuniti, quelle parole del Vangelo di Matteo, mi vengono in mente i testi della Costituzione Lumen Gentium, che parlano dell’universalità della Chiesa. Il giorno dell’Epifania è la festa dell’universalità della Chiesa, della sua missione universale. Ebbene, nel Concilio leggiamo: “In tutte le nazioni della terra è radicato un solo Popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo Regno, non terreno ma celeste. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo comunicano con gli altri nello Spirito Santo, e così “chi sta in Roma sa che gli indi sono sue membra” (Lumen Gentium LG 9). Siccome, dunque, il Regno di Cristo non è di questo mondo (cfr Jn 18,36), la Chiesa, cioè il Popolo di Dio, introducendo questo Regno, nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le capacità e risorse e consuetudini dei popoli, in quanto sono buone, e accogliendole le purifica, le consolida e le eleva. Difatti, essa ricorda bene di dover raccogliere con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr Ps 2,8), e nella cui città portano i loro doni e offerte (cfr Ps 72,10 Is 60,4-7 Ap 21,24). Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il Popolo di Dio, è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell’unità dello Spirito di lui. In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti sono rafforzate, comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per il completamento nell’unità. Ne consegue che il Popolo di Dio... si raccoglie da diversi popoli” (Lumen Gentium LG 13).

Qui abbiamo davanti agli occhi la stessa immagine presente nel Vangelo di San Matteo letto all’Epifania; solo è molto più ampliata. Lo stesso Cristo che a Betlemme, come Bambino, ha accettato i doni dei Re Magi, è ancora sempre colui davanti al quale gli uomini e interi popoli “aprono i loro tesori”. I doni dello spirito umano, nell’atto di questa apertura davanti a Dio Incarnato, acquistano un valore particolare, diventano i tesori di varie culture, ricchezza spirituale dei popoli e delle nazioni, comune patrimonio di tutta l’umanità. Questo patrimonio si forma e si allarga sempre attraverso quello “scambio di doni”, di cui parla la costituzione Lumen Gentium. Il centro di quello scambio è lui: lo stesso che ha accettato i doni dei Re Magi. Egli stesso, che è il Dio visibile e incarnato, causa l’apertura delle anime e quello scambio dei doni, di cui vivono non solo i singoli uomini, ma anche i popoli, le nazioni, l’umanità intera.

3. Tutta la meditazione precedente è in certo modo introduzione e prefazione a ciò che adesso voglio dire.

Ecco, domani devo intraprendere, con la grazia di Dio, un viaggio in Messico, il primo del mio pontificato. Voglio qui seguire il grande Papa Paolo e continuare la tradizione da lui iniziata. Mi reco nel Messico, a Puebla, in occasione della Conferenza Episcopale dell’America Latina, che inizia i suoi lavori sabato prossimo con la concelebrazione eucaristica nel santuario della Madonna di Guadalupe. Già oggi esprimo la mia gratitudine, sia ai rappresentanti dell’Episcopato per l’invito rivoltomi, sia ai rappresentanti delle Autorità Messicane, in modo particolare al Presidente di quella Repubblica, per il benevolo atteggiamento verso questo viaggio, che mi permette di compiere un dovere pastorale tanto importante.

Mi riferisco in questo momento alla liturgia della festa dell’Epifania come pure alle parole della Costituzione Lumen Gentium, che permettono a noi tutti di dare uno sguardo su quei doni particolari, che il Popolo e la Chiesa che è in Messico hanno apportato e continuano ad apportare nel tesoro comune dell’umanità e della Chiesa.

Chi non ha almeno sentito parlare degli splendori del Messico antico? Della sua arte, delle sue conoscenze nel campo dell’astronomia, delle sue piramidi e dei suoi templi, in cui si esprimeva il suo, sia pure imperfetto e ancora non-illuminato, anelito del divino?

E che dire delle cattedrali e chiese, dei palazzi e municipi, eretti nel Messico e da artigiani messicani dopo la sua cristianizzazione? Tali edifici sono eloquente espressione della meravigliosa simbiosi che il popolo messicano ha saputo operare tra gli elementi migliori del suo passato e quelli del suo futuro cristiano in cui stava allora entrando.

Ma il Messico ha fatto grandi progressi anche nell’era più recente. A fianco delle famose costruzioni di stile detto coloniale, vi sono oggi i grattacieli, le grandi strade, gli impressionanti edifici pubblici, gli stabilimenti industriali del Messico moderno. Però – e qui sta un altro suo merito – in mezzo al progresso politico, tecnico e civile moderno, l’anima messicana mostra chiaramente di voler essere e rimanere cristiana: perfino nella sua musica popolare tipica, il messicano canta anche la sua eterna nostalgia per Dio e la sua devozione alla Vergine Santa. E in tempi difficili del passato, ora felicemente superati, il messicano ha dimostrato non solo buoni sentimenti religiosi, ma una fortezza e una fermezza di fede non indifferenti, anzi talvolta eroica, come molti ancora ricorderanno.

Sono convinto che dinanzi a Cristo e a sua Madre si possa di nuovo realizzare quell’“apertura e scambio dei doni”, a cui l’Episcopato dell’America Latina, io stesso, e tutta la Chiesa connettiamo così grandi speranze per il futuro.

4. Ritorniamo ancora una volta alla descrizione di San Matteo. Il Vangelo dice che quella “apertura dei doni” dei Re Magi a Betlemme si è realizzata dinanzi al Bambino e a sua Madre.


Aggiungiamo che questa situazione continua a ripetersi proprio così. Non lo dimostra forse la storia del Messico e la storia della Chiesa in quella terra? Recandomi là, mi rallegro particolarmente del fatto che mi troverò sulle orme di tanti pellegrini, i quali da tutta l’America, specie dall’America Latina, si avviano al santuario della Madre di Dio a Guadalupe.

Io stesso provengo da una terra e da una nazione, il cui cuore batte – come anche il cuore dei popoli vicini – nei grandi santuari mariani, soprattutto nel santuario di Jasna Gora. Vorrei ancora una volta, come nel giorno dell’inaugurazione del pontificato, ripetere le parole del più grande poeta polacco: “Vergine Santa, che difendi la chiara Czestochowa, e risplendi nella Porta Acuta...”.

Questo mi permette di capire il Popolo, i Popoli, la Chiesa, il Continente, il cui cuore batte nel santuario della Madre di Dio a Guadalupe.

Spero pure che questo mi apra la strada al cuore di quella Chiesa, di quel Popolo e di quel Continente.

Ai malati

Desidero rivolgere un saluto particolare ai malati qui presenti. Soprattutto voglio assicurarli che il Papa non li dimentica, anzi riserva sempre loro un posto speciale nel suo cuore e nelle sue preghiere. Coraggio!

Nello stesso tempo, intendo anche formulare un cordiale auspicio di piena riuscita della Giornata Mondiale dei Lebbrosi, che si terrà anche qui a Roma il 28 gennaio prossimo, con alcune iniziative culminanti nella Celebrazione Eucaristica presieduta dal Cardinale Vicario della Basilica di San Giovanni in Laterano. Il Signore sostenga e fecondi il lavoro umile ma splendido di coloro che si dedicano a sconfiggere questo male tremendo, come le Suore del Terz’Ordine di San Francesco di Syracuse (USA), alcune delle quali sono qui presenti. Anche in questo impegno tutti possiamo dimostrarci discepoli del nostro Maestro e Signore Gesù, che davanti ai lebbrosi adottò atteggiamenti di umiltà, non limitati alla compassione, ma consistenti in concreti e prodigiosi interventi di salvezza (cfr Mc 1,40-41). Che questi voti siano fecondati dall’assistenza divina, e a tutti sia di conforto la mia paterna Benedizione Apostolica.

A vari gruppi

Saluto ora, con viva cordialità e con paterna affezione il Pellegrinaggio delle diocesi di Civita Castellana, Orte e Gallese e delle diocesi di Nepi e Sutri, guidato dal proprio Vescovo.Carissimi, nell’esprimervi l’apprezzamento e la soddisfazione del mio animo, vi ringrazio per questa significativa e gradita visita, che ricambio con fervidi voti. Auspico che tutti voi qui presenti insieme con quanti rappresentate, siate sempre “forti nella fede” (1P 1,5), “esultanti nella speranza” (Rm 12,12), assertori di verità e di carità (cfr Ep 4,15), perché possiate offrire in ogni tempo e in ogni luogo una testimonianza sincera, luminosa e convincente di vita ispirata alla persona, alla dottrina e all’esempio di Cristo Gesù (cfr Ac 1,8). Avvaloro tale auspicio con la propiziatrice Benedizione Apostolica, estensibile a tutte le vostre famiglie e alle persone care.

Aggiungo poi un saluto per i pellegrinaggi parrocchiali, fra i quali oggi sono particolarmente numerosi quelli di alcune Parrocchie Romane: quella dei Santi Pietro e Paolo all’EUR, del Santissimo Nome di Maria al Quartiere Appio-Latino e quella di San Tommaso Moro a via Tiburtina. Assicuro a tutti il mio costante ricordo nella preghiera e di cuore tutti benedico.

Agli sposi novelli


Anche oggi sono presenti varie coppie di sposi novelli. Porgo loro i miei auguri e desidero assicurarli di una mia particolare preghiera, affinché, nella nuova vita che iniziano insieme, il Signore li assista e li benedica.





Mercoledì, 7 febbraio 1979

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Carissimi Fratelli e Sorelle.

1. La III Conferenza Generale dell’Episcopato latinoamericano è un avvenimento sul quale si concentra l’attenzione di tutta la Chiesa e che suscita un grande interesse anche negli ambienti extraecclesiastici. Il fatto che questa sia già la terza Conferenza testimonia che la sua storia, seppur breve, è tuttavia molto indicativa e fruttuosa.

Nel 1955 il Papa Pio XII volle convocare la prima Conferenza Generale dell’Episcopato latinoamericano – celebrata a Rio de Janeiro dal 25 luglio al 4 agosto 1955 – per fare un esame dei problemi religiosi, che sollevavano anche allora gravi angustie nell’intero Continente: fu come uno scrutare i segni dei tempi per trarne indicazioni di vie sempre più idonee al rinnovamento e al rinvigorimento dell’attività apostolica della Chiesa. In particolare, la penuria di clero, emersa con drammatica evidenza, spinse a ricercare una più stretta collaborazione a livello continentale, di cui doveva essere strumento un consiglio rappresentativo di tutti gli Episcopati nazionali.

L’istituzione del CELAM fu il primo e più rilevante risultato della Conferenza: un risultato dinamico, aperto a sviluppi che hanno assunto un ritmo e un’importanza crescenti.

Nel 1968 il Papa Paolo VI, per poter meglio adeguare la missione della Chiesa ai bisogni dell’America Latina alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, convocò la seconda Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, celebrata a Medellín dal 24 agosto al 5 settembre (1968). Scopo principale dell’incontro fu lo studio del tema: “La Chiesa nella presente trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio Vaticano II”.

I particolari sopraindicati informano sufficientemente circa il modo con cui si è formato e sviluppato, nel corso dei decenni, questo splendido organo di collegialità dell’Episcopato attuale nel Continente latinoamericano, e che, in questo momento, è il principale soggetto dell’avvenimento, chiamato brevemente “Puebla”.

2. Questa abbreviazione, come si sa, proviene dal nome della città messicana in cui si svolge la III Conferenza Generale dell’Episcopato latinoamericano. Ho avuto la grande fortuna di poterla personalmente inaugurare presiedendo, sabato 27 gennaio, alla concelebrazione nel santuario della Madre di Dio a Guadalupe, e pronunciando, domenica 28 gennaio, un discorso all’inizio dei lavori, nell’edificio del Seminario Maggiore a Puebla.

Comunque, vorrei richiamare l’attenzione soprattutto sul metodo di lavoro e sul modo molto perspicace e preciso di preparazione della Conferenza stessa.


Prima di giungere alla formulazione delle principali tesi contenute nel “Documento de trabajo” che consta di 172 pagine complessive, le singole Conferenze Episcopali dell’America Latina, sulla traccia del “Documento de consulta”, hanno lavorato preparando i propri pareri, osservazioni e proposte in merito all’argomento della III Conferenza, che è stato formulato così: “L’Evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina”. È facile intuire che le fonti di tale argomento andavano ricercate principalmente nei lavori delle Assemblee ordinarie del Sinodo dei Vescovi, svoltesi a Roma negli anni 1974 e 1977: ricordiamo che il tema di quelle Assemblee fu rispettivamente l’“Evangelizzazione nel mondo contemporaneo” e la “Catechesi con particolare riguardo ai giovani”.

Il frutto dello scambio delle esperienze, delle proposte, dei suggerimenti del Sinodo dei Vescovi del 1974 fu l’Esortazione Apostolica di Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, uno dei documenti più caratteristici, indicativi e fruttuosi del suo pontificato.

Tale – come si vede molto limpida – è la genesi dell’attuale Conferenza del CELAM, per quanto riguarda il suo tema. L’iniziativa di trattare questo argomento di carattere universale-ecclesiastico, cioè l’“Evangelizzazione” in riferimento all’America Latina, risale all’anno 1976. In ogni caso, tutto il ciclo della preparazione ha occupato due anni interi. In questo periodo, le Conferenze Episcopali Nazionali, facendo anche tesoro dei contributi offerti dalle singole componenti delle comunità ecclesiali locali, hanno preparato il loro apporto per la stesura del “Documento di lavoro”, cioè di quel Documento, che doveva servire come punto di riferimento dei lavori della Conferenza di Puebla, e sulla traccia del quale si doveva procedere allo scambio delle esperienze, delle proposte e dei suggerimenti: ciò che proprio adesso si sta attuando a Puebla.

Le singole Conferenze Episcopali, oltre ad essere rappresentate dai rispettivi presidenti, hanno nominato un numero di Delegati, proporzionato al numero globale dei Vescovi facenti parte della medesima Conferenza. Inoltre, sono stati invitati a Puebla rappresentanti delle varie componenti del Popolo di Dio: sacerdoti, religiosi, religiose. diaconi e laici.

3. Può darsi che i sopraindicati particolari, relativi alla Conferenza a Puebla, siano già noti ad alcuni dei miei odierni ascoltatori. Però io ho ritenuto opportuno sintetizzarli adesso per due motivi: prima di tutto, per un riguardo all’importanza dell’avvenimento che porta il nome “Puebla”; allo stesso tempo, per esprimere la mia gioia in quanto l’insegnamento sulla collegialità dell’Episcopato, ricordata dal Concilio Vaticano II, si incarna, in modo così splendido, nella vita e fruttifica ai nostri giorni.

Varrebbe la pena di aprire qui di nuovo il testo della costituzione dogmatica Lumen Gentium, al capitolo III, e rileggere con attenzione tutti i suoi paragrafi.

Occorrerebbe richiamare alla memoria molti brani del decreto Christus Dominus, sui doveri pastorali dei Vescovi.

Fermiamoci su alcune frasi: “come San Pietro e gli Apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico Collegio apostolico, in pari modo il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono uniti fra di loro. Già l’antichissima disciplina, nella quale i Vescovi di tutto il mondo comunicavano tra loro e col Vescovo di Roma nel vincolo dell’unità, della carità e della pace, e parimenti i Concili radunati per decidere con essi in comune qualsiasi argomento, anche di grande importanza, dopo aver ponderato la sentenza col consiglio di molti, indicano l’indole e la natura collegiale dell’ordine episcopale; la quale manifestamente confermano i Concili ecumenici tenuti lungo i secoli” (Lumen Gentium
LG 22).

Il Concilio è la più piena espressione della collegialità dell’ufficio episcopale nella Chiesa. Le altre sue manifestazioni non hanno un significato così fondamentale. Tuttavia sono molto necessarie, utili e qualche volta assolutamente indispensabili.

Ciò si riferisce sia alle istituzioni collegiali – tra queste, adesso, nella Chiesa occidentale si sviluppano prevalentemente le Conferenze Episcopali – sia pure alle diverse forme dell’attività collegiale.

L’attuale Conferenza a Puebla è proprio tale forma dell’attività collegiale dell’Episcopato latinoamericano. Certamente, sia le singole istituzioni collegiali sia pure le forme della collegiale attività degli Episcopati corrispondono, in modo particolare, alle esigenze dei nostri tempi.


4. La Costituzione dogmatica Lumen Gentium, parlando della collegialità dei Vescovi, usa pure l’espressione “corpo episcopale” (“Corpus episcopale”).Sembra che qui si racchiuda un’analogia ancora più profonda nei confronti di tutta la Chiesa, che San Paolo, come sappiamo bene, chiamava “il Corpo di Cristo” (cfr Rm 12,5 1Co 1,13 1Co 6,12-20 1Co 10,17 1Co 12,12 Ga 3,28 Ep 1,22-23 Ep 2,16 Ep 4,4 Col 1,24 Col 3,15). Per quest’ultima analogia, entriamo già profondamente nel mistero intimo della Chiesa: nell’unione della vita, che essa attinge da Cristo.

Il “Corpus episcopale” riguarda la struttura esteriore più importante della Chiesa: la sua unità gerarchica. Comunque, questa struttura esteriore rimane al servizio del mistero interiore della Chiesa: del Corpo Mistico di Cristo. Proprio per questa ragione e per questo scopo essa, cioè questa struttura, è pure “corpo”; il corpo, ossia il collegio episcopale.

Nel periodo in cui questo collegio, cioè il “Corpo”, dedica i suoi lavori al problema dell’evangelizzazione “nel presente e nel futuro” del continente sudamericano, bisogna augurare che sia presente in mezzo ai suoi membri e attraverso loro il Signore Gesù stesso. Perché così leggiamo nella citata costituzione Lumen Gentium: “Nella persona quindi dei Vescovi, ai quali assistono i sacerdoti, è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo, Pontefice Sommo. Sedendo infatti alla destra di Dio Padre, non cessa di essere presente alla comunità dei suoi pontefici, ma in primo luogo per mezzo dell’eccelso loro ministero predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede; per mezzo del loro ufficio paterno (cfr 1Co 4,15) nuove membra incorpora, con la rigenerazione soprannaturale, al suo Corpo; e infine, con la loro sapienza e prudenza, dirige e ordina il Popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine” (Lumen Gentium LG 21). A loro infatti “è stata affidata la testimonianza al Vangelo della grazia di Dio (cfr Rm 15,16 Ac 20,24) e il glorioso ministero dello Spirito e della giustizia (cfr 2Co 3,8-9)” (Lumen Gentium LG 21).

A voi tutti la mia Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 14 febbraio 1979

14279

Cari Fratelli e Sorelle.

1. “L’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina“: su questo tema ha lavorato la terza Conferenza Generale dell’Episcopato di quel Continente dal 27 gennaio al 12 febbraio corrente. L’altro ieri la Conferenza ha terminato i suoi lavori. Oggi desidero insieme con i miei Fratelli nell’Episcopato, partecipanti a quella Conferenza, con tutti gli Episcopati dell’intero Continente latinoamericano, ringraziare lo Spirito Santo per l’insieme di quei lavori. Desidero ringraziare lo Spirito del nostro Signore Gesù Cristo e la Sua Madre, Sposa dello Spirito Santo. Proprio ai suoi piedi, nel Santuario di Guadalupe, abbiamo iniziato insieme la terza Conferenza.

Quando sentiamo la parola “evangelizzazione”, ci viene in mente la frase di San Paolo: “Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!” (
1Co 9,16). Queste parole, che scaturiscono dal profondo dell’anima dell’Apostolo, sono il grido della Chiesa dei nostri tempi. Sono diventate il testamento di Paolo VI, che ha trovato la sua espressione nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi. Adesso diventano le parole della fede, della speranza e della carità dell’Episcopato latinoamericano. Poiché la fede, la speranza e la carità devono essere tradotte in linguaggio di responsabilità per il Vangelo, per il suo annuncio, così come lo formulò San Paolo Apostolo.

2. L’Evangelizzazione nel continente americano è prima di tutto l’eredità dei secoli. Se parliamo del presente e del futuro di questa evangelizzazione, non possiamo dimenticare il suo “ieri”, il suo passato. Di ciò ho parlato nella mia prima omelia, che durante il recente viaggio ho pronunciato alla messa concelebrata a Santo Domingo. “Fin dai primi momenti della scoperta – dicevo – la preoccupazione della Chiesa si manifesta per far presente il Regno di Dio nel cuore dei nuovi popoli, delle razze, delle culture... Il suolo dell’America era preparato da correnti di propria spiritualità a ricevere il nuovo seme cristiano”.

Quell’“ieri” dell’evangelizzazione degli uomini e dei popoli del Continente latinoamericano si è fatto costantemente notare durante la mia visita nel Messico, e ha creato uno specifico di tutto il viaggio. Dappertutto ho trovato gli splendidi templi, che ricordavano le prime generazioni della Chiesa e del cristianesimo in quella terra. Ma soprattutto ho incontrato gli uomini vivi, che hanno accettato come proprio il vangelo annunziato ad essi nel nuovo mondo, dai missionari provenienti dal vecchio mondo, e ne hanno fatto la sostanza della propria vita. Certamente quell’incontro dei nuovi arrivati dall’Europa con gli indigeni non è stato facile. Si ha l’impressione che questi ultimi non in tutto abbiano accettato ciò che è europeo; che, in qualche maniera, cercassero di nascondersi nella loro propria tradizione e nella cultura natia.

Ma contemporaneamente si ha l’impressione che abbiano accettato Gesù Cristo e il suo Vangelo; che in quella comunità di fede si sia effettuato un incontro del vecchio con il nuovo, e ciò si trova alla base non soltanto della vita della Chiesa ma della stessa società messicana. Quella continuità della fede ha attraversato – come sappiamo tutti – gravi prove e duri esami. È difficile resistere all’impressione, che si impone con insistenza, che nel crogiolo di quelle prove e di quegli esami la comunità si è rafforzata e approfondita. Porta su di sé i segni di una grande semplicità e della vittoria spirituale della fede, malgrado le circostanze che potrebbero testimoniare contro e che, considerando le cose dal punto di vista umano, potrebbero rattristare.


3. “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” (He 13,8).

I rappresentanti dell’Episcopato radunati a Puebla, pensando all’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, erano consapevoli del fatto che la Chiesa come Corpo di Cristo e sua fedele Sposa, la Chiesa come Popolo di Dio, non si può staccare mai dal passato, dalla tradizione, ma non può neanche accontentarsi di guardare soltanto al passato: la ecclesia “retro-oculata” sempre deve essere, allo stesso tempo, la Chiesa che guarda al futuro (ecclesia “ante-oculata”). A questo futuro, agli uomini che già esistono e a coloro che verranno, la Chiesa sempre deve rivelare Gesù Cristo, pieno e non diminuito mistero della salvezza. Questo mistero è un mistero eterno in Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Il mistero che è diventato nel tempo una Realtà divino-umana, che porta il nome di Gesù Cristo.

È una Realtà storica, e nello stesso tempo egli è al di sopra della storia, “è lo stesso ieri, oggi e sempre” (He 13,8).

È una Realtà che non si ferma fuori dell’uomo; la ragione del suo esistere e di essere è di operare nell’uomo; costruire la sorgente e il fermento della nuova vita in ogni uomo.

Evangelizzare significa agire in questa direzione, affinché la sorgente e il fermento della nuova vita risplendano negli uomini e nelle generazioni sempre nuove.

Evangelizzare non vuol dire soltanto raccontare “di Cristo”. Annunciare Cristo significa far sì che l’uomo – colui a cui si rivolge questo annuncio – “creda”, cioè veda se stesso in Cristo; ritrovi in lui l’adeguata dimensione della propria vita; semplicemente, ritrovi se stesso in Cristo.

Esecutore di questa opera è l’uomo che evangelizza, che annunzia Cristo, ma è soprattutto lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù Cristo. La Chiesa, che evangelizza, rimane ancella e strumento dello Spirito.

Il fatto di ritrovare se stesso in Cristo, che è proprio il frutto della evangelizzazione, diventa sostanziale liberazione dell’uomo. Il servizio al Vangelo è servizio alla libertà nello Spirito. L’uomo che ha ritrovato se stesso in Cristo, ha ritrovato la via della conseguente liberazione della propria umanità attraverso il superamento di tutte le sue limitazioni e debolezze; attraverso la liberazione dalla propria situazione di peccato e dalle molteplici strutture del peccato, che gravano sulla vita delle società e degli individui.

A questa verità, così fortemente espressa da San Paolo, dobbiamo far riferimento, con non minor chiarezza, nella missione evangelizzatrice nel continente americano e dappertutto.

4. Il futuro dell’evangelizzazione si identifica con la realizzazione di questo grande e molteplice programma delineato dal Concilio Vaticano II.

La Chiesa, affinché possa adempiere la sua missione nei confronti del “mondo”, deve profondamente rafforzarsi nel proprio mistero, deve costruire a fondo la propria comunità, la comunità del Popolo di Dio, basata sulla successione apostolica, sul ministero gerarchico, sulla vocazione all’esclusivo servizio a Dio nel sacerdozio e nella vita religiosa, sul laicato consapevole dei propri compiti apostolici.


Il mondo latinoamericano aspetta che la Chiesa adempia nei suoi confronti la propria missione. L’aspetta anche quando, nei confronti della Chiesa e del Vangelo, esso manifesta contestazione e indifferenza. Tutto ciò non deve scoraggiare gli apostoli di Cristo e i servi del Vangelo del suo amore.

I miei cari Fratelli nell’Episcopato del Continente latinoamericano danno testimonianza che “l’amore del Cristo li spinge” (cfr 2Co 5,14), che sono pronti ad “annunziare la parola, ad insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna, ad ammonire, a rimproverare ed esortare con ogni magnanimità e dottrina” (cfr 2Tm 4,2) –come dice San Paolo – affinché le comunità, affidate alla loro cura di pastori e di maestri, “non rifiutino di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (cfr 2Tm 4,4).

I miei Fratelli nell’Episcopato del Continente latinoamericano sono pronti, insieme con i loro sacerdoti, i religiosi e le religiose, con tutto il laicato zelante, a leggere i segni dei tempi”, per formare tutto il Popolo di Dio nella giustizia, nella verità e nell’amore.

Il Signore li benedica in tutto questo loro lavoro. Permetta ad essi di vedere i frutti di questo zelo e di questa cooperazione, la cui prova è stata la III Conferenza Generale a Puebla.

Che la Chiesa nel Continente latinoamericano, forte della tradizione della prima evangelizzazione, diventi di nuovo forte con la coscienza di tutto il Popolo di Dio, con la forza delle proprie vocazioni sacerdotali e religiose, col profondo senso di responsabilità per l’ordine sociale fondato nella giustizia, nella pace, nel rispetto dei diritti dell’uomo, nell’adeguata distribuzione dei beni, nel progresso dell’istruzione pubblica e della cultura.

Tutto questo ad essi auguriamo.

Per tali finalità dell’America Latina vogliamo continuare a pregare instancabilmente noi tutti qui radunati, e tutta la Chiesa, invocando l’intercessione della Madre di Dio di Guadalupe, ai cui piedi abbiamo iniziato i nostri lavori.

Amen.




Mercoledì, 21 febbraio 1979

21279

1. Anche oggi desidero riferirmi al tema della III Conferenza dell’Episcopato latinoamericano: all’evangelizzazione. È un tema fondamentale, un tema che è sempre di attualità. La Conferenza, che il 13 febbraio corrente ha finito i suoi lavori a Puebla, ne rende testimonianza. Esso, inoltre, è il tema “del futuro”, il tema, che la Chiesa deve vivere continuamente e prolungare nell’avvenire. Il tema perciò costituisce la prospettiva permanente della missione della Chiesa.

Evangelizzare vuol dire far presente Cristo nella vita dell’uomo in quanto persona, e nello stesso tempo nella vita della società. Evangelizzare vuol dire fare tutto il possibile, secondo le nostre capacità, affinché l’uomo “creda”; affinché l’uomo ritrovi se stesso in Cristo; affinché ritrovi in lui il senso e la dimensione adeguata della propria vita. Questo ritrovamento è, nello stesso tempo, la fonte più profonda della liberazione dell’uomo. Lo esprime San Paolo quando scrive: “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi” (
Ga 5,1). Così allora la liberazione è certamente una realtà di fede, uno dei fondamentali temi biblici, inscritti profondamente nella missione salvifica di Cristo, nell’opera di Redenzione, nel suo insegnamento. Questo tema non ha mai cessato di costituire il contenuto della vita spirituale dei cristiani. La Conferenza dell’Episcopato latinoamericano testimonia che questo tema ritorna in un nuovo contesto storico; perciò lo si deve riprendere nell’insegnamento della Chiesa, in teologia e nella pastorale. Deve essere ripreso nella sua profondità propria, e nella sua autenticità evangelica.


Molte circostanze fanno sì che esso sia così attuale. È difficile, qui, menzionarle tutte. Certamente lo richiama quell’“universale desiderio della dignità” dell’uomo, di cui parla il Concilio Vaticano II. La “teologia della liberazione” viene spesso collegata (qualche volta troppo esclusivamente) con l’America Latina; bisogna però dare ragione ad uno dei grandi teologi contemporanei (Hans Urs von Balthassar), che giustamente esige una teologia della liberazione a raggio universale. Solo i contesti sono diversi, ma la realtà stessa della libertà “a cui Cristo ci ha liberati” (cfr Ga 5,1) è universale. Il compito della teologia è di ritrovare il suo vero significato nei diversi e concreti contesti storici e contemporanei.

2. Cristo stesso collega, in modo particolare, la liberazione con la conoscenza della della verità: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Jn 8,32). Questa frase attesta soprattutto l’intimo significato della libertà, alla quale ci libera Cristo. Liberazione significa trasformazione interiore dell’uomo, che è conseguenza della conoscenza della verità. La trasformazione è dunque un processo spirituale, in cui l’uomo matura “nella giustizia e nella santità vera” (Ep 4,24). L’uomo così maturo internamente diventa rappresentante e portavoce di tale “giustizia e santità vera” nei diversi ambiti della vita sociale. La verità ha importanza non solo per la crescita della umana consapevolezza, approfondendo in questo modo la vita interiore dell’uomo; la verità ha anche un significato e una forza profetica. Essa costituisce il contenuto della testimonianza e richiede una testimonianza. Troviamo questa forza profetica della verità nell’insegnamento di Cristo. Come profeta, come testimone della verità, Cristo ripetutamente si oppone alla non-verità; lo fa con grande forza e decisione e spesso non esita a biasimare il falso. Rileggiamo accuratamente il Vangelo; vi troveremo non poche espressioni severe, per es. “sepolcri imbiancati” (Mt 23,27), “guide cieche” (Mt 23,16), “ipocriti” (Mt 23,13 Mt 23,15 Mt 23,23 Mt 23,25 Mt 23,27 Mt 23,29), che Cristo pronuncia, consapevole delle conseguenze che lo aspettano.

Dunque, questo servizio alla verità come partecipazione al servizio profetico di Cristo è un compito della Chiesa, la quale cerca di adempierlo nei diversi contesti storici. Bisogna chiamare col loro nome l’ingiustizia, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, oppure lo sfruttamento dell’uomo da parte dello Stato, delle istituzioni, dei meccanismi dei sistemi economici e dei regimi operanti qualche volta senza sensibilità. Bisogna chiamare per nome ogni ingiustizia sociale, discriminazione, violenza inflitta all’uomo contro il corpo, contro lo spirito, contro la sua coscienza e contro le sue convinzioni. Cristo ci insegna una particolare sensibilità verso l’uomo, verso la dignità della persona umana, verso la vita umana, verso lo spirito e il corpo umano. È questa sensibilità che rende testimonianza della conoscenza di quella “verità che ci fa liberi” (Jn 3,32). Non è permesso all’uomo di celare questa verità dinanzi a se stesso. Non è permesso di “falsificarla”. Non è permesso fare di questa verità un oggetto di “gara d’appalto”. Bisogna parlare di essa in modo chiaro e semplice. E non per “biasimare” gli uomini, ma per servire la causa dell’uomo. La liberazione anche nel senso sociale prende inizio dalla conoscenza della verità.

3. Ci fermiamo a questo punto. È difficile in un breve discorso esprimere tutto ciò che comporta questo tema grande, che ha molti aspetti e soprattutto molti livelli. Sottolineo: molti livelli, perché in questo tema bisogna vedere l’uomo secondo le diverse componenti di tutta la ricchezza della sua entità personale e nello stesso tempo sociale: entità “storica” e nello stesso tempo, in qualche modo, “sopratemporale” (di questa “sopratemporalità” dell’uomo rende testimonianza, fra l’altro, la storia). L’entità che è la “canna pensante” (cf. Pascal, Pensieri, 347) –si sa come fragile è la canna – proprio perché “pensante” supera sempre se stessa, porta dentro di sé il mistero trascendentale e una “inquietudine creativa”, che da esso promana.

Per ora ci fermiamo a questo punto. La teologia della liberazione deve soprattutto essere fedele a tutta la verità sull’uomo, per mettere in evidenza, non solo nel contesto latinoamericano, ma anche in tutti i contesti contemporanei, quale realtà è questa libertà “a cui Cristo ci ha liberati”.

Cristo! Bisogna parlare della nostra liberazione in Cristo, bisogna annunziare questa liberazione. Bisogna inserirlo in tutta la realtà contemporanea della vita umana. Lo richiedono molte circostanze, molte ragioni. Proprio in questi tempi, nei quali si pretende che la condizione della “liberazione dell’uomo” sia la sua liberazione “da Cristo”, cioè dalla religione, proprio in questi tempi deve diventare, per noi tutti, sempre più evidente e sempre più piena la realtà della nostra liberazione in Cristo.

4. “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità (Jn 18,37).

La Chiesa, guardando a Cristo che rende testimonianza alla verità, dappertutto e sempre deve domandare a se stessa, e in un certo senso anche al “mondo” contemporaneo, in che modo far emergere il bene dall’uomo, in che modo liberare le energie del bene nell’uomo: affinché egli sia più forte del male, di qualsiasi male morale, sociale, ecc. La III Conferenza dell’Episcopato latinoamericano rende testimonianza della disponibilità ad assumere questa fatica. Vogliamo non solo raccomandare a Dio questa fatica, ma anche seguirla per il bene della Chiesa e di tutta la famiglia umana.

Ai fedeli provenienti dall’Uganda

Sono particolarmente felice di rivolgere oggi il mio benvenuto agli Ugandesi che vivono a Roma. La vostra presenza oggi qui sottolinea la vostra partecipazione alla celebrazione del centenario dell’evangelizzazione della vostra nazione. La vostra presenza mi dà modo altresì di esprimere i miei sentimenti di stima e simpatia per la Chiesa del vostro paese rendendo lode e grazie a Dio che attraverso la potenza dello Spirito Santo ha arrecato copiosi frutti di santità e giustizia nelle vite di generazioni di Ugandesi. In questa importante ricorrenza auguro che ciascuno di voi possa essere riconfermato nella gioia e nell’ardore di vita in Gesù Cristo, Figlio di Dio e Salvatore del mondo.

(Traduzione dall’inglese)



Alla Quarta Conferenza Interparlamentare della Comunità Europea e del Parlamento Latino Americano

Fra i gruppi di lingua spagnola che partecipano a questa Udienza desidero dare rilievo alla presenza qualificata dei membri della Quarta Conferenza Interparlamentare della Comunità Europea e del Parlamento Latino Americano. Vada a tutti loro il mio speciale e deferente saluto, insieme ai miei migliori auguri di benessere personale e per le rispettive nazioni.

Alle Piccole Suore di Gesù

Fra tanti gruppi che lo meritano, sono felice di salutare il gruppo delle Piccole Sorelle di Gesù, insieme alla loro Fondatrice. Le vostre fraternità assicurano al cuore del mondo la presenza di Cristo, in un clima di preghiera e di amicizia. I miei auguri e la mia Benedizione vi accompagnino, ovunque andrete!

Agli alunni della “École de la Foi”, di Friburgo

Saluto anche gli alunni della “École de la Foi” di Friburgo: cari amici, imparate a scoprire sempre meglio il Cristo nello studio della sua Parola, nella preghiera liturgica e nella vita fraterna; e sappiate poi comunicare largamente, da veri discepoli, la sua buona novella. Avete tutto il mio incoraggiamento!

Al Capitolo Generale delle Suore Francescane di Salzkotten (Germania)

Desidero rivolgere un saluto particolare al Capitolo Generale delle Suore Francescane di Salzkotten. La vostra comunità ha come proprio carisma la preghiera per la Chiesa legata al servizio sociale ai deboli e agli ammalati. Restate fedeli al compito della vostra fondazione, molto utile e di estrema urgenza anche per la Chiesa di oggi. La missione della vostra Congregazione che supera i confini dei Paesi e delle culture è qualcosa di molto importante. L’equilibrio che voi dovete stabilire tra unità e molteplicità, con intelligenza, con realismo e talvolta anche con sacrificio, è un grosso aiuto anche all’intera Chiesa, la cui unità voi imitate nella vostra comunità. Al vostro Capitolo Generale auguro di cuore l’aiuto e la benedizione di Dio, i frutti che la Chiesa vi donerà e che renderanno onore a Dio.

A due pellegrinaggi, provenienti da Ferrara e Comacchio e da Patti

Un cordiale e affettuoso saluto rivolgo al numeroso pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Ferrara e della diocesi di Comacchio, guidato dall’Arcivescovo Monsignor Filippo Franceschi. Ho presente in questo momento, carissimi fratelli e sorelle, la gloriosa storia delle vostre città, le loro molte e benefiche istituzioni a servizio dell’uomo, e soprattutto conosco la fede sincera che anima le vostre Comunità ecclesiali, ed è vita del Seminario e di tutte le forme dell’apostolato cristiano, in felice attuazione delle indicazioni del Concilio Vaticano II. Nel ringraziarvi per la vostra visita, che ho tanto apprezzato, vi esorto e incoraggio a sempre più generosa fedeltà alle vostre nobili e genuine tradizioni, a farla continuamente progredire in un clima di aperta e leale solidarietà. A tutti imparto la mia Benedizione Apostolica.

Un saluto anche ai pellegrini della diocesi di Patti, qui convenuti insieme col loro Pastore Monsignor Carmelo Ferraro, non solo per dimostrare al successore di Pietro il loro amore, ma anche per far benedire la “prima pietra” del “Centro di promozione per la vita”, che sarà eretto presso il celebre santuario della Madonna di Tindari. Nel manifestarvi riconoscenza, carissimi fratelli e sorelle, per questa duplice attestazione di omaggio e nel benedire la “prima pietra”, desidero esprimere l’augurio che l’erigenda opera sia da tutti voi generosamente sostenuta, affinché non solo sorga in modo degno dell’importanza del nobile scopo, ma soprattutto contribuisca alla strenua difesa dell’uomo, mettendone in risalto i valori sacri e l’inalienabile diritto alla vita. A voi e alle vostre famiglie la mia Benedizione Apostolica propiziatrice della divina assistenza.

A un gruppo di malati

Il mio pensiero si volge ora, con affetto paterno, agli ammalati qui presenti, in particolare agli ospiti dell’ospedale romano “Santa Maria della Pietà”. Carissimi, voi avete un posto privilegiato nel cuore del Papa, come ben sapete. Io vorrei, se fosse possibile, avvicinarmi ad ognuno di voi, come anche ad ogni altro cristiano provato dalla sofferenza, per ascoltarne le confidenze e per dirgli personalmente un convinto “grazie” a nome di tutta la Chiesa, perché egli, soffrendo, “sta completando nella sua carne ciò che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (cf.Col 1,24). Vi aiuti il Signore a dare senso pieno, mediante la fede e l’amore, alle quotidiane tribolazioni, vi sostenga con l’interiore conforto della sua corroborante presenza e vi conceda di raggiungere presto, se a lui pace, la completa guarigione. Per tutti voi e per chi vi assiste io invoco i doni della divina bontà mediante una speciale benedizione apostolica.

Alle numerose coppie di giovani sposi

Desidero, poi, riservare una particolare parola di saluto agli sposi novelli e ai centocinquanta coniugi partecipanti ad un corso di animatori di catechesi coniugale, promosso dall’Azione Cattolica Italiana. Grazie per la vostra presenza. Voi siete portatori di un grande sacramento, che mette il vostro amore in un rapporto misterioso, ma reale, con l’amore stesso di Cristo per la Chiesa: l’amore di Dio che, in Cristo, si è manifestato pienamente nella storia umana, chiede di rendersi visibile di fronte al mondo del vostro amore nuziale. Avete un compito grande voi, sposi cristiani! Dovete testimoniare di fronte a tutti che è possibile, e bello, e nobile un amore fedele in ogni circostanza, generosamente aperto alla vita, capace sempre di comprensione e di perdono, in dialogo fiducioso e costante con la paterna bontà di Dio. Vi accompagni in questa impegnativa missione il mio augurio e la mia affettuosa benedizione.





Catechesi 79-2005 24179