Catechesi 79-2005 10879

Mercoledì, 1° agosto 1979

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1. Si avvicina il primo anniversario della morte di Papa Paolo VI. Iddio lo ha chiamato a sé il 6 agosto dell’anno scorso, giorno in cui, ogni anno, ricorre la solennità della Trasfigurazione del Signore. Questa solennità bella e ricca di contenuti è stata l’ultimo giorno di Papa Paolo VI sulla terra, il giorno della sua morte, il giorno del trapasso dalla vita quaggiù all’eternità. “La vita non è tolta, ma trasformata”; così preghiamo nel Prefazio della Messa per i defunti. Difatti, il giorno stesso della morte di quel grande Papa, giorno della Trasfigurazione, è diventato segno eloquente di questa verità.

Possiamo riflettere sul significato del giorno che Dio ha scelto per concludere una vita così laboriosa, così piena di dedizione e di sacrificio per la causa di Cristo, del Vangelo, della Chiesa. Il pontificato di Paolo VI non è forse stato un tempo di profonda trasformazione, promossa dallo Spirito Santo attraverso tutta l’attività del Concilio, convocato dal suo Predecessore? Paolo VI, che aveva ereditato l’opera del Concilio da Giovanni XXIII subito dopo la prima sessione del 1963, non si è forse trovato al centro stesso di questa trasformazione, prima come Papa del Vaticano II e poi come Papa della realizzazione del Vaticano II, nel periodo più difficile, immediatamente dopo la chiusura del Concilio?

Se ci è lecito riflettere sul significato del giorno che Dio ha scelto come chiusura del suo ministero pontificale, si accumulano nella mente varie interpretazioni. Ricordando la festa della Trasfigurazione che Dio ha voluto come giorno conclusivo della sua fede sulla terra (cfr
2Tm 4,7), si potrebbe dire che quel giorno ha manifestato, in certo modo, il particolare carisma ed anche la particolare fatica della sua vita. Carisma della “trasformazione” e fatica della “trasformazione”. Si potrebbe dire, sviluppando questo pensiero, che il Signore, avendo chiamato il Papa Paolo a sé, nella solennità della sua Trasfigurazione, ha permesso a lui e a noi di conoscere che in tutta l’opera di “trasformazione”, di rinnovamento della Chiesa nello spirito del Vaticano II, egli è presente come lo è stato in quel meraviglioso evento che ebbe luogo sul monte Tabor e che preparò gli Apostoli alla dipartita di Cristo da questa terra, prima attraverso la croce e poi attraverso la risurrezione.

2. Il Papa del Vaticano II! Il Papa di quella profonda trasformazione che era nient’altro che una rivelazione del volto della Chiesa, attesa dall’uomo e dal mondo di oggi! C’è anche qui un’analogia col mistero della Trasfigurazione del Signore. Infatti quello stesso Cristo che gli Apostoli hanno visto sul monte Tabor, non era se non colui che hanno conosciuto ogni giorno, colui del quale hanno ascoltato le parole e veduto le azioni. Sul monte Tabor si è rivelato a loro lo stesso Signore, ma “trasfigurato”. In questa Trasfigurazione si è manifestata e si è realizzata un’immagine del loro Maestro, che in tutte le precedenti circostanze era loro sconosciuta, era davanti a loro velata.

Giovanni XXIII e, dopo di lui, Paolo VI hanno ricevuto dallo Spirito Santo il carisma della trasformazione, grazie al quale la figura della Chiesa, nota a tutti, si è manifestata uguale e insieme diversa. Questa “diversità” non significa distacco dalla propria essenza, ma piuttosto più profonda penetrazione nell’essenza stessa. Essa è rivelazione di quella figura della Chiesa, che era nascosta nella precedente. Era necessario che attraverso i “segni dei tempi”, riconosciuti dal Concilio, diventasse manifesta e visibile, che divenisse principio di vita e di azione nei tempi in cui viviamo e in quelli che verranno.

Il Papa, che ci ha lasciato l’anno scorso nella solennità della Trasfigurazione del Signore ha ricevuto dallo Spirito Santo il carisma del suo tempo. Se infatti la trasformazione della Chiesa deve servire al suo rinnovamento, bisogna che colui che la intraprende possegga una coscienza particolarmente forte dell’identità della Chiesa. L’espressione di tale coscienza Paolo VI l’ha manifestata soprattutto nella sua prima Enciclica Ecclesiam Suam e poi continuamente: proclamando il “Credo del Popolo di Dio” ed emanando una serie di norme esecutive riguardanti le deliberazioni del Vaticano II, inaugurando l’attività del Sinodo dei Vescovi, facendo passi da pioniere in direzione dell’unione dei cristiani, riformando la Curia Romana, internazionalizzando il Collegio Cardinalizio, ecc.

In tutto ciò si rivelava sempre la stessa coscienza della Chiesa, che conferma più profondamente la propria identità nella capacità di rinnovamento, di andare incontro alle trasformazioni che scaturiscono dalla sua vitalità e insieme dall’autenticità della Tradizione.

3. Permettete che in questo contesto rievochi almeno alcune frasi delle così numerose enunciazioni del Papa morto un anno fa. Nella sua prima Enciclica, la Ecclesiam Suam, che reca proprio la data del 6 agosto 1964, egli così si esprimeva: “Da un lato la vita cristiana, quale la Chiesa difende e promuove, deve continuamente e strenuamente guardarsi da quanto può illuderla, profanarla, soffocarla, quasi cercasse di immunizzarsi dal contagio dell’errore e del male; dall’altro lato la vita cristiana deve non solo adattarsi alle forme di pensiero e di costume, che l’ambiente temporale le offre e le impone, quando siano compatibili con le esigenze essenziali del suo programma religioso e morale, ma deve cercare di avvicinarle, di purificarle, di nobilitarle, di vivificarle, di santificarle... La parola, resa ormai famosa, del nostro venerato Predecessore Giovanni XXIII di felice memoria, la parola “aggiornamento” sarà da noi sempre tenuta presente come indirizzo programmatico; lo abbiamo confermato quale criterio direttivo del Concilio Ecumenico, e lo verremo ricordando quasi uno stimolo alla sempre rinascente vitalità della Chiesa, alla sua sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi, e alla sua sempre giovane agilità di tutto provare e di far proprio ciò ch’è buono (cfr 1Th 5,21), sempre e dappertutto” (Paolo VI, Ecclesiam Suam, 44 e 52).

E alcuni anni dopo, diceva in un discorso: “Chi ha compreso qualche cosa della vita cristiana non può prescindere da una sua costante aspirazione di rinnovamento. Quelli che attribuiscono alla vita cristiana un carattere di stabilità, di fedeltà, di staticità vedono giusto, ma non vedono tutto. Certamente la vita cristiana è ancorata a fatti e ad impegni, che non ammettono mutamenti, come la rigenerazione battesimale, la fede, l’appartenenza alla Chiesa, l’animazione della carità; è di natura sua un’acquisizione permanente e da non compromettere mai, ma è, come diciamo, una vita, e perciò un principio, un seme, che deve svilupparsi, che esige accrescimento, perfezionamento, e, data la nostra naturale caducità e date certe inguaribili conseguenze del peccato originale, esige riparazione, rifacimento, rinnovamento” (Insegnamenti di Paolo VI, IX [1971] 318).


4. Il Papa Paolo è stato un seminatore generoso della parola di Dio. Ha insegnato attraverso i solenni documenti del suo pontificato. Ha insegnato attraverso le omelie che teneva in varie circostanze. Ha insegnato infine attraverso la sua catechesi del mercoledì che, dal tempo del suo pontificato, è entrata nel programma abituale di tutto l’anno. Grazie a ciò ha potuto continuamente “proclamare il Vangelo” (cfr Paolo VI, Evangelii Nuntiandi ). L’annunzio del Vangelo egli lo considerava, seguendo l’esempio dell’apostolo Paolo, come suo primo dovere e come la sua più grande gioia. Queste catechesi papali son diventate cibo sostanzioso per tutta la Chiesa, in un periodo che ne aveva particolarmente bisogno.

Di fronte alle inquietudini del periodo postconciliare, quel singolare “carisma della Trasfigurazione” si è dimostrato benedizione e dono per la Chiesa. Così Paolo VI è diventato Maestro e Pastore degli intelletti e delle coscienze umane, in questioni che esigevano la decisione della sua suprema autorità. Ha servito Cristo e la Chiesa con quella mirabile fermezza e umiltà che gli hanno permesso di guardare, con occhio di fede e di speranza, l’avvenire dell’opera che stava compiendo.

Avvicinandosi il primo anniversario della sua morte, raccomandiamo nuovamente la sua anima al Cristo del monte della Trasfigurazione, affinché lo accolga nella gloria dell’eterno Tabor.

A vari pellegrinaggi

Saluto con affetto i pellegrini italiani presenti all’udienza, i numerosi sacerdoti e i giovani seminaristi, i religiosi e le religiose, i gruppi parrocchiali, le comitive familiari, come anche le persone venute singolarmente.

Un saluto particolare desidero rivolgere ai ragazzi della “Comunità di Vita Cristiana” della città di Cuneo, i quali da alcuni anni vanno diffondendo per l’Italia, col canto, il messaggio evangelico. Nel ringraziarvi per il saggio canoro, con cui avete rallegrato questa udienza, lascio ad ognuno di voi, carissimi giovani, una consegna. Lo faccio con le parole del grande Agostino: “Come sono soliti cantare i viandanti, anche tu canta e cammina. Che significa “cammina”? Va’ avanti, va’ avanti sulla strada della bontà” (cf. S. Agostino, Sermo 256, 3).

Saluto ora i membri del Comitato proveniente dall’Isola di Capri con una statua bronzea della “Madonna del Soccorso”, che sarà collocata sulla sommità del Monte Tiberio. Nel benedire il simulacro della Vergine, affido alla sua speciale protezione le vostre persone, figli carissimi, quelle dei vostri familiari e di tutti i cittadini dell’isola e formulo per ciascuno l’augurio di una devozione sempre più profonda e illuminata alla Madre di Cristo.

Ai giovani

Carissimi giovani! A voi il mio saluto, pieno di affetto! Voi sapete qual è il desiderio del Papa nei vostri riguardi: io desidero che voi siate buoni e generosi, superando il male che c’è nella società con la vostra vita di grazia, con la vostra purezza, con la vostra amicizia con Gesù. Questa è la strada giusta della vita; è la strada della vera gioia e dell’eterna salvezza. Ma come fare? Qual è il segreto? Ce lo dice il grande Santo e Dottore della Chiesa che oggi festeggiamo, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, con un libretto sempre attuale, perché semplice e profondo, “Del gran mezzo della preghiera”: il segreto sta nella preghiera. Anch’io perciò vi esorto all’incontro con Dio mediante la preghiera, dicendovi con Sant’Alfonso: “Chi prega certamente si salva!”.

Ai malati

Carissimi ammalati! Sempre con particolare cordialità rivolgo a voi il mio saluto che nasce dall’affetto e dalla venerazione verso coloro che soffrono. Saper soffrire con amore, con rassegnazione, con coraggio, con fiducia, con pazienza, è una grande arte che si impara soltanto con l’aiuto della grazia divina, alla scuola di Cristo crocifisso, che conosce e santifica il nostro dolore. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori scrisse un’operetta mistica, molto commovente, che ancora oggi può consolare e aiutare: “La Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”. Vi esorto alla sua meditazione: vi sarà certamente di conforto e di sollievo nelle vostre pene. Vi accompagni la mia Benedizione.

Agli sposi


Cari sposi novelli! Anche a voi giunga il mio saluto, insieme all’augurio e alle felicitazioni per la nuova vita che avete intrapresa! Seguendo la viva esortazione di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vi invito a mettere la vostra vita sotto la protezione della Madonna. Una sincera e autentica devozione alla Vergine Maria vi sarà di grande aiuto, per essere sposi cristiani, testimoni di fede e di carità, genitori gioiosi e generosi! Vi aiuti anche la mia Benedizione!

Ad un gruppo di slovacchi

Durante l’udienza generale del 30 maggio scorso, parlando di come nel corso della storia si sono aggiunte alle varie lingue del Cenacolo, nel giorno della Pentecoste, le singole lingue slave, non ho menzionato la lingua serba. Intendo supplire oggi a questa mancanza. Come è noto, l’origine sicura del cristianesimo in Serbia risale al secolo IX, in concomitanza con l’attività evangelizzatrice e la cultura religiosa dei Santi Cirillo e Metodio. Tuttavia si deve dire che già nel secolo VI vi furono dei tentativi di evangelizzare i Serbi. In un documento del 1020 dell’imperatore di Costantinopoli Basilios II, si fa poi menzione della diocesi serba di Ras. Il fondatore dello stato serbo medievale Stefan Njemanja fu battezzato secondo il rito latino, e suo figlio Stefan Prvovencani ricevette la corona reale da Papa Onorio III nel 1218. Da allora con alterne vicende, il popolo serbo crebbe e si sviluppò, sempre solidamente radicato nella fede cristiana. Ringrazio pertanto di cuore il Signore, perché anche nella lingua serba, come in tutte le altre lingue slave e in ogni lingua della grande famiglia umana, il Vangelo può essere annunciato con la forza dello stesso Spirito Santo, che si manifestò all’inizio, nel giorno della prima Pentecoste.


Mercoledì, 8 agosto 1979

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1. Anche oggi, come la settimana scorsa, desidero dedicare il nostro incontro alla memoria del grande Papa Paolo VI, che il Padre Celeste ha richiamato a sé un anno fa, nella solennità della Trasfigurazione del Signore. Certamente, né il precedente discorso né quello di oggi potranno esaurire la multiforme ricchezza di quel pontificato e di quella personalità. Ciò che desideriamo mettere in rilievo quest’oggi è la meravigliosa convergenza del giorno della morte col carisma della vita di Paolo VI. Ho cercato di sviluppare questo pensiero la scorsa settimana, concentrandomi soprattutto sull’importante fatto della trasformazione della Chiesa, trasformazione promossa dalla rilettura dei segni dei tempi da parte del Concilio Vaticano Il. Giovanni XXIII soleva definire questa trasformazione: “aggiornamento”. Tuttavia a quel grande processo, a cui il “Papa della bontà” diede soltanto inizio, il Papa Paolo VI dedicò tutto il suo difficile pontificato di quindici anni.

Quell’“aggiornamento”, quel rinnovamento o “trasformazione” fu dettato dalla profonda conoscenza della natura della Chiesa e dall’amore per la sua missione salvifica. Per iniziativa di Papa Giovanni e, in seguito, sotto la guida di Papa Paolo, la Chiesa si è adeguata ai compiti inerenti alla sua missione di fronte all’uomo dei nostri tempi, di fronte alla famiglia umana, alla quale è stata inviata. Il senso più profondo dell’“aggiornamento” e strettamente evangelico: risulta dalla volontà di servire, seguendo il Cristo, dalla volontà di servire Dio negli uomini, di servire l’uomo. Il servizio s’identifica con la missione, riscoperta nella missione salvifica di Cristo stesso.

2. La missione di servire l’uomo, nello stile del ministero pontificale di Paolo VI, ha sempre avuto una dimensione concreta e insieme universale. Si serve infatti ogni uomo, servendo le cause dalle quali dipende un giusto indirizzo della sua vita in determinate condizioni: storiche, sociali, economiche, politiche e culturali. Paolo VI, nella sua missione a favore della trasformazione della sorte dell’uomo sulla terra, ha sempre messo al primo posto la grande causa della pace tra le nazioni. A questa causa ha dedicato la massima attenzione, la più grande sollecitudine e premura. Basti ricordare i suoi annuali messaggi per la Giornata Mondiale della Pace, che gli hanno permesso di sviluppare questa grande e centrale tematica etica dei nostri tempi da diversi punti di vista.

“La pace vera – egli ricordava, ad esempio, nella Giornata della Pace 1971 – deve essere fondata sulla giustizia, sul senso dell’intangibile dignità umana, sul riconoscimento dell’incancellabile e felice eguaglianza fra gli uomini, sul dogma basilare della fraternità umana. Cioè del rispetto, dell’amore dovuto ad ogni uomo, perché uomo. Erompe la parola vittoriosa: perché fratello. Fratello mio, fratello nostro” (Il volto della pace, n. 172).

“Se vuoi la pace, lavora per la giustizia”. Questo era l’impegno che Paolo VI proponeva nel Messaggio dell’anno successivo. E commentava: “È un invito che non ignora le difficoltà a praticare la Giustizia, a definirla, prima di tutto, ad attuarla poi, e non mai senza qualche sacrificio del proprio prestigio e del proprio interesse. Occorre forse maggiore magnanimità ad arrendersi alle ragioni della Giustizia e della Pace, che non a lottare e ad imporre il proprio diritto, autentico o presunto, all’avversario” (IIl volto della pace nn. 228-230).

E ancora: “Rendiamola possibile, la pace insisteva in un altro Messaggio predicando l’amicizia e praticando l’amore del prossimo, la giustizia e il perdono cristiano, apriamole le porte, ove fosse estromessa, con trattative leali e rivolte a sincere conclusioni positive; non rifiutiamo qualche sacrificio, che, senza offendere la dignità di chi si fa generoso, renda la pace più rapida, cordiale e duratura” (IIl volto della pace n. 274).

3. L’importanza della causa della pace nella vita dell’umanità odierna bisogna misurarla anche sulla base della minaccia mortale che può costituire la guerra moderna, attraverso l’uso di tutti quei mezzi distruttivi, che portano all’autodistruzione. Tuttavia nessun altro più dell’apostolo e vicario di Cristo stesso, che è il vero Principe della Pace, deve aver coscienza che è impossibile assicurare la pace alla vita internazionale guardando soltanto ai mezzi di cui può servirsi l’uomo. È necessario piuttosto guardare all’uomo, che di quei mezzi si serve. È lui stesso che deve volere in modo maturo e responsabile la pace, e modellare la vita dell’umanità in tutte le sue dimensioni, in base ad una coerente ricerca della pace. Alla pace si arriva attraverso la giustizia, attraverso una completa e universale giustizia: “opus iustitiae pax”.


Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris aveva sottolineato i quattro fondamentali diritti della persona umana, che per il bene della pace debbono essere rispettati nella vita sociale e internazionale: il diritto alla verità, alla libertà, alla giustizia, all’amore. Paolo VI, svolgendo organicamente questo pensiero, pubblicò l’Enciclica per la promozione dello sviluppo dei popoli, nella quale ha chiamato tale giusto sviluppo col “nuovo nome della pace”.

Ricordiamo tutti le sue parole: “...se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, chi non vorrebbe cooperarvi con tutte le sue forze?” (Paolo VI, Populorum Progressio PP 87). Ed ancora: “Combattere la miseria e lottare contro l’ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. La pace non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce, giorno per giorno, nel perseguimento d’un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini” (Paolo VI, Populorum Progressio PP 76).

4. Il Papa, che Cristo ha richiamato a sé nella solennità della Trasfigurazione, ha sempre continuato a riprendere un instancabile lavoro a favore dell’opera di trasformazione dell’uomo, della società, dei sistemi, opera che doveva portare frutti tanto desiderati dagli uomini, dalle nazioni, dall’intera umanità: i frutti della giustizia e della pace. Guardando con assidua attenzione, e talvolta forse con inquietudine, e soprattutto con continua speranza cristiana, lo sviluppo multiforme degli avvenimenti nel mondo contemporaneo, egli ha sempre lavorato a favore di quella civiltà che qualificò col nome di “civiltà dell’amore”, secondo lo spirito del più grande comandamento di Cristo.

La Chiesa si pone a servizio di tale “civiltà dell’amore” mediante la sua missione, legata all’annunzio e all’attuazione del Vangelo. Particolarmente cara a Paolo VI è stata l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo alla quale – su richiesta dei vescovi radunati in Sinodo nel 1974 – dedicò una magnifica Esortazione, la Evangelii Nuntiandi, quasi somma di pensiero e di indicazioni apostoliche, scaturite dal magistero conciliare e dalla continua esperienza della Chiesa.

“L’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo – egli esordiva – uomini animati dalla speranza, ma, parimenti, spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi EN 1).

E spiegava: “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: “Ecco io faccio nuove tutte le cose” (
Ap 21,5). Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell’Evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente loro propri” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi EN 18). Impegno nobilissimo ed esaltante!

5. Non si può perciò ricordare il giorno della morte del grande Pontefice senza fermarsi a ripensare, almeno un istante, a tutta l’eredità del suo grande spirito.

Il 6 agosto 1978, gli ultimi raggi della festa della Trasfigurazione sono caduti sul cuore del Pastore, che con tutta la sua vita aveva servito la grande causa della trasformazione dell’uomo, nella nostra difficile epoca, e del rinnovamento della Chiesa per tale trasformazione.

Questi raggi sembravano dire: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele... prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21). E Paolo VI non è più tornato alla sua quotidiana fatica, ma ha seguito il Signore che lo chiamava dal monte della Trasfigurazione.

Ai cosiddetti “Madonnari”

Oggi, all’udienza, è presente un gruppo speciale: una rappresentanza dei cosiddetti “Madonnari”, che a Camaiore di Lucca nel giugno scorso hanno tenuto il loro “Primo Congresso Internazionale”. A voi, carissimi “Madonnari”, che con passione e con perizia andate disegnando sui marciapiedi, sulle piazze e sui sagrati delle chiese le immagini della Madonna e dei Santi, giunga il mio più cordiale saluto, unito all’ammirazione e al ringraziamento per il “Giotto d’oro”, che avete voluto donare al Papa “come messaggero di pace e di speranza nel mondo”.


Voi siete gli “artisti dell’asfalto”, che disegnate con colori vivaci e tratti delicati solo per lo spazio di un giorno: il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni, affinché con i vostri disegni tanto significativi possiate suscitare nei fratelli un pensiero di devozione, donare una consolante visione del cielo, seminare un efficace bisogno di bontà e di pace! Sia sempre con voi la mia stima e la mia riconoscenza!

Ad un gruppo di giovani inglesi

Un gruppo fra voi è composto di giovani inglesi venuti in Italia per lavorare in collaborazione con le Suore di Madre Teresa di Calcutta. Gesù insegnò non solo con le parole, ma anche col suo esempio ad aiutare il prossimo. Voi avete seguito le sue orme. Egli vi ricompenserà sicuramente e vi colmerà delle sue benedizioni.

Ai giovani

Mi rivolgo a voi, carissimi giovani, che sempre nuovi e sempre festanti, accorrete da ogni parte d’Italia per vedere il Papa e per ascoltare la sua parola. La ripeto, questa parola, esprimendola in forme il più possibile diverse, ma nella sostanza sempre identica: vi voglio tanto bene. Nella luce e nel fervore dell’amore di Cristo, vi esorto a perseverare nella letizia, grazie alla quale non vi saranno mai difficili la pratica degli insegnamenti del Vangelo e la loro diffusione in ogni ambiente; collaborando così con generosa disponibilità e dedizione, che tanto piacciono al Signore, all’azione santificatrice e liberatrice della sua grazia.Con questo auspicio vi benedico di cuore e, con voi, le vostre rispettive famiglie.

Ai malati

A voi, malati presenti a questa udienza, e a tutti coloro che sono afflitti e doloranti nel corpo e nello spirito, il mio paterno e riconoscente pensiero. Il Papa, padre comune di tutti, sa che nessuno può stupirsi se egli, carissimi infermi, vi guarda con una predilezione e ha per voi un particolare riguardo; voi siete, infatti, con la vostra sofferenza, umilmente accettata e portata avanti con esemplare generosità, la dimostrazione della conformità al volere divino, non solo nel desiderio di più profonda purificazione, e per rendere più accetto a Dio il vostro sacrificio, ma anche perché a tanto siete ispirati dalla carità verso il prossimo. Questa unione con Dio è quella che Santa Teresa di Gesù bramava anche più dell’unione mistica e che raccomandava continuamente, perché la più sicura di tutte. Incoraggiandovi a tale sublime colloquio col Padre celeste, vi accompagno con la Benedizione Apostolica.

Agli sposi

E a voi, carissimi sposi, vadano, col mio cordiale saluto, le felicitazioni e egli auguri più belli. Voi state sperimentando, in questi primi giorni della vostra unione coniugale, la veracità e la solidità del vostro amore: quell’amore che è stato per voi benedetto, comandato e chiamato santo. Io auspico per voi che il vostro affetto sia sempre la sorgente della vostra felicità cristiana, di quella gioia serena che non può esistere e durare se non sia compreso e accettato l’alto senso della vita presente fondata sulla pienezza dello spirito cristiano. Con tali voti imparto a voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 22 agosto 1979

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1. Il nostro pensiero si rivolge in questi giorni di agosto agli avvenimenti che, nello scorso anno, ebbero luogo proprio in questo mese. Sabato, 12 agosto, la Chiesa Romana, la Città e il Mondo intero davano l’ultimo saluto al grande Papa Paolo VI, le cui spoglie furono deposte vicino a quelle di Giovanni XXIII; e i Cardinali riuniti a Roma iniziavano i preparativi per il Conclave, fissato per il 26 agosto. Era anch’esso un sabato. Per la prima volta un Collegio così numeroso e così vario si accingeva ad eleggere un nuovo Successore di San Pietro. Una gran parte degli elettori, precisamente cento, partecipava per la prima volta all’elezione del Papa, mentre i rimanenti 11 vi avevano già preso parte. Eppure fu sufficiente un solo giorno, il 26 agosto, perché Roma e il Mondo ricevessero nella stessa sera la notizia della elezione. “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam”, comunicava verso le ore 18 il Cardinale Protodiacono dalla loggia della basilica.


Il nuovo Papa scelse due nomi: Giovanni-Paolo. Ricordo bene quel momento, quando nella Cappella Sistina egli espresse la sua volontà: “Voglio portare i nomi di Giovanni e di Paolo”. Questa decisione aveva una sua convincente eloquenza. Personalmente mi è sembrata una decisione carismatica.

Così dunque il sabato, 26 agosto, giorno dedicato alla Madre di Dio (in Polonia si celebra in questo giorno la festa della Madonna Nera di Jasna Gora, cioè di Chiaromonte) si presentò a noi il Papa Giovanni Paolo I. E fu accolto da Roma e dalla Chiesa con grande giubilo. In questa spontanea gioia vi era gratitudine verso lo Spirito Santo perché, in modo così visibile, aveva diretto i cuori degli elettori e contro tutti i calcoli e le previsioni umane, “mostrava colui che egli stesso aveva designato” (cfr
Ac 1,24). E questa grande gioia e riconoscenza della Chiesa non fu turbata neppure nell’inattesa morte di Papa Giovanni Paolo I. Solo per trentatré giorni aveva esercitato il suo ministero pastorale sulla cattedra romana, alla quale era stato mostrato piuttosto che dato, “ostensus magis quam datus”, parole che furono pronunciate in occasione della morte di Leone XI, anch’essa improvvisa.

2. Il pontificato di Giovanni Paolo I, sebbene della durata di meno di cinque settimane, ha tuttavia lasciato un’impronta particolare nella sede romana e nella Chiesa Universale. Forse questa impronta non è ancora del tutto delineata: essa viene chiaramente percepita. Per decifrarla fino in fondo occorre una più ampia prospettiva. Solo con l’andar degli anni, i disegni della Provvidenza divengono più comprensibili alle menti abituate a giudicare soltanto secondo le categorie della storia umana. Un momento però di questo breve pontificato sembra particolarmente eloquente per tutti coloro che hanno guardato alla figura di Giovanni Paolo I, ed hanno seguito con attenzione la sua breve attività. Essa si è svolta in un periodo in cui – dopo la chiusura del Sinodo dei Vescovi, dedicato alla catechesi (ottobre 1977) – la Chiesa incominciava ad assimilare i frutti di questo grande lavoro collegiale e, soprattutto, attendeva la pubblicazione del relativo documento, che i partecipanti al Sinodo avevano chiesto a Paolo VI. Purtroppo la morte non permise a questo grande Papa di pubblicare la sua esortazione su quel tema chiave per la vita di tutta la Chiesa. Anche Giovanni Paolo I non ebbe il tempo di farlo. Troppo corto, infatti, il suo ministero pontificale.

Sebbene non sia riuscito a pubblicare il documento dedicato alla catechesi, tuttavia egli è riuscito, è certamente riuscito, a manifestare e a confermare con le proprie azioni che la catechesi è quel fondamentale e insostituibile compito dell’apostolato e della pastorale, al cui svolgimento tutti debbono contribuire e per il quale tutti nella Chiesa debbono sentirsi responsabili: il Papa al primo posto. Giovanni Paolo I non ha potuto promulgare col proprio nome il documento in parola; tuttavia ha avuto il tempo di dimostrare e affermare col proprio esempio che cosa è, e che cosa deve essere la catechesi nella vita della Chiesa dei nostri tempi. Per questo sono stati sufficienti i trentatré giorni del suo pontificato. E quando, tra breve, apparirà il documento dedicato alla catechesi, bisognerà ricordare per sempre che l’intero singolare pontificato di Giovanni Paolo I, “ostensus magis quam datus”, è stato principalmente un vivo commentario a questo documento e a questo tema. Si può dire che il testamento del Papa sia costituito da tale documento sulla catechesi. Egli, infatti, non ha lasciato altro testamento.

3. La domenica del 26 agosto – nella ricorrenza del primo anniversario della elezione di Giovanni Paolo I alla cattedra di San Pietro – desidero recarmi nel suo paese natale a Canale d’Agordo, nella diocesi di Belluno.

Lo faccio per un bisogno del mio cuore.

Lo faccio anche per rendere omaggio al mio immediato Predecessore (dal quale ho ereditato il nome) e a quel pontificato, attraverso il quale ci parla una verità che è più grande di quella umana. La Chiesa vivente in terra: a Roma e in tutto il mondo è stata illuminata da questa verità che supera quella umana e che nessuna storia può abbracciare ed esprimere, verità, tuttavia, che è stata espressa con grande forza nel Vangelo del Signore: “Il tempo ormai si è fatto breve” (1Co 7,29)... “Sì, verrò presto” (Ap 22,20).

Sembra decisamente che il pontificato di Giovanni Paolo I si possa riassumere in quest’unica frase: “Vieni, Signore Gesù”, “Maranatha” (Ap 22,20). L’Eterno Padre l’ha ritenuta la più necessaria alla Chiesa e al mondo: per ciascuno di noi e per tutti senza alcuna eccezione. E su questa frase dobbiamo soffermarci, mentre si avvicina l’anniversario dell’elezione e, tra breve, della morte di Papa Giovanni Paolo I, servo dei servi di Dio.

La preghiera del Santo Padre per il bambino rapito in Umbria

Prima di rivolgere il mio saluto ai particolari gruppi, presenti a questa udienza, desidero richiamare pressantemente la vostra attenzione su una dolorosa notizia, che da alcuni giorni ci ha colpiti: il rapimento in Umbria, di un ragazzo di tredici anni, di nome Guido Freddi! Siamo tutti intimamente sbigottiti per questo nuovo episodio di malvagità e di violenza, che offende la vita civile, e la rende insicura e pericolosa; qui non si tratta di sciagure o di fenomeni naturali, ma della voluta e preparata intenzione di far soffrire, per la sconsiderata, esecrabile brama del denaro. Mentre raccomando alle vostre preghiere il ragazzo rapito e i suoi cari, invoco dal Signore la grazia del ravvedimento e della conversione, affinché al più presto in quella desolata famiglia ritornino la serenità e la gioia.

Alle giovani di Taiwan



Un particolare saluto va al Gruppo di Danza Classica Cinese dell’Accademia Nazionale d’Arte di Taiwan. È un piacere avere la vostra presenza a questa udienza, e testimoniare l’espressione della vostra arte. Attraverso la vostra rappresentazione, possa l’edificante messaggio di bellezza toccare la vite di molti uomini e donne del nostro tempo.

Ai giovani

Desidero esprimere la mia paterna soddisfazione a voi tutti, giovani fanciulli presenti a questa udienza, per la vivacità e l’entusiasmo che vi distingue e che è eloquente dimostrazione del vostro amore per Gesù e per il Papa, suo vicario in terra. Vi auguro che la vostra gioia rimanga sempre inalterata e sia continua irradiazione della luce interiore della retta coscienza, costantemente vigile a dirigere verso il bene le vostre azioni, ad ispirarvi sentimenti di fraterna solidarietà e di generosa collaborazione, a tutti i livelli. Vi accompagna in tale compito la mia Benedizione, che estendo ai vostri familiari.

Agli ammalati

E voi, carissimi infermi, lo sapete, avete un posto privilegiato nel cuore del Papa. Come non fare oggetto di particolari premure voi che svolgete nella Chiesa il ruolo singolare della sofferenza umilmente accettata e che, pertanto, vi trasforma in carità verso i fratelli? Mentre con animo riconoscente rendo pubblica questa vostra testimonianza vi invito, a somiglianza di Cristo crocifisso, a continuare a fare come un calice di propiziazione e d’intercessione i vostri dolori fisici e morali. Vi sia di sollievo la mia paterna Benedizione che imparto a voi e alle vostre rispettive famiglie.

Alle coppie di sposi novelli

Agli sposi novelli una parola di felicitazione, di augurio e di incoraggiamento. Avete realizzato il sogno più bello della vostra vita: e la grazia del sacramento del matrimonio si è effusa su di voi a garanzia, da parte di Dio, del vostro amore e della vostra reciproca donazione. Con Gesù, anche voi avete vinto il mondo. Confidate sempre nell’aiuto divino che avete, per così dire, a portata di mano specialmente nelle ore di tristezza e di difficoltà. Siate sempre con Cristo: egli è il vostro conforto, il vostro ristoro, il segreto della vostra vittoria, vera e duratura felicità. Vi benedico di gran cuore.

Ai Ministranti dell’Arcidiocesi di Malta

Un grazie paterno e affettuoso a voi, Ministranti dell’arcidiocesi di Malta, che da alcuni anni venite a trascorrere il periodo estivo a Roma per disimpegnare lodevolmente il vostro servizio liturgico nella Basilica Vaticana. È una meritoria vacanza la vostra che mentre rende gloria a Dio è dimostrazione di fede e di bontà. Tornando alla vostra bella isola vi sia d’incitamento a progredire sempre nel bene anche l’amore del Papa; che si estende a tutti i vostri connazionali. Con la mia Benedizione Apostolica.


Ai pellegrini di Petriolo

Un particolare saluto porgo al gruppo di fedeli di Petriolo, i quali, guidati dal loro Arcivescovo, Monsignor Cleto Bellucci, sono qui, oggi, in occasione del venticinquesimo anniversario della elevazione a “santuario” del loro tempio cittadino, dedicato alla Madonna della Misericordia. Volentieri accolgo il loro desiderio di benedire il nuovo portale destinato al Santuario, con l’esortazione a guardare sempre con fede e con fiducia alla santissima Vergine, che è – come diciamo nella ben nota preghiera – madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra.

Ai Dirigenti del Movimento Giovanile Missionario delle Diocesi d’Italia

Ai numerosi dirigenti del Movimento Giovanile Missionario delle diocesi d’Italia, presenti a questa udienza, porgo un paterno saluto e un cordiale grazie per essere venuti a manifestare al Papa sentimenti di filiale devozione e di incondizionata fedeltà.

Il Congresso Nazionale, che è stato promosso dalle Pontificie Opere Missionarie, e al quale state partecipando, sta a significare che voi possedete piena consapevolezza e ferma volontà di continuare a prestare, con intelligenza e diligenza, la vostra opera nelle Chiese locali per contribuire “all’espansione e alla dilatazione del Corpo di Cristo, sì da portarlo il più presto possibile alla sua pienezza” (cfr Ad Gentes AGD 36).

Il Papa, dunque, apprezza molto tale vostro impegno, incoraggia il vostro nobile lavoro e vi esorta a perseverare in esso, sempre consapevoli di fare cosa gradita al Signore, proficua alla Chiesa e tanto necessaria al mondo intero.

Ai pellegrini della diocesi di Strasburgo



Ai seicento pellegrini della diocesi di Strasburgo venuti a Roma sotto l’egida del Movimento “Pax Christi”, rivolgo un saluto speciale e il mio incoraggiamento. Fedeli al tema del vostro pellegrinaggio, custodite sempre “la preoccupazione di tutte le Chiese”, specialmente di quelle che hanno bisogno di aiuto morale, spirituale e materiale. Comportarsi così, significa realizzare il grande comandamento del Signore Gesù, vivere il mistero della Chiesa, e anche contribuire alla pace del mondo. Dio sostenga e benedica le vostre persone e le vostre attività apostoliche!

Al gruppo dei “Christian Brothers” d’Australia e Nuova Zelanda


Sono felice di rivolgere il benvenuto al gruppo dei “Christian Brothers” provenienti dall’Australia e dalla Nuova Zelanda. Durante il vostro pellegrinaggio che vi porterà prossimamente in Irlanda, i vostri pensieri vanno giustamente a Edmund Rice e all’eredità che vi ha lasciato. Ricordate sempre l’incomparabile valore della consacrazione totale a nostro Signore Gesù Cristo, una consacrazione rinnovata ogni giorno dalla preghiera e dal lavoro. Ricordate la realizzazione personale che viene dalla disponibilità ecclesiale. Ricordate il potere santificante ed evangelizzante della vostra vocazione: “facere et docere”. A tutti voi imparto la mia particolare Benedizione Apostolica, insieme alla mia preghiera perché possiate perseverare nel coraggio ed essere rinnovati nella santità.



Catechesi 79-2005 10879