Catechesi 79-2005 51279

Mercoledì, 5 dicembre 1979: Serviamo la grande causa dell’Avvento del Signore

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1. Il Signore Gesù ha chiamato Andrea per primo fra tutti gli Apostoli. "Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)"" (
Jn 1,41).

Questo particolare, riportato nel Vangelo secondo San Giovanni, richiedeva da tempo che io mi recassi a far una visita all’antica sede dei Patriarchi a Costantinopoli, che venera, in modo particolare, Sant’Andrea Apostolo; e che io lo facessi proprio il 30 novembre, nel giorno che il calendario liturgico della Chiesa occidentale e orientale collega con il ricordo di colui, che il Signore Gesù ha chiamato per primo. Oggi voglio ringraziare la Provvidenza divina per questa visita, che ho tanto desiderato e che – sotto un particolare soffio di quella eterna Sapienza, adorata durante tanti secoli nella Chiesa sul Bosforo – si è compiuta con un rafforzamento reciproco su quelle strade, alle quali si erano avviati il patriarca Athenagoras I e i miei grandi Predecessori i papi Giovanni XXIII e Paolo VI.

Se è dunque lecito richiamarsi all’analogia che deriva dall’evento evangelico, il successore di Pietro nella Sede romana desidera oggi esprimere la sua soddisfazione per aver sentito il richiamo proveniente dall’Oriente, da quella sede che circonda con una particolare venerazione Andrea, fratello di Pietro, per aver seguito questa chiamata. Grazie a ciò si è trovato, di nuovo, davanti al cospetto di Cristo, che ha confermato la vocazione di Simon Pietro in base al fraterno legame con Andrea.

2. E, ringraziando la Provvidenza divina che, negli ultimi giorni precedenti l’inizio dell’Avvento, volse le mie strade verso l’Oriente, desidero contemporaneamente ringraziare tutti coloro che, come servi di quella Provvidenza, hanno assunto i molteplici compiti umani per rendere possibile questa rilevante visita. Penso particolarmente alle autorità turche, a cominciare dall’illustrissimo Signor Presidente della Repubblica, al Governo e al Ministro degli Esteri. Questa visita ha dato l’opportunità di incontrarmi con loro e di scambiare, con grande utilità, esperienze e idee sui temi così importanti per la convivenza delle Nazioni e dei Paesi in tutto il mondo e, in particolare, in quel punto importante del globo, che è quasi una porta dell’Europa e dell’Asia. Così l’immediata prontezza nel ricevere l’ospite da Roma, come pure la grande sollecitudine per lo svolgimento e la sicurezza di tutto il viaggio, meritano la mia particolare gratitudine, che ancora una volta voglio esprimere in questo momento.

3. Sebbene lo scopo principale della mia visita fosse il "Fanar", sede del Patriarcato ecumenico a Istanbul, tuttavia il recente viaggio mi ha dato l’occasione di incontrarmi anche con la comunità armena nella persona del suo Patriarca Kalustian e dell’Arcivescovo cattolico Tcholakian. Quella Chiesa Armena è impegnata in un intenso dialogo con la Chiesa Cattolica, particolarmente dalla memorabile visita a Roma di Vasken I, che è capo cioè "catholicos" di quella Chiesa, la quale ha il suo centro a Etchmiadzin. La visita ebbe luogo nel maggio del 1970. La Chiesa Armena Cattolica, che è, invece, in piena comunione con la Sede apostolica di Roma, conta in tutto il mondo circa 150.000 fedeli. Anche verso tutta la comunità armena va il mio pensiero e la mia gratitudine. Desidero inoltre ricordare i rappresentanti della comunità ebraica, con i quali ho avuto modo di incontrarmi in occasione della liturgia svoltasi nella cattedrale cattolica latina, dedicata allo Spirito Santo a Istanbul.

4. Considero l’incontro con il Patriarca Dimitrios I come un frutto della particolare azione dello Spirito di Cristo, che è lo Spirito dell’unità e dell’amore. Proprio in tale spirito si è svolto quell’incontro e di tale spirito ha dato testimonianza. Il suo momento culminante è stata la comune preghiera mediante la reciproca partecipazione alla liturgia eucaristica, anche se non abbiamo ancora potuto spezzare insieme il Pane e bere allo stesso Calice. Ciò ha avuto luogo prima nella vigilia di Sant’Andrea, di sera, nella cattedrale latina dello Spirito Santo, dove il Patriarca Dimitrios I è stato con noi (così come anche il Patriarca armeno), e dove abbiamo scambiato solennemente il bacio fraterno di pace impartendo insieme, alla fine, la benedizione. E, in seguito, nella solennità stessa dell’Apostolo nella chiesa patriarcale, dove mi è stato dato, insieme a tutta la Delegazione della Sede Apostolica, di partecipare alla splendida liturgia di San Giovanni Crisostomo, di rinnovare, con la stessa gioia dei radunati, il bacio di pace col mio Fratello della Sede in Oriente, di prendere la parola e, soprattutto, di ascoltare il suo discorso.

Quanto profondo amore egli manifestò per la Chiesa e per la sua unità, che Cristo non cessa di desiderare! Contemporaneamente, quanta sollecitudine, piena di amore, per l’uomo nel mondo contemporaneo! Il grande mistero della "Divinità e dell’umanità", così meravigliosamente approfondito da tutta la tradizione orientale patristica e teologica, è la più grande fonte di questa sollecitudine.

Il Patriarca ha detto: "E la pace e il bene che anche noi desideriamo e cerchiamo, sia per la Chiesa che per il mondo, e noi ci incontriamo allo scopo di ricercare insieme questa santa meta...; durante questo cammino era presente Gesù risorto che camminava con noi...; per questo, avendo in vista la piena comunione e la frazione del pane, noi abbiamo camminato insieme fino ad oggi".

5. Se, dunque, abbiamo il diritto di ripetere con San Paolo "l’amore del Cristo ci spinge" (2Co 5,14), allora oggi questo amore di Cristo assume la particolare forma della sollecitudine per l’uomo e per la sua vocazione nel mondo contemporaneo, tanto promettente ma anche tanto inquietante. E, perciò, insieme al dialogo teologico, già tanto necessario, che deve incominciare nel prossimo futuro tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme (cioè: con tutte le chiese autocefale ortodosse), è sempre indispensabile il dialogo stesso dell’amore fraterno e del reciproco avvicinamento, che già dura da qualche anno, cioè dai tempi del Concilio Vaticano II. Certo, questo dialogo deve ancora di più rafforzarsi e approfondirsi. Deve trovare sempre nuova espressione esterna. Deve, in un certo senso, divenire una componente integrale dei programmi pastorali da ambedue le parti. L’unione può essere soltanto frutto della conoscenza della verità nell’amore. E tutte e due devono operare insieme, l’una separatamente dall’altra ancora non basta, perché la verità senza l’amore non è ancora la piena verità, come l’amore non esiste senza la verità.

Su questa nuova tappa delle nostre iniziative ecumeniche e dopo le prove del benevolo appoggio che, in occasione della recente visita a Costantinopoli, hanno dato tutti i Patriarchi ortodossi al Patriarca Dimitrios che, come Patriarca "ecumenico", è primo tra gli altri, si può sperare molto.

6. Nel quadro di questo felice incontro sono stati scambiati anche dei doni molto eloquenti. Il Patriarca ecumenico ha offerto al suo Ospite un’antica stola episcopale pensando a quella Eucaristica, che Dio clementissimo forse ci permetterà di celebrare insieme, come hanno desiderato così ardentemente già Papa Paolo VI e il Patriarca Athenagoras. Il dono che ho lasciato a Costantinopoli è una Icona della Genitrice di Dio: Colei con la quale mi sono familiarizzato in Jasna Gora e Czestochowa sin dai primi anni della mia giovinezza. Facendolo, mi sono lasciato guidare non solo da motivi di natura personale, ma soprattutto dalla particolare eloquenza della storia. L’Icona chiaromontana (di Jasna Gora) contiene in sé i tratti sintomatici, che parlano all’anima dell’uomo cristiano dell’Oriente e dell’Occidente. Essa proviene anche da quella terra, nella quale ha avuto luogo, nel corso di tutta la storia, l’incontro di quelle due grandi tradizioni della Chiesa. È vero che la mia Patria ha ricevuto il cristianesimo da Roma e, insieme, anche la grande eredità della cultura latina, ma pure Costantinopoli è diventata la fonte della cristianità e della cultura, nella loro forma orientale, per molti Popoli e Nazioni Slave.

Ho manifestato queste idee già nel corso del mio pellegrinaggio in Polonia del giugno scorso. Così, il nostro incontro al "Fanar" ad Istanbul fu colmo di grandi problemi e di profondi contenuti. Interrogato da uno dei giornalisti circa le "impressioni", ho detto che era difficile parlare a tale proposito. Ed è veramente difficile. Siamo in un’altra dimensione. Siamo e dobbiamo rimanere con lo sguardo fisso su quella effigie della Sapienza, che ci parla dalla cima del grande monumento al Bosforo. È un’effigie dell’Avvento. E anche noi serviamo la grande causa dell’Avvento del Signore.


Bene, se il Signore al suo arrivo ci troverà vigilanti (cfr Mt 24,46).

Per questa intenzione ho pregato in modo particolare tra le rovine di Efeso, dove la Vergine Maria, obbediente nella maniera più profonda e più semplice allo Spirito Santo, fu proclamata solennemente dalla Chiesa: "Theotokos", cioè "Madre di Dio".

Saluti:

Al gruppo dei Sacerdoti della Congregazione dei Fratelli Cristiani

Una volta ancora è per me una gioia salutare un gruppo di Brothers riuniti a Roma per un corso di esercizi spirituali. In voi rendo omaggio alle generazioni di generosi servitori del Vangelo, uomini consacrati al Signore Gesù e alla sua parola di salvezza, uomini dedicati alla missione più grande possibile: comunicare la conoscenza e l’amore di Cristo. Ricordate, cari Fratelli miei, che l’efficacia della vostra vita dipende dall’autenticità della vostra discepolanza. Rimanete nell’amore di Cristo. Continuate a vivere nella fede del Figlio di Dio, oggi e sempre. Sì, soddisfazione, gioia, utilità, servizio, ogni cosa, dipende da questo.

Ai fedeli delle parrocchie di San Francesco Saverio e di San Bruno

Esprimo ora un saluto particolarmente affettuoso ai pellegrini delle parrocchie romane rispettivamente di San Francesco Saverio alla Garbatella e di San Bruno alla Pisana, che sono venuti qui con i loro parroci e viceparroci: i primi per restituire, con gesto gentile, la mia visita pastorale alla loro comunità nel quartiere della Garbatella; gli altri in occasione del XV anniversario della erezione della loro parrocchia. Vi ringrazio per questa manifestazione di fede verso il Cristo e di affezione verso il suo Vicario. Vi dirò semplicemente: amate la vostra parrocchia! È essa infatti che vi raccoglie nella celebrazione liturgica; che ravviva la vostra fede e che vi aiuta a praticare la carità delle buone opere verso i fratelli bisognosi. Vi sostenga sempre la mia paterna benedizione.

Ai giovani della "Minibanda Città di Staffolo"

Un pensiero cordiale va anche al gruppo dei giovani musicanti, che compongono la "Minibanda Città di Staffolo", in diocesi di Ancona. Vi ringrazio, carissimi giovani, per questa vostra visita, vi auguro di vivere sempre nella gioia e nell’entusiasmo di cui sono espressione le vostre esibizioni musicali. Il Signore vi ricompensi sempre.

Alle delegate del movimento Femminile della Coldiretti

Saluto volentieri le numerose delegate del Movimento Femminile della Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti, convenute a Roma in questi giorni per il loro congresso triennale. Figlie carissime, sappiate che la Chiesa conta molto anche sull’impegno e sulla testimonianza delle donne dei campi, e augura loro un sempre più qualificato inserimento nel mondo d’oggi. Difendete, però, sempre e gelosamente i vostri tipici valori genuinamente umani di semplicità, laboriosità e letizia, di cui la società industriale sente una salutare nostalgia. E vi accompagni la mia benedizione apostolica, che di cuore estendo a quanti vi sono cari.

Ai giovani

Vi rivolgo il mio cordiale saluto e, dato che siamo all’inizio del nuovo anno liturgico, desidero esortarvi a vivere intensamente il tempo di Avvento, ed entrare nello "spirito della liturgia", che è un grande aiuto per dare valore spirituale alle vostre azioni, per gustare le gioie e le consolazioni che provengono dall’intimità con Cristo. La liturgia, ben conosciuta e vissuta, vi renda cristiani lieti e coraggiosi! Con questo augurio vi imparto la mia particolare benedizione.

Agli ammalati

Il periodo di Avvento, che abbiamo iniziato, ci prepara al Santo Natale, e, secondo lo spirito della liturgia, ci fa vivere misticamente il senso dell’attesa del Salvatore, che permea tutto l’Antico Testamento. Se l’attesa è una tipica caratteristica di ogni cristiano, in modo particolare voi, cari ammalati, dovete avere il senso dell’attesa! Nulla va perduto della vostra sofferenza, unita a Cristo redentore dell’umanità. Questo è il messaggio dell’Avvento, che vi esorto a meditare e a vivere, mentre vi accompagno con la mia affettuosa benedizione.

Agli sposi

Carissimi sposi novelli! Vi porgo il mio saluto e i miei voti augurali, esortandovi ad essere convinti e coerenti testimoni di Cristo, unica salvezza dell’uomo! Siatelo sempre con tutti e in ogni luogo, nella gioia e nel dolore, nei momenti di ansia e nei tempi della consolazione. L’Avvento ci ricorda che l’umanità ha bisogno di Gesù Cristo: egli solo, con la sua parola divina, ci illumina sul nostro eterno destino, ci dà il vero significato della vita, ci offre la forza e il coraggio di accettare la storia come è, per trasformarla e salvarla. Vi sostenga la mia benedizione.



Mercoledì, 12 dicembre 1979: I significati delle primordiali esperienze dell’uomo

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1. Si può dire che l’analisi dei primi capitoli della Genesi ci costringe, in certo senso, a ricostruire gli elementi costitutivi dell’originaria esperienza dell’uomo. In questo senso, il testo jahvista è, per il suo carattere, una fonte peculiare. Parlando delle originarie esperienze umane, abbiamo in mente non tanto la loro lontananza nel tempo, quanto piuttosto il loro significato fondante. L’importante, quindi, non è che queste esperienze appartengano alla preistoria dell’uomo (alla sua "preistoria teologica"), ma che esse siano sempre alla radice di ogni esperienza umana. Ciò è vero, anche se a queste esperienze essenziali, nell’evolversi dell’ordinaria esistenza umana, non si presta molta attenzione. Esse, infatti, sono così intrecciate alle cose ordinarie della vita che in genere non ci accorgiamo della loro straordinarietà. In base alle analisi finora fatte abbiamo già potuto renderci conto che quanto abbiamo chiamato all’inizio "rivelazione del corpo" ci aiuta in qualche modo a scoprire la straordinarietà di ciò che è ordinario. Ciò è possibile perché la rivelazione (quella originaria, che ha trovato espressione prima nel racconto jahvista di
Gn 2-3, poi nel testo di Gn 1) prende in considerazione proprio tali esperienze primordiali nelle quali appare in maniera quasi completa l’assoluta originalità di ciò che è l’essere umano maschio-femmina: in quanto uomo, cioè, anche attraverso il suo corpo. L’umana esperienza del corpo, così come la scopriamo nei testi biblici citati, si trova certo alla soglia di tutta l’esperienza "storica" successiva. Essa, tuttavia, sembra anche poggiare su di una profondità ontologica tale, che l’uomo non la percepisce nella propria vita quotidiana, anche se nel contempo, e in certo modo, la presuppone e la postula come parte del processo di formazione della propria immagine.


2. Senza tale riflessione introduttiva, sarebbe impossibile precisare il significato della nudità originaria e affrontare l’analisi di Genesi Gn 2,25, che suona così: "Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna". A prima vista, l’introduzione di questo particolare, apparentemente secondario, nel racconto jahvista della creazione dell’uomo può sembrare qualcosa di inadeguato o di sfasato. Verrebbe da pensare che il passo citato non possa sostenere il paragone con ciò di cui trattano i versetti precedenti e che, in certo senso, oltrepassi il contesto. Tuttavia, ad un’analisi approfondita, tale giudizio non regge. In effetti, Genesi 2,25, presenta uno degli elementi chiave della rivelazione originaria, altrettanto determinante quanto gli altri testi genesiaci (Gn 2,20 Gn 2,23), che già ci hanno permesso di precisare il significato della solitudine originaria e della originaria unità dell’uomo. A questi si aggiunge, come terzo elemento, il significato della nudità originaria, chiaramente messo in evidenza nel contesto; ed esso, nel primo abbozzo biblico dell’antropologia, non è qualcosa di accidentale. Al contrario, esso è proprio la chiave per la sua piena e completa comprensione.

3. È ovvio che appunto questo elemento dell’antico testo biblico dia alla teologia del corpo un contributo specifico, dal quale non si può assolutamente prescindere. Ce lo confermeranno le ulteriori analisi. Ma, prima di intraprenderle, mi permetto di osservare che proprio il testo di Genesi 2,25 esige espressamente di collegare le riflessioni sulla teologia del corpo con la dimensione della soggettività personale dell’uomo; è in questo ambito, infatti, che si sviluppa la coscienza del significato del corpo. Genesi 2,25 ne parla in modo molto più diretto che non altre parti di quel testo jahvista, che abbiamo già definito come prima registrazione della coscienza umana. La frase, secondo cui i primi esseri umani, uomo e donna, "erano nudi" e tuttavia "non provavano vergogna", descrive indubbiamente il loro stato di coscienza, anzi, la loro reciproca esperienza del corpo, cioè l’esperienza da parte dell’uomo della femminilità che si rivela nella nudità del corpo e, reciprocamente, l’analoga esperienza della mascolinità da parte della donna. Affermando che "non ne provavano vergogna", l’autore cerca di descrivere questa reciproca esperienza del corpo con la massima precisione a lui possibile.

Si può dire che questo tipo di precisione rispecchia un’esperienza di base dell’uomo in senso "comune" e prescientifico, ma esso corrisponde anche alle esigenze dell’antropologia e in particolare dell’antropologia contemporanea, che si rifà volentieri alle cosiddette esperienze di fondo, come l’esperienza del pudore (cf. ad esempio: M. Scheler, Über Scham und Schamgefühl, Halle 1914; Fr. Sawicki, Fenomenologia del pudore, Kraków 1949; ed anche K. Wojtyla, Amore e responsabilità, Roma 1978, II ed. , pp. PP 161-178).

4. Alludendo qui alla precisione del racconto, quale era possibile all’autore del testo jahvista, siamo indotti a considerare i gradi di esperienza dell’uomo "storico" carico dell’eredità del peccato, i quali però metodologicamente partono appunto dallo stato di innocenza originaria. Abbiamo già constatato precedentemente che nel riferirsi "al principio" (da noi qui sottoposto a successive analisi contestuali) Cristo indirettamente stabilisce l’idea di continuità e di legame tra quei due stati, come se ci permettesse di retrocedere dalla soglia della peccaminosità "storica" dell’uomo fino alla sua innocenza originaria. Proprio Genesi 2,25 esige in modo particolare di oltrepassare quella soglia. È facile osservare come questo passo, insieme al significato ad esso inerente della nudità originaria, si inserisca nell’insieme contestuale della narrazione jahvista. Infatti, dopo alcuni versetti, lo stesso autore scrive: "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture" (Gn 3,7). L’avverbio "allora" indica un nuovo momento e una nuova situazione conseguenti alla rottura della prima alleanza; è una situazione che segue al fallimento della prova legata all’albero della conoscenza del bene e del male, che nel contempo costituiva la prima prova di "obbedienza", cioè di ascolto della Parola in tutta la sua verità e di accettazione dell’Amore, secondo la pienezza delle esigenze della Volontà creatrice. Questo nuovo momento o nuova situazione comporta anche un nuovo contenuto e una nuova qualità dell’esperienza del corpo, così che non si può più dire: "erano nudi, ma non ne provavano vergogna". La vergogna è quindi un’esperienza non soltanto originaria, ma "di confine".

5. È significativa, perciò, la differenza di formulazioni, che divide Genesi 2,25 da Genesi 3,7. Nel primo caso, "erano nudi, ma non ne provavano vergogna"; nel secondo caso, "si accorsero di essere nudi". Si vuol forse dire, con ciò, che in un primo tempo "non si erano accorti di essere nudi"? che non sapevano e non vedevano reciprocamente la nudità dei loro corpi? La significativa trasformazione testimoniataci dal testo biblico circa l’esperienza della vergogna (di cui parla ancora la Genesi, particolarmente in 3,10-12), si attua ad un livello più profondo del puro e semplice uso del senso della vista. L’analisi comparativa tra Genesi 2,25 e Genesi 3 porta necessariamente alla conclusione che qui non si tratta del passaggio dal "non conoscere" al "conoscere", ma di un radicale cambiamento del significato della nudità originaria della donna di fronte all’uomo e dell’uomo di fronte alla donna. Esso emerge dalla loro coscienza, come frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male: "chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?" (Gn 3,11). Tale cambiamento riguarda direttamente l’esperienza del significato del proprio corpo di fronte al Creatore e alle creature. Ciò viene confermato in seguito dalle parole dell’uomo: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto" (Gn 3,10). Ma in particolare quel cambiamento, che il testo jahvista delinea in modo così conciso e drammatico, riguarda direttamente, forse nel modo più diretto possibile, la relazione uomo-donna, femminilità-mascolinità.

6. Sull’analisi di questa trasformazione dovremo ritornare ancora in altre parti delle nostre ulteriori riflessioni. Ora, giunti a quel confine che attraversa la sfera del "principio" al quale si è richiamato Cristo, dovremmo chiederci se sia possibile ricostruire, in un certo qual modo, il significato originario della nudità, che nel Libro della Genesi costituisce il contesto prossimo della dottrina circa l’unità dell’essere umano in quanto maschio e femmina. Ciò sembra possibile, se assumiamo come punto di riferimento l’esperienza della vergogna così come essa nell’antico testo biblico è stata chiaramente presentata quale esperienza "liminale".

Cercheremo di fare un tentativo di tale ricostruzione nel seguito delle nostre meditazioni.

Saluti:

Alla delegazione della "Japan Religious Representative Conference"



Saluto cordialmente i membri della seconda delegazione della Japan Religious Representative Conference. Chiedo a Dio di benedirvi e di rendere fruttuosi i contatti che tra poco avrete con altri leader religiosi. Sono felice di incontrare i dirigenti e i membri dell’associazione di assistenza medica SURVIVE. È stato per me un piacere, prima di questa udienza, benedire l’ambulanza che manderete in Etiopia. Essa è parte di un progetto di aiuti a un’area dove la popolazione, nostri fratelli e sorelle, è in grande bisogno. Possa Dio ricompensarvi per la vostra risposta al loro appello.

Rivolgo un particolare saluto anche ai sacerdoti provenienti dagli Stati Uniti che frequentano un corso permanente di istruzione teologica alla casa Santa Maria. Miei fratelli sacerdoti: il vero rinnovamento della Chiesa in America dipende in grande misura dalla santità dei sacerdoti. Ciascuno di voi è chiamato ad una particolare familiarità con Gesù Cristo, ed è solo in unione con lui che voi sarete capaci di dare un contributo effettivo e duraturo al Regno di Dio. E ricordate sempre le priorità apostoliche che appartengono al sacerdozio: dedicazione "alla preghiera e al ministero della parola" (Ac 6,4).

Ad un gruppo italiano

Rivolgo ora un saluto particolarmente cordiale a voi, Dottori Commercialisti, convenuti a Roma per celebrare il cinquantenario della vostra professione. Il vostro è un servizio, che pur trattando immediatamente aspetti economici e finanziari della vita associata, deve essere indubbiamente rivolto a salvaguardare la giustizia e la sicura applicazione del diritto, come pure a promuovere la conveniente tutela dei meno fortunati. Tutto ciò appartiene alla sfera di quei valori morali che stanno a fondamento del bene pubblico e contraddistinguono una convivenza civile preoccupata della persona umana, della sua dignità, del suo avvenire. Siate instancabili, coerenti e coraggiosi nella difesa di un patrimonio tanto prezioso, e i favori della divina assistenza scendano copiosi su di voi e i vostri cari, mentre vi benedico di cuore.

All’Associazione del Collegio Nazareno

Un benvenuto a voi alunni ed ex alunni del Collegio Nazareno di Roma, che siete venuti a questo incontro insieme con una alunna premiata dalla vostra Associazione, perché da ben otto anni assiste con dedizione fraterna e serena amicizia una compagna di scuola, impedita nei suoi movimenti. Tale atteggiamento esemplare che avete voluto additare a tanti giovani mi suggerisce anzitutto una parola di sincero compiacimento a tutti voi, cari alunni del Nazareno, affinché, mediante una solida maturazione di fede e una seria formazione culturale possiate essere nel mondo testimoni intrepidi di vero amore, di viva speranza e di operosa carità. A tutti il mio benedicente saluto.

All’Accademia Sistina

Anche quest’anno è presente all’udienza una folta rappresentanza dell’Accademia Sistina, guidata dal Signor Cardinale Pietro Palazzini. Questo Sodalizio prende nome dal grande mio predecessore Sisto V, il quale fu pontefice dal 1585 al 1590; e, per questo, è presente anche un gruppo di fedeli del suo paese natale, Grottammare nelle Marche. Figli carissimi, sono lieto di ricevervi nel nome di questo insigne pontefice e di rinnovarvi, come già l’anno scorso, i miei sentimenti di incoraggiamento e di augurio per le vostre attività assistenziali e culturali, mentre vi benedico di cuore.

Ai giovani

A tutti voi, carissimi giovani, qui convenuti anche oggi numerosi dico cordialmente: siate i benvenuti! Vi saluto con sincero affetto auspicando su voi ogni bene. La liturgia ci ripete in questi giorni: "Il Signore è vicino", cioè la celebrazione del Natale di Gesù è imminente. Ebbene, vi esorto a fare spazio a lui nei vostri cuori, accogliendo la luce della sua verità, il dono della sua vita divina, la fiamma del suo amore! Vi accompagno con la mia benedizione.

Ai malati

E ora il mio saluto si rivolge con particolare intensità ai cari ammalati presenti a questa udienza. Desidero ricordare in modo particolare il gruppo accompagnato dalla "Associazione per il bambino con idrocefalo o spina bifida"; e anche il gruppo assistito dalla "Associazione Bambini Down" di Roma; e infine il gruppo di paraplegici, ospiti del Centro Traumatologico di Ostia. Nell’assicurare ad ognuno di loro e alle loro famiglie una speciale preghiera, voglio esortare tutti i sani a un atteggiamento di comprensione e di bontà verso gli ammalati: essi, specialmente se bambini, hanno bisogno di essere amati e accettati, per riuscire a superare gli ostacoli frapposti dall’infermità al loro inserimento sociale. Scenda su ciascuno, portatrice di conforto, la mia propiziatrice Benedizione Apostolica.

Alle coppie di giovani sposi

A voi, novelli sposi, partecipanti a questa udienza, mi è gradito rivolgere, come di consueto, il mio riconoscente saluto per la vostra significativa presenza e il mio cordiale augurio, che si ispira alla prossima festività del Santo Natale. Il Figlio di Dio che, incarnandosi, ha scelto di nascere nell’ambito di una famiglia umana, vi conceda la grazia di ricordare per tutta la vita la dignità e la responsabilità derivanti dal sacramento del Matrimonio; vi dia sempre la forza di vivere una vita esemplare per virtù cristiane e, infine, ricolmi la vostra famiglia dei suoi celesti doni di pace, letizia e prosperità. Avvaloro tali voti con la mia Benedizione.




Mercoledì, 19 dicembre 1979: Pienezza personalistica dell’innocenza originale

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1. Che cos’è la vergogna e come spiegare la sua assenza nello stato di innocenza originaria, nella profondità stessa del mistero della creazione dell’uomo come maschio e femmina? Dalle analisi contemporanee della vergogna e in particolare del pudore sessuale si deduce la complessità di questa fondamentale esperienza, nella quale l’uomo si esprime come persona secondo la struttura che gli è propria. Nell’esperienza del pudore, l’essere umano sperimenta il timore nei confronti del "secondo io" (così, ad esempio, la donna di fronte all’uomo), e questo è sostanzialmente timore per il proprio "io". Con il pudore, l’essere umano manifesta quasi "istintivamente" il bisogno dell’affermazione e dell’accettazione di questo "io", secondo il suo giusto valore. Lo esperimenta nello stesso tempo sia dentro se stesso, sia all’esterno, di fronte all’"altro". Si può dunque dire che il pudore è un’esperienza complessa anche nel senso che, quasi allontanando un essere umano dall’altro (la donna dall’uomo), esso cerca nel contempo il loro personale avvicinamento, creandogli una base e un livello idonei.

Per la stessa ragione, esso ha un significato fondamentale quanto alla formazione dell’ethos nell’umana convivenza, e in particolare nella relazione uomo-donna. L’analisi del pudore indica chiaramente quanto profondamente esso sia radicato appunto nelle mutue relazioni, quanto esattamente esprima le regole essenziali alla "comunione delle persone", e parimenti quanto profondamente tocchi la dimensione della "solitudine" originaria dell’uomo.L’apparire della "vergogna" nella successiva narrazione biblica del capitolo 3 della Genesi ha un significato pluridimensionale, e a suo tempo ci converrà riprenderne l’analisi.

Che cosa significa, invece, la sua originaria assenza in Genesi 2,25: "Erano nudi ma non ne provavano vergogna"?

2. Bisogna stabilire, anzitutto, che si tratta, di una vera non-presenza della vergogna, e non di una sua carenza o di un suo sottosviluppo. Non possiamo qui in alcun modo sostenere una "primitivizzazione" del suo significato. Quindi il testo di Genesi 2,25 non soltanto esclude decisamente la possibilità di pensare ad una "mancanza di vergogna", ovverosia alla impudicizia, ma ancor più esclude che la si spieghi mediante l’analogia con alcune esperienze umane positive, come ad esempio quelle dell’età infantile oppure della vita dei cosiddetti popoli primitivi. Tali analogie sono non soltanto insufficienti, ma possono essere addirittura deludenti. Le parole di Genesi 2,25 "non provavano vergogna" non esprimono carenza, ma, al contrario, servono ad indicare una particolare pienezza di coscienza e di esperienza, soprattutto la pienezza di comprensione del significato del corpo, legata al fatto che "erano nudi".


Che così si debba comprendere e interpretare il testo citato, lo testimonia il seguito della narrazione jahvista, in cui l’apparire della vergogna e in particolare del pudore sessuale, è collegato con la perdita di quella pienezza originaria. Presupponendo, quindi, l’esperienza del pudore come esperienza "di confine", dobbiamo domandarci a quale pienezza di coscienza e di esperienza, e in particolare a quale pienezza di comprensione del significato del corpo corrisponda il significato della nudità originaria, di cui parla Genesi
Gn 2,25.

3. Per rispondere a questa domanda, è necessario tenere presente il processo analitico finora condotto, che ha la sua base nell’insieme del passo jahvista. In questo contesto, la solitudine originaria dell’uomo si manifesta come "non-identificazione" della propria umanità col mondo degli esseri viventi ("animalia") che lo circondano.

Tale "non-identificazione", in seguito alla creazione dell’uomo come maschio e femmina, cede il posto alla felice scoperta della propria umanità "con l’aiuto" dell’altro essere umano; così l’uomo riconosce e ritrova la propria umanità "con l’aiuto" della donna (Gn 2,25). Questo loro atto, nello stesso tempo, realizza una percezione del mondo, che si attua direttamente attraverso il corpo ("carne dalla mia carne"). Esso è la sorgente diretta e visibile dell’esperienza che giunge a stabilire la loro unità nell’umanità. Non è difficile capire, perciò, che la nudità corrisponde a quella pienezza di coscienza del significato del corpo, derivante dalla tipica percezione dei sensi. Si può pensare a questa pienezza in categorie di verità dell’essere o della realtà, e si può dire che l’uomo e la donna erano originariamente dati l’uno all’altro proprio secondo tale verità, in quanto "erano nudi". Nell’analisi del significato della nudità originaria, non si può assolutamente prescindere da questa dimensione.

Questo partecipare alla percezione del mondo – nel suo aspetto "esteriore" – è un fatto diretto e quasi spontaneo, anteriore a qualsiasi complicazione "critica" della conoscenza e dell’esperienza umana e appare strettamente connesso all’esperienza del significato del corpo umano.Già così si potrebbe percepire l’innocenza originaria della "conoscenza".

4. Tuttavia, non si può individuare il significato della nudità originaria considerando soltanto la partecipazione dell’uomo alla percezione esteriore del mondo; non lo si può stabilire senza scendere nell’intimo dell’uomo. Genesi 2,25 ci introduce proprio a questo livello e vuole che noi lì cerchiamo l’innocenza originaria del conoscere. Infatti, è con la dimensione dell’interiorità umana che bisogna spiegare e misurare quella particolare pienezza della comunicazione interpersonale, grazie alla quale uomo e donna "erano nudi ma non ne provavano vergogna".

Il concetto di "comunicazione", nel nostro linguaggio convenzionale, è stato pressoché alienato dalla sua più profonda, originaria matrice semantica. Esso viene legato soprattutto alla sfera dei mezzi, e cioè, in massima parte, ai prodotti che servono per l’intesa, lo scambio, l’avvicinamento. Invece è lecito supporre che, nel suo significato originario e più profondo, la "comunicazione" era ed è direttamente connessa a soggetti, che "comunicano" appunto in base alla "comune unione" esistente tra di loro, sia per raggiungere sia per esprimere una realtà che è propria e pertinente soltanto alla sfera dei soggetti-persone. In questo modo, il corpo umano acquista un significato completamente nuovo, che non può essere posto sul piano della rimanente percezione "esterna" del mondo. Esso, infatti, esprime la persona nella sua concretezza ontologica ed essenziale, che è qualcosa di più dell’"individuo", e quindi esprime l’"io" umano personale, che fonda dal di dentro la sua percezione "esteriore".

5. Tutta la narrazione biblica e in particolare il testo jahvista, mostra che il corpo attraverso la propria visibilità manifesta l’uomo e, manifestandolo, fa da intermediario, cioè fa sì che uomo e donna, fin dall’inizio, "comunichino" tra loro secondo quella "communio personarum" voluta dal Creatore proprio per loro. Soltanto questa dimensione, a quanto pare, ci permette di comprendere in modo appropriato il significato della nudità originaria. A questo proposito, qualunque criterio "naturalistico" è destinato a fallire, mentre invece il criterio "personalistico" può essere di grande aiuto. Genesi 2,25 parla certamente di qualcosa di straordinario, che sta al di fuori dei limiti del pudore conosciuto per il tramite dell’esperienza umana e che insieme decide della particolare pienezza della comunicazione interpersonale, radicata nel cuore stesso di quella "communio" che viene così rivelata e sviluppata. In tale rapporto, le parole "non provavano vergogna" possono significare ("in sensu obliquo") soltanto un’originale profondità nell’affermare ciò che è inerente alla persona, ciò che è "visibilmente" femminile e maschile, attraverso cui si costituisce l’"intimità personale" della reciproca comunicazione in tutta la sua radicale semplicità e purezza. A questa pienezza di percezione "esteriore", espressa mediante la nudità fisica, corrisponde l’"interiore" pienezza della visione dell’uomo in Dio, cioè secondo la misura dell’"immagine di Dio" (cfr Gn 1,17). Secondo questa misura, l’uomo "è" veramente nudo ("erano nudi" ), prima ancora di accorgersene (cfr Gn 3,7-10).

Dovremo ancora completare l’analisi di questo testo così importante durante le meditazioni che seguiranno.

Saluti:

Ai ragazzi

Carissimi giovani! Cari ragazzi e ragazze! Siate i benvenuti! In questi giorni voi siete particolarmente felici, perché il Natale del Signore è vicino. Ebbene, io vi auguro di cuore di mantenere tutta la vita questo particolare senso di gioia che nasce dalla fede. Ricordatevi sempre del Natale: Gesù è nato per noi! Gesù è venuto a portarci la luce, la verità, la grazia, la salvezza! Ricevete, con i miei auguri, la mia speciale Benedizione.

Agli ammalati


Carissimi ammalati! Vi saluto cordialmente, auspicando che Gesù riempia il vostro cuore di letizia e di bontà. Voi, particolarmente, fermatevi pensosi e gioiosi davanti al presepe e portate a Gesù Bambino i doni della vostra sofferenza, della vostra pazienza, della vostra rassegnazione. E Gesù, il Verbo di Dio, incarnato e deposto in una povera mangiatoia, vi ricolmi delle sue celesti benedizioni. Vi siano graditi i miei auguri più affettuosi e vi conforti la mia Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli! Anche a voi giunga in modo del tutto speciale il mio riconoscente saluto e il mio cordiale augurio di Buon Natale e di Felice Anno nella nuova vita che avete iniziato! La meditazione natalizia su Gesù Bambino, nato nella povertà di Betlemme, ma con la ricchezza dell’amore di Maria e di Giuseppe, vi incoraggi ad essere sempre i convinti testimoni della gioia suprema del Natale. Gesù è nato per noi ed è venuto anche per illuminare, in modo definitivo, sul valore dell’amore, sulla vera natura del matrimonio, sulla gioiosa e seria responsabilità di donare la vita a nuove creature, da lui volute, amate, redente e attese per la felicità eterna. Vi accompagnino i miei voti augurali e la mia Benedizione.

Ai rappresentanti dei bambini di quattro paesi:
il Canada, il Belgio, la Francia e la Svizzera




Sono molto felice di rivolgermi ora ai bambini, venuti appositamente dal Belgio, dal Canada, dalla Francia, dalla Svizzera, al termine della campagna fatta con tutti i loro compagni, in questo Anno dell’Infanzia. Prendo a testimoni tutti i visitatori presenti a questa udienza, e quanti ci ascoltano nel tempo di Natale, alla radio, in questi quattro Paesi e oltre, grazie all’iniziativa della "Communauté des Programmes de langue française".

Cari bambini, siate i benvenuti. Durante quest’anno – che il mondo intero ha voluto consacrare al Bambino – voi avete saputo portare la vostra parte attiva: non solo ricevere, ma dare voi stessi. Dapprima avete aperto i vostri occhi sulla realtà dei bambini della vostra età, quelli del vostro Paese, ma anche quelli di tutti i Paesi del mondo, spesso meno privilegiati riguardo i beni materiali, per imparare a conoscersi meglio, ad apprezzarsi, per simpatizzare, per fraternizzare. Potete così evitare che si formino tra voi distanze e barriere, come a volte capita agli adulti! Dopo, conoscendo i bisogni vicendevoli, soprattutto quelli di coloro che mancano del necessario per vivere, pane, igiene, istruzione, pace, amore, avete preparato i vostri cuori all’equa divisione, all’aiuto reciproco. E l’avete fatto in gruppo, con i vostri educatori.

Siate ringraziati. Siate congratulati. Voi siete qui come gli anelli privilegiati di questa immensa catena di solidarietà. Continuate! L’avete fatto semplicemente perché il vostro spirito è aperto, perché il vostro cuore è giusto e generoso, per simpatia e per pietà per la gioia d’amare, perché la vostra coscienza vi invitava. Forse senza saperlo avete risposto in parte alla chiamata di Gesù. Egli ha avuto una predilezione per i fanciulli. Li ha difesi. Ha anche detto: "Il regno dei cieli è per chi assomiglia loro" (Mt 19,14). In un certo senso si è identificato con essi: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me" (Mt 18,5). Insisteva perché nessuno di essi fosse scandalizzato, distolto dalla retta via. Sì, cari amici, voi siete sulla strada del suo amore. Lo prego, lui che è nato a Natale nella semplicità della stalla, per essere il Salvatore di tutti; lui che è nella luce di Dio, perché è il Figlio di Dio. Lo prego di benedirvi, voi e quanti hanno collaborato con voi.







Catechesi 79-2005 51279