Catechesi 79-2005 8100

Mercoledì, 8 ottobre 1980: Interpretazione psicologica e teologica del concetto di concupiscenza

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1. Desidero oggi portare a termine l’analisi delle parole pronunziate da Cristo, nel discorso della montagna, sull’"adulterio" e sulla "concupiscenza", e in particolare dell’ultima componente dell’enunciato, in cui si definisce specificamente la "concupiscenza dello sguardo", come "adulterio commesso nel cuore".

Già in precedenza abbiamo constatato che le suddette parole vengono di solito intese come desiderio della moglie altrui (cioè secondo lo spirito del IX comandamento del Decalogo). Sembra però che questa interpretazione - più restrittiva - possa e debba essere allargata alla luce del contesto globale. Sembra che la valutazione morale della concupiscenza (del "guardare per desiderare") che Cristo chiama "adulterio commesso nel cuore", dipenda soprattutto dalla stessa dignità personale dell’uomo e della donna; ciò vale sia per coloro che non sono congiunti in matrimonio, sia - e forse ancor più - per quelli che sono marito e moglie.

2. L’analisi, che finora abbiamo fatto dell’enunciato di Matteo
Mt 5,27-28: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore", indica la necessità di ampliare e soprattutto di approfondire l’interpretazione anteriormente presentata, riguardo al senso etico che tale enunciato contiene. Ci soffermiamo sulla situazione descritta dal Maestro, situazione nella quale colui che "commette adulterio nel cuore", mediante un atto interiore di concupiscenza (espresso dallo sguardo), è l’uomo. È significativo che Cristo, parlando dell’oggetto di tale atto, non sottolinea che è "la moglie altrui", o la donna che non è la propria moglie, ma dice genericamente: la donna. L’adulterio commesso "nel cuore" non è circoscritto nei limiti del rapporto interpersonale, i quali consentono di individuare l’adulterio commesso "nel corpo". Non sono tali limiti a decidere esclusivamente ed essenzialmente dell’adulterio commesso "nel cuore", ma la natura stessa della concupiscenza, espressa in questo caso attraverso lo sguardo, cioè per il fatto che quell’uomo - di cui, a titolo di esempio, parla Cristo - "guarda per desiderare". L’adulterio "nel cuore" viene commesso non soltanto perché l’uomo "guarda" in tal modo la donna che non è sua moglie, ma appunto perché guarda così una donna. Anche se guardasse in questo modo la donna che è sua moglie commetterebbe lo stesso adulterio "nel cuore".

3. Questa interpretazione sembra prendere in considerazione, in modo più ampio, ciò che nell’insieme delle presenti analisi è stato detto sulla concupiscenza, e in primo luogo sulla concupiscenza della carne, quale elemento permanente della peccaminosità dell’uomo (status naturae lapsae). La concupiscenza che, come atto interiore, nasce da questa base (come abbiamo cercato di indicare nella precedente analisi), muta l’intenzionalità stessa dell’esistere della donna "per" l’uomo, riducendo la ricchezza della perenne chiamata alla comunione delle persone, la ricchezza della profonda attrattiva della mascolinità e della femminilità, al solo appagamento del "bisogno" sessuale del corpo (a cui sembra collegarsi più da vicino il concetto di "istinto"). Una tale riduzione fa sì che la persona (in questo caso, la donna) diventa per l’altra persona (per l’uomo) soprattutto l’oggetto dell’appagamento potenziale del proprio "bisogno" sessuale. Si deforma così quel reciproco "per", che perde il suo carattere di comunione delle persone a favore della funzione utilitaristica. L’uomo che "guarda" in tal modo, come scrive Matteo Mt 5,27-28, "si serve" della donna, della sua femminilità, per appagare il proprio "istinto". Sebbene non lo faccia con un atto esteriore, già nel suo intimo ha assunto tale atteggiamento, interiormente così decidendo rispetto ad una determinata donna. In ciò consiste appunto l’adulterio "commesso nel cuore". Tale adulterio "nel cuore" può commettere l’uomo anche nei riguardi della propria moglie, se la tratta soltanto come oggetto di appagamento dell’istinto.

4. Non è possibile giungere alla seconda interpretazione delle parole di Matteo Mt 5,27-28, se ci limitiamo all’interpretazione puramente psicologica della concupiscenza, senza tener conto di ciò che costituisce il suo specifico carattere teologico, cioè il rapporto organico tra la concupiscenza (come atto) e la concupiscenza della carne, come, per così dire, disposizione permanente che deriva dalla peccaminosità dell’uomo. Sembra che l’interpretazione puramente psicologica (ovvero "sessuologica") della "concupiscenza" non costituisca una base sufficiente per comprendere il relativo testo del discorso della montagna. Se invece ci riferiamo all’interpretazione teologica, - senza sottovalutare ciò che nella prima interpretazione (quella psicologica) resta immutabile - essa, cioè la seconda interpretazione (quella teologica) ci appare come più completa. Grazie ad essa, infatti, diviene più chiaro anche il significato etico dell’enunciato-chiave del discorso della montagna a cui dobbiamo l’adeguata dimensione dell’ethos del Vangelo.

5. Nel delineare questa dimensione, Cristo resta fedele alla Legge: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento" (Mt 5,17). Di conseguenza dimostra quanto ci sia bisogno di scendere in profondità, quanto ci sia bisogno di svelare a fondo le latebre del cuore umano, affinché questo cuore possa diventare un luogo di "adempimento" alla Legge. L’enunciato di Matteo 5,27-28, che rende manifesta la prospettiva interiore dell’adulterio commesso "nel cuore" - e in questa prospettiva addita le giuste vie per adempiere il comandamento: "Non commettere adulterio" - ne è un singolare argomento. Questo enunciato (Mt 5,27-28) si riferisce infatti, alla sfera in cui si tratta in modo particolare della "purezza del cuore" (cf. Mt 5,8) (espressione che nella Bibbia - come è noto - ha un significato ampio). Anche altrove avremo occasione di considerare in che modo il comandamento "Non commettere adulterio" - il quale, quanto al modo in cui viene espresso ed al contenuto, è un divieto univoco e severo (come il comandamento "Non desiderare la moglie del tuo prossimo") (Ex 20,17) - si compie appunto mediante la "purezza di cuore". Della severità e forza della proibizione testimoniano indirettamente le successive parole del testo del discorso della montagna, in cui Cristo parla figuratamente del "cavare l’occhio" e del "tagliare la mano", allorché queste membra fossero causa di peccato (cfr Mt 5,29-30). Abbiamo constatato in precedenza che la legislazione dell’Antico Testamento, pur abbondando di punizioni improntate a severità tuttavia essa non contribuiva "a dare compimento alla Legge", perché la sua casistica era contrassegnata da molteplici compromessi con la concupiscenza della carne. Cristo invece insegna che il comandamento si adempie attraverso la "purezza di cuore", la quale non viene partecipata all’uomo se non a prezzo di fermezza nei confronti di tutto ciò che ha origine dalla concupiscenza della carne. Acquista la "purezza di cuore" chi sa esigere coerentemente dal suo "cuore": dal suo "cuore" e dal suo "corpo".

6. Il comandamento "Non commettere adulterio" trova la sua giusta motivazione nell’indissolubilità del matrimonio, in cui l’uomo e la donna, in virtù dell’originario disegno del Creatore, si uniscono in modo che "i due diventano una sola carne" (cf. Gn 2,24). L’adulterio, per sua essenza, contrasta con tale unità, nel senso in cui questa unità corrisponde alla dignità delle persone. Cristo non soltanto conferma questo essenziale significato etico del comandamento, ma tende a consolidarlo nella stessa profondità della persona umana. La nuova dimensione dell’ethos è collegata sempre con la rivelazione di quel profondo, che viene chiamato "cuore" e con la liberazione di esso dalla "concupiscenza", in modo che in quel cuore possa risplendere più pienamente l’uomo: maschio e femmina in tutta la verità interiore del reciproco "per". Liberato dalla costrizione e dalla menomazione dello spirito che porta con sé la concupiscenza della carne, l’essere umano: maschio e femmina, si ritrova reciprocamente nella libertà del dono che è la condizione di ogni convivenza nella verità, ed, in particolare, nella libertà del reciproco donarsi, poiché entrambi, come marito e moglie, debbono formare l’unità sacramentale voluta, come dice Genesi Gn 2,24, dallo stesso Creatore.

7. Come è evidente, l’esigenza, che nel discorso della montagna Cristo pone a tutti i suoi ascoltatori attuali e potenziali, appartiene allo spazio interiore in cui l’uomo - proprio colui che lo ascolta - deve scorgere di nuovo la pienezza perduta della sua umanità, e volerla riacquistare. Quella pienezza nel rapporto reciproco delle persone: dell’uomo e della donna, il Maestro la rivendica in Matteo 5,27-28, avendo in mente soprattutto l’indissolubilità del matrimonio, ma anche ogni altra forma di convivenza degli uomini e delle donne, di quella convivenza che costituisce la pura e semplice trama dell’esistenza. La vita umana, per sua natura, è "coeducativa", e la sua dignità, il suo equilibrio dipendono, ogni momento della storia e in ogni punto di longitudine e latitudine geografica, da "chi" sarà lei per lui, e lui per lei.

Le parole pronunziate da Cristo nel discorso della montagna hanno indubbiamente tale portata universale e insieme profonda. Solo così possono essere intese nella bocca di Colui, che sino in fondo "sapeva quello che c’è in ogni uomo" (Jn 2,25), e che, nello stesso tempo, portava in sé il mistero della "redenzione del corpo" come si esprimerà S. Paolo. Dobbiamo temere la severità di queste parole, o piuttosto aver fiducia nel loro contenuto salvifico, nella loro potenza?

In ogni caso, l’analisi compiuta delle parole pronunziate da Cristo nel discorso della montagna apre la strada ad ulteriori riflessioni indispensabili per avere piena consapevolezza dell’uomo "storico", e soprattutto dell’uomo contemporaneo: della sua coscienza e del suo "cuore".

Saluti:

Ad alcuni membri dell’"Association Saint-Benoît, Patron de l’Europe"


Al gruppo dei giornalisti svizzeri

Al pellegrinaggio dell’"Alliance agricole chrétienne de Belgique"

Ai malati assistiti da "Across Trust"

Ai nuovi studenti del Venerabile Collegio Inglese di Roma


A diversi gruppi di lingua tedesca

Ad una associazione padovana

Un saluto speciale va ora al gruppo dei dirigenti e dei soci del "Club Ignoranti", convenuti dalla Diocesi di Padova, nella ricorrenza del 90° di fondazione.

Carissimi padovani, vi ringrazio per questa visita e vi esprimo il mio apprezzamento per le nobili attività umanitarie ed assistenziali che, nello spirito del vostro motto "Charitas in laetitia", svolgete soprattutto in favore degli anziani e dei giovani emarginati dalla società. Vi sia di incoraggiamento la mia particolare Benedizione, che volentieri estendo a tutti i vostri cari.

Ai giovani

Ed ora un pensiero paterno ed affettuoso per voi, cari giovani.Prenderò occasione dalla festa della Vergine santissima del Rosario, celebrata ieri; ma che si protende in qualche modo a tutto il mese di Ottobre. Il santo Rosario ci introduce nel cuore stesso della fede. Col pensiero fisso ad esso noi salutiamo più volte, gioiosamente, la Santa Madre di Dio, ne dichiariamo beato il Figlio, dolce frutto del suo seno, ne invochiamo la protezione materna in vita e in morte.

Cari giovani, stimate il Rosario un canto gioioso elevato alla Regina dei Cieli, e vi sia caro recitarlo.

Ai malati

Il Santo Rosario, con le sue alterne strofe di gioia e di dolore, oltre che di speranza nella Risurrezione, può servire anche a voi, cari ammalati che siete presenti, o che siete rimasti nelle vostre case. Esso dimostra, attraverso le vicende del Figlio di Dio e della Vergine, quanto sia costante nella vita umana l’alternarsi del bene e del male, del sereno e della tempesta, dei giorni lieti e tristi. Il dolore pesa sulla natura umana, creata per la gioia; ma è anche elemento rigeneratore e santificante, come ben vediamo nella vita di Cristo e della Madre sua.

Cari ammalati, se saprete levare gli occhi al Cielo e prendere da Dio l’eredità delle lacrime, avrete parte anche voi al canto della vita celeste, che mai tramonta.

Agli sposi novelli

Cari sposi novelli: il santo Rosario recitato in famiglia è lodevole abitudine e dolce espressione della fede religiosa. La casa diventa così il Santuario domestico, di cui i genitori sono in qualche modo i Sacerdoti. Ora, la famiglia sembra aver dimenticato questo modo così singolare di onorare Dio e la Vergine sua Madre. Ma si è impoverita; ed è più dispersa, con grave danno della società.

Vi esorto perciò caldamente a riprendere questa devota abitudine. Essa rafforzerà il Sacramento, stringerà il vincolo coniugale, alimenterà l’amore, chiamerà Dio in mezzo a voi, perché sia autore della vostra felicità.



Mercoledì, 15 ottobre 1980: Valori evangelici e doveri del cuore umano

15100

1. Durante i nostri numerosi incontri del mercoledì abbiamo fatto una particolareggiata analisi delle parole del discorso della montagna, in cui Cristo fa riferimento al "cuore" umano. Come ormai sappiamo, le sue parole sono impegnative. Cristo dice: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (
Mt 5,27-28). Tale richiamo al cuore mette in luce la dimensione dell’interiorità umana, la dimensione dell’uomo interiore, propria dell’etica, e ancor più della teologia del corpo. Il desiderio, che sorge nell’ambito della concupiscenza della carne, è al tempo stesso una realtà interiore e teologica, la quale, in certo modo, viene sperimentata da ogni uomo "storico". Ed è appunto quest’uomo - anche se non conosce le parole di Cristo - a porsi di continuo la domanda circa il proprio "cuore". Le parole di Cristo rendono tale domanda particolarmente esplicita: il cuore è accusato oppure è chiamato al bene? E questa domanda intendiamo ora prendere in considerazione, verso la fine delle nostre riflessioni ed analisi, collegate con la frase così concisa ed insieme categorica del Vangelo, così carica di contenuto teologico, antropologico ed etico.

Di pari passo va una seconda domanda, più "pratica": come "può" e "deve" agire l’uomo, che accoglie le parole di Cristo nel discorso della montagna, l’uomo che accetta l’"ethos" del Vangelo, e, in particolare, lo accetta in questo campo?


2. Quest’uomo trova nelle considerazioni finora fatte la risposta, almeno indiretta, alle due domande: come "può" agire, cioè su che cosa può contare nel suo "intimo, alla sorgente dei suoi atti "interiori" o "esteriori"? E inoltre: come "dovrebbe" agire, cioè in che modo i valori conosciuti secondo la "scala" rivelata nel discorso della montagna costituiscono un dovere della sua volontà e del suo "cuore", dei suoi desideri e delle sue scelte? In che modo lo "obbligano" nell’azione, nel comportamento, se, accolte mediante la conoscenza, lo "impegnano" già nel pensare e, in certa qual maniera, nel "sentire"? Queste domande sono significative per la "praxis" umana, ed indicano un legame organico della "praxis" stessa con l’"ethos". La morale viva è sempre "ethos" della prassi umana.

3. Alle suddette domande si può rispondere in vario modo. Infatti, sia nel passato, sia oggi vengono date risposte diverse. Ciò è confermato da un’ampia letteratura. Oltre alle risposte che troviamo in essa, occorre prendere in considerazione l’infinito numero di risposte, che l’uomo concreto dà a queste domande da se stesso, quelle che, nella vita di ciascuno, dà ripetutamente la sua coscienza, la sua consapevolezza e sensibilità morale. Proprio in questo ambito si attua continuamente una compenetrazione dell’"ethos" e della "praxis". Qui vivono la propria vita (non esclusivamente "teorica") i singoli principi, cioè le norme della morale con le loro motivazioni, elaborate e divulgate da moralisti, ma anche quelle che elaborano - sicuramente non senza un legame col lavoro dei moralisti e degli scienziati - i singoli uomini, come autori e soggetti diretti della morale reale, come co-autori della sua storia, dai quali dipende anche il livello della morale stessa, il suo progresso o la sua decadenza. In tutto ciò si riconferma dappertutto e sempre, quell’"uomo storico" al quale una volta Cristo ha parlato, annunziando la buona novella evangelica con il discorso della montagna, ove tra l’altro ha detto la frase che leggiamo in Matteo Mt 5,27-28: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore".

4. L’enunciato di Matteo si presenta stupendamente conciso riguardo a tutto ciò che su questo tema è stato scritto nella letteratura mondiale. E forse appunto in questo consiste la sua forza nella storia dell’"ethos". Occorre nello stesso tempo rendersi conto del fatto che la storia dell’"ethos" scorre in un alveo multiforme, in cui le singole correnti si avvicinano o allontanano vicendevolmente. L’uomo "storico" valuta sempre, a modo suo, il proprio "cuore", così come giudica anche il proprio "corpo": e così trapassa dal polo del pessimismo al polo dell’ottimismo, dalla severità puritana al permissivismo contemporaneo. È necessario rendersene conto, affinché l’"ethos" del discorso della montagna possa sempre avere una debita trasparenza nei confronti delle azioni e dei comportamenti dell’uomo. A tale fine occorre fare ancora alcune analisi.

5. Le nostre riflessioni sul significato delle parole di Cristo secondo Matteo 5,27-28 non sarebbero complete, se non ci soffermassimo - almeno brevemente - su ciò che si può chiamare la risonanza di queste parole nella storia del pensiero umano e della valutazione dell’"ethos". La risonanza è sempre una trasformazione della voce e delle parole che la voce esprime. Sappiamo dall’esperienza che tale trasformazione è talvolta piena di misterioso fascino. Nel caso in questione, è accaduto piuttosto qualcosa di contrario. Infatti, alle parole di Cristo è stata piuttosto tolta la loro semplicità e profondità ed è stato conferito un significato lontano da quello in esse espresso, un significato in fin dei conti persino contrastante con esse. Abbiamo qui in mente tutto ciò che è apparso al margine del cristianesimo sotto il nome di manicheismo (1) e che ha anche cercato di entrare nel terreno del cristianesimo per quanto riguarda appunto la teologia e l’"ethos" del corpo. È noto che, nella forma originaria, il manicheismo, sorto nell’oriente al di fuori dell’ambiente biblico è scaturito dal dualismo mazdeista, individuava la sorgente del male nella materia, nel corpo e proclamava quindi la condanna di tutto ciò che nell’uomo è corporeo. E poiché nell’uomo la corporeità si manifesta soprattutto attraverso il sesso, allora la condanna veniva estesa al matrimonio e alla convivenza coniugale, oltre che alle altre sfere dell’essere e dell’agire, in cui si esprime la corporeità.

6. Ad un orecchio non adusato, l’evidente severità di quel sistema poteva sembrare in sintonia con le severe parole di Matteo 5,29-30, in cui Cristo parla del "cavare l’occhio" o del "tagliare la mano", se queste membra fossero la causa dello scandalo. Attraverso l’interpretazione puramente "materiale" di queste locuzioni, era anche possibile ottenere un’ottica manichea dell’enunciato di Cristo, in cui si parla dell’uomo che ha "commesso adulterio nel cuore... guardando la donna per desiderarla". Anche in questo caso, l’interpretazione manichea tende alla condanna del corpo, come reale sorgente del male, dato che in esso, secondo il manicheismo, si cela e insieme si manifesta il principio "ontologico" del male. Si cercava dunque di scorgere e talvolta si percepiva tale condanna nel Vangelo, trovandola ove è invece stata espressa esclusivamente una esigenza particolare indirizzata allo spirito umano.

Si noti che la condanna poteva - e può sempre essere - una scappatoia per sottrarsi alle esigenze poste nel Vangelo da colui che "sapeva quello che c’è in ogni uomo" (Jn 2,25). Non ne mancano prove nella storia. Abbiamo già avuto in parte l’occasione (e certamente l’avremo ancora) per dimostrare in quale misura tale esigenza possa sorgere unicamente da una affermazione - e non da una negazione o da una condanna - se deve portare ad un’affermazione ancor più matura ed approfondita oggettivamente e soggettivamente. E a una tale affermazione della femminilità e mascolinità dell’essere umano, come dimensione personale dell’"essere corpo", debbono condurre le parole di Cristo secondo Matteo Mt 5,27-28. Tale è il giusto significato etico di queste parole. Esse imprimono, sulle pagine del Vangelo, una peculiare dimensione dell’"ethos" al fine di imprimerla successivamente nella vita umana.

Cercheremo di riprendere questo tema nelle nostre ulteriori riflessioni.

Saluti:

All’equipaggio dello "yacht" reale "Britannia"

A un pellegrinaggio interdiocesano del Kenya



A vari gruppi di lingua tedesca

Ai vari aderenti ai movimenti neo-catecumenali di Paesi dell’America Latina

Ai membri della Marina Militare del Venezuela

Ai partecipanti al I Convegno Nazionale dei Medici italiani dei trasporti

Un saluto particolarmente cordiale giunga ai partecipanti al Primo Convegno Nazionale, indetto dal Collegio dei medici Italiani dei Trasporti. Mentre vi ringrazio per questo vostro gesto di stima e di devozione, vi esprimo pure il mio vivo compiacimento per l’opera scientifica e sociale che svolgete in tale settore e vi auguro di perfezionare sempre più tale vostro impegno riguardante la problematica sanitaria nei vari generi di trasporto: ferroviario, stradale, marittimo, aereo e fluviale. La carità cristiana sia sempre il vostro ideale, che vi accompagni nelle vostre attività. Vi aiuti la mia Benedizione, che volentieri imparto a voi e ai vostri familiari.

Ai giovani

Il mio saluto va ora ai giovani, presenti a questa Udienza con la nota caratteristica della loro esuberanza.

Carissimi, in un’epoca che pare carente di ideali, sappiate attingere qui, presso la Tomba di S. Pietro, la forza ed il coraggio per vivere il più grande degli ideali, quello della fede cristiana. Vivete con entusiasmo questa fede, nella scuola e nel mondo del lavoro, capaci come siete voi di cose grandi anche quando costano sacrificio e rinuncia. Il Papa ha tanta fiducia in voi e vi è vicino con la sua preghiera.

Ai malati

Anche a voi, cari ammalati, che avete superato con sacrificio i disagi per essere presenti a questa Udienza, giunga il mio saluto affettuoso.


Nei momenti della vita quotidiana, nei quali sentite forte la tentazione dello scoraggiamento, ricordate che il Signore è accanto a voi, è vostro amico. Ce lo ricorda nei suoi scritto S. Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, che oggi festeggiamo: "Chi ha come amico Gesù Cristo e segue sempre un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente".

Il Papa vi incoraggia ad essere fedeli a questa amicizia con Gesù e vi benedice di cuore.

Agli sposi novelli

Infine, a tutte le coppie di giovani sposi qui presenti, una parola di augurio e di felicitazione.

La vostra presenza assume particolare significato di speranza per la Chiesa, in questi giorni nei quali il Sinodo dei Vescovi sta dedicando la sua attenzione e il suo lavoro al tema della famiglia.

Rispondete con generosità alla vostra vocazione e impegnatevi perché il vostro amore abbia sempre la caratteristica della donazione, nei momenti sereni e nei momenti della difficoltà. Io vi accompagno nel vostro cammino con la preghiera e con la mia Benedizione.

(1) Il manicheismo contiene e porta a maturazione gli elementi caratteristici di ogni "gnosi", e cioè il dualismo di due principi coeterni e radicalmente opposti e il concetto di una salvezza che si realizza solo attraverso la conoscenza ["gnosi"] o la autocomprensione di se stessi. In tutto il mito manicheo c’è un solo eroe e una sola situazione che sempre si ripete: l’anima decaduta è sempre imprigionata nella materia ed è liberata dalla conoscenza. L’attuale situazione storica è negativa per l’uomo, perché è una mescolanza provvisoria e anormale di spirito e materia, di bene e di male, che suppone uno stato antecedente, originale, in cui le due sostanze erano separate e indipendenti. Vi sono perciò tre "tempi": l’"initium", ossia la separazione primordiale; il "medium", e cioè l’attuale mescolanza; e il "finis" che consiste nel ritorno alla divisione originale, nella salvezza, implicante una totale rottura tra spirito e materia. La materia è, in fondo, concupiscenza, malvagio appetito del piacere, istinto di morte, paragonabile, se non identico, al desiderio sessuale, alla "libido". Essa è una forza che tenta di assalire la Luce; è movimento disordinato, desiderio bestiale, brutale, semicosciente. Adamo ed Eva sono stati generati da due demoni; la nostra specie nacque da una serie di atti ripugnanti di cannibalismo e di sessualità e conserva i segni di questa origine diabolica, che sono il corpo, il quale è la forma animale degli "Arconti dell’inferno", e la "libido", che spinge l’uomo ad accoppiarsi e a riprodursi, e cioè a mantenere l’anima luminosa sempre in prigionia. Se vuole essere salvato, l’uomo deve cercare di liberare il suo "io vivente" [noûs] dalla carne e dal corpo. Poiché la materia ha nella concupiscenza la sua suprema espressione, il peccato capitale sta nell’unione sessuale [fornicazione], che è la brutalità e la bestialità e che fa figli degli uomini gli strumenti e i complici del male per la procreazione. Gli eletti costituiscono il gruppo dei perfetti, la cui virtù ha una caratteristica ascetica, realizzando l’astinenza comandata dai tre "sigilli": il "sigillo della bocca" proibisce ogni bestemmia e comanda l’astensione dalla carne, dal sangue, dal vino, da ogni bevanda alcolica, ed anche il digiuno; il "sigillo delle mani" comanda il rispetto della vita [della "luce"] racchiusa nei corpi, nei semi, negli alberi e proibisce di raccogliere i frutti, di strappare le piante, di togliere la vita agli uomini e agli animali; il "sigillo del grembo" prescrive una totale continenza [cf. H. Ch. Puech, Le Manichéisme: son fondateur-sa doctrine, Paris 1949, pp. 73-88; H. Ch. Puech, Le Manichéisme, in "Histoire des Religions" [Encyclopédie de la Pleiade], II 1972, pp. 522-645; J. Ries, Manichéisme, in "Catholicisme hier, aujourd’hui, demain", 34 Lille 1977, pp. 314-320].



Mercoledì, 22 ottobre 1980: Realizzazione del valore del corpo secondo il disegno del Creatore

22100

1. Al centro delle nostre riflessioni, negli incontri del mercoledì, sta ormai da lungo tempo ii seguente enunciato di Cristo nel discorso della montagna: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei (verso di lei) nel suo cuore" (
Mt 5,27-28). Queste parole hanno un significato essenziale per tutta la teologia del corpo contenuta nell’insegnamento di Cristo. Pertanto, attribuiamo giustamente grande importanza alla loro corretta comprensione ed interpretazione. Già nella nostra precedente riflessione abbiamo constatato che la dottrina manichea, nelle sue espressioni sia primitive sia posteriori, è in contrasto con queste parole.

Non è infatti possibile cogliere nella frase del discorso della montagna, qui analizzata, una "condanna" oppure un’accusa del corpo. Semmai, vi si potrebbe intravedere una condanna del cuore umano. Tuttavia, le nostre riflessioni finora fatte manifestano che, se le parole di Matteo 5,27-28 contengono un’accusa, oggetto di questa è soprattutto l’uomo della concupiscenza. Con quelle parole il cuore viene non tanto accusato quanto sottoposto ad un giudizio o, meglio, chiamato ad un esame critico, anzi, autocritico: se soccomba o no alla concupiscenza della carne. Penetrando nel significato profondo della enunciazione di Matteo 5,27-28, dobbiamo tuttavia costatare che il giudizio ivi racchiuso circa il "desiderio", come atto di concupiscenza della carne, contiene in sé non la negazione, ma piuttosto l’affermazione del corpo, come elemento che insieme allo spirito determina la soggettività ontologica dell’uomo e partecipa alla sua dignità di persona. Così dunque, il giudizio sulla concupiscenza della carne ha un significato essenzialmente diverso da quello che può presupporre l’ontologia manichea del corpo e che necessariamente ne scaturisce.

2. Il corpo, nella sua mascolinità e femminilità, è "dal principio" chiamato a diventare la manifestazione dello spirito. Lo diviene anche mediante l’unione coniugale dell’uomo e della donna, quando si uniscono in modo da formare "una sola carne". Altrove (cfr Mt 19,5-6) Cristo difende i diritti inviolabili di tale unità, mediante la quale il corpo, nella sua mascolinità e femminilità, assume il valore di segno - segno in certo qual senso - sacramentale; e inoltre, mettendo in guardia contro la concupiscenza della carne, esprime la stessa verità circa la dimensione ontologica del corpo e ne conferma il significato etico, coerente con l’insieme del suo insegnamento. Questo significato etico non ha nulla in comune con la condanna manichea, ed è invece profondamente compenetrato del mistero della "redenzione del corpo", di cui san Paolo scriverà nella lettera ai Romani (cfr Rm 8,23). La "redenzione del corpo" non indica, tuttavia, il male ontologico come attributo costitutivo del corpo umano, ma addita soltanto la peccaminosità dell’uomo, per cui questi ha, tra l’altro, perduto il senso limpido del significato sponsale del corpo, in cui si esprime il dominio interiore e la libertà dello spirito. Si tratta qui - come già abbiamo rilevato in precedenza - di una perdita "parziale", potenziale, dove il senso del significato sponsale del corpo si confonde, in certo qual modo, con la concupiscenza e consente facilmente di esserne assorbito.

3. L’interpretazione appropriata delle parole di Cristo secondo Matteo 5, 27-28, come pure la "praxis" in cui si attuerà successivamente l’autentico "ethos" del discorso della montagna, debbono essere assolutamente liberati da elementi manichei nel pensiero e nell’atteggiamento. Un atteggiamento manicheo dovrebbe portare ad un "annientamento", se non reale, almeno intenzionale del corpo, ad una negazione del valore del sesso umano, della mascolinità e femminilità della persona umana, o perlomeno soltanto alla loro "tolleranza" nei limiti del "bisogno" delimitato dalla necessità della procreazione. Invece, in base alle parole di Cristo nel discorso della montagna, l’"ethos" cristiano è caratterizzato da una trasformazione della coscienza e degli atteggiamenti della persona umana, sia dell’uomo sia della donna, tale da manifestare e realizzare il valore del corpo e del sesso, secondo il disegno originario del Creatore, posti al servizio della "comunione delle persone" che è il substrato più profondo dell’etica e della cultura umana. Mentre per la mentalità manichea il corpo e la sessualità costituiscono, per così dire, un "anti-valore", per il cristianesimo, invece, essi rimangono sempre un "valore non abbastanza apprezzato", come meglio spiegherò oltre. Il secondo atteggiamento indica quale debba essere la forma dell’"ethos", in cui il mistero della "redenzione del corpo" si radica, per così dire, nel suolo "storico" della peccaminosità dell’uomo. Ciò viene espresso dalla formula teologica, che definisce lo "stato" dell’uomo "storico" come "status naturae lapsae simul ac redemptae".

4. Bisogna interpretare le parole di Cristo nel discorso della montagna (Mt 5,27-28) alla luce di questa complessa verità sull’uomo. Se esse contengono una certa "accusa" al cuore umano, tanto maggiormente gli rivolgono un appello. L’accusa del male morale, che il "desiderio" nato dalla concupiscenza carnale intemperante cela in sé, è al tempo stesso una chiamata a vincere questo male. E se la vittoria sul male deve consistere nel distacco da esso (di qui le severe parole nel contesto di Mt 5,27-28), tuttavia si tratta soltanto di distaccarsi dal male dell’atto (nel caso in questione, dell’atto interiore della "concupiscenza"), e non mai di trasferire la negatività di tale atto sul suo oggetto. Un simile trasferimento significherebbe una certa accettazione - forse non pienamente cosciente - dell’"anti-valore" manicheo. Esso non costituirebbe una vera e profonda vittoria sul male dell’atto, che è male per essenza morale, quindi male di natura spirituale; anzi, vi si nasconderebbe il grande pericolo di giustificare l’atto a scapito dell’oggetto (ciò in cui consiste propriamente l’errore essenziale dell’"ethos" manicheo). È evidente che Cristo in Matteo 5,27-28 esige un distacco dal male della "concupiscenza" (o dello sguardo di desiderio disordinato), ma il suo enunciato non lascia in alcun modo supporre che sia un male l’oggetto di quel desiderio, cioè la donna che si "guarda per desiderarla" (Questa precisazione sembra talvolta mancare in alcuni testi "sapienziali").

5. Dobbiamo, dunque, precisare la differenza tra l’"accusa" e l’"appello". Dato che l’accusa rivolta al male della concupiscenza è al tempo stesso un appello a vincerlo, di conseguenza questa vittoria deve unirsi ad uno sforzo per scoprire l’autentico valore dell’oggetto, affinché nell’uomo, nella sua coscienza e nella sua volontà, non attecchisca l’"anti-valore" manicheo. Infatti, il male della "concupiscenza", cioè dell’atto di cui parla Cristo in Matteo 5,27-28, fa sì che l’oggetto, al quale esso si rivolge, costituisca per il soggetto umano un "valore non abbastanza apprezzato". Se nelle parole analizzate del discorso della montagna (Mt 5,27-28) il cuore umano è "accusato" di concupiscenza (oppure se è messo in guardia contro quella concupiscenza), in pari tempo mediante le stesse parole esso è chiamato a scoprire il pieno senso di ciò che nell’atto di concupiscenza costituisce per lui un "valore non abbastanza apprezzato". Come sappiamo, Cristo disse: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". L’"adulterio commesso nel cuore" si può e si deve intendere come "devalorizzazione", ovvero come depauperamento di un valore autentico, come intenzionale privazione di quella dignità, a cui nella persona in questione risponde il valore integrale della sua femminilità. Le parole di Matteo 5,27-28 contengono un richiamo a scoprire tale valore e tale dignità, e a riaffermarli. Sembra che soltanto intendendo così le citate parole di Matteo si rispetti la loro portata semantica.

Per concludere queste concise considerazioni, occorre ancora una volta costatare che il modo manicheo di intendere e di valutare il corpo e la sessualità dell’uomo è essenzialmente estraneo al Vangelo, non conforme al significato esatto delle parole del discorso della montagna, pronunziate da Cristo. Il richiamo a dominare la concupiscenza della carne scaturisce appunto dall’affermazione della dignità personale del corpo e del sesso, ed a tale dignità unicamente serve. Commetterebbe un errore essenziale colui che volesse cogliere in queste parole una prospettiva manichea.

Saluti:

Al pellegrinaggio francese del movimento "Espérance et Vie"


Ad un gruppo di handicappati assistiti dall’Associazione inglese "The Across Trust"


Ad un folto gruppo di studenti, cattolici e luterani, provenienti dalla Danimarca



Al gruppo di Vescovi, cattolici e protestanti, del Land di Essen


Ad un pellegrinaggio tedesco


Ai Superiori Maggiori dei Servi di Maria

Esprimo vivo compiacimento ai Superiori Maggiori dei Servi di Maria per il loro incontro romano, che ha avuto per obiettivo la verifica del lavoro svolto nelle varie province dell’Ordine ed i programmi di sviluppo per i prossimi anni.

Nell’esortarvi, carissimi figli, a sempre più generosa fedeltà agli ideali professati, v’incoraggio nel vostro impegno di testimonianza di vita evangelica, per alimentare maggiormente il senso di Cristo redentore dell’uomo. Così vi aiuti la Vergine addolorata, a cui siete particolarmente consacrati. Con la mia Benedizione Apostolica, estensibile a tutti i Confratelli.

Al pellegrinaggio dell’Associazione Artigiani della provincia di Bergamo


Rivolgo ora un cordiale saluto ai componenti il pellegrinaggio dell’Associazione Artigiani della Provincia di Bergamo. So bene, carissimi figli, che volete fate onore al nome cristiano, di cui va fiera la vostra terra: vi esorto perciò ad amare generosamente il Signore, a seguire la vita della Chiesa con attenzione e profondo rispetto mettendone in pratica con sincera lealtà gli insegnamenti e le direttive, soprattutto negli ambienti delle vostre fatiche e della vostra operosità. Perseverate, con rinnovato fervore, in tale testimonianza cristiana. Il Papa vi è vicino con la sua preghiera, il suo affetto e vi benedice di cuore insieme a tutti i vostri cari.

Ai giovani

Saluto tutti i cari giovani qui presenti ed assicuro loro il mio particolare affetto. Vi invito a voler essere sempre testimoni forti e gioiosi della vostra fede in Cristo, di cui il mondo d’oggi ha tanto bisogno. Siate sempre fieri della vostra identità cristiana, che dovete sempre più scoprire, e la Chiesa intera sarà fiera di voi; essa, infatti, conta molto sia sul vostro entusiasmo che sul vostro senso di responsabilità per la costruzione di un avvenire più radioso. Perciò di cuore vi benedico.

Agli ammalati

Un saluto tutto speciale va agli ammalati qui convenuti. Carissimi, vi ringrazio per la vostra presenza, sempre tanto significativa. Essa dice che voi fate pienamente parte della Chiesa, e anzi ne siete membri a titolo del tutto particolare. Infatti, la comunanza dei sofferenti con Cristo ricorda a tutti che, proprio attraverso i suoi patimenti, egli ci ha riscattati dalla alienazione del peccato e ci ha ristabiliti in comunione con Dio. A voi, perciò, va il mio augurio, oltre che l’assicurazione della mia preghiera, affinché possiate sempre più penetrare il confortante mistero della redenzione, che non elude ma anzi include necessariamente in sé l’umana sofferenza. E vi accompagni la mia paterna benedizione.

Agli sposi novelli

Ai novelli sposi voglio pure riservare un particolare saluto. Il matrimonio che vi ha uniti rappresenta l’incontro e la mutua donazione di due persone, che addirittura fanno del loro amore un’immagine di quello che intercorre tra Cristo e la Chiesa. Siate sempre all’altezza di queste profonde realtà ed il Signore fecondi la vostra unione tanto fisica che spirituale, così da costruire delle famiglie autenticamente cristiane. E vivete felici. Dei miei sentiti auguri è pegno la benedizione, che sono lieto di impartirvi.





Catechesi 79-2005 8100