Catechesi 79-2005 50380

Mercoledì, 5 marzo 1980: Il significato biblico della conoscenza nella convivenza matrimoniale

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Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai ragazzi presenti nella Basilica Vaticana.



1. All’insieme delle nostre analisi, dedicate al "principio" biblico, desideriamo aggiungere ancora un breve passo, tratto dal capitolo IV del libro della Genesi. A tal fine, tuttavia, prima bisogna sempre rifarsi alle parole pronunciate da Gesù Cristo nel colloquio con i farisei (cf.
Mt 19 et Mc 10). Bisogna tener conto del fatto che, nel colloquio con i farisei [Mt 19,7-9 Mc 10,4-6], Cristo prende posizione riguardo alla prassi della legge mosaica circa il cosiddetto "libello di ripudio". Le parole "per la durezza del vostro cuore", pronunziate da Cristo rispecchiano non soltanto "la storia dei cuori", ma anche tutta la complessità della legge positiva dell’Antico Testamento, che sempre cercava il "compromesso umano" in questo campo tanto delicato), nell’ambito delle quali si svolgono le nostre riflessioni; esse riguardano il contesto dell’esistenza umana, secondo cui la morte e la connessa distruzione del corpo (stando a quel: "in polvere tornerai", di Gn 3,19) sono diventate sorte comune dell’uomo. Cristo si riferisce al "principio", alla dimensione originaria del mistero della creazione, allorquando questa dimensione già era stata infranta dal mysterium iniquitatis, cioè dal peccato e, insieme ad esso, anche dalla morte: mysterium mortis. Il peccato e la morte sono entrati nella storia dell’uomo, in certo modo attraverso il cuore stesso di quell’unità, che dal "principio" era formata dall’uomo e dalla donna, creati e chiamati a diventare "una sola carne" (Gn 2,24). Già all’inizio delle nostre meditazioni abbiamo costatato che Cristo, richiamandosi al "principio", ci conduce, in un certo senso, oltre il limite della peccaminosità ereditaria dell’uomo fino alla sua innocenza originaria; egli ci permette, così, di trovare la continuità ed il legame esistente tra queste due situazioni, mediante le quali si è prodotto il dramma delle origini e anche la rivelazione del mistero dell’uomo all’uomo storico.

Questo, per così dire, ci autorizza a passare, dopo le analisi riguardanti lo stato dell’innocenza originaria, all’ultima di esse, cioè all’analisi della "conoscenza e della generazione". Tematicamente, essa è strettamente legata alla benedizione della fecondità, inserita nel primo racconto della creazione dell’uomo come maschio e femmina (Gn 1,27-28). Storicamente, invece, è già inserita in quell’orizzonte di peccato e di morte che, come insegna il libro della Genesi (Gn 3), ha gravato sulla coscienza del significato del corpo umano, insieme all’infrazione della prima alleanza col Creatore.

2. In Genesi 4, e quindi ancora nell’ambito del testo jahvista, leggiamo: "Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: "Ho acquistato un uomo dal Signore". Poi partorì ancora suo fratello Abele" (Gn 4,1-2). Se connettiamo alla "conoscenza" quel primo fatto della nascita di un uomo sulla terra, lo facciamo in base alla traduzione letterale del testo, secondo cui l’"unione" coniugale viene definita appunto come "conoscenza". Difatti, la traduzione citata suona così: "Adamo si unì a Eva sua moglie", mentre alla lettera si dovrebbe tradurre: "conobbe sua moglie", il che sembra corrispondere più adeguatamente al termine semitico jadac (1). Si può vedere in ciò un segno di povertà della lingua arcaica, alla quale mancavano varie espressioni per definire fatti differenziati. Nondimeno, resta significativo che la situazione, in cui marito e moglie si uniscono così intimamente tra loro da formare "una sola carne", sia stata definita una "conoscenza". In questo modo, infatti, dalla stessa povertà del linguaggio sembra emergere una specifica profondità di significato, derivante appunto da tutti i significati finora analizzati.

3. Evidentemente, ciò è pure importante quanto all’"archetipo" del nostro modo di pensare l’uomo corporeo, la sua mascolinità e la sua femminilità, e quindi il suo sesso. Così, infatti, attraverso il termine "conoscenza" usato in Genesi 4,1-2 e spesso nella Bibbia, il rapporto coniugale dell’uomo e della donna, cioè il fatto che essi diventano, attraverso la dualità del sesso, una "sola carne", è stato elevato e introdotto nella dimensione specifica delle persone. Genesi 4,1-2 parla soltanto della "conoscenza" della donna da parte dell’uomo, quasi per sottolineare soprattutto l’attività di quest’ultimo. Si può, però, anche parlare della reciprocità di questa "conoscenza", a cui uomo e donna partecipano mediante il loro corpo e il loro sesso. Aggiungiamo che una serie di successivi testi biblici, come, del resto, lo stesso capitolo della Genesi (cf. ex. gr. Gn 4,17 Gn 4,25), parlano con lo stesso linguaggio. E ciò fino alle parole pronunziate da Maria di Nazaret nell’annunciazione: "Come è possibile? Non conosco uomo" (Lc 1,34).

4. Così, con quel biblico "conobbe", che per la prima volta appare in Genesi 4,1-2, da una parte ci troviamo di fronte alla diretta espressione dell’intenzionalità umana (perché essa è propria della conoscenza) e, dall’altra, a tutta la realtà della convivenza e dell’unione coniugale, in cui uomo e donna diventano "una sola carne".


Parlando qui di "conoscenza", sia pur a causa della povertà della lingua, la Bibbia indica l’essenza più profonda della realtà della convivenza matrimoniale. Questa essenza appare come una componente ed insieme un risultato di quei significati, la cui traccia cerchiamo di seguire fin dall’inizio del nostro studio; essa infatti fa parte della coscienza del significato del proprio corpo. In Genesi 4,1, diventando "una sola carne", l’uomo e la donna sperimentano in modo particolare il significato del proprio corpo. Insieme, essi diventano, così, quasi l’unico soggetto di quell’atto e di quell’esperienza, pur rimanendo, in quest’unità, due soggetti realmente diversi. Il che ci autorizza, in certo senso, ad affermare che "il marito conosce la moglie" oppure che entrambi "si conoscono" reciprocamente. Allora essi si rivelano l’uno all’altra, con quella specifica profondità del proprio "io" umano, che appunto si rivela anche mediante il loro sesso, la loro mascolinità e femminilità. Ed allora, in maniera singolare, la donna "è data" in modo conoscitivo all’uomo, e lui a lei.

5. Se dobbiamo mantenere la continuità rispetto alle analisi finora fatte (particolarmente riguardo alle ultime, che interpretano l’uomo nella dimensione di dono), bisogna osservare che, secondo il libro della Genesi, datum e donum si equivalgono.

Tuttavia, Genesi 4,1-2 accentua soprattutto il datum.Nella "conoscenza" coniugale, la donna "è data" all’uomo e lui a lei, poiché il corpo e il sesso entrano direttamente nella struttura e nel contenuto stesso di questa "conoscenza". Così, dunque, la realtà dell’unione coniugale, in cui l’uomo e la donna diventano "una sola carne", contiene in sé una scoperta nuova e, in certo senso, definitiva del significato del corpo umano nella sua mascolinità e femminilità. Ma, a proposito di tale scoperta, è giusto parlare soltanto di "convivenza sessuale"? Bisogna tener conto che ciascuno di loro, uomo e donna, non è soltanto un oggetto passivo, definito dal proprio corpo e sesso, e in questo modo determinato "dalla natura". Al contrario, proprio per il fatto di essere uomo e donna, ognuno di essi è "dato" all’altro come soggetto unico e irripetibile, come "io", come persona. Il sesso decide non soltanto della individualità somatica dell’uomo, ma definisce nello stesso tempo la sua personale identità e concretezza. E proprio in questa personale identità e concretezza, come irripetibile "io" femminile-maschile, l’uomo viene "conosciuto" quando si verificano le parole di Genesi 2,24: "l’uomo... si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne". La "conoscenza", di cui parlano Genesi 4,1-2 e tutti i successivi testi biblici, arriva alle più intime radici di questa identità e concretezza, che l’uomo e la donna debbono al loro sesso. Tale concretezza significa tanto l’unicità quanto l’irripetibilità della persona.

Valeva, dunque, la pena di riflettere sull’eloquenza del testo biblico citato e della parola "conobbe"; nonostante l’apparente mancanza di precisione terminologica, essa ci permette di soffermarci sulla profondità e sulla dimensione di un concetto, di cui il nostro linguaggio contemporaneo, pur molto preciso, spesso ci priva.

(1) "Conoscere" [jadac], nel linguaggio biblico, non significa soltanto una conoscenza meramente intellettuale, ma anche esperienza concreta, come ad esempio l’esperienza della sofferenza [cf. Is 53,3], del peccato [Sap 3,13], della guerra e della pace [Gdc 3,1; Is 59,8]. Da questa esperienza scaturisce anche il giudizio morale: "conoscenza del bene e del male" [Gen 2,9-17]. La "conoscenza" entra nel campo dei rapporti interpersonali, quando riguarda la solidarietà di famiglia [Dt 33,9] e specialmente i rapporti coniugali. Proprio in riferimento all’atto coniugale, il termine sottolinea la paternità di illustri personaggi e l’origine della loro prole [cf. Gen 4,1.25.17; 1Sam 1,19], come dati validi per la genealogia, a cui la tradizione dei sacerdoti [ereditari in Israele] dava grande importanza. La "conoscenza" poteva però significare anche tutti gli altri rapporti sessuali, persino quelli illeciti [cf. Nm 31,17; Gen 19,5; Gdc 19,22]. Nella forma negativa, il verbo denota l’astensione dai rapporti sessuali, specialmente se si tratta di vergini [cf. ad es Re 2,4; Gdc 11,39]. In questo campo, il Nuovo Testamento usa due ebraismi, parlando di Giuseppe [Mt 1,25] e di Maria [Lc 1,34]. Un significato particolare acquista l’aspetto della relazione esistenziale della "conoscenza", quando suo soggetto o oggetto è Dio stesso [ad es Sal 139; Ger 31,34; Os 2,22; e anche Gv 14,7-9; 17,3].

Saluti:

Ad un gruppo di Sacerdoti e di Seminaristi della diocesi di Paderborn


A gruppi di sacerdoti italiani

DESIDERO ORA rivolgere un saluto particolarmente cordiale ad alcuni gruppi di Sacerdoti qui presenti.


Innanzitutto ai Missionari Verbiti, che seguono a Nemi un corso di aggiornamento, insieme ad alcuni Padri di altre Famiglie religiose; a loro va il mio plauso ed il mio incoraggiamento per la preziosa attività evangelizzatrice svolta in vari Paesi in nome di Cristo e della sua Chiesa.

Poi i partecipanti ad un Seminario di studio, promosso dal Movimento Lavoratori dell’Azione Cattolica Italiana sul tema "Evangelizzare il mondo del lavoro": siate certi che la Chiesa conta molto su di voi per testimoniare il Vangelo in un settore di vitale importanza per la nostra società.

Infine, un gruppo della Diocesi di Piacenza, che festeggia il Venticinquesimo anniversario di Ordinazione Presbiterale: insieme ai miei auguri, esprimo la fiducia che prendiate sempre più coscienza della grandezza e delle esigenze del vostro sacerdozio ministeriale, destinato a rendere un insostituibile servizio al Popolo di Dio.

Tutti di gran cuore vi benedico.

Ad alcuni pellegrinaggi

VI ACCOLGO con cordiale e beneaugurante saluto, carissimi pellegrini della Diocesi di Comacchio, che, fedeli alle vostre nobili tradizioni religiose, avete voluto concedervi una sosta nel vostro faticoso lavoro per recare al Papa, anche a nome dei conterranei, l’omaggio del vostro affetto. Nel manifestarvi riconoscenza per questa tanto gradita visita, vi esorto ad accogliere con generosità l’invito della Chiesa, a riflettere con fede profonda ed operante al mistero di Cristo morto e risorto per noi, ed a prendervi parte con l’umile accettazione dei sacrifici quotidiani. Con tale augurio imparto a voi e alle vostre rispettive famiglie la mia Benedizione Apostolica.
* * *


RIVOLGO ORA un particolare pensiero al folto gruppo delle "Volontarie" del Movimento dei Focolari, convenute da varie regioni d’Italia e da alcuni paesi d’Europa, per celebrare il loro congresso annuale al Centro Mariapoli di Rocca di Papa, sul tema "La carità come ideale".

Nel porgervi un sincero ringraziamento per questo rinnovato attestato di devozione, vi esprimo carissime figlie, l’interesse e il compiacimento con cui seguo la vostra attività, e vi incoraggio, in questo incontro, nelle scelte che, ne sono certo avrete tratto dal vostro studio: l’accresciuto amore di Dio, fonte di soprannaturale energia, sia il motivo ispiratore di tutte le vostre intenzioni ed il segreto della vostra solidarietà umana universale che, oggi più che mai, è richiesta ai membri della Chiesa in forma di donazione senza riserve. Vi accompagni nella vostra missione la mia Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

UNA PAROLA di incoraggiamento e di consolazione vada ora a tutti voi ammalati, che con la vostra dolorosa, ma quanto mai preziosa sofferenza arricchite la Chiesa di meriti e di grazie speciali. Infatti, la malattia sofferta per il Signore ed a Lui offerta diventa non solo per voi, ma anche per l’intero corpo mistico una occasione privilegiata di espiazione, di purificazione, di propiziazione e di elevazione spirituale.


In questo tempo di Quaresima, voi che siete più vicini all’"Uomo dei dolori che ben conosce il patire", come è stato descritto il Cristo dal Profeta Isaia, sappiate dare questa finalità al vostro dolore, per saperlo affrontare con fortezza, e anche con gioia, come esclama l’Apostolo Paolo: "Sovrabbondo di gioia in mezzo alle tribolazioni".

A conferma di questi voti scenda abbondante su di voi e su quanti amorevolmente vi assistono la mia speciale Benedizione.

Alle coppie di sposi

ANCHE A VOI, Sposi Novelli, presenti a questa Udienza all’inizio della vostra vita matrimoniale, desidero esprimere il mio augurio benedicente e il mio saluto affettuoso. Date sempre al vostro amore una unità granitica e una fede incrollabile. Sappiate sempre conservare quel senso di gioia e di felicità, che oggi riempie il vostro animo. Abbiate sempre il senso religioso della famiglia, guardate all’amore infinito con cui Cristo ama la Chiesa e lasciatevi modellare da tale esempio nel vostro amore vicendevole, ed Egli non vi deluderà, ma vi farà crescere ogni giorno nella gioiosa testimonianza di una vita coniugale vissuta autenticamente.

A questo fine prego il Signore che vi aiuti e vi benedica sempre.

APPELLO PER GLI OSTAGGI DI BOGOTÀ


Desidero ora manifestare tutta la mia ansia e preoccupazione per le notizie che giungono in questi giorni da Bogotà, capitale della Colombia.

Come sapete, numerose persone si trovano, ormai da una settimana, trattenute in ostaggio dentro l’ambasciata della Repubblica Dominicana, in quella città. Esse erano di più, ma un prevalere di sentimenti umanitari, in un frangente tanto drammatico, ha fatto sì che alcune di esse - donne o feriti - venissero restituite a libertà.

Tuttavia ne rimangono ancora, e molte: tra di esse vi è il nunzio apostolico, il caro monsignor Angelo Acerbi, che in questi giorni è particolarmente presente nelle mie preghiere, e vari ambasciatori, rappresentanti legittimi dei rispettivi paesi in quella nazione. In virtù del diritto delle genti, che regola i rapporti internazionali, la loro persona e la loro libertà sono dichiarate inviolabili. Ma sacri sono anche i diritti di ogni uomo.

Nel deplorare vivamente quanto sta accadendo, il mio pensiero accorato va a tutte le persone che, in qualunque modo e per qualunque motivo, soffrono in un momento così doloroso.

Ed esprimo dal profondo del cuore l’augurio e la speranza che si possa avere presto una soluzione, che ridoni serenità e conforto. Sono infatti a conoscenza che le varie ambasciate stanno a questo fine in continuo contatto col governo colombiano. Diverse nazioni, che hanno il loro ambasciatore in ostaggio, hanno inviato un loro speciale rappresentante per seguire da vicino la situazione, che giustamente preoccupa i governi e l’opinione pubblica, e che tanto mi addolora. Anche la santa Sede ha voluto che non mancasse un proprio speciale inviato a Bogotà in quest’ora così grave, nella persona di monsignor Pio Laghi, nunzio apostolico in Argentina.

Intanto, elevo la mia preghiera al Signore, affinché egli, che ha in mano il cuore degli uomini e può far sorgere in essi retti pensieri e buoni propositi, guidi gli sforzi che si stanno compiendo per risolvere il caso presente, e quelli diretti all’edificazione di una società sostenuta non dalla violenza, ma dalla giustizia, dalla fraternità e dalla pace.

A tale scopo chiedo anche a voi di pregare tanto con me in questi giorni di ansietà e di attesa.

Ai giovani nella Basilica Vaticana

È un piacere per me, cari figlioli, accogliervi quest’oggi, così lieti, così affettuosi. E siete tanto numerosi che, anche oggi, c’è voluta per voi un’udienza speciale all’interno di questa grande Basilica, la quale - come ben sapete - è costruita sopra la tomba di san Pietro, il principe degli apostoli, il primo dei Papi.

Dall’elenco dei diversi gruppi, che è stato letto or ora, ho potuto notare che venite da varie parti d’Italia, anche lontane, e che sono due soprattutto le forme che vi distinguono: voi fate parte sia di gruppi scolastici, sia di gruppi parrocchiali. Nessuno di voi è venuto da solo, individualmente, ma ciascuno si è unito ai coetanei ed ai condiscepoli, ai maestri della propria scuola o ai sacerdoti della propria parrocchia. Che cosa vuol dire questo? Io desidero porre a me e a voi questa domanda, per concentrare la nostra riflessione sull’importanza che la scuola e la parrocchia hanno nel campo dell’educazione e della formazione dell’adolescenza e della gioventù. Non è forse questa la vostra età? E non sentite ripetervi spesso che essa è il periodo in cui dovete istruirvi e prepararvi bene alla vita? Gran dono di Dio è la vita, come si legge nel primo libro della Bibbia: "Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" (Gn 1,27). E della vita che è un dono divino, l’età, in cui vi trovate ora voi, è certamente la più bella, la più fresca, la più ricca di speranze, protesa com’è verso un avvenire lieto e sereno. Il crescere, che il Signore diede come ordine - accanto ad altri comandamenti - ad Adamo ed Eva, si può benissimo riferire a ciascuno di voi ed applicare alla vostra condizione di fanciulli e di giovani. Voi dovete crescere, cioè sviluppare giorno per giorno, e divenire uomini e donne maturi e completi; ma - badate - non soltanto in senso fisico, ma anche e soprattutto in senso spirituale. Troppo poco sarebbe il crescere solo nel corpo (ci pensa, del resto, la stessa natura); occorre crescere specialmente nello spirito, e questo si ottiene esercitando quelle facoltà che il Signore - sono altri suoi doni - ha messo dentro di voi: l’intelligenza, la volontà, l’inclinazione ad amare lui ed il prossimo. In questo lavoro nessuno di voi è solo: ognuno trova sulla sua strada, innanzitutto, i propri genitori, i quali con l’esempio, con l’affetto, con le costanti premure lo aiutano nel necessario processo di sviluppo. Poi trova anche la scuola e la parrocchia. L’una è diretta alla vostra formazione, comunicando alla mente ed al cuore le varie cognizioni che riusciranno preziose nella vita, e le norme del retto comportamento. L’altra, come viva porzione della Chiesa, è diretta anch’essa alla vostra formazione, per arricchire lo spirito di quei beni superiori che si chiamano - ricordate? - grazia divina e virtù della fede, della speranza e della carità. Ecco allora che, accanto alla famiglia, ci sono altre due sedi, quasi due "officine", nelle quali voi potete e dovete curare quella completa preparazione che, come corrisponde alla volontà di Dio creatore, così è vivamente attesa e auspicata da tutti coloro che vi sono vicini nell’età giovanile: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti. Leggiamo nel Vangelo di san Luca che Gesù, nei lunghi anni dell’infanzia e della giovinezza trascorsi a Nazaret, "cresceva in età, sapienza e grazia dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini" (Lc 2,52). Pensate! Gesù, ch’era il figlio stesso di Dio, fattosi uomo per noi, ha voluto compiere il percorso di un graduale sviluppo: anch’egli ha voluto corrispondere a quell’ordine divino del crescere e ciò facendo ci ha lasciato un esempio meraviglioso, che è nostro dovere riconoscere, seguire, ricopiare. Anche voi, figli carissimi, dovete guardare a Gesù: sia nella parrocchia, che nella scuola, sappiate impegnare le vostre giovanili energie per raggiungere un’autentica e positiva maturazione, al tutto degna della vostra dignità di uomini e di cristiani. Siamo in Quaresima, che è il tempo di preparazione alla Pasqua, e la nostra Pasqua - come insegna san Paolo - è Gesù Cristo (cf. 1Co 5,7).

Per preparare nel modo migliore il vostro incontro con lui, vogliate riflettere alle parole, che, nel suo nome, vi ho ora rivolto, e rafforzate il proposito di "crescere in età, sapienza e grazia" nell’ambito parrocchiale e scolastico, perfezionando quel che già avete ricevuto in seno alle vostre famiglie.




Mercoledì, 12 marzo 1980, Aula Paolo VI: Il mistero della donna si rivela nella maternità

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Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai ragazzi presenti nella Basilica Vaticana.



1. Nella meditazione precedente, abbiamo sottoposto ad analisi la frase di Genesi
Gn 4,1 e, in particolare, il termine "conobbe", usato nel testo originale per definire l’unione coniugale. Abbiamo anche rilevato che questa "conoscenza" biblica stabilisce una specie di archetipo (1) personale della corporeità e sessualità umana. Ciò sembra assolutamente fondamentale per comprendere l’uomo, che fin dal "principio" è alla ricerca del significato del proprio corpo. Questo significato sta alla base della stessa teologia del corpo. Il termine "conobbe" - "si unì" (Gn 4,1-2) sintetizza tutta la densità del testo biblico finora analizzato. L’"uomo" che, secondo Genesi 4,1 per la prima volta, "conosce" la donna, sua moglie, nell’atto dell’unione coniugale, è infatti quello stesso che, imponendo i nomi, cioè anche "conoscendo", si è "differenziato" da tutto il mondo degli esseri viventi o animalia, affermando se stesso come persona e soggetto. La "conoscenza", di cui parla Genesi Gn 4,1, non lo allontana né può allontanarlo dal livello di quella primordiale e fondamentale autocoscienza. Quindi - qualsiasi cosa ne affermasse una mentalità unilateralmente "naturalistica" - in Genesi Gn 4,1 non può trattarsi di un’accettazione passiva della propria determinazione da parte del corpo e del sesso, proprio perché si tratta di "conoscenza"!

È, invece, una ulteriore scoperta del significato del proprio corpo, scoperta comune e reciproca, così come comune e reciproca è dall’inizio l’esistenza dell’uomo, che "Dio creò maschio e femmina". La conoscenza, che stava alla base della solitudine originaria dell’uomo, sta ora alla base di quest’unità dell’uomo e della donna, la cui chiara prospettiva è stata racchiusa dal Creatore nel mistero stesso della creazione (Gn 1,27 Gn 2,23). In questa "conoscenza", l’uomo conferma il significato del nome "Eva", dato a sua moglie, "perché essa fu madre di tutti i viventi" (Gn 3,20).

2. Secondo Genesi Gn 4,1 colui che conosce è l’uomo e colei che è conosciuta è la donna-moglie, come se la specifica determinazione della donna, attraverso il proprio corpo e sesso, nascondesse ciò che costituisce la profondità stessa della sua femminilità. L’uomo, invece, è colui che - dopo il peccato - ha sentito per primo la vergogna della sua nudità, e per primo ha detto: "Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto" (Gn 3,10). Occorrerà ancora tornare separatamente allo stato d’animo di entrambi dopo la perdita dell’innocenza originaria. Già fin d’ora, però, bisogna costatare che nella Genesi Gn 4,1, il mistero della femminilità si manifesta e si rivela fino in fondo mediante la maternità, come dice il testo: "la quale concepì e partorì". La donna sta davanti all’uomo come madre, soggetto della nuova vita umana che in essa è concepita e si sviluppa, e da essa nasce al mondo. Così si rivela anche fino in fondo il mistero della mascolinità dell’uomo, cioè il significato generatore e "paterno" del suo corpo (2).


3. La teologia del corpo, contenuta nel Libro della Genesi, è concisa e parca di parole. Nello stesso tempo, vi trovano espressione contenuti fondamentali, in un certo senso primari e definitivi. Tutti si ritrovano a loro modo, in quella biblica "conoscenza". Differente, rispetto all’uomo, è la costituzione della donna; anzi, oggi sappiamo che è differente fino alle determinanti biofisiologiche più profonde. Essa si manifesta al di fuori soltanto in una certa misura, nella costruzione e nella forma del suo corpo. La maternità manifesta tale costituzione al di dentro, come particolare potenzialità dell’organismo femminile, che con peculiarità creatrice serve al concepimento e alla generazione dell’essere umano, col concorso dell’uomo. La "conoscenza" condiziona la generazione.

La generazione è una prospettiva, che uomo e donna inseriscono nella loro reciproca "conoscenza". Questa, perciò, oltrepassa i limiti di soggetto-oggetto, quali uomo e donna sembrano essere a vicenda, dato che la "conoscenza" indica da una parte colui che "conosce" e dall’altra colei che "è conosciuta" (o viceversa). In questa "conoscenza" si racchiude anche la consumazione del matrimonio, lo specifico consummatum; così si ottiene il raggiungimento della "oggettività" del corpo, nascosta nelle potenzialità somatiche dell’uomo e della donna, ed insieme il raggiungimento della oggettività dell’uomo che "è" questo corpo. Mediante il corpo, la persona umana è "marito" e "moglie"; in pari tempo, in questo particolare atto di "conoscenza", mediato dalla femminilità e mascolinità personali, sembra raggiungersi anche la scoperta della "pura" soggettività del dono: cioè, la mutua realizzazione di sé nel dono.

4. La procreazione fa sì che "l’uomo e la donna (sua moglie)" si conoscano reciprocamente nel "terzo", originato da ambedue. perciò, questa "conoscenza" diventa una scoperta, in certo senso una rivelazione del nuovo uomo, nel quale entrambi, uomo e donna, riconoscono ancora se stessi, la loro umanità, la loro viva immagine. In tutto ciò che viene determinato da entrambi attraverso il corpo ed il sesso, la "conoscenza" iscrive un contenuto vivo e reale. Pertanto, la "conoscenza" in senso biblico significa che la determinazione "biologica" dell’uomo, da parte del suo corpo e sesso, cessa di essere qualcosa di passivo, e raggiunge un livello e un contenuto specifici alle persone autocoscienti e autodeterminanti; quindi essa comporta una particolare coscienza del significato del corpo umano legata alla paternità e alla maternità.

5. Tutta la costituzione esteriore del corpo della donna, il sua particolare aspetto, le qualità che con la forza di una perenne attrattiva stanno all’inizio della "conoscenza", di cui parla Genesi (Gn 4,1-2) ("Adamo si unì a Eva sua moglie"), sono in stretta unione con la maternità. La Bibbia (e in seguito la liturgia), con la semplicità che le è propria, onora e loda lungo i secoli "il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte" (Lc 11,27). Queste parole costituiscono un elogio della maternità, della femminilità, del corpo femminile nella sua tipica espressione dell’amore creatore. E sono parole riferite nel Vangelo alla Madre di Cristo, Maria, seconda Eva. La prima donna, invece, nel momento in cui per la prima volta si rivelò la maturità materna del suo corpo, quando "concepì e partorì", disse: "Ho acquistato un uomo dal Signore" (Gn 4,1).

6. Queste parole esprimono tutta la profondità teologica della funzione di generare-procreare. Il corpo della donna diventa luogo del concepimento del nuovo uomo (3). Nel suo grembo, l’uomo concepito assume il suo aspetto umano proprio, prima di essere messo al mondo. L’omogeneità somatica dell’uomo e della donna, che ha trovato la sua prima espressione nelle parole: "È carne della mia carne e osso delle mie ossa" (Gn 2,23), è confermata a sua volta dalle parole della prima donna-madre: "Ho acquistato un uomo!". La prima donna partoriente ha piena consapevolezza del mistero della creazione, che si rinnova nella generazione umana. Ha anche piena consapevolezza della partecipazione creativa che Dio ha nella generazione umana, opera sua e di suo marito, poiché dice: "Ho acquistato un uomo dal Signore".

Non può esservi alcuna confusione tra le sfere d’azione delle cause. I primi genitori trasmettono a tutti i genitori umani - anche dopo il peccato, insieme al frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male e quasi alla soglia di tutte le esperienze "storiche" - la verità fondamentale circa la nascita dell’uomo a immagine di Dio, secondo le leggi naturali. In questo nuovo uomo - nato dalla donna-genitrice per opera dell’uomo-genitore - si riproduce ogni volta la stessa "immagine di Dio", di quel Dio che ha costituito l’umanità del primo uomo: "Dio creò l’uomo a sua immagine; ...maschio e femmina li creò" (Gn 1,27).

7. Sebbene esistano profonde differenze tra lo stato d’innocenza originaria e lo stato di peccaminosità ereditaria dell’uomo, quella "immagine di Dio" costituisce una base di continuità e di unità.La "conoscenza", di cui parla Genesi Gn 4,1, è l’atto che origina l’essere, ossia in unione col Creatore stabilisce un nuovo uomo nella sua esistenza. Il primo uomo, nella sua solitudine trascendentale, ha preso possesso del mondo visibile, creato per lui, conoscendo e imponendo i nomi agli esseri viventi (animalia). Lo stesso "uomo", come maschio e femmina, conoscendosi reciprocamente in questa specifica comunità-comunione di persone, nella quale l’uomo e la donna si uniscono così strettamente tra loro da diventare "una sola carne", costituisce l’umanità, cioè conferma e rinnova l’esistenza dell’uomo quale immagine di Dio. Ogni volta entrambi, uomo e donna, riprendono, per così dire, questa immagine dal mistero della creazione e la trasmettono "con l’aiuto di Dio-Jahvè".

Le parole del Libro della Genesi, che sono una testimonianza della prima nascita dell’uomo sulla terra, racchiudono contemporaneamente in sé tutto ciò che si può e si deve dire della dignità della generazione umana.

(1) Quanto agli archetipi, C. G. Jung li descrive come forme "a priori" di varie funzioni dell’anima: percezione di relazioni, fantasia creativa. Le forme si riempiono di contenuto con materiali dell’esperienza. Esse non sono inerti, bensì sono cariche di sentimento e di tendenza [si veda soprattutto: Die psychologischen Aspekte des Mutterarchetypus "Eranos", 6, 1938, pp. 405-409]. Secondo questa concezione, si può incontrare un archetipo nella mutua relazione uomo-donna, relazione che si basa nella realizzazione binaria e complementare delI’essere umano in due sessi. L’archetipo si riempirà di contenuto mediante l’esperienza individuale e collettiva, e può mettere in moto la fantasia creatrice di immagini. Bisognerebbe precisare che l’archetipo: a) non si limita né si esalta nel rapporto fisico, bensì include la relazione del "conoscere"; b) è carico di tendenza: desiderio-timore, dono-possessione; c) l’archetipo, come protoimmagine ["Urbild"] è generatore di immagini ["Bilder"]. Il terzo aspetto ci permette di passare all’ermeneutica, in concreto quella di testi della Scrittura e della Tradizione. Il linguaggio religioso primario è simbolico [cf. W. Stählin, Symbolon, 1958; I. Macquarrie, God Talk, 1968; T. Fawcett, The Symbolic Language of Religion, 1970]. Tra i simboli, egli ne preferisce alcuni radicali o esemplari, che possiamo chiamare archetipali. Orbene, tra di essi la Bibbia usa quello della relazione coniugale, concretamente al livello del "conoscere" descritto. Uno dei primi poemi biblici, che applica l’archetipo coniugale alle relazioni di Dio col suo popolo, culmina nel verbo commentato: "Conoscerai il Signore" [Os 2,22: weyadacta ‘et Yhwh; attenuato in "Conoscerà che io sono il Signore" = wydct ky ‘ny Yhwh: Is 49,23; 60,16; Ez 16,62, che sono i tre poemi "coniugali"]. Di qui parte una tradizione letteraria, che culminerà nell’applicazione Paolina di Efesini 5 a Cristo e alla Chiesa; poi passerà alla tradizione patristica e a quella dei grandi mistici [per esempio S. Giovanni della Croce, Llama de amor viva]. Nel trattato Grundzüge der Literatur - und Sprachwissenschaft, vol. I, München 1976, IV ed., p. 462, così si definiscono gli archetipi: "Immagini e motivi arcaici, che secondo Jung formano il contenuto dell’inconscio collettivo comune a tutti gli uomini; essi presentano dei simboli, che in tutti i tempi e presso tutti i popoli rendono vivo in maniera immaginosa ciò che per l’umanità è decisivo quanto ad idee, rappresentazioni e istinti". Freud, a quanto risulta, non utilizza il concetto di archetipo. Egli stabilisce una simbolica o codice di corrispondenze fisse tra immagini presenti-patenti e pensieri latenti. Il senso dei simboli è fisso, anche se non unico; essi possono essere riducibili ad un pensiero ultimo irriducibile a sua volta, che suole essere qualche esperienza dell’infanzia. Questi sono primari e di carattere sessuale [però non li chiama archetipi]. Si veda T. Todorov, Théories da symbol, Paris 1977, pp. 317ss.; inoltre: J. Jacoby, Komplex, Archetyp, Symbol in der Psychologie C. G. Jungs, Zürich 1957.

(2) La paternità è uno degli aspetti dell’umanità più rilevanti nella Sacra Scrittura. Il testo di (Gn 5,3): "Adamo... generò a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio" si ricollega Esplicitamente al racconto della creazione dell’uomo (Gn 1,27 Gn 5,1) e sembra attribuire al padre terrestre la partecipazione all’opera divina di trasmettere la vita, e forse anche a quella gioia presente all’affermazione: "vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31).

(3) Secondo il testo di Genesi (Gn 1,26) la "chiamata" all’esistenza è nello stesso tempo trasmissione dell’immagine e della somiglianza divina. L’uomo deve procedere a trasmettere quest’immagine, continuando così l’opera di Dio. Il racconto della generazione di Set sottolinea questo aspetto: "Adamo aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio" (Gn 5,3). Dato che Adamo e Eva erano immagine di Dio, Set eredita dai genitori questa somiglianza per trasmetterla agli altri. Nella S. Scrittura, però, ogni vocazione è unita ad una missione; quindi la chiamata all’esistenza è già predestinazione all’opera di Dio: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato" (Jr 1,5 cfr anche Is 44,1 Is 49,1 Is 49,5). Dio è colui che non soltanto chiama all’esistenza, ma sostiene e sviluppa la vita fin dal primo momento del concepimento: "Sei tu che mi hai tratto dal grembo, / mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. / Al mio nascere tu mi hai accolto, / dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio" (Ps 22,10 Ps 22,11 Ps 139,13-15). L’attenzione dell’autore biblico si accentra sul fatto stesso del dono della vita. L’interessamento per il modo in cui ciò avviene è piuttosto secondario e appare soltanto nei libri posteriori (Jb 10,8].

Saluti:


A pellegrini di lingua tedesca

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Alle Religiose

MI RIVOLGO ORA alle numerose Religiose, presenti a Roma per frequentare un corso di formazione e di perfezionamento per maestre di formazione, organizzato dall’Unione Superiore Maggiori d’Italia.

Carissime Sorelle in Cristo, pongo il vostro lavoro e i vostri propositi di bene sotto la protezione di Maria Santissima, "Mater Divinae Gratiae", perché vi ispiri a saper dire a Dio, in tutte le circostanze della vostra vita di anime consacrate, la sua proclamazione di assoluta disponibilità alla grazia: "Eccomi, sono la serva del Signore!".

A voi e a tutte le vostre consorelle la mia particolare Benedizione Apostolica.

Ad un pellegrinaggio proveniente dalla diocesi di Firenze

DESIDERO POI SALUTARE il gruppo di pellegrini provenienti da Firenze. Carissimi, voi mi recate la testimonianza dell’attaccamento che lega la Chiesa fiorentina alla Sede di Pietro. Ve ne sono cordialmente grato. So che nella vostra diocesi ha avuto inizio la Visita Pastorale, la quale vuole risvegliare in tutti una rinnovata coscienza del "dono di Dio" e tutti chiamare ad un più deciso impegno di evangelizzazione nei confronti dell’ampia cerchia di persone che, per ragioni diverse, si tengono lontane dalla Chiesa, la ignorano o addirittura la osteggiano.

Esprimo l’augurio che l’intera Comunità diocesana sappia corrispondere generosamente all’invito del suo Pastore e voglia partecipare attivamente, rendendosi segno della divina presenza e strumento della parola e della grazia di Cristo "redentore dell’uomo". Con questi sentimenti ed in auspicio di copiosi favori celesti su di un’iniziativa pastorale tanto importante, imparto a voi ed alla cara Chiesa di San Zanobi e di Sant’Antonio la mia Apostolica Benedizione.


Al pellegrinaggio dei Periti Industriali

SALUTO ORA il numerosissimo gruppo dei Periti Industriali, venuti a questa Udienza in occasione del cinquantesimo anniversario del loro ordinamento in rappresentanza di ben quindicimila loro colleghi.

Fratelli carissimi, la vostra specifica collocazione, che vi pone, quasi ideale anello di unione, tra le maestranze e gli organi direttivi superiori, mostra la delicatezza e l’importanza dei vostri compiti e delle vostre funzioni nella società contemporanea.

Auspico che nella vostra vita professionale sia sempre animata e sorretta da limpida onestà, da grande serietà, da consumata laboriosità, ma specialmente da un profondo e vicendevole rispetto per gli altri, nel nome della fraternità cristiana. Contribuite, pertanto, al progresso autentico del Paese con la vostra preparazione professionale e con le vostre interiori ricchezze di bontà, di intelligenza, di fantasia, perché la pace sociale e la civile convivenza siano un legittimo, comune beneficio di tutti.

A voi, alle vostre famiglie ed a tutte le persone che vi sono care va la mia speciale Benedizione Apostolica.

Ai membri del Circolo Magistrati della Corte dei Conti

SALUTO ANCHE i Soci del "Circolo Magistrati della Corte dei Coti", il loro Presidente e i loro familiari, presenti a questa Udienza per ricordare i 15 anni della fondazione del loro Sodalizio. Il Signore vi benedica e vi conceda di trasformare il vostro Circolo in una palestra di crescente amicizia nello spirito di pace e di amore proprio del Vangelo, per adempiere con sempre maggiore dedizione i gravi e delicati impegni della vostra alta professione.

Ai numerosi funzionari del Banco di Roma

RIVOLGO ORA un saluto anche ai numerosi funzionari di direzione del Banco di Roma, provenienti tanto dalle filiali italiane che da quelle estere del medesimo Istituto, il quale celebra in questi giorni il centenario della propria fondazione.

Auguro di cuore a voi tutti che nella dedizione al vostro lavoro possiate realizzare la vostra personalità e contribuire, tramite i mezzi a voi affidati, allo sviluppo ed al benessere sociale.

La benedizione, che volentieri concedo a voi, è anche indirizzata a tutti i vostri Colleghi, ai vostri Collaboratori ed ai vostri Familiari.


Agli Ufficiali Allievi della Scuola di Civitavecchia

HO IL PIACERE ora di salutare il bel gruppo degli Ufficiali allievi e gli Addetti ai servizi della "Scuola di Stato Maggiore", i quali, accompagnati dal Generale di Corpo d’Armata, dagli Insegnanti e dai familiari, sono venuti a portare a questa Udienza una nota di giovanile entusiasmo.

Vi ringrazio per questa presenza e traendo lo spunto dal motto della vostra Scuola: "Alere flammam", vi dico: alimentate sempre nel vostro animo la fiamma degli ideali cristiani, compite con serietà ed impegno i vostri corsi per portare domani nel campo delle vostre attività quel senso di responsabilità, di dignità e di dedizione che la società si attende da voi.

A questo fine vi sia di sostegno la mia speciale Benedizione.

Agli ammalati

UNA SPECIALE PAROLA di saluto vada ora a tutti voi, fratelli ammalati qui presenti.

Carissimi, in questo periodo di Quaresima cercate di fare vostro l’invito di San Paolo a "rivestirvi di nostro Signore Gesù" ed a "conformarvi alla Passione e morte di Cristo", vivendo nella vostra carne la realtà del dolore, sull’esempio di Gesù sofferente, come via sicura alla gioia della Risurrezione. Procurate, pertanto, di realizzare con generosità questa vostra vocazione, basandola su una profonda fede cristiana e su un ardente amore a Cristo. La mia benedizione accompagni voi e quanti con amore di assistono nella vostra offerta quotidiana.

Agli sposi novelli

UNO SPECIALE SALUTO ed un fervido augurio anche a voi, Sposi novelli, presenti oggi a questa Udienza.

Vi esorto ad essere riconoscenti al Signore del dono della famiglia che avete appena formato e che il Concilio Vaticano II chiama "chiesa domestica". Siatene orgogliosi e custoditela con ogni cura. Nella famiglia potrete e dovrete trovare l’ambiente propizio alla vostra santificazione.

Per l’adempimento di questa cristiana missione, prego il Signore e la Vergine Maria che vi benedicano e vi proteggano.


Catechesi 79-2005 50380