Catechesi 79-2005 12380

Ai giovani nella Basilica Vaticana

Carissimi giovani! Cari ragazzi e fanciulle!

Siete venuti numerosi e forse anche di lontano a Roma, per pregare sulla tomba di san Pietro, per vedere il suo successore e per sentire la sua parola. Vi saluto di vero cuore e vi ringrazio della vostra visita, della quale auspico che portiate alle vostre case un ricordo e un sentimento che siano efficaci nella vostra vita.

Siamo nel tempo liturgico della Quaresima, cioè in quel periodo particolare dell’anno, più pensoso e più austero, che ci porta giorno dopo giorno alla Settimana Santa e specialmente al Venerdì Santo, il giorno che ricorda la morte di Gesù in croce per la nostra salvezza.

San Paolo, scrivendo ai cristiani della città di Filippi, affermava: "Gesù Cristo umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,8). Umiliò se stesso; si è fatto obbediente: sono parole che oggi sembrano inattuali, specie se dette a dei giovani, quando c’è tutta una sistematica opposizione all’obbedienza, che viene presentata come una umiliazione della propria personalità, una sconfitta dell’intelligenza e della volontà, una abdicazione alla propria dignità umana; e si predica l’autonomia, la rivolta, la ribellione...

Invece proprio Gesù ci ha dato l’esempio dell’obbedienza fino alla morte di croce! E perciò io vi esorto all’obbedienza, parlandovi in nome di Gesù!

Certamente nella società in cui dobbiamo vivere, vi è chi non sa più comandare nel modo giusto; e perciò l’obbedienza, quand’è necessario, deve essere rispettosamente critica.

Ma vi sono anche, e quanto numerosi!, coloro che sono un insegnamento vivente del bene: ottimi papà e mamme, che vi amano e desiderano solo guidarvi per la retta strada; maestri, professori e presidi che vi seguono con delicata premura; sacerdoti equilibrati e saggi, ansiosi solo della vostra vera felicità e della vostra salvezza; suore e catechiste, dedite unicamente alla vostra autentica formazione... Ebbene io vi dico, ascoltateli, obbediteli!

Come ben sapete, tutti i santi sono passati attraverso la prova, talvolta addirittura eroica dell’obbedienza: come Maria santissima, come san Giuseppe, i quali non fecero altro che obbedire alla voce di Dio che li chiamava ad una missione ben sublime, ma anche sconcertante e misteriosa!

Perché dovete obbedire?

Prima di tutto perché l’obbedienza è necessaria nel quadro generale della Provvidenza: Dio non ci ha creati a caso, ma per un fine ben chiaro e lineare: la sua gloria eterna e la nostra felicità. I genitori e tutti coloro che hanno responsabilità su di noi, devono, in nome di Dio, aiutarci a raggiungere il fine voluto dal Creatore.

Inoltre, l’obbedienza esterna insegna anche ad obbedire alla legge interiore della coscienza, ossia alla volontà di Dio espressa nella legge morale.

Infine, dovete obbedire anche perché l’obbedienza rende serena e consolante la vita: quando siete obbedienti in casa, a scuola, sul lavoro, siete più lieti e portate gioia nell’ambiente.

E come dovete obbedire?

Con amore e anche con santo coraggio, ben sapendo che quasi sempre l’obbedienza è difficile, costa sacrificio, esige impegno e talvolta importa perfino uno sforzo eroico. Bisogna guardare Gesù Crocifisso! Bisogna anche obbedire con fiducia, convinti che la grazia di Dio non manca mai e che poi l’anima viene colmata di immensa gioia interiore. Lo sforzo dell’obbedienza viene ripagato con una continua letizia pasquale.

Ecco, o carissimi, l’esortazione che desideravo darvi mentre viviamo il tempo della Quaresima. Vi aiuti e vi accompagni sempre la benedizione apostolica, che di cuore imparto a voi, ai vostri genitori e ai vostri insegnanti.





Mercoledì, 19 marzo 1980, Aula Paolo VI: Giuseppe: l’uomo al quale Dio confidò i suoi misteri

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Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai ragazzi presenti nella Basilica Vaticana



1. Dedichiamo il nostro odierno incontro, che cade il 19 marzo, a colui che la Chiesa, in questo giorno, secondo una tradizione antichissima, circonda con la venerazione dovuta ai più grandi santi.

Il 19 marzo è la solennità di san Giuseppe, lo sposo di Maria santissima, Madre di Cristo. Già nel secolo X troviamo segnalata in vari calendari questa festività. Il Papa Sisto IV la accolse nel calendario della Chiesa di Roma a partire dall’anno 1479. Nel 1621 essa venne inserita nel calendario della Chiesa universale.

Interrompendo quindi la serie delle nostre meditazioni, che stiamo svolgendo ormai da tempo, rivolgiamoci oggi a questa figura così cara e vicina al cuore della Chiesa e, nella Chiesa, ad ognuno e a tutti coloro che cercano di conoscere le vie della salvezza, e di camminare su di esse nella loro vita terrena. L’odierna meditazione ci prepari alla preghiera, affinché, riconoscendo le grandi opere di Dio in colui al quale egli ha confidato i suoi misteri, cerchiamo nella nostra vita personale il riflesso vivo di queste opere per compierle con la fedeltà, l’umiltà e la nobiltà di cuore che furono proprie di san Giuseppe.


2. "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (
Mt 1,20-21).

Troviamo queste parole nel capitolo primo del Vangelo secondo Matteo. Esse - soprattutto nella seconda parte - suonano simili a quelle che ascoltò Miriam, cioè Maria, nel momento dell’Annunciazione.Tra qualche giorno - il 25 marzo - ricorderemo nella liturgia della Chiesa il momento in cui quelle parole furono pronunciate a Nazaret "a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria" (Lc 1,27).

La descrizione dell’annunciazione si trova nel Vangelo secondo Luca.

In seguito Matteo nota di nuovo che, dopo le nozze di Maria con Giuseppe "prima che andassero a vivere insieme, ella si trovò incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18).

Così dunque si compì in Maria il mistero che aveva avuto il suo inizio nel momento dell’annunciazione, nel momento, in cui la Vergine rispose alle parole di Gabriele: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38).

A mano a mano che il mistero della maternità di Maria si rivelava alla coscienza di Giuseppe, egli, "che era giusto, non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto" (Mt 1,19), così dice il seguito della descrizione di Matteo.

E proprio allora Giuseppe, sposo di Maria e dinanzi alla legge già suo marito, riceve la sua personale "Annunciazione".

Egli sente durante la notte le parole che abbiamo riportato sopra, le parole, che sono spiegazione e nello stesso tempo invito da parte di Dio: "Non temere di prendere con te Maria" (Mt 1,20).

3. Nello stesso tempo Dio affida a Giuseppe il mistero, il cui compimento avevano aspettato da tante generazioni la stirpe di Davide e tutta la "casa d’Israele", ed al tempo stesso affida a Lui tutto ciò da cui dipende il compimento di tale mistero nella storia del Popolo di Dio.

Dal momento in cui tali parole sono giunte alla sua coscienza, Giuseppe diventa l’uomo della divina elezione: l’uomo di un particolare affidamento. Viene definito il suo posto nella storia della salvezza. Giuseppe entra in questo posto con la semplicità e l’umiltà, in cui si manifesta la profondità spirituale dell’uomo; ed egli lo riempie completamente con la sua vita.

"Destatosi dal sonno - leggiamo da Matteo - Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore" (Mt 1,24). In queste poche parole c’è tutto. Tutta la descrizione della vita di Giuseppe e la piena caratteristica della sua santità: "Fece". Giuseppe, quello che conosciamo dal Vangelo, è uomo di azione.


È uomo di lavoro. Il Vangelo non ha conservato alcuna sua parola. Ha descritto invece le sue azioni: azioni semplici, quotidiane, che hanno nello stesso tempo il significato limpido per il compimento della promessa divina nella storia dell’uomo; opere piene della profondità spirituale e della semplicità matura.

4. Tale è l’attività di Giuseppe, tali sono le sue opere, prima che gli fosse rivelato il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, che lo Spirito Santo aveva operato nella sua sposa. Tale è anche l’opera ulteriore di Giuseppe, quando - già consapevole del mistero della maternità verginale di Maria - rimane accanto a lei nel periodo precedente la nascita di Gesù e soprattutto nella circostanza della Natività.

Poi vediamo Giuseppe nel momento della presentazione al tempio e dell’arrivo dei re magi dall’oriente. Poco dopo si inizia il dramma dei neonati a Betlemme. Giuseppe di nuovo viene chiamato e istruito dalla voce dall’alto su come deve comportarsi.

Intraprende la fuga in Egitto con la Madre e il Fanciullo.

Dopo breve tempo, il ritorno alla nativa Nazaret.

Lì finalmente ritrova la sua casa e l’officina, alla quale sarebbe tornato certamente prima se non glielo avessero impedito le atrocità di Erode. Quando Gesù ha dodici anni, si reca con lui e con Maria a Gerusalemme.

Nel tempio di Gerusalemme, dopo che tutti e due hanno ritrovato Gesù smarrito, Giuseppe sente queste misteriose parole:

"Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49).

Così diceva il ragazzo di 12 anni, e Giuseppe, così come Maria, sanno bene di Chi parla.

Nondimeno, nella casa di Nazaret, Gesù era loro sottomesso (Lc 2,51): a loro due, a Giuseppe e Maria, così come un figlio è sottomesso ai suoi genitori. Passano gli anni della vita nascosta della Sacra Famiglia di Nazaret. Il Figlio di Dio - mandato dal Padre - è nascosto per il mondo, nascosto per tutti gli uomini, perfino per quelli più vicini. Soltanto Maria e Giuseppe conoscono il suo mistero. Vivono nella sua cerchia. Vivono questo mistero quotidianamente. Il Figlio dell’eterno Padre passa, dinanzi agli uomini, per loro figlio; per "il figlio del carpentiere" (Mt 13,55). Quando inizierà il tempo della sua missione pubblica, Gesù si richiamerà nella sinagoga di Nazaret alle parole di Isaia, che in quel momento si adempiono in lui, i vicini e compaesani diranno: "Non è il figlio di Giuseppe?" (cfr Mt 4,16-22).

Il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, durante i trent’anni della vita terrestre è rimasto nascosto: si è nascosto all’ombra di Giuseppe.


Nello stesso tempo Maria e Giuseppe rimasero nascosti in Cristo, nel suo mistero e nella sua missione. In particolare Giuseppe, che - come si può dedurre dal Vangelo - lasciò il mondo prima che Gesù si rivelasse ad Israele come il Cristo, rimase nascosto nel mistero di colui che il Padre celeste gli aveva affidato quando era ancora nel grembo della Vergine, quando gli aveva detto mediante l’angelo: "Non temere di prendere con te Maria tua sposa" (Mt 1,20).

Erano necessarie anime profonde - come santa Teresa di Gesù - e gli occhi penetranti della contemplazione, perché potessero essere rivelati gli splendidi tratti di Giuseppe di Nazaret: colui del quale il Padre celeste volle fare, sulla terra, l’uomo del suo affidamento.

Tuttavia la Chiesa è stata sempre consapevole, e oggi lo è in modo particolare, di quanto fondamentale sia stata la vocazione di quell’uomo: dello sposo di Maria, di colui che, dinanzi agli uomini, passava per il padre di Gesù e che fu, secondo lo spirito, una incarnazione perfetta della paternità nella famiglia umana ed insieme sacra.

In questa luce, i pensieri e il cuore della Chiesa, la sua preghiera ed il suo culto, si rivolgono a Giuseppe di Nazaret. In questa luce l’apostolato e la pastorale trovano in lui appoggio in quel campo vasto e insieme fondamentale che è la vocazione matrimoniale e dei genitori, tutta la vita nella famiglia, piena della sollecitudine semplice e servizievole del marito per la moglie, del padre e della madre per i figli - la vita nella famiglia - in quella "Chiesa più piccola" sulla quale si costruisce ogni Chiesa.

E poiché nel corrente anno ci prepariamo al Sinodo dei Vescovi il cui tema è "De muneribus familiae christianae", tanto maggiormente sentiamo il bisogno dell’intercessione di san Giuseppe e del suo aiuto nei nostri lavori.

La Chiesa che come società del Popolo di Dio, chiama se stessa anche la famiglia di Dio, vede pure il posto singolare di san Giuseppe nei confronti di questa grande famiglia e lo riconosce come suo patrono particolare.

Questa meditazione risvegli in noi il bisogno della preghiera per l’intercessione di colui in cui il Padre celeste ha espresso, sulla terra, tutta la dignità spirituale della paternità. La meditazione sulla sua vita e sulle sue opere, così profondamente nascoste nel mistero di Cristo e, al tempo stesso, così semplici e limpide, aiuti tutti a ritrovare il giusto valore e la bellezza della vocazione, alla quale ogni famiglia umana attinge la sua forza spirituale e la santità.

Con questi sentimenti rivolgiamo ora a Dio la nostra preghiera.

Fratelli carissimi!

Dio si è degnato di scegliere l’uomo e la donna per collaborare, nell’amore e nel lavoro, alla sua opera di creazione e di redenzione del mondo.

Eleviamo insieme la nostra preghiera a Dio, interponendo l’intercessione di san Giuseppe capo della santa famiglia di Nazaret e patrono della Chiesa universale.


Preghiamo insieme e diciamo: "Ascoltaci, o Signore!"

1. Per tutti i pastori e ministri della Chiesa, perché servano il Popolo di Dio con dedizione attiva e generosa, come san Giuseppe servì degnamente il Signore Gesù e la Vergine Madre, preghiamo.

2. Per i pubblici poteri, perché al servizio del bene comune reggano la vita economica e sociale con giustizia e rettitudine, nel rispetto dei diritti e della dignità di tutti, preghiamo.

3. Perché Dio si degni di unire alla passione del suo Figlio le fatiche e le sofferenze dei lavoratori, l’angoscia dei disoccupati, la pena degli oppressi, e perché doni a tutti l’aiuto e il conforto, preghiamo.

4. Per tutte le nostre famiglie e per tutti i loro componenti: genitori, figli, anziani, parenti, perché nel rispetto della vita e della personalità di ciascuno, tutti collaborino nella crescita della fede e della carità, per essere testimoni autentici del Vangelo, preghiamo.

O Signore, dona ai tuoi fedeli lo Spirito di verità e di pace, perché ti conoscano con tutta l’anima, e nel compimento generoso di ciò che a te piace, possano sempre godere dei tuoi benefici.

Per Cristo nostro Signore.

Amen.

Saluti:

Al pellegrinaggio francese




Al "Council of Christians and Jews"

A numerosi pellegrini irlandesi


Ai Monaci Benedettini

DESIDERO ORA rivolgere un saluto particolare ai Monaci Benedettini della Basilica di San Paolo fuori le Mura, guidati dal loro nuovo Abate e presenti all’udienza insieme con un gruppo di Parrocchiani, i Monaci Benedettini di San Pietro di Perugia accompagnati da alcuni fedeli e Animatori pastorali dell’Associazione "Segretariato Assistenza Famiglie".

Cari Figli di San Benedetto e cari fedeli che a Lui vi ispirate!

Mentre già viviamo con intensa partecipazione la letizia spirituale che sgorga dalle solennità commemorative del XV centenario della sua nascita, vi ricordo la scultorea e programmatica esortazione con cui il grande Patriarca riassume e conclude la sua celebre "Regola": "Christo omnimo nihil praeponant, qui nos pariter ad vitam aeternam perducat": non preferire mai nulla all’amore di Cristo, che desidera condurci tutti alla vita eterna del Cielo!

Sia questo il vostro programma di vita. E’ quanto vi auguro di cuore, per il bene vostro e dell’umanità, assetata di quella pace e di quell’ordine che San Benedetto promosse con le sue benefiche istituzioni.

Vi accompagni la mia particolare Benedizione Apostolica.


Agli sposi aderenti al Movimento dei Focolari

UN SALUTO CORDIALE giunga pure ai numerosi sposi provenienti da tutta l’Europa e appartenenti al Movimento dei Focolari, incontratisi a Roma per un corso sulla carità, e ai volontari italiani dello stesso Movimento, riuniti anch’essi in un Congresso annuale sul tema: "La carità come ideale".

Carissimi, senza una fede sicura e profonda in Gesù Cristo, il Verbo Divino incarnato e moro in Croce per l’umanità, non è possibile amare veramente e concretamente. Siate pertanto i testimoni di questa verità essenziale: l’autentica carità è possibile solo in Gesù Cristo conosciuto, amato e seguito con fede serena e coraggiosa.

Vi sostenga la mia benedizione.

Agli ammalati

AI CARISSIMI INFERMI, qui presenti, ed a quanti soffrono nel corpo e nello spirito, desidero rivolgere il mio cordiale saluto, che accompagno con paterni voti e con l’assicurazione del ricordo della preghiera.

La festività di S. Giuseppe mi porge l’occasione di esortarvi a volgere lo sguardo a Lui, uomo giusto e pio, per apprendere le grandi lezioni dell’assoluta fedeltà al Signore, per impetrare l’energia necessaria a superare con coraggio e merito le traversie della vita e per ottenere sempre la Sua potente e dolce protezione.

Col sorriso del Santo Patriarca, vi accompagni la mia benedizione!

Alle coppie di sposi novelli

ED ORA rivolgo una parola di cordiale saluto e di fervido augurio ai novelli Sposi, presenti a questa Udienza.

Il Signore benedica il vostro amore, sostenga il vostro generoso proposito di dare testimonianza di vita coniugale cristianamente esemplare e vi sia sempre vicino, col Suo aiuto, lungo il cammino che avete scelto di percorrere insieme fino alla morte.


S. Giuseppe, Sposo affettuoso, Padre esemplare, Uomo giusto, vi protegga sempre e vi conceda la grazia di vivere sempre secondo giustizia, cioè virtuosamente, per essere cari a Dio, sereni con voi stessi e buoni col prossimo.

Con tali voti, vi benedico di cuore.



Ai ragazzi presenti nella Basilica Vaticana



Carissimi giovani, ragazzi e fanciulle.

Vi do un cordialissimo benvenuto, e vi dico subito che sono veramente contento di trovarmi con voi, che provenite da parrocchie, scuole e associazioni le più varie. E poiché il nostro incontro avviene nel giorno della solennità liturgica di san Giuseppe, ne approfitto per ricordarvi la figura silenziosa ma importante di questo santo, che per tanti anni è stato accanto a Maria e a Gesù ed è venerato come patrono della Chiesa. Perciò sono lieto di fare gli auguri più cordiali a quanti di voi portano il suo nome.

Miei cari, ho già detto altre volte, e amo ancora ripetere, che voi siete la speranza non solo del mondo, ma soprattutto della Chiesa e del Papa in particolare. La vostra giovinezza infatti è ricca di promesse, come un albero fiorito a primavera promette già da solo abbondanza di frutti per le stagioni seguenti. Ecco perché, di fronte a voi, non si può fare a meno di essere fiduciosi, e di attendere, con pazienza ma con sicurezza, la piena maturazione delle molte virtualità, poste in voi sia dalla semplice natura umana, sia dallo Spirito che vi ha fatto cristiani, al battesimo.

L’importante è che voi non deludiate queste ardenti, e a volte ansiose aspettative della società sia civile che ecclesiale, la quale ama in voi rivedere non soltanto la ripetizione di se stessa, quanto soprattutto la realizzazione del proprio miglioramento, non solo mediante la correzione di ciò che è stato mal seminato, ma specialmente mediante la tenace prosecuzione di tutto ciò che è stato iniziato nel bene.

Ricordate le parole di san Paolo agli Efesini: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,... al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ep 5,25 Ep 5,27). Contrariamente a quanto capita a qualunque individuo vivente su questa terra, questo deve avvenire alla Chiesa: che, cioè. più il tempo passa ed i secoli si susseguono, essa, invece di invecchiare, deve ringiovanire sempre più, per essere sempre più all’altezza del suo sposo eternamente giovane, Gesù Cristo, il quale ormai "risuscitato dai morti non muore più" (Rm 6,9) ma è sempre "lo stesso, ieri, oggi e nei secoli" (He 13,8).

Carissimi, se non vi ponete sotto l’insegna di questa comunione col Signore, che ne sarà della vostra vita? Rischiereste di costruirla sulla sabbia, invece che sulla roccia! Quale senso, infatti, essa potrebbe avere, e quale gioia potrete testimoniare, se non siete uniti a colui che, secondo la Bibbia, "rallegra la mia giovinezza" (Ps 43,4) e fa "nuove tutte le cose" (Ap 21,5)?

Voi sapete che ormai, in questi giorni, siamo vicini a celebrare la solennità della Pasqua. Certamente vi state preparando con un cammino di fede e di conversione a questa festa che è la più grande di tutto l’anno liturgico. Da parte mia, vi raccomando di far sì che non solo un giorno all’anno, ma la vostra vita intera sia un’autentica Pasqua, come ci esorta san Paolo: "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e verità" (1Co 5,7-8). Perciò, sia davvero, la vostra una vita di risorti con Cristo e di testimoni dinamici del suo esaltante messaggio di fronte a tutto il mondo. Con lui, infatti, conoscerete davvero a fondo che cosa significa amare tanto gli uomini da dare la propria vita per loro (cfr Mc 10,45 Jn 3,16), che cosa significa promuovere la pace ed il progresso integrali, che cosa significa vivere nella luce, emanate dal "sole di giustizia" (Ml 3,20) che è appunto il Cristo risorto. E conoscerete pure che tale altezza di virtù e tale felice giovinezza non si raggiunge e non si mantiene senza l’austera esperienza della croce; e questa, a chi l’accoglie con fede, si rivela come il grande valore che accende i vostri entusiasmi, li verifica e, in definitiva, li esalta e rafforza.

Questo vi auguro con tutto il cuore, e per questo anche prego il Signore. E la mia benedizione sia pegno della sua grazia feconda, oltre che della mia paterna benevolenza.

Ai tedofori della fiaccola benedettina

Desidero ora rivolgere un saluto particolare ai mille giovani tedofori delle diocesi di Norcia e di Spoleto, e delle abbazie di Subiaco e di Monte Cassino, i quali, unitamente a numerosi familiari ed amici di varie scuole, nonché del centro sportivo italiano, sono venuti qui per far accendere e benedire dal Papa la fiaccola benedettina, la quale sarà poi recata dai medesimi atleti, attraverso le suddette citta, fino a Norcia, città natale di san Benedetto, per ricordare il XV centenario della nascita del grande patriarca dell’occidente, e di santa Scolastica, sua sorella.

Carissimi giovani, mentre portate in pugno e fate risplendere codesta fiaccola, ricordatevi di quali luminose tradizioni culturali e spirituali la terra umbra sia erede e custode, e siatene fieri! Compite codesta marcia nel segno di Cristo: Lumen Gentium! Possa codesta fiaccola suscitare negli animi sentimenti di fraternità, di concordia, e soprattutto di cristiana solidarietà verso coloro che ancora soffrono a motivo delle devastazioni del terremoto nella vostra terra.

Nel benedire ora codesta fiaccola, estendo il mio saluto beneaugurante a quanti si uniranno a voi nel nome del Signore, pregustando la gioia dell’incontro che, domenica prossima, avrò con la vostra amatissima regione.




Mercoledì, 26 marzo 1980, Basilica Vaticana: Il ciclo della conoscenza-generazione e la prospettiva della morte

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(Le cattive condizioni atmosferiche hanno consigliato di ricorrere alla consueta udienza in due fasi. Nella Basilica Vaticana si sono riuniti i pellegrini di lingua italiana che hanno assistito alla catequesi; nell'Aula Paolo VI erano presenti i pellegrini provenienti dagli altri Paesi del mondo)




1. Si avvia verso la fine il ciclo di riflessioni con cui abbiamo cercato di seguire il richiamo di Cristo trasmessoci da Matteo (
Mt 19,3-9) e da Marco (Mc 10,1-12): "Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: "Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?"" (Mt 19,4-5). L’unione coniugale, nel Libro della Genesi, è definita come "conoscenza": "Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì... e disse: "Ho acquistato un uomo dal Signore"" (Gn 4,1). Abbiamo cercato già nelle nostre precedenti meditazioni di far luce sul contenuto di quella "conoscenza" biblica. Con essa l’uomo, maschio-femmina, non soltanto impone il proprio nome, come ha fatto imponendo i nomi agli altri esseri viventi (animalia) prendendone così possesso, ma "conosce" nel senso di Genesi(Gn 4,1) (e di altri passi della Bibbia), e cioè realizza ciò che il nome "uomo" esprime: realizza l’umanità nel nuovo uomo generato. In certo senso, quindi, realizza se stesso, cioè l’uomo-persona.

2. In questo modo, si chiude il ciclo biblico della "conoscenza-generazione". Tale ciclo della "conoscenza" è costituito dall’unione delle persone nell’amore, che permette loro di unirsi così strettamente tra loro, da diventare un’unica carne. Il Libro della Genesi ci rivela pienamente la verità di questo ciclo. L’uomo, maschio e femmina, che, mediante la "conoscenza" di cui parla la Bibbia, concepisce e genera un essere nuovo, simile a lui, al quale può imporre il nome di "uomo" ("ho acquistato un uomo"), prende, per così dire, possesso della stessa umanità, o meglio la riprende in possesso. Tuttavia, ciò avviene in modo diverso da come aveva preso possesso di tutti gli altri esseri viventi (animalia), quando aveva imposto loro il nome. Infatti, allora, egli era diventato il loro signore, aveva cominciato ad attuare il contenuto del mandato del Creatore: "Soggiogate la terra e dominatela" (cfr Gn 1,28).

3. La prima parte, invece, dello stesso mandato: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra" (Gn 1,28) nasconde un altro contenuto e indica un’altra componente. L’uomo e la donna in questa "conoscenza", in cui danno inizio ad un essere simile a loro, del quale possono insieme dire che "è carne della mia carne e osso delle mie ossa" (Gn 2,24), vengono quasi insieme "rapiti", insieme presi ambedue in possesso dall’umanità che essi, nell’unione e nella "conoscenza" reciproca, vogliono esprimere nuovamente, prendere nuovamente in possesso, ricavandola da loro stessi, dalla propria umanità, dalla mirabile maturità maschile e femminile dei loro corpi e in fine - attraverso tutta la sequenza dei concepimenti e delle generazioni umane fin dal principio - dal mistero stesso della Creazione.

4. In questo senso, si può spiegare la "conoscenza" biblica come "possesso". È possibile vedere in essa qualche equivalente biblico dell’"eros"? Si tratta qui di due ambiti concettuali, di due linguaggi: biblico e platonico; soltanto con grande cautela essi possono essere interpretati l’uno con l’altro [1]. Sembra, invece, che nella rivelazione originaria non sia presente l’idea del possesso della donna da parte dell’uomo, o viceversa, come di un oggetto. D’altronde, è però noto che, in base alla peccaminosità contratta dopo il peccato originale, uomo e donna debbono ricostruire, con fatica, il significato del reciproco dono disinteressato. Questo sarà il tema delle nostre ulteriori analisi.


5. La rivelazione del corpo, racchiusa nel Libro della Genesi, particolarmente nel capitolo 3, dimostra con impressionante evidenza che il ciclo della "conoscenza-generazione", così profondamente radicato nella potenzialità del corpo umano, è stato sottoposto, dopo il peccato, alla legge della sofferenza e della morte. Dio-Jahvé dice alla donna: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli" (Gn 3,16). L’orizzonte della morte si apre dinanzi all’uomo, insieme alla rivelazione del significato generatore del corpo nell’atto della reciproca "conoscenza" dei coniugi. Ed ecco che il primo uomo, maschio, impone a sua moglie il nome di Eva, "perché essa fu la madre di tutti i viventi" (Gn 3,20), quando già egli aveva sentito le parole della sentenza, che determinava tutta la prospettiva dell’esistenza umana "al di dentro" della conoscenza del bene e del male. Questa prospettiva è confermata dalle parole: "Tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e polvere tornerai!" (Gn 3,19).

Il carattere radicale di tale sentenza è confermato dall’evidenza delle esperienze di tutta la storia terrena dell’uomo. L’orizzonte della morte si estende su tutta la prospettiva della vita umana sulla terra, vita che è stata inserita in quell’originario ciclo biblico della "conoscenza-generazione". L’uomo che ha infranto l’alleanza col suo Creatore, cogliendo il frutto dall’albero della conoscenza del bene e del male, viene da Dio-Jahvé staccato dall’albero della vita: "Ora egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre" (Gn 3,21). In questo modo, la vita data all’uomo nel mistero della creazione non è stata tolta, ma ristretta dal limite dei concepimenti, delle nascite e della morte, e inoltre aggravata dalla prospettiva della peccaminosità ereditaria; però gli viene, in certo senso, nuovamente data come compito nello stesso ciclo sempre ricorrente. La frase: "Adamo si unì a ("conobbe") Eva sua moglie, la quale concepì e partorì" (Gn 4,1), è come un sigillo impresso nella rivelazione originaria del corpo al "principio" stesso della storia dell’uomo sulla terra. Questa storia si forma sempre di nuovo nella sua dimensione più fondamentale quasi dal "principio", mediante la stessa "conoscenza-generazione", di cui parla il Libro della Genesi.

6. E così, ciascun uomo porta in sé il mistero del suo "principio" strettamente legato alla coscienza del significato generatore del corpo. Genesi 4,1-2 sembra tacere sul tema del rapporto che intercorre tra il significato generatore e quello sponsale del corpo. Forse non è ancora né il tempo né il luogo per chiarire questo rapporto, anche se nell’ulteriore analisi ciò sembra indispensabile Occorrerà, allora, porre nuovamente le domande legate all’apparire della vergogna nell’uomo, vergogna della sua mascolinità e della sua femminilità, prima non sperimentata. In questo momento, tuttavia, ciò passa in secondo ordine. In primo piano resta, invece, il fatto che "Adamo si unì a ("conobbe") Eva sua moglie, la quale concepì e partorì". Questa è appunto la soglia della storia dell’uomo. È il suo "principio" sulla terra. Su questa soglia l’uomo, come maschio e femmina, sta con la coscienza del significato generatore del proprio corpo: la mascolinità nasconde in sé il significato della paternità e la femminilità quello della maternità. Nel nome di questo significato, Cristo darà un giorno la categorica risposta alla domanda rivoltagli dai farisei (Mt 19 Mc 10). Noi, invece, penetrando il semplice contenuto di questa risposta, cerchiamo in pari tempo di mettere in luce il contesto di quel "principio", al quale Cristo si è riferito. In esso affonda le radici la teologia del corpo.

7. La coscienza del significato del corpo e la coscienza del significato generatore di esso vengono a contatto, nell’uomo, con la coscienza della morte, di cui portano in sé, per così dire, l’inevitabile orizzonte. Eppure, sempre ritorna nella storia dell’uomo il ciclo conoscenza generazione", in cui la vita lotta, sempre di nuovo, con la inesorabile prospettiva della morte, e sempre la supera. È come se la ragione di questa inarrendevolezza della vita, che si manifesta nella "generazione", fosse sempre la stessa "conoscenza", con la quale l’uomo oltrepassa la solitudine del proprio essere e, anzi, di nuovo si decide ad affermare tale essere in un "altro". Ed ambedue, uomo e donna, lo affermano nel nuovo uomo generato. In questa affermazione, la "conoscenza" biblica sembra acquistare una dimensione ancor maggiore. Sembra, cioè, inserirsi in quella "visione" di Dio stesso, con la quale finisce il primo racconto della creazione dell’uomo circa il "maschio" e la "femmina" fatti "ad immagine di Dio": "Dio vide quanto aveva fatto ed... era cosa molto buona" (Gn 1,31). L’uomo, nonostante tutte le esperienze della propria vita, nonostante le sofferenze, le delusioni di se stesso, la sua peccaminosità, e nonostante, infine, la prospettiva inevitabile della morte, mette tuttavia sempre di nuovo la "conoscenza" all’"inizio" della "generazione"; egli, così, sembra partecipare a quella prima "visione" di Dio stesso: Dio Creatore "vide..., ed ecco era cosa buona". E, sempre di nuovo, egli conferma la verità di queste parole.

[1] Secondo Platone, 1’"eros" è l’amore assetato del Bello trascendente ed esprime l’insaziabilità tendente al suo eterno oggetto; esso, quindi, eleva sempre tutto ciò che è umano verso il divino, che solo è in grado di appagare la nostalgia dell’anima imprigionata nella materia, è un amore che non indietreggia davanti al più grande sforzo, per raggiungere l’estasi dell’unione; quindi è un amore egocentrico, è bramosia, sebbene diretta verso valori sublimi [cf. A. Nygren, Erôs et Agapé, Paris 1951, vol. II, pp. 9-10]. Lungo i secoli, attraverso molte trasformazioni, il significato dell’"eros" è stato abbassato alle connotazioni meramente sessuali. Caratteristico è qui il testo di P. Chauchard, che sembra perfino negare all’"eros" le caratteristiche dell’amore umano. "La cérébralisation de la sexualité ne réside pas dans les trucs techniques ennuyeux, mais dans la pleine reconnaissance de sa spiritualità, du fait qu’Erôs n’est humain qu’animé par Agapé et qu’Agapé exige l’incarnation dans Erôs" [P. Chauchard, Vices des vertus, vertus des vices, Paris 1963, p. 147]. Il paragone della "conoscenza" biblica con 1’"eros" platonico rivela la divergenza di queste due concezioni. La concezione platonica si basa sulla nostalgia del Bello trascendente e sulla fuga dalla materia; la concezione biblica, invece, è diretta verso la realtà concreta, e le è alieno il dualismo dello spirito e della materia come pure la specifica ostilità verso la materia ["E Dio vide che era cosa buona": Gen 1,10.12.18.21.25]. In quanto il concetto platonico di "eros" oltrepassa la portata biblica della "conoscenza" umana, il concetto contemporaneo sembra troppo ristretto La "conoscenza" biblica non si limita a soddisfare l’istinto o il godimento edonistico, ma è un atto pienamente umano, diretto consapevolmente verso la procreazione, ed è anche l’espressione dell’amore interpersonale [cf. Gen 29,20; 1 Sam 1,8; 2 Sam 12,24].



Saluti:

Al pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Cagliari

VOGLIO RIVOLGERE un caloroso saluto al pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Cagliari; esso è accompagnato dall’Arcivescovo Giuseppe Bonfiglioli, ed è presente anche il suo predecessore, Cardinale Sebastiano Baggio.

Fratelli e figli carissimi, vi ringrazio di questa visita, che mi è particolarmente cara, poiché attesta la fede e la devozione non solo dei Cagliaritani, ma anche di tutta la nobile isola della Sardegna, a dieci anni di distanza dalla visita colà compiuta dall’indimenticabile Papa Paolo VI: Voglio credere che la vostra presenza a Roma contribuisca a rinsaldare sempre più sia la vostra adesione al Signore, di cui si conservano qui le tombe dei primi Apostoli e Martiri, sia ad accrescere il senso della vostra appartenenza alla grande comunità ecclesiale, di cui questa adunanza è già, da sola, segno eloquente. Vi auguro di portare sempre nella vita di ogni giorno la gioia di una fede autentica, la quale diventi anche stimolo e forza per superare tutte le difficoltà, che l’esistenza su questa terra riserva a ciascuno.

Vi protegga sempre il Signore, insieme alla Madonna di Bonaria. Da parte mia, vi concedo di cuore l’Apostolica Benedizione, perché sia di conforto a voi ed a tutti i vostri cari, specie ai sofferenti, ai bambini, e a quanti si trovano in particolari necessità.

Al pellegrinaggi di Pompei


MERITA UNA PAROLA particolarmente affettuosa il folto pellegrinaggio della Prelatura di Pompei, guidato dal Vescovo Domenico Vacchiano insieme con la Delegazione Pontificia, col Sindaco della città e con la Giunta Comunale. So che è anche presente la Banda Musicale degli Alunni delle Opere del Santuario. A tutti indistintamente va il mio cordiale saluto.

Carissimi, la vostra odierna presenza mi rinnova il caro ricordo della mia venuta tra di voi, nello scorso mese di ottobre, e dell’entusiastica accoglienza che allora mi avete riservata. Vi ringrazio sentitamente di questa visita, che idealmente congiunge il celebre Santuario della Madonna del SS.mo Rosario con questa Sede di Pietro in un unico atto di devozione al Signore Gesù Cristo, che sta al centro della nostra comune fede cristiana e che tanto Maria quanto Pietro, secondo ruoli diversi, hanno amato, servito e testimoniato. Ai numerosi ragazzi presenti tra di voi auguro paternamente di saper rinfocolare ogni giorno il loro entusiasmo in un contatto confidente con Gesù e con la Madre Sua, così da porre solidi fondamenti per una vita di serio impegno a favore della società e della Chiesa.

Per tutti formo l’auspicio di cristiana prosperità e di ogni bene; ne è pegno la Benedizione Apostolica, che di cuore vi imparto con l’invito ad estenderla a quanti vi sono cari.

Al pellegrinaggio parrocchiale di Portovenere

L’AFFETTUOSO SALUTO che rivolgo a voi, carissimi partecipanti al pellegrinaggio parrocchiale di Portovenere, vuole essere una risposta cordiale alla visita che avete voluto rendermi, anche nella lieta ricorrenza dell’850° anniversario della dedicazione della vostra chiesa di S. Lorenzo compiuta dal mio predecessore Innocenzo II. Sono informato della vostra operosità, ispirata dagli insegnamenti del Vangelo, nonché della vostra dedizione all’Apostolo Pietro. Auguro che le solenni manifestazioni, che avete in programma, favoriscano sempre più il vostro orientamento a Cristo, nostro Salvatore, e l’impegno di dare a Lui e al suo Vangelo sempre generosa testimonianza.

Con la mia Benedizione Apostolica, che imparto di cuore a voi ed ai vostri cari.

Ai giovani di un coro senese

ALL’"ASSOCIAZIONE CORALE" di Siena un saluto ed una parola di cordiale compiacimento vadano, ora, che ha rallegrato questa Udienza. Ho apprezzato, figli carissimi, la finalità che guida il vostro impegno: ricuperare al canto corale anche chi non è stato particolarmente favorito dalla natura. Non c’è in questo un simbolo ed una lezione per tutti gli altri settori della vita? La generosità, l’umiltà, la costanza possono aiutare a portare ad un "accordo" pacificante, che si rivela, poi, fonte di gioia per tutti. Così vi auguro di essere apostoli di pace e di intesa in famiglia, nella scuola ed in ogni ambiente nel quale verrete a trovarvi. Con la mia Apostolica Benedizione!

Ai gruppi giovanili

E ADESSO una parola ai giovani. Carissimi, siate i benvenuti! La vostra presenza, così festosa e spontanea, testimonia che la Chiesa è giovane e proiettata verso il futuro. Siate consapevoli delle vostre responsabilità: il messaggio di Cristo è affidato alla vostra generosità ed al vostro entusiasmo. Voi dovrete portarlo nel nuovo millennio, che si profila all’orizzonte. E’ un messaggio impegnativo: annunzia la redenzione mediante la croce, la vita e la gioia attraverso la sofferenza e la morte; annunzia Cristo crocifisso, morto e risorto.

Se volete esserne testimoni credibili, impegnatevi ad incarnarlo innanzitutto nella vostra vita: chi vi avvicina deve poter raccogliere nelle vostre parole, nei vostri gesti, in tutto quel che voi siete, un riflesso del volto luminoso del Cristo risorto. Gesù vuol camminare con voi sulle strade del mondo, che va costruendosi in questi anni difficili: non dimenticatevelo! Vi do la mia Apostolica Benedizione!


Ai gruppi del movimento dei Focolari

SALUTO CON VIVA compiacenza i due numerosi gruppi, qui presenti, che fanno parte del Movimento dei Focolari, i quali hanno tenuto, giorni or sono, presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa, un convegno sulla carità, a cui ispirarsi come ideale di vita, animando l’ambiente parrocchiale e sociale con la testimonianza concreta dell’amore scambievole e cercando di esserne fermento di comunione e di unità.

Carissimi, nel dirvi un cordiale grazie per la vostra visita e per i vostri sentimenti devoti, vi esorto a continuare nell’impegno di offrire genuina testimonianza di vita cristiana.

Il Redentore suggelli i vostri generosi propositi con la sua divina grazia, in pegno della quale, imparto la mia Benedizione.

Agli ammalati

Carissimi ammalati!

COME SEMPRE, giunga a voi il mio saluto più sentito e affettuoso. Mentre purtroppo nella società attuale vi è tanta violenza, mi rivolgo in modo speciale a voi, affinché in questi giorni santi che ci avvicinano alla Pasqua guardiate al Crocifisso per cooperare con più intenso amore alla Redenzione dell’umanità, secondo i misteriosi ma sempre sapienti disegni della Provvidenza.

Vi accompagni la mia Benedizione.

Ai novelli sposi

Carissimi novelli sposi!

SIETE VENUTI in Udienza dal Papa in questa circostanza per voi così bella e così dolce del matrimonio; siate i benvenuti e accogliete il mio saluto e il mio augurio più cordiale.


Iniziando ora la vostra nuova vita, portate nel mondo il vostro amore e la vostra fedeltà con gioia e coraggio, come un ramo di ulivo e una lampada accesa, in segno di pace e di fraternità.

Su voi invoco di cuore la benedizione del Signore.


Catechesi 79-2005 12380