Catechesi 79-2005 20679

Mercoledì, 20 giugno 1979

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1. Dopodomani, venerdì prossimo, la liturgia della Chiesa si concentra con un’adorazione e un amore particolari, attorno al mistero del Cuore di Cristo. Desidero quindi già oggi, anticipando questo giorno e questa festa, dirigere, insieme con voi, lo sguardo dei nostri cuori sul mistero di quel Cuore. Esso mi ha parlato fin dall’età giovanile. Ogni anno ritorno a questo mistero nel ritmo liturgico del tempo della Chiesa.


È noto che il mese di giugno è particolarmente dedicato al Cuore Divino, al Sacro Cuore di Gesù. Ad esso esprimiamo il nostro amore e la nostra adorazione, mediante la litania che parla con una particolare profondità dei suoi contenuti teologici nelle singole invocazioni.

Desidero perciò, almeno brevemente, fermarmi insieme con voi dinanzi a questo Cuore, al quale si rivolge la Chiesa come comunità di cuori umani. Desidero, almeno brevemente, parlare di questo mistero così umano, nel quale con tanta semplicità ed insieme profondità e forza si è rivelato Dio.

2. Oggi lasciamo parlare i testi della liturgia di venerdì, cominciando dalla lettura del Vangelo secondo Giovanni. L’Evangelista riferisce un fatto con la precisione del testimone oculare.

“Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato) chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne usci sangue e acqua” (
Jn 19,31-34).

Neanche una parola sul cuore.

L’Evangelista parla soltanto del colpo di lancia al costato, da cui usci sangue e acqua. Il linguaggio della descrizione è quasi medico, anatomico. La lancia del soldato ha colpito certamente il cuore, per verificare se il Condannato era già morto. Questo cuore – questo cuore umano – ha smesso di lavorare. Gesù ha cessato di vivere. Contemporaneamente, però, questa anatomica apertura del cuore di Cristo dopo la morte – nonostante tutta l’“asprezza” storica del testo – ci spinge a pensare anche a livello di metafora. Il cuore non è soltanto un organo che condiziona la vitalità biologica dell’uomo. Il cuore è un simbolo. Parla di tutto l’uomo interiore. Parla dell’interno spirituale dell’uomo. E la tradizione subito ha riletto questo senso della descrizione giovannea. Del resto, in un certo senso, l’Evangelista stesso ha dato a ciò la spinta, quando, riferendosi all’attestazione del testimone oculare che era lui stesso, si è riferito, nel medesimo tempo, a questa frase della Sacra Scrittura: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Jn 19,37 Za 12,10).

Così, in realtà, guarda la Chiesa; così guarda l’umanità. Ed ecco, nel Trafitto dalla lancia del soldato tutte le generazioni dei cristiani hanno imparato e imparano a leggere il mistero del Cuore dell’Uomo Crocifisso che era ed è il Figlio di Dio.

3. Diversa è la misura della conoscenza che di questo mistero, nel corso dei secoli, hanno acquisito molti discepoli e discepole del Cuore di Cristo.

Uno dei protagonisti in questo campo fu certamente Paolo di Tarso, convertito da persecutore in Apostolo. Anch’egli parla a noi nella liturgia di venerdì prossimo con le parole della lettera agli Efesini. Parla come l’uomo che ha ricevuto una grande grazia, poiché a lui è stato concesso “di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo” (Ep 3,8-9).

Quella “ricchezza di Cristo” e nello stesso tempo quell’“eterno disegno di salvezza” di Dio è indirizzato dallo Spirito Santo all’“uomo interiore”, affinché così “il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori” (Ep 3,16-17). E quando il Cristo, con la forza dello Spirito Santo, abiterà per la fede nei nostri cuori umani, allora saremo in grado “di comprendere con il nostro spirito umano” (cioè proprio con questo “cuore”) “quale sia l’ampiezza, la larghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza...” (Ep 3,18-19).

Per tale conoscenza fatta con il cuore, con ogni cuore umano, è stato aperto, alla fine della vita terrestre, il Cuore Divino del Condannato e Crocifisso sul Calvario.


Diversa è la misura di questa conoscenza da parte dei cuori umani. Dinanzi alla forza delle parole di Paolo, ognuno di noi interroghi se stesso sulla misura del proprio cuore. “...Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Jn 3,19-20). Il Cuore dell’Uomo-Dio non giudica i cuori umani. Il Cuore chiama. Il Cuore “invita”. A questo scopo è stato aperto con la lancia del soldato.

4. Il mistero del cuore si apre attraverso le ferite del corpo; si apre il grande mistero della pietà, si aprono le viscere di misericordia del nostro Dio (S. Bernardo, Sermo LXI, 4: PL 183,1072).

Cristo parla nella liturgia di venerdì: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

Forse una sola volta, con parole sue, il Signore Gesù si è richiamato al proprio cuore. E ha messo in evidenza questo unico tratto: “mitezza e umiltà”. Come se volesse dire che solo con questa via vuole conquistare l’uomo; che mediante “la mitezza e l’umiltà” vuole essere il Re dei cuori. Tutto il mistero del suo regnare si è espresso in queste parole. La mitezza e l’umiltà coprono in un certo senso tutta la “ricchezza” del Cuore del Redentore, di cui ha scritto San Paolo agli Efesini. Ma anche quella “mitezza e umiltà” lo svelano pienamente, e meglio ci permettono di conoscerlo e di accettarlo; lo fanno oggetto di ammirazione suprema.

La bella litania al Sacro Cuore di Gesù è composta da molte simili parole di più, dalle esclamazioni di ammirazione per la ricchezza del Cuore di Cristo. Meditiamole con attenzione quel giorno.

5. Così, alla fine di questo fondamentale ciclo liturgico della Chiesa – che si è iniziato con la prima domenica d’Avvento, ed è passato per il tempo di Natale, poi della Quaresima, della Risurrezione fino alla Pentecoste, alla Domenica della Santissima Trinità e al “Corpus Domini” – si presenta discretamente la festa del Cuore Divino, del Sacro Cuore di Gesù. Tutto questo ciclo si racchiude definitivamente in esso; nel Cuore del Dio-Uomo. Da esso anche ogni anno irradia tutta la vita della Chiesa. Questo Cuore è “fonte di vita e di santità”.

Agli Assistenti Ecclesiastici della Gioventù dell’Azione Cattolica Italiana

Rivolgo ora un pensiero affettuoso agli Assistenti Ecclesiastici Diocesani della Gioventù di Azione Cattolica, che in questi giorni sono riuniti a Roma per il loro Convegno. Carissimi, vi ringrazio della vostra presenza, ma soprattutto vi ringrazio per il vostro impegno a favore dei giovani, per la loro maturità umana e per la loro formazione cristiana. Il Signore vi accompagni, vi illumini e vi sostenga sempre. Imitate Gesù, Maestro e Amico, per la salvezza spirituale e morale dei vostri giovani!

Al pellegrinaggio guidato dai Missionari del Preziosissimo Sangue e dalle Adoratrici del Sangue di Cristo

Saluto poi i Missionari del Preziosissimo Sangue, con le Adoratrici del Sangue di Cristo, che accompagnano un numeroso pellegrinaggio organizzato in occasione del venticinquesimo anniversario della Canonizzazione del loro fondatore, San Gaspare del Bufalo. Nel ricordo glorioso dell’appassionato loro Fondatore, li esorto a meditare sempre con generoso impegno il Mistero del Sangue di Cristo, sparso per la salvezza dell’umanità.

Al pellegrinaggio della diocesi di Calvi e Teano


Il mio benvenuto anche al numeroso pellegrinaggio della diocesi di Calvi e Teano, guidato dal proprio Vescovo. Carissimi, sono contento di sapervi uniti al vostro Vescovo: ascoltatelo, seguitelo, amatelo, perché chi è con il Vescovo è con il Papa ed è con Gesù Cristo!

Ai giovani

Carissimi ragazzi e giovani! Una parola di particolare affetto voglio rivolgere a voi, che siete sempre numerosi e vivaci. Avete iniziato le vacanze estive e certamente ne siete ben contenti! Ed anch’io sono lieto per voi e con voi! Godete le vostre vacanze! Ma fate anche in modo che esse siano un periodo di impegno costante e coraggioso nel diventare migliori. I vostri giochi, la vostra permanenza ai monti o al mare, le vostre gite, la vostra spensierata allegria siano sempre unite al proposito della bontà, nell’amicizia con Gesù Eucaristico, come abbiamo meditato nella solennità del “Corpus Domini”. Vi accompagnino la mia preghiera e la mia Benedizione.

Ai malati

E ora il mio saluto si rivolge ai cari ammalati, presenti a questa udienza. Domenica scorsa abbiamo celebrato la solennità del Corpo e del Sangue del Signore, dell’Emmanuele, che significa Dio con noi, presente sotto le apparenze del pane e del vino. Cristo immutabile nei suoi sentimenti di tenerezza e di misericordia, come già un tempo lungo le strade della Palestina, ancora oggi, dalla presenza silente, eppure eloquentissima dell’Ostia consacrata rivolge alle folle e in particolare ai malati e ai sofferenti le consolanti parole: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Fate vostro questo invito. Accoglietelo nel vostro cuore, con la mia Benedizione.

Alle coppie di sposi novelli

Il mio augurio più fervido agli sposi novelli, qui convenuti per vedere il Papa e accogliere la Benedizione sul loro nascente focolare. Anche a voi, carissimi figli, che avete ricevuto di recente, mediante il sacramento del matrimonio, un tesoro di grazia, affidato a un fragile vaso di creta, desidero rivolgere un incoraggiante pensiero, suggerito dalla festa del Corpo e del Sangue di Cristo, recentemente celebrata. Gesù Eucaristia è a vostra disposizione per soccorrervi con la sua presenza, per fortificarvi con il suo perenne e sempre rinnovato mistico sacrificio, per rallegrarvi con la sua dolce comunione. In Gesù Eucaristico il vostro amore sia puro, generoso, fedele. Vi accompagni nel generoso proposito la mia Benedizione.

Ai dirigenti del “Committee of Religion and Art of America”


Desidero rivolgere un particolare benvenuto ai membri del Consiglio del “Committee of Religion and Art of America”. Sono felice di assicurarvi che, come il mio predecessore Paolo VI, anch’io desidero vedere continuato il dialogo della Chiesa della salvezza con gli artisti di tutto il mondo, e veder finalmente espresso nell’arte quel trascendente umanesimo che rispecchia una visione totale della persona umana. Vi sono grato per la vostra generosa collaborazione in questa causa, ed invoco su di voi e sulle vostre famiglie benedizioni di gioia e di pace.
***


Appello per i rifugiati indocinesi


Sospinto dalla carità di Cristo “Caritas Christi urget nos” voglio elevare questa sera la mia voce per invitarvi a dirigere il vostro pensiero e il vostro cuore verso il dramma che sta accadendo nelle terre e sui mari lontani del Sud-Est asiatico, e coinvolge centinaia di migliaia di nostri fratelli e di nostre sorelle. Essi sono alla ricerca di una patria, poiché i Paesi che li hanno accolti all’inizio hanno raggiunto i limiti delle loro possibilità, mentre le offerte d’inserimento definitivo in altre terre sono fino ad ora insufficienti. Per questo, il progetto di riunire una conferenza internazionale di Paesi interessati – e qual è il Paese che possa sentirsi estraneo a questa tragedia? – non può non essere vivamente incoraggiato. Che tale conferenza si realizzi il più rapidamente possibile! La Santa Sede auspica che tale incontro conduca i Governi a prendere disposizioni efficaci per l’accoglienza, il transito e l’insediamento definitivo dei rifugiati indocinesi.

Rendo omaggio all’azione già intrapresa da alcuni Paesi, come pure da organizzazioni internazionali e da molte iniziative private. Ma il problema è di tale ampiezza che non si può più a lungo lasciarne gravare il peso soltanto su alcuni. Faccio appello alla coscienza dell’umanità, perché tutti assumano la loro parte di responsabilità, popoli e governanti, in nome di una solidarietà che oltrepassa le frontiere, le razze, le ideologie.

La comunità della Chiesa ha già compiuto un grande lavoro di carità, di mutua assistenza, e io me ne rallegro di cuore. Ma essa può, e, ne sono certo, vuole fare ancora di più. I Pastori, nelle loro diocesi, non mancheranno d’incoraggiare i fedeli, ricordando loro, in nome del Signore, che ogni uomo, ogni donna, ogni bambino nel bisogno, è nostro prossimo. Le parrocchie, le organizzazioni cattoliche, le comunità religiose ed anche le famiglie cristiane troveranno il modo di esprimere la loro carità verso i rifugiati. Ciascuno s’impegni personalmente a compiere un gesto concreto nella misura della sua generosità e della sua creatività ispirata dall’amore.




Mercoledì, 27 giugno 1979

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1. “Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius”: “Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli” (
Ps 116,15).

Permettete che cominci da queste parole del Salmo 116 l’odierna meditazione, che desidero dedicare alla memoria dei Santi Fondatori e Patroni della Chiesa Romana. Si avvicina infatti il giorno solenne del 29 giugno, in cui tutta la Chiesa, ma soprattutto Roma, ricorderà i Santi Apostoli Pietro e Paolo. Questo giorno si è consolidato nella memoria della Chiesa Romana come giorno della loro morte. Il giorno che li ha uniti con il Signore, di cui aspettavano la venuta, osservavano la legge, e da cui hanno ricevuto “la corona della vita” (cfr 2Tm 4,7-8 Jc 1,12).

Il giorno della morte fu per loro l’inizio della nuova vita. Il Signore stesso ha rivelato loro questo inizio con la propria risurrezione, della quale sono diventati testimoni mediante le loro parole e le loro opere ed anche mediante la loro morte. Tutto insieme: le parole, le opere e la morte di Simone di Betsaida, che il Signore chiamò Pietro, e di Saulo di Tarso, che dopo la conversione si chiamò Paolo, costituisce come il complemento del Vangelo di Cristo, la sua penetrazione nella storia dell’umanità, nella storia del mondo, e anche nella storia di questa città. E veramente c’è da meditare in questi giorni, che il Signore, mediante la morte dei suoi apostoli, ci permette di riempire con una particolare memoria della loro vita.

“Felix per omnes festum mundi cardines / apostolorum praepollet alacriter, / Petri beati, Pauli sacratissimi, / quos Christus almo consecravit sanguine, / ecclesiarum deputavit principes” (“Rifulge per tutti i luoghi del mondo la fausta solennità degli Apostoli, del beato Pietro e dell’augusto Paolo, che Cristo consacrò di fecondo sangue e assegnò come capi delle chiese” (Hymnus ad Officium Lectionis).

2. Quando Cristo dopo la risurrezione ebbe con lui quel colloquio strano, descritto dall’evangelista Giovanni, certamente Pietro non sapeva che proprio qui – nella Roma di Nerone – si sarebbero compiute le parole sentite allora e quelle stesse pronunciate da lui. Cristo gli chiese tre volte “mi ami?” e Pietro tre volte diede risposta affermativa. Anche se alla terza volta “Pietro rimase addolorato” (Jn 21,17), come nota l’Evangelista. Alcuni pensano alla possibile causa di questo dolore, e suppongono che essa si trovi nel triplice rinnegamento, ricordato a Pietro dalla terza domanda di Cristo. Ad ogni modo, dopo la terza risposta in cui Pietro non tanto assicurò il proprio amore, quanto si richiamò umilmente a ciò che Cristo stesso sapeva a questo proposito: “Signore, tu lo sai che ti amo” (Jn 21,15), dopo questa terza risposta, seguono le parole che proprio qui, a Roma, si sarebbero dovute compiere un giorno. Il Signore dice: “Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Jn 21,18). Queste misteriose parole si possono capire in diverso modo. Tuttavia l’Evangelista suggerisce il loro senso esatto, quando aggiunge che in esse Cristo indicò a Pietro “con quale morte egli avrebbe glorificato Dio” (Jn 21,19).

Per questo, il giorno della morte dell’Apostolo, che dopodomani commemoriamo, ci ricorda anche l’adempimento di queste parole. Tutto quello che avvenne prima – tutto l’insegnamento apostolico e il servizio alla Chiesa in Palestina, poi in Antiochia, e infine a Roma – tutto ciò costituisce l’adempimento di quella triplice risposta: “Signore, tu lo sai che ti amo” (Jn 21,15). Tutto ciò giorno per giorno, anno dopo anno, insieme con tutte le gioie e le esaltazioni dell’anima dell’Apostolo quando guardava la crescita della causa del Vangelo nelle anime, ma anche tutte le inquietudini, le persecuzioni, le minacce, cominciando già da quella di Gerusalemme, quando Pietro fu incarcerato per ordine di Erode, fino all’ultima, a Roma, quando si ripeté la stessa cosa in seguito all’ordine di Nerone. Però la prima volta fu liberato dal Signore mediante il suo angelo, mentre questa volta non più. Probabilmente è stata compiuta sufficientemente con la vita e con il ministero di Pietro, la misura terrena dell’amore promesso al Maestro. Si poteva compiere anche questa ulteriore parte delle parole allora pronunciate: “...un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Jn 21,18).


Secondo la tradizione, Pietro morì sulla croce come Cristo, ma avendo coscienza di non essere degno di morire come il Maestro, chiese di essere crocifisso con la testa in giù.

3. Paolo venne a Roma come detenuto, dopo aver fatto appello a Cesare contro la sentenza di condanna emanata in Palestina (cfr Ac 25,11). Egli era cittadino romano, ed aveva diritto a tale ricorso. Perciò è possibile che egli abbia trascorso gli ultimi due anni di vita nella Roma di Nerone. Non smise di insegnare mediante la parola viva e scritta (mediante le lettere), però forse non poté più lasciare la città. I suoi viaggi missionari, con i quali aveva abbracciato i principali centri del mondo mediterraneo, si erano conclusi. Si compì così il preannunzio circa lo “strumento eletto per portare il Nome del Signore dinanzi ai popoli” (Ac 9,15).

Nel corso di poco più di trent’anni dalla morte di Cristo, dalla risurrezione e dall’ascensione al Padre, la regione del Mare Mediterraneo e quindi l’area dell’Impero era andata popolandosi dei primi cristiani. Tutto ciò fu, in parte considerevole, il frutto dell’attività missionaria dell’Apostolo delle Genti. E se, tra tutte queste sollecitudini, non lo abbandonava il desiderio “di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo” (Ph 1,23), proprio qui a Roma tale desiderio giunse a compimento.

Il Signore lo diresse a Roma alla fine della sua vita, perché fosse testimone del ministero di Pietro non solo tra gli ebrei, ma anche tra i pagani, e per portarvi la testimonianza viva dello sviluppo della Chiesa “fino ai confini della terra” (cfr Ac 1,8), così da delineare la prima forma della sua universalità. Il Signore ha fatto sì che egli, Paolo, Apostolo instancabile e servitore di questa universalità, trascorresse gli ultimi anni della sua vita qui, vicino a Pietro, il quale come una roccia si è radicato in questo luogo, per essere l’appoggio e lo stabile punto di riferimento per questa stessa universalità.

“O Roma felix, quae tantorum principum / es purpurata pretioso sanguine, / non laude tua, sed ipsorum meritis / excellis omnem mundi pulchritudinem”: “O Roma felice, che di tali prìncipi sei imporporata col prezioso sangue, non per tua fama, ma per i loro meriti tu superi ogni bellezza del mondo” (Hymnus ad Vesperas).

4. Avvicinandosi il giorno del 29 giugno, la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, molti pensieri si affollano nella mente e molti sentimenti nel cuore. Soprattutto cresce il bisogno della preghiera, affinché il ministero di Pietro trovi nuova comprensione nella Chiesa dei nostri tempi, e affinché sempre più cresca la dimensione dell’universalità missionaria che San Paolo portò in modo così rilevante nella storia della Chiesa Romana, dimorando qui come detenuto negli ultimi anni della sua vita.

E il Signore, che promise a Pietro di costruire la propria Chiesa “sulla Pietra”, continui ad essere benigno verso questa Pietra che si è inserita nel terreno della Città Eterna, resa fertile con il sangue dei suoi fondatori.

Ai religiosi e religiose e ai pellegrinaggi di molte diocesi

All’udienza di oggi vedo presenti numerosi religiosi fra i quali un gruppo di Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, riuniti per il Capitolo Generale, e i Superiori delle case della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. A voi carissimi religiosi, e anche a tutte le religiose, porgo un grazie sincero per quanto operate a favore della Chiesa, mentre esprimo l’auspicio che siate sempre ferventi nello spirito e testimoni, lieti e coraggiosi, di Cristo nel mondo.

Porgo poi il benvenuto ai partecipanti alla riunione di studio indetta dall’Associazione Italiana Maestri Cattolici! Che il Divino Maestro illumini sempre le vostre intelligenze con la sua luce, corrobori le vostre volontà e i vostri cuori con la sua grazia, e renda fecondo di bene il vostro generoso impegno educativo!

Mi è gradito, inoltre, salutare, tra i numerosi pellegrinaggi, quelli delle diocesi di Caltanissetta, di Parma e di Pavia, guidati dai loro rispettivi Vescovi. A tutti giunga il mio riconoscente apprezzamento per questa visita; a tutti rivolgo la mia paterna esortazione a ritemprare la propria fede cristiana presso la Tomba dell’Apostolo Pietro; su tutti invoco copiosi favori celesti di letizia e di prosperità, in pegno dei quali imparto di cuore la mia Benedizione.

Ai giovani


E ora un cordiale saluto a tutti i giovani e alle giovani qui presenti. Carissimi, la speranza che voi rappresentate per la Chiesa e per la società si realizzerà se comprenderete realmente che, essendo “Gesù Cristo la verità di tutto l’uomo”, la fede in lui deve diventare la sorgente del criterio per affrontare tutti i problemi dell’esistenza. Vi esorto quindi ad ispirare alla fede il vostro comportamento in ogni circostanza. Vi accompagni la mia Benedizione.

Agli infermi

Carissimi ammalati, rivolgo a voi un saluto particolarmente affettuoso, e vi ricordo le parole di San Pietro ai primi cristiani: “Se voi pur avendo agito rettamente, sopportate sofferenze e tuttavia rimanete sottomessi, questo è grande davanti a Dio. Anzi, è appunto a questo che voi siete stati chiamati perché Cristo pure ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché ne seguiate le orme (1P 2,21-22). Sono parole sempre attuali e sempre valide per voi e per tutti! Vi siano di luce e di conforto. Di cuore tutti vi benedico.

Alle coppie di giovani sposi

Carissimi sposi novelli! Grazie della vostra presenza! A voi che iniziate una vita nuova in questa nostra società, non certamente facile, voglio ricordare le parole di San Paolo al suo discepolo Timoteo: “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, ma soffri con me per il Vangelo, confidando nella forza di Dio, che ci ha salvati e chiamati con una vocazione santa. Siate anche voi coraggiosi nel testimoniare la vostra fede e il vostro impegno di santificazione. Vi sostenga in questo sforzo la mia Benedizione

Ad un pellegrinaggio nigeriano

Rivolgo uno speciale benvenuto al pellegrinaggio della arcidiocesi di Onitsha. Dio benedica voi e tutta la Nigeria.

Ad un gruppo di militari degli Stati Uniti d’America



Rivolgo anche una parola particolare di saluto agli ufficiali e ai militi della portaerei “Eisenhower”, e a tutti i membri dell’esercito degli Stati Uniti di stanza in Germania, come pure ai direttori dell’USO che celebra il suo trentunesimo anniversario sotto gli auspici dell’American Catholic Club di Roma. Il Signore vi assista nelle vostre attività di servizio.




Mercoledì, 4 luglio 1979

40779

1. La settimana scorsa, la Chiesa romana ha vissuto santi ed elevati momenti, che meritano una particolare menzione dinanzi a Dio e agli uomini.

Dinanzi a Dio: per potergli esprimere gratitudine e rinnovare fiducia. Dinanzi agli uomini, per soddisfare il bisogno dei cuori, che in tali momenti si uniscono e si aprono reciprocamente.

Per la prima volta è capitato a me che non sono nativo di questa Città né di questa Terra, di venerare i Santi Apostoli Pietro e Paolo proprio in questo luogo, da cui il Signore li ha chiamati a sé, nel giorno dedicato alla memoria annuale del loro glorioso martirio. L’ho fatto già per molti anni nella mia terra patria, manifestando così l’unità con Pietro che riunisce il Popolo di Dio nella Chiesa cattolica. Ma qui, nel centro stesso della Chiesa, il mistero di quella insolita vocazione, che ha condotto Pietro dal lago di Genesaret fino a Roma, e poi sulle sue orme ha portato qui anche Paolo di Tarso, ci parla con tutta la forza della realtà storica. Con quanta profonda emozione nella tarda sera del 28 giugno abbiamo recitato i primi vesperi della festa dei due Santi Patroni. E poi dopo la benedizione dei Palli, che sono simbolo dell’unità della Chiesa universale con la Sede di San Pietro, siamo scesi al luogo dove si trovano le sante reliquie dell’Apostolo, sepolte qui una volta, e ai nostri tempi sottoposte a nuovo esame da parte degli scienziati... Quanto grande è l’eloquenza dell’altare al centro della Basilica, sul quale celebra l’Eucaristia il Successore di San Pietro col pensiero che, in luogo prossimo a questo altare, egli stesso, Pietro crocifisso, ha fatto il sacrificio della propria vita in unione col sacrificio di Cristo crocifisso sul Calvario, e risorto... Nello stesso giorno, secondo una tradizione, il Signore ha accolto anche il sacrificio di San Paolo.

E non solo loro due. La liturgia del 30 giugno commemora tutti i martiri della Chiesa che allora, nei tempi di Nerone, hanno subìto qui a Roma una sanguinosa persecuzione. Lo testimoniano antichi storici come Tacito (Tacito, Annales, XV, 45) e Padri Apostolici come Clemente di Roma (Papa Clemente, Ad Corinthios, 5-6). Questa però, tutt’altro che essere l’ultima persecuzione, fu piuttosto la prima.

Dopo di essa ne sono venute altre fino ai tempi di Diocleziano, all’inizio del secolo IV, e poi fino al tempo di Giuliano l’apostata, dopo la metà del medesimo secolo. La Chiesa di Roma si è radicata profondamente in questa molteplice testimonianza. Questa sede del mondo antico fu battezzata non solo col battesimo d’acqua, ma anche col battesimo del sangue dei martiri, “dalla voce più eloquente di quella di Abele” (
He 12,24).

Noi tutti, che viviamo nella fretta della civiltà contemporanea, nella inquietudine della vita attuale, dobbiamo fermarci qui e riflettere come nacque questa Chiesa, alla quale per volontà del Signore fu dato di diventare il centro e la capitale di una missione tanto grande: la Chiesa alla quale pellegrinano tante chiese, che trovano in essa il fondamento della propria unità.

2. La memoria di queste vicissitudini dell’inizio della Chiesa di Roma, che Dio ha fondato qui su Pietro (il cui nome significa “Pietra”, “Roccia”), si è unita con altri avvenimenti importanti nell’esperienza degli altri giorni della settimana scorsa. Questi avvenimenti rispecchiano l’ulteriore sviluppo storico di quella Santa Sede, che sempre deve servire l’unità dei cristiani in una Chiesa cattolica e insieme apostolica.


Abbiamo avuto la fortuna di introdurre solennemente nel Collegio dei Cardinali della Chiesa romana 15 uomini. Di essi uno rimane “in pectore”, in attesa delle decisioni della Divina Provvidenza, se un giorno ci permetterà di rivelare il suo nome; gli altri sono già comunemente noti a tutti.

In questo rito sublime si è rinnovata la millenaria tradizione della Chiesa romana, che ha un grande significato non solo per l’ulteriore stabilità della Chiesa, ma anche per una comprensione adeguata del suo carattere che è duplice: locale e insieme universale.

La nostra Chiesa romana “locale” è legata con questa Città così come un tempo, più di 19 secoli fa, l’ha legata a questa Città l’Apostolo Pietro. Questa Chiesa romana dopo Pietro ha eletto successivamente i propri Vescovi, affinché esercitassero in essa il servizio pastorale, e lo ha fatto in maniera adatta alle possibilità e ai bisogni delle varie epoche.

L’istituzione del Collegio Cardinalizio nelle sue origini risale a questa tradizione, secondo cui il Vescovo di Roma veniva eletto dai rappresentanti del clero romano. Proprio quegli elettori romani, che già allora costituivano un Collegio importante nella vita della Chiesa, hanno dato inizio all’istituzione che da quasi mille anni assicura la successione sulla Sede di San Pietro.

La successione su questa sede vescovile ha un significato non solo per la Chiesa “locale”, che è qui a Roma. Essa ha anche un significato per la Chiesa universale, e cioè per ciascuna delle Chiese locali, che entrano così a far parte di una comunità universale. Questo è veramente un significato “chiave”, poiché Cristo ha dato proprio a Pietro “il potere delle chiavi”.

Negli ultimi tempi e soprattutto durante il pontificato di Paolo VI, il Collegio Cardinalizio è stato accresciuto ed internazionalizzato.

Il Sacro Collegio attualmente conta 70 Cardinali dell’Europa, 40 Cardinali dell’America (del Nord, del Centro e del Sud ), 12 Cardinali dell’Africa, 10 Cardinali dell’Asia e 3 Cardinali dell’Australia e Oceania. Tutti ricoprono cariche particolarmente responsabili come pastori di importanti Chiese locali (ossia diocesi) o come Superiori dei principali Dicasteri della Curia Romana, e sono al tempo stesso gli eredi di quegli antichi “elettori” che provenivano dal clero romano e sceglievano il Vescovo di Roma. Perciò insieme alla chiamata al Collegio Cardinalizio viene loro conferito il titolo di una delle diocesi suburbicarie o di una delle chiese romane. In questo modo il Collegio Cardinalizio unisce in sé – e in sé manifesta – ambedue le dimensioni costitutive della Chiesa: la dimensione “locale” e quella “universale”. La Chiesa edificata su Pietro è “romana” in queste due dimensioni.

3. Così dunque i giorni della settimana passata ci hanno permesso di entrare in una familiarità particolarmente profonda con la realtà della Chiesa, col suo mistero e insieme con la sua storia, che ai nostri occhi si è prolungata in un certo senso con una tappa nuova.

Se oggi ritorniamo a questi avvenimenti importanti lo facciamo per manifestare quanto profondamente abbiamo vissuto tali fatti. Sull’esempio della Madre di Cristo, bisogna “serbare nel cuore” (cfr Lc 2,51) avvenimenti così eloquenti, e al momento opportuno “manifestarli fuori”, affinché in queste manifestazioni si consolidi la loro importanza interiore.

Il mio pensiero si rivolge ancora una volta ai Membri del Collegio Cardinalizio, che essi hanno di nuovo rinforzato. Raccomando ciascuno di loro alle preghiere di tutti voi qui riuniti, alle preghiere di tutta la Chiesa.

A Gesù Cristo, “Re dei secoli” (1Tm 1,17), raccomando la Chiesa edificata “sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti” (Ep 2,20), la Chiesa romana fondata su Pietro e legata fin dall’inizio al ricordo dell’Apostolo delle nazioni.


Ad un gruppo di giapponesi di religione Tenrikyo

MY SPECIAL GREETING goes to the distinguished visitors from Japan: a group composed of members of the Tenrikyo religion. With deep interest and respect the Catholic Church notes your belief in one God, Creator and Saviour; and extols the ideal of a life of joy and service. May your visit to Rome be profitable and bring you gladness and inner peace.

Uno speciale saluto va agli insigni visitatori provenienti dal Giappone: un gruppo composto da membri della religione Tenrikyo. Con profondo interesse e rispetto la Chiesa cattolica guarda al vostro credo in un unico Dio, creatore e Salvatore; e loda l’ideale di una vita di gioia e di servizio. Possa la vostra visita a Roma essere proficua e portarvi letizia e pace interiore.

A religiosi e religiose

All’udienza di oggi partecipano numerosi Sacerdoti, tra i quali si distinguono il gruppo dei Direttori degli Uffici Catechistici diocesani dell’Azione Cattolica Adulti. A tutti voi, carissimi Sacerdoti, che vi prodigate generosamente per favorire l’accoglimento della Parola che salva da parte dell’uomo moderno, l’espressione del mio grato apprezzamento, avvalorato da una speciale Benedizione.

Saluto anche le molte Religiose presenti e, tra queste, in particolare le partecipanti al IX Convegno Missionario nazionale, promosso dalla Pontificia Unione Missionaria. Che l’ansia per la propagazione del Regno, Sorelle carissime, vibri in voi con intensità crescente e conquisti, mediante la vostra testimonianza, tanti altri cuori. Vi conforti la mia affettuosa Benedizione.

Desidero ora salutare, tra i numerosi pellegrinaggi, quello che il Vescovo di Caltagirone ha organizzato nel settimo centenario della morte del beato Gerlando, cavaliere templare polacco, sepolto e venerato nella chiesa cattedrale. Nel ricordo di questo mio antico connazionale, esorto tutti ad essere fedeli alle profonde tradizioni di fede, di coraggio, di generosità che gli avi ci hanno lasciato e, con l’augurio di serena prosperità, tutti benedico di cuore.

Ai giovani

Un affettuoso saluto rivolgo ai ragazzi della “Generazione Nuova” dei focolarini e ai giovani ospiti del “Centro Internazionale della Gioventù Lavoratrice”. Nei titoli dei vostri due Movimenti, mi è gradito vedere, carissimi figli, il vostro programma di rinnovamento spirituale per una sempre più generosa ed incisiva testimonianza cristiana nella vita privata e in quella sociale. Nell’incoraggiarvi a perseverare nei vostri nobili intenti, vi esorto a mettere sempre più in luce, sia nel campo intellettuale che in quello del lavoro, i valori evangelici della dignità umana, della libertà, della giustizia e della fratellanza universale. Avvaloro tale auspicio con la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo alle vostre famiglie.

Agli ammalati

Un saluto particolarmente affettuoso desidero rivolgere ai carissimi fratelli e sorelle, che portano nel loro corpo e nel loro spirito i segni della malattia e il carico del loro dolore.A voi, che rendete presente l’immagine del Cristo sofferente, vanno l’affetto, la comprensione, la solidarietà della Chiesa, del Papa, di tutti i presenti, nella certezza offertaci da Gesù, che “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8,18). A voi tutti, ai vostri cari, la mia Benedizione Apostolica e la promessa del mio costante ricordo nella preghiera.


Alle coppie di sposi novelli

Un pensiero cordiale desidero rivolgere adesso ai novelli sposi presenti a questa udienza, ai quali intendo fare un augurio e dare un impegno. Anzitutto, carissimi, l’augurio che siate sempre felici, di quella gioia che dona Gesù e che nessuno potrà mai togliervi (cfr GV 16,22), se sarete uniti a lui e fra di voi con quel vincolo misterioso, che è dato dalla fede, dalla speranza e dalla carità cristiane. E, inoltre, l’impegno che la vostra unione indissolubile, consacrata dal Sacramento, sia concreta testimonianza della realizzazione quotidiana del messaggio e delle esigenze del Vangelo. Sulle vostre nascenti famiglie cristiane invoco, per l’intercessione della Madonna, le grazie e i conforti divini, mentre vi imparto una speciale Benedizione Apostolica



Catechesi 79-2005 20679