Catechesi 79-2005 16480

Mercoledì, 16 aprile 1980: Cristo fa appello al “cuore” dell’uomo

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1. Come argomento delle nostre future riflessioni - nell’ambito degli incontri del mercoledì - desidero sviluppare la seguente affermazione di Cristo, che fa parte del discorso della montagna: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (
Mt 5,27-28). Sembra che questo passo abbia per la teologia del corpo un significato-chiave, come quello, in cui Cristo ha fatto riferimento al "principio", e che ci è servito di base per le precedenti analisi. Allora abbiamo potuto renderci conto di quanto ampio sia stato il contesto di una frase, anzi di una parola pronunziata da Cristo. Si è trattato non soltanto del contesto immediato, emerso nel corso del colloquio con i farisei, ma del contesto globale, che non possiamo penetrare senza risalire ai primi capitoli del libro della Genesi (tralasciando ciò che ivi si riferisce agli altri libri dell’Antico Testamento). Le precedenti analisi hanno dimostrato quanto esteso sia il contenuto che comporta il riferimento di Cristo al "principio".

L’enunciazione, alla quale ora ci rifacciamo, cioè (Mt 5,27-28),c’introdurrà con sicurezza - oltre che nel contesto immediato in cui compare - anche nel suo contesto più ampio, nel contesto globale, per il cui tramite ci si rivelerà gradualmente il significato-chiave della teologia del corpo. Questa enunciazione costituisce uno dei passi del discorso della montagna, in cui Gesù Cristo attua una revisione fondamentale del modo di comprendere e compiere la legge morale dell’Antica Alleanza. Ciò si riferisce, in ordine, ai seguenti comandamenti del decalogo: al quinto "non uccidere" (cf. Mt 5,21-26), al sesto "non commettere adulterio" (cfr Mt 5,27-32) - è significativo che alla fine di questo passo compaia anche la questione dell’"atto di ripudio" (cfr Mt 5,31-32), accennata già nel capitolo precedente - e all’ottavo comandamento secondo il testo del libro dell’Esodo (cfr Ex 20,7): "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti" (cfr Mt 5,33-37).

Significative sono soprattutto le parole che precedono questi articoli - e i seguenti - del discorso della montagna, parole con le quali Gesù dichiara: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento" (Mt 5,17). Nelle frasi che seguono, Gesù spiega il senso di tale contrapposizione e la necessità del "compimento" della legge al fine di realizzare il regno di Dio: "Chi... osserverà (questi comandamenti) e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli" (Mt 5,19). "Regno dei cieli" significa regno di Dio nella dimensione escatologica. Il compimento della Legge condiziona, in modo fondamentale, questo regno nella dimensione temporale dell’esistenza umana. Si tratta tuttavia di un compimento che corrisponde pienamente al senso della legge, del decalogo, dei singoli comandamenti. Soltanto tale compimento costruisce quella giustizia che Dio-Legislatore ha voluto. Cristo-maestro ammonisce di non dare una tale interpretazione umana di tutta la legge e dei singoli comandamenti, in essa contenuti, che non costruisca la giustizia voluta da Dio-legislatore: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20).

2. In tale contesto compare l’enunciazione di Cristo secondo(Mt 5,27-28), che intendiamo prendere come base per le presenti analisi, considerandola, insieme con l’altra enunciazione secondo (Mt 19,3-9) (cf. etiam Mc 10), come chiave della teologia del corpo. Questa, al pari dell’altra, ha carattere esplicitamente normativo. Conferma il principio della morale umana contenuta nel comandamento "non commettere adulterio" e, al tempo stesso, determina un’appropriata e piena comprensione di questo principio cioè una comprensione del fondamento ed insieme della condizione per un suo adeguato "compimento"; questo va appunto considerato alla luce delle parole di (Mt 5,17-20), già prima riferite, sulle quali abbiamo poco fa richiamato l’attenzione. Si tratta qui, da un lato, di aderire al significato che Dio-legislatore ha racchiuso nel comandamento "non commettere adulterio", e dall’altro lato, di compiere quella "giustizia" da parte dell’uomo, la quale deve "sovrabbondare" nell’uomo stesso, cioè in lui deve giungere alla sua pienezza specifica. Questi sono, per così dire, i due aspetti del "compimento" nel senso evangelico.

3. Ci troviamo così nel pieno dell’ethos, ossia in ciò che può esser definito la forma interiore, quasi l’anima della morale umana. I pensatori contemporanei (Ex. gr. Scheler) vedono nel discorso della montagna una grande svolta appunto nel campo dell’ethos (1). Una morale viva, nel senso esistenziale, non viene formata soltanto dalle norme che investono la forma dei comandamenti, dei precetti e dei divieti, come nel caso del "non commettere adulterio". La morale in cui si realizza il senso stesso dell’esser uomo - che e, in pari tempo, compimento della legge mediante il "sovrabbondare" della giustizia attraverso la vitalità soggettiva - si forma nella percezione interiore dei valori da cui nasce il dovere come espressione della coscienza, come risposta del proprio "io" personale. L’ethos ci fa contemporaneamente entrare nella profondità della norma stessa e scendere nell’interno dell’uomo-soggetto della morale. Il valore morale è connesso con il processo dinamico dell’intimità dell’uomo. Per raggiungerlo, non basta fermarsi "alla superficie" delle azioni umane, bisogna penetrare proprio nell’interno.

4. Oltre al comandamento "non commettere adulterio", il decalogo ha anche "non desiderare la moglie del... prossimo" (cfr Ex 20,17 Dt 5,21). Nella enunciazione del discorso della montagna, Cristo li collega, in certo senso, l’uno con l’altro: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio nel suo cuore". Tuttavia, non si tratta tanto di distinguere la portata di quei due comandamenti del decalogo, quanto di rilevare la dimensione dell’azione interiore, alla quale si riferiscono anche le parole: "Non commettere adulterio". Tale azione trova la sua espressione visibile nell’"atto del corpo", atto al quale partecipano l’uomo e la donna contro la legge dell’esclusività matrimoniale. La casistica dei libri dell’Antico Testamento, intesa ad investigare ciò che, secondo criteri esteriori, costituiva tale "atto del corpo" e, al tempo stesso, orientata a combattere l’adulterio, apriva a questo varie "scappatoie" legali (su ciò, cf. il seguito delle presenti meditazioni). In questo modo, in base ai molteplici compromessi "per la durezza del... cuore" (Mt 19,8), il senso del comandamento, voluto dal legislatore, subiva una deformazione. Ci si atteneva all’osservanza legalistica della formula, che non "sovrabbondava" nella giustizia interiore dei cuori. Cristo sposta l’essenza del problema in un’altra dimensione, quando dice: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Secondo antiche traduzioni: "Già l’ha resa adultera nel suo cuore", formula che sembra esser più esatta) (2).

Così, dunque, Cristo fa appello all’uomo interiore. Lo fa più volte e in diverse circostanze. In questo caso ciò appare particolarmente esplicito ed eloquente, non soltanto riguardo alla configurazione dell’ethos evangelico, ma anche riguardo al modo di vedere l’uomo. Non è quindi solo la ragione etica, ma anche quella antropologica a consigliare di soffermarsi più a lungo sul testo di (Mt 5,27-28), che contiene le parole pronunziate da Cristo nel discorso della montagna.

(1) Ich henne kein grandioseres Zeugnis für eine sorche Neuerschliessung eines ganzen Wertbereiches, die das ältere Ethos relativiert, als die Bergpredigt, die auch in ihrer Form als Zeugnis solcher Neuerschliessung und Relativierung der älteren"Gesetzes"-werte sich überall kundgibt:"Ich aber sage euch"[Max Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik, Halle a. d. S., Verlag M. Niemeyer, 1921, p. 316, n. 1]


(2) Il testo della Volgata offre una fedele traduzione dall’originale: iam moechatus est eam in corde suo. Infatti, il verbo greco "moicheúo" è transitivo. Invece, nelle moderne lingue europee, "commettere adulterio" è un verbo intransitivo; donde la versione: "Ha commesso adulterio con lei". E così:

– in italiano: "... ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" [versione a cura della Conferenza Episcopale Italiana, 1971); similmente la versione del Pontificio Istituto Biblico, 1961, e quella a cura di S. Garofalo, 1966];

– in francese: "... a dejà commis, dans son coeur, l’adultère avec elle" [Bible de Jérusalem, Paris, 1973; Traduction Oecumenique, Paris, 1972; Crampon]; soltanto Fillion traduce: "A déja commis l’adultère dans son coeur";

– in inglese: "...has already committed adultery with her in his heart" [Douai Version, 1582; analogamente Revised Standard Version, dal 1611 al 1966; R. Knox, New English Bible, Jerusalem Bible, 1966];

– in tedesco: "...hat in seinen Herzen schon Ehebruch mit ihr begangen" [Einheitsübersetzung der Heiligen Schrift, im Auftrag der Bischöfe des deutschen Sprachbereiches, 1979];

– in spagnolo: "...ya cometió adulterio con ella en su corazón" [Bibl. Societ., 1966];

– in portoghese: "...já cometeu adulterio com ela no seu coraçao" [M. Soares, Sao Paulo, 1933];

– in polacco: traduzioni antiche: "...juz ja scudzolozyl w sercu swoim"; traduzione ultima: "...juz sie w swoim sercu dopuscil z nia cudzolóstwa" [Biblia Tysiaclecia].

Saluti:

Ai pellegrinaggi provenienti da diverse diocesi di Francia




Ai seminaristi del Collegio Nordamericano di Roma


Al pellegrinaggio di Osnabrück


Al gruppo di pellegrini della parrocchia di Komen


Al pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria e della Diocesi di Bari

Rivolgo un saluto particolarmente affettuoso al pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria e della Diocesi di Bova, accompagnato dal comune Arcivescovo Aurelio Sorrentino.


Carissimi, so che avete intrapreso insieme il vostro viaggio in spirito di fede e di devozione, per visitare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e rendere omaggio a chi di Pietro è l’attuale Successore sulla Sede episcopale romana. Ve ne ringrazio, e sono contento per queste vostre intenzioni genuinamente cristiane. Da parte mia, vi auguro di conservare e di far crescere sempre più una salda e feconda comunione col Signore, che si rifletta opportunamente nella vostra vita quotidiana. A lui vi raccomando di cuore, mentre vi concedo la propiziatrice Benedizione Apostolica, che vi chiedo di portare anche a tutti i vostri cari, in segno della mia benevolenza.

Al pellegrinaggio della città di Subiaco

E’ pure presente un pellegrinaggio della città di Subiaco, guidato dall’Abate Stanislao Andreotti. Esso è costituito da alcuni Gruppo di Cantori, di provenienza anche internazionale, partecipanti alla "Prima rassegna delle corali nel quadro delle celebrazioni del XV centenario di San Benedetto", oltre che dal personale del laboratorio-scuola "San Benedetto", e dai bambini dell’Asilo "Maria Immacolata".

Carissimi, tutti vi saluto e vi ringrazio per la vostra presenza che è particolarmente significativa in questo anno benedettino. Voi avete appreso la lezione fondamentale del grande Santo di Norcia, che anche a Subiaco ha legato il proprio nome: quella, cioè, di lavorare e di pregare; e voi pregate cantando al Signore. Possiate fare di tutta la vostra vita una vera armonia tra queste due componenti.

Mi compiaccio, poi, dell’iniziativa di erigere in Subiaco una degna statua a San Benedetto; e tutti Vi benedico di cuore.

Ai giovani

Un saluto, pieno di affetto, indirizzo a tutti i giovani presenti a questa Udienza, fra i quali prevalgono gli studenti. A voi, che portate nel cuore le vostre speranze e quelle del mondo intero, in questo clima pasquale desidero rivolgere le parole di San Paolo: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio". Per voi giovani, che cosa significa e comporta il "cercare le cose di lassù?". Non significa certamente che dovreste estraniarvi dalle "cose di quaggiù", cioè dai problemi che riguardano la vita concreta, quotidiana dell’uomo; vuol dire, invece, dare una prospettiva, un senso "cristiano" a tutta la realtà umana, nella quale siete coinvolti: al vostro studio, al vostro lavoro, alla vostra vita associativa, alla vostra vita sentimentale, ed anche al vostro divertimento, di modo che possiate sempre diffondere la gioia pasquale che trabocca dal vostro cuore.

Agli ammalati

Né possono dimenticare, in questa circostanza, i carissimi fratelli ammalati, ai quali, facendomi interprete dei sentimenti di tutti i partecipanti a questo incontro, voglio dire una parola di incoraggiamento e di certezza cristiana.

A voi, che portate nel vostro cuore e nel vostro corpo i segni della Passione, ricordo in questo momento le parole rivolte da Gesù ai discepoli che andavano ad Emmaus, scoraggiati ed avviliti per la tragica fine del loro Maestro: "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". Questa affermazione illumina potentemente non soltanto la vicenda umana di Gesù, ma anche la vita di voi tutti, che siete segnati dalla stigmate dell’infermità. Unite le vostre sofferenze a quelle di Gesù; offritele come sacrificio puro alla Trinità Santissima per il bene della Chiesa e dell’umanità. Mentre noi tutti ci affidiamo alle vostre preghiere, vi diciamo anche il nostro commosso "grazie" per la vostra continua testimonianza di fede e di speranza.

Agli sposi

Ed a voi, novelli Sposi, lieti per la vostra vicendevole donazione totale e definitiva compiuta nel sacramento del Matrimonio, rivolgo il fervido augurio di tutto il Popolo di Dio: mantenete per tutta la vita la freschezza e l’entusiasmo di questi giorni, ricordando sempre che, sulla terra, voi siete il segno concreto e visibile di quel misterioso, immenso amore che unisce Cristo alla sua Sposa, la Chiesa. Il Signore vi darà la sua grazia, la sua forza, la sua gioia perché possiate costruire la vostra famiglia "cristiana" nel timore di Dio, nell’amore reciproco, nell’apertura verso gli altri.

A tutti la mia Benedizione Apostolica, segno del mio affetto.



Mercoledì, 23 aprile 1980: Il contenuto etico e antropologico del comandamento “non commettere adulterio”

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1. Ricordiamo le parole del discorso della montagna, alle quali facciamo riferimento nel presente ciclo delle nostre riflessioni del mercoledì: "Avete inteso - dice il Signore - che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (
Mt 5,27-28).

L’uomo, al quale Gesù qui si riferisce, è proprio l’uomo "storico", quello di cui abbiamo rintracciato il "principio" e la "preistoria teologica" nella precedente serie di analisi. Direttamente, è colui che ascolta con le proprie orecchie il discorso della montagna. Ma insieme con lui, c’è anche ogni altro uomo, posto di fronte a quel momento della storia, sia nell’immenso spazio del passato, sia in quello, ugualmente vasto, del futuro. A questo "futuro", di fronte al discorso della montagna, appartiene anche il nostro presente, la nostra contemporaneità. Quest’uomo è, in certo senso, "ciascun" uomo, "ognuno" di noi. Sia l’uomo del passato, sia anche l’uomo del futuro può essere colui che conosce il comandamento positivo "non commettere adulterio" quale "contenuto della legge" (cf. Rm 2,22-23), ma può essere ugualmente colui che, secondo la lettera ai Romani, ha questo comandamento soltanto "scritto nel (suo) cuore" (Rm 2,15)(1). Alla luce delle riflessioni precedentemente svolte, è l’uomo che dal suo "principio" ha acquistato un preciso senso del significato del corpo, già prima di varcare "la soglia" delle sue esperienze storiche, nel mistero stesso della creazione, dato che ne emerse "come uomo e donna" (Gn 1,27). È l’uomo storico, che al "principio" della sua vicenda terrena si è trovato "dentro" la conoscenza del bene e del male, rompendo l’alleanza con il suo creatore. È l’uomo-maschio, che "conobbe (la donna) sua moglie" e la "conobbe" più volte, ed ella "concepì e partorì" (cfr Gn 4,1-2) in conformità con il disegno del Creatore, che risaliva allo stato dell’innocenza originaria (cfr Gn 1,28 Gn 2,24).

2. Nel suo discorso della montagna, Cristo si rivolge, in particolare con le parole di (Mt 5,27-28), proprio a quell’uomo. Si rivolge all’uomo di un determinato momento della storia e, insieme, a tutti gli uomini, appartenenti alla stessa storia umana. Si rivolge, come abbiamo già costatato, all’uomo "interiore". Le parole di Cristo hanno un esplicito contenuto antropologico; esse toccano quei significati perenni, per il tramite dei quali viene costituita l’antropologia "adeguata". Queste parole, mediante il loro contenuto etico, simultaneamente costituiscono una tale antropologia, ed esigono, per così dire, che l’uomo entri nella sua piena immagine. L’uomo che è "carne", e che come maschio rimane in rapporto, attraverso il suo corpo e sesso, con la donna (ciò infatti indica anche l’espressione "non commettere adulterio"), deve, alla luce di queste parole di Cristo, ritrovarsi nel suo interno, nel suo "cuore" (2).

Il "cuore" è questa dimensione dell’umanità, con cui è legato direttamente il senso del significato del corpo umano, e l’ordine di questo senso. Si tratta, qui, sia di quel significato che, nelle precedenti analisi, abbiamo chiamato "sponsale", sia di quello che abbiamo denominato "generatore". E di quale ordine si tratta?

3. Questa parte delle nostre considerazioni deve dare una risposta appunto a tale domanda - una risposta che arriva non soltanto alle ragioni etiche, ma anche a quelle antropologiche; esse, infatti, rimangono in rapporto reciproco. Per ora, preliminarmente, occorre stabilire il significato del testo di Mt 5,27-28,il significato delle espressioni usate in esso e il loro rapporto reciproco. L’adulterio, al quale si riferisce direttamente il citato comandamento, significa l’infrazione dell’unità, mediante la quale l’uomo e la donna, soltanto come coniugi, possono unirsi così strettamente da essere "una sola carne" (Gn 2,24). Commette adulterio l’uomo, se in tale modo si unisce con una donna che non è sua moglie. Commette adulterio anche la donna, se in tale modo si unisce con un uomo che non è suo marito. Bisogna dedurne che "l’adulterio nel cuore", commesso dall’uomo quando "guarda una donna per desiderarla", significa un atto interiore ben definito. Si tratta di un desiderio che è diretto, in questo caso, dall’uomo verso una donna che non è sua moglie, al fine di unirsi con lei come se lo fosse, cioè - usando ancora una volta le parole di Gen 2,24 - così che "i due siano una sola carne". Tale desiderio, come atto interiore, si esprime per mezzo del senso della vista, cioè con lo sguardo, come nel caso di Davide e Betsabea, per servirci di un esempio tratto dalla Bibbia (cf. 2Sam 2S 11,2 Questo forse è il più noto, ma nella Bibbia si possono trovare altri esempi simili [cf. Gen (Gn 34,2 Jg 14,1 Jg 16,1]). Il rapporto del desiderio col senso della vista è stato particolarmente messo in rilievo nelle parole di Cristo.

4. Queste parole non dicono chiaramente se la donna - oggetto del desiderio - sia moglie altrui oppure se semplicemente non sia moglie dell’uomo che in tal modo la guarda. Può essere moglie altrui, oppure anche non legata dal matrimonio. Bisogna piuttosto intuirlo, basandoci specialmente sulla espressione che appunto definisce adulterio ciò che l’uomo ha commesso "nel suo cuore" con lo sguardo. Occorre correttamente dedurne che un tale sguardo di desiderio rivolto verso la propria moglie non è adulterio "nel cuore", appunto perché il relativo atto interiore dell’uomo si riferisce alla donna che è sua moglie, nei riguardi della quale l’adulterio non può verificarsi. Se l’atto coniugale come atto esteriore, in cui "i due si uniscono così da divenire una sola carne", è lecito nel rapporto dell’uomo in questione con la donna che è sua moglie, analogamente è conforme all’etica anche l’atto interiore nella stessa relazione.

5. Nondimeno, quel desiderio, indicato dall’espressione circa "chiunque guarda una donna per desiderarla", ha una propria dimensione biblica e teologica, che qui non possiamo non chiarire. Anche se tale dimensione non si manifesta direttamente in quest’unica concreta espressione di Mt 5,27-28,tuttavia è profondamente radicata nel contesto globale, che si riferisce alla rivelazione del corpo. A questo contesto dobbiamo risalire, affinché il richiamo di Cristo "al cuore", all’uomo interiore, risuoni in tutta la pienezza della sua verità. La citata enunciazione del discorso della montagna (Mt 5,27-28) ha fondamentalmente un carattere indicativo. Che Cristo si rivolga direttamente all’uomo come a colui che "guarda una donna per desiderarla", non vuol dire che le sue parole, nel loro senso etico, non si riferiscano anche alla donna. Cristo si esprime così per illustrare con un esempio concreto come occorra comprendere "il compimento della legge", secondo il significato che le ha dato Dio-legislatore, ed inoltre come occorra intendere quel "sovrabbondare della giustizia" nell’uomo, che osserva il sesto comandamento del decalogo. Parlando in questo modo, Cristo vuole che non ci soffermiamo sull’esempio in se stesso, ma anche penetriamo nel pieno senso etico ed antropologico dell’enunciato. Se esso ha carattere indicativo, significa che, seguendo le sue tracce, possiamo giungere a comprendere la verità generale sull’uomo "storico", valida anche per la teologia del corpo. Le ulteriori tappe delle nostre riflessioni avranno lo scopo di avvicinarsi a comprendere questa verità.

Saluti:


A gruppi di pellegrini africani dell’Uganda e dello Zimbabwe


Ai sacerdoti delle diocesi di Rottenburg-Stuttgart e Würzburg


Ad un gruppo di pellegrini olandesi


Ai membri dell’Associazione Universitaria per la Cooperazione Internazionale

Un saluto particolarmente cordiale rivolgo ora ai Dirigenti, Medici ed Infermiere appartenenti all’Associazione Universitaria per la Cooperazione Internazionale, sorta ad iniziativa della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Esprimo il mio sincero ringraziamento a quanti di voi sono di ritorno dal campo profughi somalo dell’Ogaden e il mio augurio a quelli che sono in partenza per lo stesso luogo di missione. A tutti desidero manifestare il compiacimento e il mio augurio per l’impegno con cui avete accolto il comandamento nuovo dell’amore trasmessoci dal Maestro divino.

Al pellegrinaggio del Volontariato Vincenziano della Campania

Mi rivolgo adesso ai numerosi e vivaci gruppi del Volontariato Vincenziano della Regione campana. Cari fratelli e sorelle, mi fa molto piacere il vedervi così entusiasti e il sapervi lodevolmente impiegati, sull’esempio trascinatore di S. Vincenzo de Paoli, nel servizio dei poveri, dei bisognosi e dei sofferenti. Vi ringrazio soprattutto per l’attenzione che dedicate agli anziani e agli abbandonati presso le due Case di Torre Annunziata e di Amalfi per la dedizione e l’abnegazione con cui assistete i bambini dei quartieri più poveri della città di Napoli! Il Signore vi assista e vi ricompensi in codesta vostra opera autenticamente evangelica!

Alle volontarie del Movimento dei Focolari


Saluto con particolare affetto le volontarie del Movimento dei Focolari, che in questi giorni prendono parte, presso la Mariapoli di Grottaferrata, al loro convegno annuale per approfondire, quest’anno, un tema quanto mai essenziale per una genuina vita cristiana: "La carità come ideale". Carissime, il fuoco della carità di Cristo che si è acceso in voi e che in questi giorni di riflessione e di preghiera viene ridestato, alla luce del Redentore Risorto, non si estingua mai dai vostri cuori, ma risplenda sempre più e diventi anzi il segno distintivo, la divisa del vostro movimento. Sappiate accrescere nei vostri incontri quell’entusiasmo e quella gioia, di cui avete anzitutto bisogno per voi e per vivere in profondità le esigenze del Vangelo, ed ha bisogno altresì il mondo che vi circonda, sempre in cerca di una testimonianza coerente dell’amore vero. E quale testimonianza può essere più attendibile di quella che manifesta la vera gioia derivante dall’ideale cristiano della carità, che sorpassa ogni scienza? Vi sia di incoraggiamento nel vostro impegno la mia Benedizione.

Ai partecipanti ad un Congresso internazionale

Rivolgo il mio saluto anche ai partecipanti al terzo Congresso Internazionale "De unitate et varietate hominum ad pacem confirmandam conciliandis", promosso dall’Accademia Internazionale di Propaganda Culturale. Vi ringrazio per la vostra partecipazione a questa Udienza e, soprattutto, per lo sforzo che ponete per il progresso della causa, così nobile e nobilitante, della pace. Nelle vostre ricerche nell’ambito di codesta Accademia, che poi in ultima analisi si rivolgono alla verità in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue sfaccettature, ricordate sempre che anima della pace è la verità, come ho detto nel messaggio per la Giornata della Pace 1980. Sì, è la verità che vivifica la pace e genera la riconciliazione, superando le discordie e le antipatie. Auguro un buon esito al vostro congresso e vi benedico.

A vari gruppi

Ed ora un cordiale pensiero agli alunni del Collegio-Convitto Canova, di Possagno, ed a tutti i loro amici dell’Istituto Cavanis.
* * *


Estendo poi il mio benedicente saluto a tutti gli altri gruppi, fra i quali desidero ricordare i numerosi pellegrinaggi parrocchiali.

Ai giovani

Saluto poi tutti i giovani, presenti all’Udienza. Carissimi, voi siete alle soglie di quell’età, in cui dovrete assumere una responsabilità personale per il vostro destino. Vi guidi nelle vostre scelte la convinzione che Cristo è risorto ed è, vivo, accanto a voi. Conoscerlo ed amarlo, farlo conoscere e farlo amare è il significato più profondo della vita. Il mio augurio è che voi possiate raggiungere la piena maturità in Lui, che è l’uomo perfetto ed insieme il Figlio di Dio. A ciascuno di voi la mia affettuosa Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Una parola particolare di saluto, di simpatia e di incoraggiamento agli ammalati qui presenti. Carissimi, la Liturgia di questo tempo pasquale ci presenta le apparizioni di Gesù risorto agli Apostoli: e Gesù si fa riconoscere mostrando nelle mani e nel costato le tracce delle ferite della Passione. Da quei giorni, fino ad oggi, il "segno dei chiodi" resta il carattere distintivo della presenza del Signore nella sua Chiesa e nella vita di ciascuno. Carissimi fratelli e sorelle, sappiate vedere le vostre sofferenze in questa luce della croce e della risurrezione di Cristo. Esse costituiscono, oggi, una ricchezza inestimabile per voi e per la Chiesa, e saranno, domani, il motivo più alto della vostra gloria accanto al Cristo risorto. Con la mia Benedizione Apostolica.

Agli sposi novelli

Nelle udienze di questo periodo sono particolarmente numerose le coppie di sposi novelli. Carissimi, a voi il mio saluto ed il mio augurio. Voi state vivendo la primavera del vostro amore. Vivetela nella prospettiva della fede! La grazia del sacramento ha elevato il vostro amore umano a luogo in cui Cristo risorto rinnova l’offerta di sè alla Chiesa, la quale Lo accoglie e Gli si ridona in pienezza di amore. Questo significa che ogni sposo cristiano rappresenta Cristo in quanto si offre all’altro e rappresenta la Chiesa in quanto riceve l’offerta dell’altro. Che la vostra vita sia la testimonianza concreta di questo "mistero grande", del quale il matrimonio vi ha reso partecipi. Vi benedico di cuore e prego per voi e per la vostra nuova famiglia.

(1) In questo modo, il contenuto delle nostre riflessioni sarebbe spostato in certo senso sul terreno della "legge naturale". Le parole citate della lettera ai Romani 2,15, sono sempre state considerate, nella Rivelazione, quale fonte di conferma per l’esistenza della legge naturale. Così il concetto della legge naturale acquista anche un significato teologico. Cf., fra altri, D. Composta, Teologia del diritto naturale, "Status quaestionis", Brescia 1972, Ed. Civiltà, pp. 7-22, 41-53; J. Fuchs, S. J., Lex naturae Zur Theologie des Naturrechts, Düsseldorf 1955, pp. 22-30; E. Hamel, S. J, Loi naturelle et loi du Christ, Bruges-Paris 1965, Desclée de Brouwer, p. 18; A. Sacchi, La legge naturale nella Bibbia, in La legge naturale. Le relazioni del convegno dei teologi moralisti dell’Italia settentrionale (11-13 settembre 1969), Bologna 1970, Ed. Dehoniane, p. 53; F. Böckle, La legge naturale e la legge cristiana, ivi, pp. 214-215; A. Feuillet, Le fondement de la morale ancienne et chrétienne d’après l’Epître aux Romains, in Revue Thomiste 78 [1970] 357-386; T. Herr, Naturrecht aus der kritischen Sicht des Neuen Testaments, München 1976, Schöningh, pp. 155-164.

(2) "The typically Hebraic usage reflected in the New Testament implies an understanding of man as unity of thought, will and feeling. ...It depicts man as a whole, viewed from his intentionality; the heart as the center of man is thought of as source of will, emotion, thoughts and affections. This traditional Judaic conception was related by Paul to Hellenistic categories, such as "mind", "attitude", "thoughts" and "desires". Such a co-ordination between the Judaic and Hellenistic categories is found in Ph 1,7 Ph 4,7 Rm 1,21 Rm 1,24, where "heart" is thought of as center from which these things flow" [R. Jewett, Paul’s Anthropologycal Terms. A Study of their Use in Conflict Settings, Leiden 1971, Brill, p. 448]. "Das Hertz... ist die verbogene, inwendige Mitte und Wurzel des Menschen und damit seiner Welt..., der unergrüliche Grund und die Lebendige Kraft aller Daseinserfahrung und -entscheidung" [H. Schlier, Das Menschenhertz nach dem Apostel Paulus, in "Lebendiges Zeugnis", 1965, p. 123]. Cf. anche F. Baumgärtel-G. Behm, Kardía, in Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, II, Stuttgart 1933, Kolhammer, pp. 609-616




Mercoledì, 30 aprile 1980: La concupiscenza è il frutto della rottura dell’alleanza con Dio

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1. Durante l’ultima nostra riflessione, abbiamo detto che le parole di Cristo nel Discorso della montagna sono in diretto riferimento al "desiderio" che nasce immediatamente nel cuore umano; indirettamente, invece, quelle parole ci orientano a comprendere una verità sull’uomo, che è di importanza universale.

Questa verità sull’uomo "storico", di importanza universale, verso la quale ci indirizzano le parole di Cristo tratte da Matteo 5,27-28, sembra essere espressa nella dottrina biblica sulla triplice concupiscenza. Ci riferiamo qui al conciso enunciato della prima Lettera di S. Giovanni: "Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno" (
1Jn 2,16-17). È ovvio che per capire queste parole, bisogna tenere gran conto del contesto, in cui sono inserite, cioè il contesto di tutta la "teologia giovannea", su cui si è tanto scritto (1). Tuttavia, le stesse parole s’inseriscono, contemporaneamente, nel contesto di tutta la Bibbia: esse appartengono al complesso della verità rivelata sull’uomo, e sono importanti per la teologia del corpo. Non spiegano la concupiscenza stessa nella sua triplice forma, poiché sembrano presupporre che "la concupiscenza del corpo, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita", siano, in qualche modo, un concetto chiaro e conosciuto. Spiegano, invece, la genesi della triplice concupiscenza, indicando la sua provenienza non "dal Padre", ma "dal mondo".

2. La concupiscenza della carne e, insieme ad essa, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, è "nel mondo" e al tempo stesso "viene dal mondo", non come frutto del mistero della creazione, ma come frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male" (cf. Gn 2,17) nel cuore dell’uomo. Ciò che fruttifica nella triplice concupiscenza non è il "mondo" creato da Dio per l’uomo, la cui "bontà" fondamentale abbiamo più volte letto in Genesi 1: "Dio vide che era cosa buona... era cosa molto buona". Nella triplice concupiscenza fruttifica invece la rottura della prima alleanza con il Creatore, con Dio-Elohim, con Dio-Jahvè. Questa alleanza fu rotta nel cuore dell’uomo. Bisognerebbe fare qui un’accurata analisi degli avvenimenti descritti in Genesi 3,1-6. Tuttavia, ci riferiamo solo in generale al mistero del peccato, agli inizi della storia umana. Infatti, solo come conseguenza del peccato, come frutto della rottura dell’alleanza con Dio nel cuore umano - nell’intimo dell’uomo - il "mondo" del Libro della Genesi è divenuto il "mondo" delle parole giovannee (1Jn 2,15-16): luogo e sorgente di concupiscenza.

Così, dunque, l’enunciato secondo cui la concupiscenza "non viene dal Padre, ma dal mondo", sembra indirizzarci, ancora una volta, verso il biblico "principio". La genesi della triplice concupiscenza, presentata da Giovanni, trova in questo principio la sua prima e fondamentale delucidazione, una spiegazione, che è essenziale per la teologia del corpo. Per intendere quella verità di importanza universale sull’uomo "storico", contenuta nella parole di Cristo durante il discorso della montagna (Mt 5,27-28), dobbiamo ancora una volta tornare al Libro della Genesi, ancora una volta soffermarci "alla soglia" della rivelazione dell’uomo "storico". Ciò è tanto più necessario, in quanto tale soglia della storia della salvezza si dimostra al tempo stesso soglia di autentiche esperienze umane, come costateremo nelle successive analisi. Vi rivivranno gli stessi significati fondamentali, che abbiamo ricavato dalle precedenti analisi, quali elementi costitutivi di una antropologia adeguata e profondo substrato della teologia del corpo.

3. Può sorgere ancora la domanda se sia lecito trasporre i contenuti tipici della "teologia giovannea", racchiusi in tutta la prima lettera (1Jn 2,15-16), sul terreno del Discorso della montagna secondo Matteo, e precisamente dell’affermazione di Cristo tratta da Matteo 5,27-28: "Avete inteso che fu detto: Non commetterete adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". Riprenderemo questo argomento più volte: ciò nonostante, facciamo riferimento fin d’ora al contesto biblico generale, all’insieme della verità sull’uomo, in essa rivelata ed espressa. Proprio nel nome di questa verità, cerchiamo di capire fino in fondo l’uomo, che Cristo indica nel testo di Matteo 5,27-28: cioè l’uomo che "guarda" la donna "per desiderarla". Un tale sguardo, in definitiva, non si spiega forse col fatto che quell’uomo è appunto un "uomo di desiderio", nel senso della prima Lettera di S. Giovanni, anzi che entrambi, cioè l’uomo che guarda per desiderare e la donna che è oggetto di tale sguardo, si trovano nella dimensione della triplice concupiscenza, che "non viene dal Padre, ma dal mondo"? Occorre, dunque, intendere che cosa sia quella concupiscenza o piuttosto chi sia quel biblico "uomo di desiderio", per scoprire la profondità delle parole di Cristo secondo Matteo 5,27-28, e per spiegare che cosa significhi il loro riferimento, tanto importante per la teologia del corpo, al "cuore" umano.


4. Torniamo di nuovo al racconto jahvista, in cui lo stesso uomo, maschio e femmina, appare all’inizio come uomo di innocenza originaria - prima del peccato originale - e poi come colui che ha perduto questa innocenza, infrangendo l’originaria alleanza col suo Creatore. Non intendiamo qui fare un’analisi completa della tentazione e del peccato, secondo lo stesso testo di Genesi 3,1-5, la relativa dottrina della Chiesa e la teologia. Conviene soltanto osservare che la stessa descrizione biblica sembra mettere particolarmente in evidenza il momento chiave, in cui nel cuore dell’uomo è posto in dubbio il Dono. L’uomo che coglie il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male" fa, al tempo stesso, una scelta fondamentale e la attua contro il volere del Creatore, Dio Jahvè, accettando la motivazione suggeritagli dal tentatore: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male"; secondo antiche traduzioni: "Sarete come dèi, conoscenti del bene e del male" (2). In questa motivazione si racchiude chiaramente la messa in dubbio del Dono e dell’Amore, da cui trae origine la creazione come donazione. Per quanto riguarda l’uomo, egli riceve in dono il "mondo" ed al tempo stesso la "immagine di Dio", cioè l’umanità stessa in tutta la verità della sua duplicità maschile e femminile. È sufficiente leggere accuratamente tutto il brano di Genesi 3,1-5, per individuarvi il mistero dell’uomo che volta le spalle al "Padre" (anche se nel racconto non troviamo tale appellativo di Dio). Mettendo in dubbio, nel suo cuore, il significato più profondo della donazione, cioè l’amore come motivo specifico della creazione e dell’Alleanza originaria (cf. Gn 3,5), l’uomo volta le spalle al Dio-Amore, al "Padre". In certo senso lo rigetta dal suo cuore. Contemporaneamente, quindi, distacca il suo cuore e quasi lo recide da ciò che "viene dal Padre": così, resta in lui ciò che "viene dal mondo".

5. "Allora si aprirono gli occhi di tutte e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture" (Gn 3,6). Questa è la prima frase del racconto jahvista, che si riferisce alla "situazione" dell’uomo dopo il peccato e mostra il nuovo stato della natura umana. Non suggerisce forse anche questa frase l’inizio della "concupiscenza" nel cuore dell’uomo? Per dare una risposta più approfondita a tale domanda, non possiamo soffermarci su quella prima frase, ma occorre rileggere il testo per intero. Tuttavia, qui vale la pena di ricordare ciò che nelle prime analisi è stato detto sul tema della vergogna come esperienza "del limite".(cf. Giovanni Paolo II, Allocutio in Audientia Generali habita, die 12 dec. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 [1979] 1378ss) Il Libro della Genesi fa riferimento a questa esperienza per dimostrare il "confine" esistente tra lo stato di innocenza originaria (cf. in particolare Genesi 2,25, al quale abbiamo dedicato molta attenzione nelle precedenti analisi) e lo stato di peccaminosità dell’uomo al "principio" stesso. Mentre Genesi 2,25 sottolinea che "erano nudi... ma non ne provavano vergogna", Genesi 3,6 parla esplicitamente della nascita della vergogna in connessione col peccato. Quella vergogna è quasi la prima sorgente del manifestarsi nell’uomo - in entrambi, uomo e donna - di ciò che "non viene dal Padre, ma dal mondo".

Saluti:

Ai delegati diocesani o beneficiari del movimento "Secours Catholique"

Ai pellegrini provenienti da vari Paesi dell’Africa


A due gruppi di fedeli di espressione tedesca

Ai membri dell’"Associazione Cattolica dei Padri di Famiglia" della diocesi di Vitoria

Ai pellegrini polacchi


Al gruppo della Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze

Desidero ora rivolgere una particolare parola di saluto al gruppo degli appartenenti alla Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, che così numerosi sono venuti a questa Udienza generale.

Carissimi, vi ringrazio per la vostra presenza, che esprime certamente devozione e attaccamento alla Sede di Pietro ed al Suo Successore; ma soprattutto mi compiaccio perla testimonianza di carità che voi date attraverso l’attiva, volontaria e disinteressata partecipazione alle molteplici iniziative assistenziali promosse dal vostro benemerito, secolare sodalizio, che, nato da un’autentica matrice cristiana, conserva ancor oggi piena validità.

E’ nota la gloriosa ed antica storia dell’opera fiorentina che prende il nome di "Misericordia", per richiamarsi appunto alla virtù cristiana, fiorita dalla carità, che vuole promuovere tra gli associati, e per indicare le opere di misericordia che cerca di attuare verso coloro che si trovano in ogni genere di bisogno materiale e spirituale.

Ben volentieri esprimo l’auspicio che la vostra "Venerabile Arciconfraternita della Misericordia" e tutte le altre "Misericordie" toscane possano continuare la loro benefica opera, secondo la loro originaria ispirazione cristiana, ricordando sempre l’insegnamento del Signore nel discorso della montagna: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia".

Con questi sentimenti, vi incoraggio nel vostro generoso impegno di carità e benedico voi qui presenti, i vostri familiari e tutti gli iscritti al vostro benemerito sodalizio.

Agli appartenenti al movimento "Cursillos" di cristianità


E’ presente all’Udienza un folto gruppo di appartenenti ai "Cursillos" di cristianità. A voi il mio saluto cordiale, figli carissimi! Il vostro Movimento, che ha celebrato da poco il suo trentennio di fondazione, si propone di suscitare nei cristiani l’impegno a vivere con coerenza la loro fede, sia come singoli che come comunità, ed a portarne il fermento negli ambienti che frequentano. Si tratta di riscoprire la verità esplosiva del messaggio evangelico: Dio, Padre di tutti, ci si è fatto incontro in Gesù Cristo, per raccoglierci, mediante la grazia dello Spirito, nell’unica famiglia della Chiesa. In essa noi possiamo già fin d’ora fare un’esperienza vera, anche se iniziale, di quell’amore che costituirà la sorgente inesauribile della gioia senza fine del Cielo. V’è qui la sintesi di tutto il cristianesimo. Lasciatevene conquistare sempre più e diventatene gli apostoli infaticabili nel vostro ambiente: questo è in realtà l’annuncio che attende ogni cuore umano, anche senza saperlo. Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica, come pegno della grazia divina, nella quale ciascuno di voi si sforza di vivere sempre.

Ai partecipanti al corso di aggiornamento sul metodo dell’ovulazione Billings

Rivolgo un saluto anche ai partecipanti al Corso di Aggiornamento sul Metodo dell’Ovulazione Billings, organizzato presso l’Auditorium della Università Cattolica del Sacro Cuore. Carissimi, mi rallegro con voi per l’impegno generoso che ponete nel promuovere una regolazione delle nascite che sia rispettosa della legge di Dio, e quindi anche dell’autentica dignità dell’uomo. Non vi scoraggino le difficoltà che potete incontrare sul vostro cammino. Voi servite l’uomo: causa nobilissima per la quale è ben giusto che si fatichi, pagando, se necessario, anche di persona. Vi benedico tutti con particolare effusione di cuore.

A vari gruppi

Sono lieto di rivolgere un affettuoso saluto ai componenti il pellegrinaggio della Parrocchia romana di S. Pio V, i quali celebrano la festa liturgica del loro celeste Patrono, che tanto amò ed operò per la Chiesa; in tale occasione hanno voluto, con gentile pensiero, restituirmi la visita da me compita il 28 ottobre dello scorso anno.
* * *


Con lo stesso animo riconoscente accolgo i pellegrini della Diocesi di Gravina, convenuti a Roma per ricordare il mio predecessore Benedetto XIII, loro illustre concittadino, in occasione del 250° anniversario della sua morte; ed ho il piacere di veder uniti ad essi i fedeli della Prelatura di Altamura ed Acquaviva delle Fonti, guidati da Monsignor Salvatore Isgrò, Pastore di entrambe le Comunità ecclesiali. Nel ringraziarvi tutti, carissimi figli, per la vostra attestazione di filiale ossequio ed affetto, vi esorto a rendere sempre più generosa e fervida la vostra testimonianza cristiana nelle singole famiglie e nella società, in un crescente spirito di fraterna coesione, affinché si manifesti in voi la vittoria di Cristo Risorto. Con tale auspicio, benedico di cuore voi, le vostre famiglie e tutte le persone care.

Agli appartenenti all’"Associazione Nazionale Sottufficiali e Guardie Forestali"

Rivolgo un particolare saluto agli appartenenti all’"Associazione Nazionale Sottufficiali e Guardie Forestali", che sono riuniti a Roma per il loro II Convegno Nazionale, al quale partecipano anche le Delegazioni delle Associazioni Forestali Europee.

Carissimi, la Chiesa apprezza il vostro impegno di conoscere e far conoscere sempre meglio la natura e le sue risorse, per amarla come dono di Dio e mezzo di vita, e soprattutto per custodirla e difenderla. Di cuore invoco per voi l’aiuto del Signore, per intercessione del vostro Protettore San Giovanni Gualberto e di San Francesco di Assisi, designato recentemente, come sapete, "Patrono dell’Ecologia".

Vi accompagni sempre la mia Apostolica Benedizione.

Ai giovani


Un paterno saluto va ora a voi giovani, presenti a questa Udienza ed a me sempre tanto cari, perché, col vostro mondo pieno di vita e di entusiasmo, significate tanta speranza per la Chiesa di Dio.

"I giovani - dice il Concilio - esercitano un influsso di somma importanza nella società odierna". Siate consapevoli di questa grande realtà, dimostrando innanzitutto piena responsabilità e impegno nel compimento dei vostri doveri, generoso entusiasmo nella realizzazione della missione propria a ciascuno di voi.

In questo programma di vita assista la Vergine Maria, che vi offre, nel prossimo mese di maggio a Lei dedicato, l’esempio delle sue virtù, mentre di tutto cuore vi benedico.

Agli ammalati

Dedico una speciale parola di saluto e di conforto a tutti gli ammalati qui presenti, alla cui considerazione, all’inizio del mese di maggio, vorrei offrire l’immagine della Vergine ai piedi della Croce.

"Presso la croce di Gesù stava sua Madre". La Vergine, col suo dolore di madre, ha partecipato, in maniera tutta particolare alla passione di Gesù, cooperando intimamente alla salvezza del genere umano. Come Maria, ciascuno di noi si può e si deve associare a Gesù sofferente per farsi, col proprio dolore, parte attiva nella redenzione del mondo, da Lui operata nel mistero pasquale.

Con questi voti, la mia confortatrice Benedizione, avvalorata dal materno aiuto di Maria, accompagni voi e quanti con amore vi assistono nella vostra offerta quotidiana.

Agli sposi novelli

Sempre gradita è anche la presenza del gruppo degli sposi novelli.

Invito anche voi a guardare a Maria nella sua vita di Nazareth ed imitarla alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II: "...Creati ad immagine del Dio vivente siate uniti da un eguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità". Maria, nella povera casa di Nazareth, si è donata, insieme con Giuseppe, pienamente a Gesù. Ecco la vostra vocazione di sposi cristiani: santificarvi, amandovi scambievolmente nell’amore del Cristo.

Perché possiate realizzare questa cristiana missione, prego il Signore e la Vergine Maria che vi sostengano nelle vostre responsabilità e vi proteggano nelle prove e nei pericoli. V’imparto di cuore la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri a tutti i vostri cari.
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Prima di concludere l’udienza il Santo Padre esprime la sua gioia per la felice conclusione della vicenda dell’Ambasciata Dominicana a Bogotà, in cui per circa due mesi sono stati tenuti in ostaggio alcuni Rappresentanti diplomatici di vari Paesi.

Voglio rendere partecipi anche voi, carissimi fratelli e sorelle qui presenti, della profonda consolazione che ho provato nell’apprendere la liberazione di tutti gli ostaggi, che ormai da due mesi erano trattenuti nell’Ambasciata della Repubblica Dominicana, a Bogotà. Come sapete, tra gli altri Rappresentanti diplomatici di vari Paesi vi era pure il Nunzio Apostolico, Monsignor Angelo Acerbi, rappresentante della Santa Sede in Colombia; egli è giunto a Roma, ieri, ed ho avuto la gioia di riabbracciarlo.

Ringraziamo insieme il Signore per la conclusione, che da tanto tempo si auspicava, ed era attesa da tutti; e ringraziamoLo soprattutto perché essa è avvenuta senza che accadessero danni irreparabili sia alle persone singole, sia alle Nazioni nelle loro mutue relazioni di pace. È una gioia per me, ed è una gioia per tutta l’umanità, perché è una affermazione dei veri grandi beni che devono essere garantiti ad ogni costo.

Questo aspetto umano è ciò che soprattutto merita di essere messo in luce in una circostanza così gravida di conseguenze, che poteva concludersi anche tragicamente, e ricca di risvolti umanitari commoventi, terminata invece felicemente.

Le lunghe sofferenze di chi è passato attraverso una esperienza tanto drammatica; le comprensibili privazioni degli interminabili giorni della reclusione; le ansie delle care famiglie e dei singoli Governi: tutto è ormai un brutto ricordo di fronte alla realtà consolante che ora si è avverata.

C’è effettivamente da rallegrarsi quando finalmente trionfa la ragione, la solidarietà, l’effettiva volontà di pace, il rispetto per la dignità umana, l’osservanza del diritto delle Genti, sancito da convenzioni che riguardano i rappresentanti di un popolo come persone sacre e inviolabili.

Nel ringraziare fervidamente il Signore per questo felice esito, preghiamo perché una soluzione egualmente positiva possa essere trovata sempre, anche altrove. Là si rivolge il mio pensiero, il mio augurio, la mia preghiera.

(1) Cf. p. es.: J. Bonsirven, Epîtres de Saint Jean, Beauchesne, Paris 19542, pp. 113-119; E. Brooke, Critical and Exegetical Commentary on the Johannine Epistles [International Critical Commentary], Clark, Edinburgh 1912, pp. 47-49; P. De Ambroggi, Le Epistole Cattoliche, Marietti, Torino 1947, pp. 216-217; C. H. Dodd, The Johannine Epistles, Moffatt New Testament Commentary, London 1946, pp. 41-42; J. Houlden, A Commentary on the Johannine Epistles, Black, London 1973, pp. 73-74, B. Prete, Lettere di Giovanni, Ed. Paoline, Roma 1970, p. 61; R. Schnackenburg, Die Johannesbriefe, Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, Freiburg 1953, pp. 112-115; J. R. W. Stott, Epistles of John, Tyndale New Testament Commentaries, London 19693, pp. 99-101. Sul tema della teologia di Giovanni, cf. in particolare A. Feuillet, Le mystère de l’amour divin dans la théologie johannique, Gabalda, Paris 1972.

(2) Il testo ebraico può avere entrambi i significati, perché suona: "Sa ELOHIM che il giorno in cui ne mangerete [il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male] si apriranno i vostri occhi e diventerete come ELOHIM, conoscenti del bene e del male". Il termine elohim è plurale di eloah ["pluralis excellentiae"]. In relazione a Jahvè, ha significato singolare; può però indicare il plurale di altri esseri celesti o divinità pagane [p. es. Sal 8,6; Es 12,12; Gdc 10,16; Os 31,1 e altri]. Riportiamo alcune versioni:

– italiano: "diverreste come Dio, conoscendo il bene e il male" [Pont. Istit. Biblico, 1961];

– francese: "...vous serez comme des dieux, qui connaissent le bien et le mal" [Bible de Jérusalem, 1973];

– inglese: "you will be like God, knowing good and evil" [Revised Standard Version, 1966];

– spagnolo: "seréis como dioses, conocedores del bien y del mal" [S. Ausejo, Barcelona 1964]; "seréis como Dios en el conocimiento del bien y el mal" [A. Alonso Schökel, Madrid 1970].






Catechesi 79-2005 16480