Catechesi 79-2005 14580

Mercoledì, 14 maggio 1980: Radicale cambiamento del significato della nudità originaria

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(Il maltempo che imperversava su Roma ha reso impossibile l'effettuazione dell'udienza in Piazza San Pietro: l'incontro si è così svolto in due tempi, dapprima nella Basilica Vaticana, quindi nell'Aula Paolo VI)



Non posso iniziare l’incontro odierno se non col manifestare la mia più profonda gratitudine a Dio, che ha guidato i miei passi sulle vie dell’Africa e mi ha permesso, nel corso di dieci giorni, di visitare sei diversi Paesi del Continente Africano, concedendomi di vivere, insieme a tanti nostri fratelli e sorelle nella fede, la gioia della comunione spirituale nell’unica Chiesa di Cristo, e contemporaneamente condividere con tante nuove società, che si aprono alla vita, la gioia della loro giovane indipendenza e sovranità.

Per tutto ciò esprimo la più profonda riconoscenza a Dio e a Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo e, in pari tempo, Signore, Crocifisso e Risorto, della storia dell’umanità. Esprimo anche vivo ringraziamento a tutti coloro che nel continente africano mi hanno accolto come pastore e, ad un tempo, come padre e fratello. Erano vescovi, sacerdoti, suore e fratelli religiosi; erano laici: uomini e donne, giovani e bambini. Erano Capi di Stato e Autorità, e anche rappresentanti delle antiche tradizioni tribali. Erano sposi e famiglie. Erano cattolici e cristiani, come altresì musulmani e seguaci delle tradizionali religioni africane, nelle quali pure si trova un nucleo della rivelazione primitiva.

Grazie a questa visita ho potuto incontrare, anche se brevemente, quelle care popolazioni, gioire della loro giovinezza spirituale, rendere omaggio alle loro belle tradizioni culturali e nello stesso tempo ai molteplici successi conseguiti.

Sull’argomento del pellegrinaggio in terra africana desidero ritornare la prossima settimana e forse anche in altre occasioni. Questo di oggi è soltanto una prima espressione, dettata da un impellente bisogno del cuore e da un profondo senso di gratitudine.
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Basilica Vaticana



Radicale cambiamento del significato della nudità originaria

1. Abbiamo già parlato della vergogna che sorse nel cuore del primo uomo, maschio e femmina, insieme al peccato. La prima frase del racconto biblico, al riguardo, suona così: "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due, e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture" (
Gn 3,7). Questo passo, che parla della vergogna reciproca dell’uomo e della donna quale sintomo della caduta (status naturae lapsae), va considerato nel suo contesto. La vergogna in quel momento tocca il grado più profondo e sembra sconvolgere le fondamenta stesse della loro esistenza. "Poi udirono il Signore Dio, che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo con la sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino" (Gn 3,8). La necessità di nascondersi indica che nel profondo della vergogna avvertita reciprocamente, come frutto immediato dell’albero della conoscenza del bene e del male, è maturato un senso di paura di fronte a Dio: paura precedentemente ignota."Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: "Dove sei?"". Rispose: "Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto"" (Gn 3,9-10). Una certa paura appartiene sempre all’essenza stessa della vergogna; nondimeno la vergogna originaria rivela in modo particolare il suo carattere: "Ho avuto paura, perché sono nudo". Ci rendiamo conto che qui è in gioco qualche cosa di più profondo della stessa vergogna corporale, legata ad una recente presa di coscienza della propria nudità. L’uomo cerca di coprire con la vergogna della propria nudità l’autentica origine della paura, indicandone piuttosto l’effetto, per non chiamare per nome la sua causa. Ed è allora che Dio Jahvè lo fa in sua vece: "Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?" (Gn 3,11).

2. Sconvolgente è la precisione di quel dialogo, sconvolgente è la precisione di tutto il racconto. Essa manifesta la superficie delle emozioni dell’uomo nel vivere gli avvenimenti, in modo da svelarne al tempo stesso la profondità. In tutto ciò la "nudità" non ha soltanto un significato letterale, non si riferisce soltanto al corpo, non è origine di una vergogna riferita solo al corpo. In realtà, attraverso "la nudità", si manifesta l’uomo privo della partecipazione al Dono, l’uomo alienato da quell’Amore che era stato la sorgente del dono originario, sorgente della pienezza del bene destinato alla creatura. Quest’uomo, secondo le formule dell’insegnamento teologico della Chiesa (1), fu privato dei doni soprannaturali e preternaturali, che facevano parte della sua "dotazione" prima del peccato; inoltre, subì un danno in ciò che appartiene alla natura stessa, all’umanità nella pienezza originaria "dell’immagine di Dio". La triplice concupiscenza non corrisponde alla pienezza di quell’immagine, ma appunto ai danni, alle deficienze, alle limitazioni che apparvero col peccato. La concupiscenza si spiega come carenza, la quale affonda però le radici nella profondità originaria dello spirito umano. Se vogliamo studiare questo fenomeno alle sue origini, cioè alla soglia delle esperienze dell’uomo "storico", dobbiamo prendere in considerazione tutte le parole che Dio-Jahvè rivolse alla donna (Gn 3,16) e all’uomo (Gn 3,17-19), e inoltre dobbiamo esaminare lo stato della coscienza di entrambi; ed è il testo jahvista che espressamente ce lo facilita. Già prima abbiamo richiamato l’attenzione sulla specificità letteraria del testo a tale riguardo.

3. Quale stato di coscienza può manifestarsi nelle parole: "Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto"? A quale verità interiore corrispondono esse? Quale significato del corpo testimoniano? Certamente questo nuovo stato differisce grandemente quello originario. Le parole di Genesi 3,10 attestano direttamente un radicale cambiamento del significato della nudità originaria. Nello stato dell’innocenza originaria, la nudità, come abbiamo osservato in precedenza, non esprimeva carenza, ma rappresentava la piena accettazione del corpo in tutta la sua verità umana e quindi personale. Il corpo, come espressione della persona, era il primo segno della presenza dell’uomo nel mondo visibile. In quel mondo, l’uomo era in grado, fin dall’inizio, di distinguere se stesso, quasi individuarsi - cioè confermarsi come persona - anche attraverso il proprio corpo. Esso, infatti, era stato, per così dire, contrassegnato come fattore visibile della trascendenza, in virtù della quale l’uomo, in quanto persona, supera il mondo visibile degli esseri viventi (animalia). In tale senso, il corpo umano era dal principio un testimone fedele e una verifica sensibile della "solitudine" originaria dell’uomo nel mondo, diventando al tempo stesso, mediante la sua mascolinità e femminilità, una limpida componente della reciproca donazione nella comunione delle persone. Così, il corpo umano portava in sé, nel mistero della creazione, un indubbio segno dell’"immagine di Dio" e costituiva anche la specifica fonte della certezza di quell’immagine, presente in tutto l’essere umano. L’originaria accettazione del corpo era, in un certo senso, la base dell’accettazione di tutto il mondo visibile. E, a sua volta, era per l’uomo garanzia del suo dominio sul mondo, sulla terra, che avrebbe dovuto assoggettare (cf. Gn 1,28).

4. Le parole "ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto" (Gn 3,10) testimoniano un radicale cambiamento di tale rapporto. L’uomo perde, in qualche modo, la certezza originaria dell’"immagine di Dio", espressa nel suo corpo. Perde anche in certo modo il senso del suo diritto a partecipare alla percezione del mondo, di cui godeva nel mistero della creazione. Questo diritto trovava il suo fondamento nell’intimo dell’uomo, nel fatto che egli stesso partecipava alla visione divina del mondo e della propria umanità; il che gli dava profonda pace e gioia nel vivere la verità e il valore del proprio corpo, in tutta la sua semplicità, trasmessagli dal Creatore: "Dio vide (che) era cosa molto buona" (Gn 1,31). Le parole di Genesi Gn 3,10: "Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto" confermano il crollo dell’originaria accettazione del corpo come segno della persona nel mondo visibile. Insieme, sembra anche vacillare l’accettazione del mondo materiale in rapporto all’uomo. Le parole di Dio-Jahvè preannunciano quasi l’ostilità del mondo, la resistenza della natura nei riguardi dell’uomo e dei suoi compiti, preannunciano la fatica che il corpo umano avrebbe poi provato a contatto con la terra da lui soggiogata: "Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto" (Gn 3,17-19). Il termine di tale fatica, di tale lotta dell’uomo con la terra, è la morte: "Polvere tu sei e in polvere tornerai" (Gn 3,19).

In questo contesto, o piuttosto in questa prospettiva, le parole di Adamo in Genesi Gn 3,10: "Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto", sembrano esprimere la consapevolezza di essere inerme, e il senso di insicurezza della sua struttura somatica di fronte ai processi della natura, operanti con un determinismo inevitabile.Forse, in questa sconvolgente enunciazione si trova implicita una certa "vergogna cosmica", in cui si esprime l’essere creato ad "immagine di Dio" e chiamato a soggiogare la terra e a dominarla (cf. Gn 1,28), proprio mentre, all’inizio delle sue esperienze storiche e in maniera così esplicita, viene sottomesso alla terra, particolarmente nella "parte" della sua costituzione trascendente rappresentata appunto dal corpo.

Occorre qui interrompere le nostre riflessioni sul significato della vergogna originaria, nel Libro della Genesi. Le riprenderemo fra una settimana.



(1) Il magistero della Chiesa si è occupato più da vicino di questi problemi in tre periodi, a seconda dei bisogni dell’epoca. Le dichiarazioni dei tempi delle controversie con i pelagiani [V-VI sec.] affermano che il primo uomo, in virtù della grazia divina, possedeva "naturalem possibilitatem et innocentiam" [Denz.-Schön. DS 239], chiamata anche "libertà" ["libertas", "libertas arbitrii"] [Denz.-Schön. DS 371 DS 242 DS 383 DS 622]. Egli permaneva in uno stato, che il Sinodo di Orange [a. 529] denomina "integritas":

"Natura humana, etiamsi in illa integritate, in qua condita est, permaneret, nullo modo se ipsam, Creatore suo non adiuvante, servaret..." [Denz.-Schön. DS 389].

I concetti di "integritas" e, in particolare, quello di "libertas", presuppongono la libertà della concupiscenza, sebbene i documenti ecclesiastici di quest’epoca non la menzionino in modo esplicito. Il primo uomo era inoltre libero dalla necessità di morte [Denz.-Schön DS 222 DS 372 DS 1511]. Il Concilio di Trento definisce lo stato del primo uomo, anteriore al peccato, come "santità e giustizia" ["sanctitas et iustitia": Denz.-Schön DS 1511 DS 1512] oppure come "innocenza" ["innocentia": Denz.-Schön DS 1521].

Le ulteriori dichiarazioni in questa materia difendono l’assoluta gratuità del dono originario della grazia, contro le affermazioni dei giansenisti. La "integritas primae creationis" era una immeritata elevazione della natura umana ["indebita humanae naturae exaltatio"] e non "lo stato che le era dovuto per natura" ["naturalis eius condicio": Denz.-Schön DS 1926]; Dio avrebbe quindi potuto creare l’uomo senza queste grazie e doni [Denz.-Schön DS 1955); ciò non avrebbe infranto l’essenza della natura umana né l’avrebbe privata dei suoi privilegi fondamentali [Denz.-Schön DS 1903-1907 DS 1909 DS 1921 DS 1923 DS 1924 DS 1926 DS 1955 DS 2434 DS 2437 DS 2616 DS 2617]. In analogia con i Sinodi antipelagiani, il Concilio di Trento tratta soprattutto il dogma del peccato originale, inserendo nel suo insegnamento i precedenti enunciati in proposito. Qui, però, fu introdotta una certa precisazione, che in parte cambiò il contenuto compreso nel concetto di "liberum arbitrium". La "libertà" o "libertà della volontà" dei documenti antipelagiani non significava la possibilità di scelta, connessa con la natura umana, quindi costante, ma si riferiva soltanto alla possibilità di compiere gli atti meritevoli, la libertà che scaturisce dalla grazia e che l’uomo può perdere.

Orbene, a causa del peccato, Adamo perse ciò che non apparteneva alla natura umana intesa nel senso stretto della parola, cioè "integritas", "sanctitas", "innocentia", "iustitia". Il "liberum arbitrium", la libertà della volontà, non fu tolta, ma si indebolì:

"...liberum arbitrium minime exstinctum... viribus licet attenuatum et inclinatum..." [Denz.-Schön. DS 1521; Concilio Tridentino, Decr. de Iustiicatione, Sessio VI, can. 1]. Insieme al peccato appare la concupiscenza e la ineluttabilità della morte:

"...primum hominem... cum mandatum Dei... fuisset transgressus, statim sanctitatem et iustitiam, in qua constitutus fuerat, amisisse incurrisseque per offensam praevaricationis huiusmodi iram et indignationem Dei atque ideo mortem... et cum morte captivitatem sub eius potestate, qui "mortis" deinde "habuit imperium"... "totumque Adam per illam praevaricationis offensam secundum corpus et animam in deterius commutatum fuisse..."" [Denz.-Schön DS 1511; Concilio Tridentino, Decr. de pecc. orig., Sessio V, can. 1]. [Cf. Mysterium Salutis, II, Einsiedeln-Zurich- Köln 1967, pp. 827-828: W. Seibel, Der Mensch als Gottes übernatürliches Ebenbild und der Urstand des Menschen]).




Aula Paolo VI


Saluti

Ai partecipanti all’assemblea plenaria del Comitato per l’Area Europea della Federazione Internazionale dei Ciechi

Mi rivolgo ora, con particolare paterna affezione, al gruppo dei partecipanti all’Assemblea Plenaria del Comitato per l’Area Europea della Federazione Internazionale dei Ciechi, venuti qui da vari Paesi per esprimere al Papa l’omaggio della loro devozione.

Vi accolgo molto volentieri, carissimi Fratelli e Sorelle non vedenti, e vi ringrazio di codesta presenza, che è testimonianza di fede cristiana. So bene quali nobili sentimenti vi distinguono e con quale dignità sapete portare le vostre sofferenze. So anche della fedeltà cristiana, che ispira la vostra vita e le vostre azioni, infondendovi pace e serenità. La vostra fortezza interiore sia sorgente di luce e di ispirazione per quanti hanno occhi per vedere, ma spesso non vedono, perché non sanno andare al di là delle apparenze materiali. La Chiesa vi è grata per la forza e l’esempio con cui sapete soffrire ed irradiare i valori imperituri dello spirito, che ci mettono in comunione con Dio.

In segno della mia speciale benevolenza vi imparto la propiziatrice Benedizione Apostolica, che estendo a tutti coloro che vi accompagnano e vi assistono.

Al gruppo appartenente alla classe 1920

Una parola di saluto voglio anche rivolgere al simpatico gruppo appartenente alla classe del 1920, a cui anch’io appartengo. Carissimi coetanei, vi esprimo il mio più vivo compiacimento per i sentimenti di affetto e di augurio al Papa che qui vi hanno condotti. Volendo ricambiare codesto gesto delicato, auspico che sappiate sempre mantenere fede agli impegni del vostro Battesimo, facendo sempre onore al nome cristiano e portando nell’ambiente in cui vivete la testimonianza del Vangelo e la coerenza agli insegnamenti che vi sono stati impartiti nella famiglia e nella Chiesa, fin dall’infanzia. A questo fìne benedico voi e tutti i vostri familiari.


Al pellegrinaggio della Parrocchia Santa Maria degli Angeli di Assisi

Saluto ancora due gruppi a me particolarmente cari: essi sono o rispettivamente il Pellegrinaggio della Parrocchia Santa Maria degli Angeli, in diocesi di Assisi, tra cui ci sono duecento fanciulli di Prima Comunione e Cresima; e i partecipanti al Congresso dell’Associazione Nazionale Educatori Benemeriti, che sono stati decorati di "Medaglia d’oro per la cultura".

Sono molto grato ai primi per questa visita, che riaccende nel mio animo i bei ricordi del mio pellegrinaggio ad Assisi all’inizio del Pontificato Ringrazio soprattutto quanti si sono prodigati nella Parrocchia per la preparazione alla prima Confessione, alla prima Comunione e alla Cresima ai cari fanciulli che sono la letizia e la forza della Chiesa. Sono grato agli altri per la dedizione che essi pongono nella scuola per la promozione culturale e spirituale della gioventù.

Mentre esorto tutti a continuare coraggiosamente e saggiamente in codesto impegno di educazione cristiana, accompagno tale sforzo con la mia Benedizione Apostolica, in pegno della continua assistenza divina.

Ai numerosi gruppi giovanili

Saluto i giovani qui presenti ed assicuro a loro la mia stima più sincera. Voglio dirvi una sola cosa: siate sempre degni delle attese e delle speranze, che la società e la Chiesa ripongono in voi. Impegnatevi generosamente a non deludere mai ciò che l’avvenire del mondo, per quanto sta nelle vostre mani, si aspetta dal vostro contributo di intelligenza e di amore. Sono questi vostri propositi ed i vostri sforzi in tal senso, che io benedico con tutto il cuore.

Agli ammalati

Agli ammalati, ed in particolare a quelli che provengono dal "Cottolengo" di Torino, il mio cordiale saluto, ed una speciale parola di fiducia e di incoraggiamento. Di fiducia, perché la Chiesa conta molto sulla preziosità della vostra sofferenza, che nelle mani del Signore può diventare assai feconda per il bene di tutti. Di incoraggiamento, perché vi assicuro il mio affetto e la mia preghiera, affinché possiate lietamente portare la vostra croce con l’aiuto della grazia di Dio, che invoco abbondante e confortatrice per tutti voi.

Agli sposi novelli

Rivolgo pure un saluto speciale agli sposi novelli, che sono in mezzo a noi. Vi faccio un augurio semplicissimo, ma veramente sentito: possa la vostra vita di coppia essere sempre umanamente felice e cristianamente luminosa. Siate, cioè, davvero un cuore solo e un’anima sola, non solo nel vostro amore reciproco, ma anche nell’affrontare uniti le varie difficoltà della vita, e soprattutto nel rendere testimonianza al Signore, del cui amore totale per la Chiesa voi siete immagine viva. E vi accompagni sempre la mia Benedizione, che di cuore estendo anche alle vostre future famiglie.

Il saluto al patriarca siro-ortodosso d’Antiochia e di tutto l’Oriente


Sono particolarmente lieto di salutare e di presentare a voi o un mio ospite e ben amato fratello nel Signore, Sua Santità Mar Ignatius Yacoub III, patriarca siro-ortodosso d’Antiochia e di tutto l’Oriente, che in questi giorni compie una visita ufficiale alla Chiesa di Roma.

La Chiesa sira ha le sue radici in quel Paese del Medio Oriente dove si sono sviluppate diverse tradizioni di preghiera, di spiritualità e di pensiero teologico che hanno profondamente contraddistinto la vita della Chiesa di Cristo nei primi secoli.

Le nostre Chiese hanno in comune molti elementi della fede e della vita sacramentale e disciplinare, esse tuttavia non sono in piena comunione ecclesiale da molti secoli, per complesse ragioni dottrinali e storiche. Con la grazia di Dio, però, i rapporti tra le nostre Chiese sono migliorati in modo veramente notevole, a partire dal Concilio Vaticano II. Nove anni fa, Sua Santità il Patriarca ha fatto una visita al mio venerato predecessore Papa Paolo VI. Da quel tempo i contatti si sono moltiplicati in vari campi della ricerca teologica e della collaborazione pastorale. Porgo i miei migliori saluti al Patriarca, ai sette venerabili Vescovi, al sacerdote e al rappresentante del laicato siro, che lo accompagnano.

Possa la Santa Madre di Dio, la Theotokos, e possano gli antichi martiri cristiani di Roma e di Antiochia, che veneriamo insieme, aiutarci con la loro intercessione perché possiamo raggiungere la desiderata piena comunione ecclesiale.

Giovanni Paolo II quindi invita il Patriarca a rivolgere alcune parole all’assemblea. Sua Santità Mar Ignatius Yacoub III pronuncia un breve saluto:

Cari amici, siamo oggi qui a Roma per visitare Sua Santità il Papa della Chiesa di Roma. É la prima volta che ci incontriamo con Sua Santità dopo la sua elezione. Ci è giunta l’eco di tante cose che riguardano Sua Santità, anche se la sua elezione risale a non molto tempo fa. Basti dire delle sue visite in tanti luoghi e vedere che cosa ha portato con sé: la speranza. Adesso abbiamo parlato a voi nella nostra lingua che è quella siriaca. É la lingua del nostro Salvatore Gesù Cristo, di Sua Madre e dei Suoi Apostoli. Ancora oggi noi la usiamo nella nostra liturgia. Questa lingua è divenuta sacra da quando Nostro Signore ha parlato. Come Siri dobbiamo dire che lavoriamo intensamente nel campo ecumenico e speriamo che tra non molto tempo saremo uno come eravamo. Così, sempre, noi preghiamo per l’unità della Chiesa e per Sua Santità il Vescovo di Roma.

Al gruppo proveniente dalla diocesi di Grenoble

Ai pellegrini tedeschi


Mercoledì, 21 maggio 1980: Introdurre nella vita concreta la dottrina del Concilio

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1. Oggi desidero parlare dell’Africa, del mio pellegrinaggio di dieci giorni in quel continente. Lo faccio, prima di tutto, per rispondere a un bisogno del cuore, ed anche - almeno in provvisorio abbozzo - alle esigenze di un primo bilancio. Sarebbe difficile, infatti, pensare a un pieno saldo del debito, che per questa visita ho contratto nei confronti di tanti uomini, come delle società e delle Chiese africane. Sarebbe tanto più difficile "raccontare" in un discorso, relativamente breve, questo avvenimento, o piuttosto tutta la serie degli avvenimenti verificatisi, così eloquenti e pieni di molteplici contenuti. E un tema che deve ritornare a più riprese e fruttificare ancora a lungo.

Sin dai primi giorni del mio servizio pastorale nella sede romana di san Pietro, ho sentito un profondo bisogno di avvicinarmi al continente nero. E perciò ho accettato con gioia, prima, l’invito da parte dell’episcopato dello Zaire, invito collegato con il primo centenario dell’evangelizzazione in quel grande paese. In seguito, è arrivato un altro simile invito dell’episcopato del Ghana, dove, egualmente, l’inizio della missione evangelizzatrice della Chiesa risale all’anno 1880.

Tuttavia, accanto a questi inviti, giustificati da un particolare anniversario, presto ne sono apparsi altri da diversi paesi dell’Africa. Provenivano dai vari episcopati ed anche dai rappresentanti delle autorità civili. Essi sono stati tanto numerosi, che non ci fu modo di accoglierli tutti durante questo primo viaggio. Benché l’itinerario di dieci giorni abbia abbracciato, oltre lo Zaire e il Ghana, anche il Congo-Brazzaville, il Kenya, l’Alto Volta e la Costa d’Avorio, questa è soltanto una parte del compito che ho da svolgere e che, con l’aiuto di Dio, desidero realizzare. Anzi, lo ritengo mio dovere pastorale.

2. Si può guardare in modi diversi ai suddetti avvenimenti, così come anche si può diversamente valutare tutto questo modo di esercitare il servizio pastorale del Vescovo di Roma nella Chiesa universale. Tuttavia, rimane il fatto che già Giovanni XXIII prevedeva tali possibilità, e Paolo VI le ha realizzate a vasto raggio. Ciò è certamente legato anche allo sviluppo dei moderni mezzi di comunicazione - ma soprattutto è legato alla nuova coscienza missionaria della Chiesa. Questa coscienza la dobbiamo al Concilio Vaticano II, il quale ha mostrato, fino alle radici più profonde, il significato teologico della verità, secondo cui la Chiesa si trova continuamente in stato di missione (in statu missionis). E non può essere diversamente, dato che permane costantemente in essa la missione, cioè il mandato apostolico di Cristo, Figlio di Dio, e la missione invisibile dello Spirito Santo, che viene dato dal Padre alla Chiesa e mediante la Chiesa agli uomini e ai popoli per opera di Cristo crocifisso e risorto.

Si può quindi dire che dopo il Vaticano II non è possibile compiere alcun servizio nella Chiesa, se non nel senso della coscienza missionaria così formata. Questa e diventata, in certo senso, una dimensione fondamentale della fede viva di ogni cristiano, un modo di vivere di ogni parrocchia, di ogni congregazione religiosa e delle varie comunità. È diventata una caratteristica essenziale di ogni Chiesa "particolare", cioè di ogni diocesi. Quindi, è diventata anche un modo proprio e adeguato di compiere la missione pastorale del Vescovo di Roma. Sembra che dopo il Concilio Vaticano II egli non possa compiere il suo servizio diversamente, se non uscendo verso gli uomini, quindi verso i popoli e le nazioni, nello spirito delle parole così chiare di Cristo, che ordina agli apostoli di andare in tutto il mondo e di ammaestrare "tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (
Mt 28,18).

3. La dottrina del Concilio Vaticano II ha costituito la preparazione più adeguata al pellegrinaggio del Papa in Africa, quasi un "manuale" indispensabile. E, contemporaneamente, si può dire che questo stesso viaggio o pellegrinaggio non è niente altro che la realizzazione, cioè l’introduzione nella vita concreta, della dottrina del Vaticano II.Forse ciò potrebbe sorprendere qualcuno - ma è proprio così. Infatti, la dottrina del Concilio è non soltanto una raccolta di concetti astratti e di formule sul tema della Chiesa - ma è un insegnamento profondo e globale sulla vita della Chiesa. Questa vita della Chiesa è una missione in cui, attraverso la storia di ogni uomo e, al tempo stesso attraverso la storia delle nazioni e delle generazioni, si sviluppa e realizza l’eterno mistero dell’amore di Dio rivelato in Cristo. Il continente africano è un terreno immenso, in cui questo processo dinamico si compie con una particolare espressività. L’anima dell’Africa merita che sia detto di essa ciò che, un tempo, disse Tertulliano, egli stesso africano, che cioè è "naturaliter christiana". In ogni caso, è un’anima profondamente religiosa negli strati, sempre ancora vasti, della sua religiosità tradizionale, sensibile alla dimensione sacrale di tutto l’essere, convinta dell’esistenza di Dio e della sua influenza sul creato, aperta a ciò che è oltre il terrestre e oltre la tomba.

E sebbene soltanto una parte degli abitanti del continente nero (di cui il tredici per cento sono cattolici) abbia accettato il Vangelo, tuttavia è grande la disponibilità alla sua accettazione; significativo è anche l’entusiasmo della fede e la vitalità della Chiesa. Si può dire che tutto ciò - sia la missione interna della Chiesa, sia l’ecumenismo, sia anche d’altronde l’influsso dell’islamismo e il raggio sempre ancora vasto e forse prevalente della religione tradizionale o animismo - si comprende nel modo giusto soltanto con l’aiuto dell’insegnamento che il Concilio ha racchiuso nella costituzione dogmatica sulla Chiesa "Lumen Gentium" e in particolare nel capitolo sul Popolo di Dio.Qui le singole componenti di questo popolo sono state definite in relazione all’eterna volontà salvifica di Dio, Creatore e Padre, e alla realtà della redenzione e mediazione di Cristo, le quali non escludono nessuno, come anche, infine, in relazione all’azione misteriosa dello Spirito Santo, il quale penetra i cuori umani e le coscienze.

4. Avendo davanti agli occhi questa immagine ricca e differenziata che il Concilio ha delineato, ci muoviamo fra gli uomini e i popoli dell’Africa non soltanto con viva coscienza della missione, ma anche con la particolare speranza della salvezza, la quale - se si compie anche al di fuori della Chiesa visibile - si realizza tuttavia mediante Cristo operante nella Chiesa. E forse con ciò si spiega anche quel rapporto insolito stabilito con un pellegrino, che non rappresentava alcuna potenza temporale, ma veniva esclusivamente nel nome di Cristo, per rendere testimonianza al suo infinito amore verso gli uomini, verso ogni uomo e verso tutti - anche verso coloro che ancora non lo conoscono e non hanno ancora accettato pienamente il suo Vangelo insieme al ministero sacramentale della Chiesa.

Contemporaneamente, questo incontro grande e così pure differenziato testimonia quanto enorme è sempre il compito missionario della Chiesa in questo continente tanto promettente. E benché nei singoli paesi la maggior parte degli episcopati sia già costituita da Vescovi neri, tuttavia non soltanto una grande parte del clero e del personale impegnato nell’evangelizzazione è formato ancora da missionari e da missionarie ma per di più le loro richieste continuano ad essere numerose, anzi sono forse più numerose che mai. I pastori più vigilanti - figli del continente nero - ne parlano spesso, aggiungendo che è venuta un’ora particolare dell’Africa nella storia dell’evangelizzazione e che veramente "la messe è molta" (Mt 9,37). Quanto dunque sono degni di ammirazione, per esempio, quei Vescovi bianchi, i quali, dopo aver ceduto il posto ai loro successori africani, continuano a lavorare come missionari nella normale pastorale quotidiana di quelle Chiese! Quanto il loro esempio dovrebbe attirare altri!


5. In questo quadro sintetico, devo ancora l’ultima parola alle giovani società africane, da poco indipendenti, ai nuovi stati sovrani di quel continente. La Chiesa vi attribuisce grande importanza - come lo testimonia, per esempio, la costituzione "Gaudium et Spes" - guidata da motivi di natura non politica, ma anzitutto etica. Dappertutto. quindi, ho cercato di manifestare la gioia proveniente dal fatto che, grazie alla sovranità delle società africane, si attuano i diritti naturali della nazione, la quale, vivendo e sviluppandosi autonomamente, realizza la sua dignità innata, la propria cultura, e può più pienamente servire le altre società, mediante i frutti della sua matura attività. La Chiesa che nei diversi continenti cerca, da parte sua, di aiutare lo sviluppo delle nazioni e delle società, si rallegra di ciò che in questo campo ha già potuto fare nel continente africano e desidera anche in avvenire servire le giovani nazioni del continente nero con ogni dedizione e amore. Penso che il mio primo pellegrinaggio nei paesi africani ha dato a questa realtà la dovuta e indispensabile espressione. E, perciò, rinnovo ancora una volta la mia gratitudine a Dio stesso, il quale ha diretto i miei passi in quei paesi - ed anche a tutti gli uomini che, in diversi modi, mi hanno aiutato a svolgere questo compito.

Dio benedica l’Africa: tutti i suoi figli e le sue figlie!

Saluti:

Ai pellegrini francesi

Ai visitatori giapponesi

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai cori olandesi

Ai pellegrini spagnoli dell’associazione "Amas decasa" e del gruppo del Banco Guipuzcoano

Agli ufficiali e al marinai della nave scuola della marina brasiliana "Custódio de Mello"

Ai numerosi gruppi di coetanei

Anche oggi sono presenti vari gruppi di miei coetanei che sono voluti venire per recarmi personalmente i loro auguri. Ringrazio di cuore per questa manifestazione di affetto, ricambiando per ciascuno di voi i migliori voti per quanto desiderate di bello e di buono. Ringrazio tra gli altri il gruppo dei sessantenni di Borgomanero, in diocesi di Novara, e chiedo loro di portare il mio saluto alla "Madonnina" che è sulla loro piazza.

Vi accompagni tutti la mia Benedizione.


Ai giovani di due parrocchie romane

Sono presenti all’udienza i rappresentanti di due parrocchie di Roma, dedicate rispettivamente a San Giovanni Battista De Rossi, e a Gesù Divin Maestro. A loro desidero porgere un saluto particolarmente cordiale perché appartengono alla Diocesi del Papa, alla mia diocesi.

A voi, fedeli della Parrocchia di San Giovanni Battista De Rossi, che festeggiate il 40° anniversario della sua fondazione, raccomando di cuore di conoscere e di meditare la vita del Santo a cui essa è intitolata: San Giovanni Battista De Rossi (1698-1764), che, tra sofferenze e difficoltà, spese tutta la sua vita per il bene di Roma, apostolo del confessionale e della formazione dei Sacerdoti. Egli vi insegni a rimanere sempre uniti nella fraternità della comunità parrocchiale, per un impegno sempre più fervoroso ed efficace di vita cristiana.

A voi, ragazzi e giovani della Parrocchia di "Gesù Divin Maestro", che avete frequentato il Corso biennale di preparazione ai Sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e della Cresima, esprimo prima di tutto il mio compiacimento per la buona volontà che avete dimostrato nella diligenza e nell’impegno posto nell’accostarvi ad eventi tanto importanti della vostra vita; e poi raccomando di continuare ad ascoltare e a seguire il Divin Maestro Gesù con convinzione e coerenza, partecipando attivamente alle varie attività formative e culturali della vostra Parrocchia, per la vostra crescita e maturazione cristiana.

Ai giovani

Estendo ora il mio cordiale saluto a tutti i ragazzi e giovani, qui convenuti per esprimere al Papa i loro sentimenti di viva fede e di affettuosa devozione.

Carissimi, nel porgervi il mio cordiale benvenuto, mi è gradito ricordarvi l’imminenza della solennità della Pentecoste, che costituisce un avvenimento di capitale importanza per la Chiesa: la sua presentazione al mondo, la nascita ufficiale con il battesimo nello Spirito! Compimento della Pasqua, la venuta dello Spirito Santo nei discepoli di Gesù Risorto - di ieri, di oggi e di tutti i tempi - è principio di vita nuova, vita di verità, di grazia, di amore per il loro cuore e la loro attività. Tutta la vita del cristiano è, dunque, sotto il segno e l’influsso dello Spirito Santo, ricevuto nel Battesimo e nella Cresima che sono la "nostra Pentecoste". Mentre rivolgo uno speciale pensiero a quanti hanno ricevuto in questi giorni la prima Comunione o il sacramento della Confermazione, di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Nel salutare affettuosamente tutti voi malati, qui presenti, desidero ricordare anche a voi la festività della Pentecoste, che, con fede viva e con profondo gaudio del cuore, ci apprestiamo a celebrare.

Seguendo l’insegnamento dell’Apostolo delle genti, noi sappiamo che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi, e anche noi, quando siamo coinvolti da miserie e dolori di ogni genere, gemiamo e piangiamo; ma il Signore ci conforta e ci esorta a sperare sempre. Sappiate, carissimi, che, nel Battesimo e nella Cresima, è stato effuso lo Spirito Santo nei vostri cuori. Pertanto, continui Egli ad illuminare le vostre menti, perché comprendiate la vostra vocazione ed il valore della vostra sofferenza santificata; continui Egli a darvi coraggio e fortezza, perché possiate superare con dignità e merito ogni prova dolorosa; continui Egli, infine, ad essere sempre per voi "Consolatore perfetto / dolce ospite dell’anima / dolcissimo sollievo".

Vi benedico tutti, insieme con quelli che amorevolmente vi assistono.

Alle numerose coppie di sposi novelli

Desidero, poi, riservare una speciale parola di saluto agli Sposi novelli, presenti a questa Udienza generale.

Carissimi, insieme con un cordiale ringraziamento per il vostro attestato di filiale affetto, vi porgo un incoraggiante augurio, che vi accompagni per l’intero viaggio della vostra vita coniugale.

Lo Spirito Santo illumini con la sua luce le vostre menti e sorregga con la sua grazia divina le vostre volontà.

Con la propiziatrice Benedizione Apostolica.







Catechesi 79-2005 14580