Catechesi 79-2005 30883

Mercoledì, 3 agosto 1983

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1. “La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte . . . perché la giustizia della legge si adempisse in noi che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito” (
Rm 8,2 Rm 8,4). Camminare secondo lo Spirito, e così vivere la nostra vita in modo conforme alla volontà di Dio, è il frutto della Redenzione, il grande mistero che celebriamo in questo Anno Santo straordinario. Lo Spirito Santo è il dono per eccellenza che il Redentore fa a chi si accosta a lui con fede; lo Spirito, come ci insegna l’apostolo, è la legge dell’uomo redento.

Che cosa significa “la legge dell’uomo redento è lo Spirito Santo”? Significa che nella “nuova creatura”, frutto della Redenzione, lo Spirito ha posto la sua dimora, realizzando una presenza di Dio molto più intima di quella conseguente all’atto creativo. Non si tratta, infatti, solamente del dono dell’esistenza, ma del dono della stessa Vita di Dio, della Vita vissuta dalle tre Persone della Trinità.

La persona umana, nelle cui profondità spirituali lo Spirito ha posto la sua dimora, è illuminata nella sua intelligenza ed è mossa nella sua volontà, perché comprenda e compia “la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). Si realizza così l’antica profezia: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo” (Jr 31,33); e ancora: “Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36,27).

2. Nell’atto stesso con cui Dio crea l’uomo, egli inscrive nel cuore dell’uomo la sua legge. L’essere personale dell’uomo è dotato di un suo ordine proprio, è finalizzato alla comunione con Dio e con le altre persone umane. In una parola: è dotato di una sua verità, alla quale la libertà è subordinata. Nello stato di “giustizia originale” questa subordinazione era realizzata pienamente. L’uomo godeva di una perfetta libertà perché voleva il bene: lo voleva non per una imposizione esterna, ma per una sorta di “coincidenza interiore” della sua volontà con la verità del suo essere, creato da Dio.

In conseguenza della ribellione a Dio, si è spezzato nella persona umana il vincolo della libertà con la Verità, e la legge di Dio è sentita come una coazione, una costrizione della e contro la propria libertà. È il “cuore” stesso della persona che è diviso. Da una parte, infatti, essa è portata e sospinta, nella sua soggettività libera, a compiere le male, a costruire un’esistenza - come singolo e come comunità - contro la Sapienza creatrice di Dio. Dall’altra, tuttavia, poiché il peccato non ha distrutto completamente quella verità e quella bontà dell’essere, che è patrimonio ricevuto nell’atto della creazione, l’uomo sente nostalgia di restare in armonia con le radici profonde del proprio essere. Ciascuno di noi sperimenta questo stato di divisione, che si manifesta nel nostro cuore quale combattimento tra il bene e il male. E il risultato è che, in questa condizione, se l’uomo segue le cattive inclinazioni, diviene schiavo del male; se invece segue la legge di Dio, esperimenta questa obbedienza come una sottomissione a un’imposizione estrinseca e, quindi, non come atto di totale libertà.

3. È il dono dello Spirito che ci rende liberi della vera libertà, divenendo egli stesso la nostra legge. La persona umana agisce liberamente quando le sue azioni nascono veramente e totalmente dal suo io: sono azioni della persona e non soltanto azioni che accadono nella persona. Lo Spirito, che dimora nel cuore dell’uomo redento, trasforma la soggettività della persona, rendendola interiormente consenziente alla legge di Dio e al suo progetto salvifico.


L’azione dello Spirito cioè fa sì che la legge di Dio, le esigenze immutabili della Verità del nostro essere creato e salvato penetrino profondamente nella nostra soggettività personale, in modo tale che questa, quando si esprime e si realizza nell’agire, non possa non esprimersi e non realizzarsi che nella Verità. Lo Spirito è lo Spirito di Verità o, meglio, introduce sempre più intimamente la Verità del nostro essere: la Verità diviene sempre più intima alla nostra persona, così che la nostra libertà si subordina ad essa, con gioia profonda, spontaneamente.

4. Che cosa è, in ultima analisi, che rende l’uomo, in cui dimora lo Spirito, così intimamente vincolato al bene e quindi, così profondamente libero? È il fatto che lo Spirito diffonde nei nostri cuori la carità. Si noti: la carità non è un amore qualsiasi. Essa attinge Dio stesso presente in noi come amico, come nostro eterno commensale. Nessuna azione è più libera di quella compiuta per amore e, nello stesso tempo, nulla è più costringente dell’amore. Scrive san Tommaso: “È proprio dell’amicizia accontentare la persona amata in ciò che essa vuole . . . Pertanto, poiché noi siamo resi dallo Spirito amanti di Dio, dallo stesso Spirito siamo sospinti a compiere i suoi comandamenti” (San Tommaso, Summa contra gentes, IV, 22).

Ecco, è questa la definizione dell’ethos della Redenzione e della libertà: è l’ethos che ha la sua origine nel dono dello Spirito che abita in noi; è la libertà di chi fa ciò che vuole facendo ciò che deve.

Ai pellegrini di espressione francese

Ai fedeli di lingua inglese

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Ad alcuni gruppi provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi sono qui presenti due gruppi di pellegrini di Okinawa, uno dei quali guidato dal vescovo S.E. Monsignor Ishigami; inoltre i professori, impiegati e studenti dell’università Sophia di Tokyo; i pellegrini di Y. B. U. (il movimento del Buon Pastore); e le alunne del collegio Seibo di Kyoto.

Affinché la grazia del pellegrinaggio dell’Anno Santo rimanga abbondante sopra di voi, unito con la Madonna, imparto la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai pellegrini di espressione spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai gruppi italiani

Un saluto particolarmente cordiale desidero rivolgere alla nuova Superiora Generale e al Capitolo delle Maestre Pie Venerini. In questa significativa tappa della vita della vostra benemerita Congregazione il Signore conceda a voi e a tutte le Consorelle nuovo fervore spirituale per perseverare con amore e con serenità nella testimonianza della fede e della carità cristiana. Vi accompagni sempre la Benedizione del Papa!
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Esprimo poi il mio compiacimento agli studenti della Facoltà di Agraria dell’Università del Sacro cuore, che, insieme con il loro Assistente spirituale, hanno compiuto in gran parte a piedi il pellegrinaggio giubilare da Siena a Roma. Questa marcia certamente faticosa, che avete fatto meditando sull’Eucaristia e sulla Chiesa, alla luce dell’insegnamento di Santa Caterina, sia per voi di stimolo per una vita cristiana sempre coerente e impegnata. Con voi, saluto parimenti tutti i giovani convenuti a questa Udienza, di qualunque provenienza essi siano, augurandovi ed esortandovi a realizzare con impegno quanto la società e la Chiesa si attendono da voi. E vi accompagni la mia Benedizione.
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Un pensiero particolarmente affettuoso va agli ammalati, qui presenti. Carissimi, già questa presenza è segno di quanto voi siete inseriti nella vita della Chiesa, e anzi nel suo cuore. Cercate di vivere in pienezza la vostra condizione, come possibilità positiva di rinnovare non solo voi stessi, ma anche e in modo speciale la Chiesa stessa, e il mondo intero. abbiate anche per questo la mia Benedizione.
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Voglio infine salutare gli sposi novelli. Sono lieto di augurarvi che il vostro amore cresca ogni giorno di più, attingendo nella fede e nella preghiera la forza e la gioia di una testimonianza luminosa, di cui oggi c’è assai bisogno. Lo chiedo con voi al Signore, mentre di cuore vi benedico.






Mercoledì, 10 agosto 1983

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1. “Voi . . . fratelli, siete stati chiamati a libertà” (
Ga 5,13). La Redenzione ci pone in uno stato di libertà, che è frutto della presenza in noi dello Spirito, poiché “dove è lo Spirito ivi è libertà” (2Co 3,17).

Questa libertà è, al tempo stesso, un dono e un compito: una grazia e un imperativo.

Nello stesso momento infatti in cui l’apostolo ci ricorda che siamo chiamati alla libertà, ci avverte pure del pericolo che corriamo di fare un cattivo uso di essa: “Purché questa libertà - egli ammonisce - non divenga un pretesto per vivere secondo la carne” (Ga 5,13). E la “carne” nel vocabolario paolino, non significa “corpo umano”, ma l’intera persona umana in quanto assoggettata e chiusa in quei falsi valori che la attirano con la promessa seduttrice di una vita apparentemente più piena (cfr Ga 5,13-6,10).

2. Il criterio per discernere se l’uso che facciamo della nostra libertà è conforme alla nostra chiamata ad essere liberi oppure è in realtà una ricaduta nella schiavitù è la nostra subordinazione o insubordinazione alla carità, cioè alle esigenze che da essa derivano.

È di fondamentale importanza notare che questo criterio di discernimento ci è donato nella vita di Cristo: la libertà di Cristo è la vera libertà e la nostra chiamata alla libertà è chiamata a partecipare della libertà stessa di Cristo. Cristo visse nella piena libertà perché, nella radicale obbedienza al Padre “ha donato se stesso in riscatto per tutti. Questo è il messaggio della salvezza” (1Tm 2,5). Cristo è sommamente libero proprio nel momento della sua suprema subordinazione e obbedienza alle esigenze dell’Amore salvifico del Padre: nel momento della sua morte.

“Siete stati chiamati a libertà”: dice l’apostolo. Siamo stati resi partecipi della stessa libertà di Cristo: la libertà di donare se stessi. L’espressione perfetta della libertà è la comunione nel vero amore. Davanti ad ogni persona umana dopo questa chiamata, si è aperto lo spazio di una decisiva e drammatica alternativa: la scelta fra una (pseudo-) libertà di autoaffermazione, personale o collettiva, contro Dio e contro gli altri, e una vera libertà di autodonazione a Dio e agli altri. Chi sceglie l’autoaffermazione, resta sotto la schiavitù della carne, nella estraneità da Dio; chi sceglie l’autodonazione, vive già la vita eterna.

3. La libertà vera è quella che sta subordinata all’amore, poiché - ci insegna l’apostolo - “la carità è la pienezza della legge” (Rm 13,10). Da questo insegnamento possiamo capire, ancora una volta, che per l’apostolo non si dà, nell’uomo giustificato, una contrapposizione fra libertà e legge morale. E la ragione è precisamente che la pienezza della legge è la carità. Il senso ultimo di ogni norma morale è la carità; ogni norma morale non fa che esprimere una esigenza della verità e dell’amore.

È questo un punto molto importante dell’ethos della Redenzione, anzi dell’ethos semplicemente umano, che merita di essere approfondito subito. Noi tutti, qualunque sia la cultura a cui apparteniamo, definiamo l’amore come “volere il bene della persona amata”. Si noti: della persona amata, per se stessa, e non soltanto di colui che ama. In questo secondo caso, infatti, l’amore maschererebbe in realtà un rapporto con l’altro di carattere utilitaristico o edonistico. Il bene della persona è ciò che essa è: è il suo essere. Volere il bene è volere che l’altro sia nella pienezza del suo essere. Per questo, il più puro atto di amore che si possa pensare è atto creativo di Dio: esso fa sì che ciascuno di noi semplicemente sia.

4. C’è, dunque, una connessione inscindibile fra l’amore verso una persona e il riconoscimento della verità del suo essere: la Verità è il fondamento dell’amore. Si può avere l’intenzione di amare un altro, ma non lo si ama realmente se non si riconosce la verità del suo essere. Si amerebbe, di fatto, non l’altro, ma quell’immagine dell’altro che noi ci siamo creati e ci si esporrebbe così al rischio di commettere le più gravi ingiustizie in nome dell’amore dell’uomo. Poiché “questo uomo” non sarebbe quello reale, nella verità del suo essere, ma quello pensato da noi prescindendo dal fondamento della sua verità oggettiva.

Le norme morali sono le immutabili esigenze, che emergono dalla verità di ogni essere. Ogni essere esige di essere riconosciuto, cioè amato in modo adeguato, alla sua verità: Dio come Dio, l’uomo come uomo, le cose come cose. “La pienezza della legge è l’amore” ci insegna l’apostolo. Quanto è vera questa affermazione! L’amore è la realizzazione piena di ogni norma morale, perché esso vuole il bene di ogni essere nella sua verità: quella verità la cui forza normativa nei confronti della libertà è espressa dalle norme morali.


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese

Ai fedeli di espressione tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai fedeli polacchi


Ai gruppi italiani

Un saluto particolarmente cordiale rivolgo alle Suore Ancelle della Sacra Famiglia di Cagliari, che celebrano il cinquantesimo di fondazione della loro Congregazione. Questa data così importante e significativa sia per tutte voi un forte stimolo a sentirvi sempre più in fervoroso servizio della grande famiglia che è la Chiesa, nelle sue varie espressioni pastorali, imitando con amore, fiducia e serenità la Sacra Famiglia di Nazareth, vostro ideale.
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Desidero pure estendere il mio saluto alle Madri Capitolari delle Congregazioni delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e delle Discepole di Santa Teresa del Bambin Gesù. Il Signore conceda a voi in questo importante periodo, durante il quale siete riunite in Capitolo, piena consapevolezza delle vostre responsabilità, ed alle vostre Consorelle, che qui rappresentate, la grazia di essere in tutto degne del titolo che caratterizza le due Istituzioni: che l’Amore Misericordioso di Dio e la “piccola via” verso la santità ispirino e incoraggino sempre la vostra vita e la vostra testimonianza.
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A questo punto, rivolgo il mio affettuoso saluto ai 200 ragazzi della tendopoli mariana al Divino Amore e, insieme, a tutti i giovani. Vi esorto, carissimi, a tenere sempre viva nel cuore la fiamma dell’ideale e della pratica evangelica. La società di domani sarà migliore se voi saprete accogliere e sviluppare nella mente e nel cuore i valori autentici, che rendono la vita degna di essere vissuta. Con questo augurio di crescita vi accompagnino la protezione di Maria, che ha seguito la crescita di Gesù, e la mia Benedizione.
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Col pensiero a Maria, Madre della Chiesa, mi rivolgo anche a voi, carissimi ammalati qui presenti, invitandovi a offrire la vostra sofferenza con serenità e amore. Il vostro dolore, offerto a Dio con amore, diventa esso stesso preghiera, come ben sapete, con grande vantaggio vostro e della Chiesa. Vi aiuti, in questo, la mia particolare Benedizione.
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E infine saluto anche voi, sposi novelli, augurandovi di compiere uniti il tratto di strada della vostra vita, cominciato col matrimonio, con gli stessi sentimenti che animarono Maria e il suo sposo Giuseppe nel mettersi a servizio l’uno dell’altra e, insieme, di Gesù. Sia la vostra casa un centro di amore esemplare e fecondo. Nel vostro nuovo cammino vi accompagni la mia Benedizione.



Mercoledì, 17 agosto 1983

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1. Le parole dell’apostolo, ora ascoltate, ci descrivono quale è il compito a cui è chiamata la coscienza morale dell’uomo: “Discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. La nostra riflessione sull’ethos della Redenzione oggi si ferma a considerare “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”, come il Concilio Vaticano II definisce la coscienza morale (Gaudium et Spes
GS 16).

Che cosa intende l’Apostolo quando parla di “discernimento” in questo campo? Se noi facciamo attenzione alla nostra esperienza interiore, constatiamo la presenza dentro di noi di un’attività spirituale, che possiamo chiamare l’attività valutativa. Non è forse vero che spesso ci capita di dire, o di pensare: “Questo è giusto, questo non è giusto?”. Esiste cioè, in ciascuno di noi, una sorta di “senso morale” che ci porta a discernere ciò che è bene e ciò che è male, così come esiste una sorta di “senso estetico” che ci porta a discernere ciò che è bello da ciò che è brutto. È come un occhio interiore, una capacità visiva dello spirito, in grado di guidare i nostri passi sulla via del bene.

Ma le parole dell’Apostolo hanno un significato più profondo. L’attività della coscienza morale non riguarda soltanto ciò che è bene e ciò che è male universalmente. Il suo discernimento riguarda in particolare la singola e concreta azione libera che stiamo per compiere o abbiamo compiuto. È di essa che la coscienza ci parla, è essa che la coscienza valuta: questa azione, ci dice la coscienza, che tu, nella tua irripetibile singolarità, stai compiendo (o hai compiuto) è buona o è cattiva.

2. Donde desume la coscienza i suoi criteri di giudizio? In base a che cosa la nostra coscienza morale giudica le azioni che stiamo per compiere o che abbiamo compiute? Ascoltiamo attentamente l’insegnamento del Concilio Vaticano II: “Norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con un disegno di sapienza e amore ordina, dirige e governa tutto il mondo e le vie della comunità umana . . . l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per arrivare a Dio suo fine” (Dignitatis Humanae DH 3).

Riflettiamo attentamente su queste parole così dense e illuminanti. La coscienza morale non è un giudice autonomo delle nostre azioni. Essa desume i criteri dei suoi giudizi da quella “legge divina, eterna, oggettiva e universale”, da quella “verità immutabile”, di cui parla il testo conciliare: quella legge, quella verità che l’intelligenza dell’uomo può scoprire nell’ordine dell’essere. È per questa ragione che il Concilio dice che l’uomo, nella sua coscienza, è “solo con Dio”. Si noti: il testo non si limita ad affermare: “è solo”, ma aggiunge “con Dio”. La coscienza morale non chiude l’uomo dentro una invalicabile e impenetrabile solitudine, ma lo apre alla chiamata, alla voce di Dio.

In questo, non in altro, sta tutto il mistero e la dignità della coscienza morale: nell’essere cioè il luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all’uomo. Di conseguenza, se l’uomo non ascolta la propria coscienza, se consente che in essa prenda dimora l’errore, egli spezza il vincolo più profondo che lo stringe in alleanza con il suo Creatore.

3. Se la coscienza morale non è l’istanza ultima che decide ciò che è bene e ciò che è male, deve conformarsi alla verità immutabile della legge morale, ne consegue che essa non è giudice infallibile: può errare. Questo punto merita oggi una particolare attenzione. “Non conformatevi” insegna l’apostolo, “alla mentalità di questo mondo, ma rinnovatevi nello spirito della vostra mente” (Rm 12,2). Nei giudizi della vostra coscienza si annida sempre la possibilità dell’errore.

La conseguenza che deriva da tale errore è molto seria: quando l’uomo segue la propria coscienza errata, la sua azione non è retta, non realizza obiettivamente ciò che è bene per la persona umana. E questo, per il semplice fatto che il giudizio della coscienza non è l’ultima istanza morale.

Certo, “succede non di rado - come il Concilio precisa immediatamente - che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile” (Dignitatis Humanae DH 3). In tal caso essa “non perde la sua dignità” (cfr DH 3), e l’uomo che ne segue il giudizio non pecca. Lo stesso testo conciliare, però, prosegue osservando: “Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine del peccato” (DH 3).


Non è dunque sufficiente dire all’uomo: “Segui sempre la tua coscienza”. È necessario aggiungere subito e sempre: “Chiediti se la tua coscienza dice il vero o il falso, e cerca instancabilmente di conoscere la verità”. Se non si facesse questa necessaria precisazione, l’uomo rischierebbe di trovare nella sua coscienza una forza distruttrice della sua umanità vera, anziché il luogo santo ove Dio gli rivela il suo vero bene.

È necessario “formare” la propria coscienza. In tale impegno il credente sa di avere un particolare aiuto dalla dottrina della Chiesa. “Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità, e il suo compito è di annunziare e di insegnare in modo autentico la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare con la sua autorità i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana” (DH 14).

Chiediamo insistentemente a Cristo nostro Redentore la grazia di poter “discernere quale è la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Il dono cioè di essere nella verità, per fare la verità.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese


Ad un gruppo di giapponesi

Salutando poi il pellegrinaggio organizzato dalla rivista cattolica di Tokyo “Katorikku-Shinbun”, il Santo Padre pronuncia alcune parole in giapponese, delle quali diamo una traduzione in italiano.

Sia lodato Gesù Cristo!

Carissimi pellegrini di “Katorikku-Shinbun”, guidati da Sua Eccellenza Monsignor Fukahori, Vescovo della diocesi Takamatsu.

Imparto su di voi la mia Benedizione Apostolica, affinché la grazia del vostro pellegrinaggio, attraverso la Terra Santa, Roma e Lourdes, porti frutti abbondanti nella vita quotidiana.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi di espressione tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai gruppi di espressione portoghese


Ai polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

E ora mi rivolgo a voi, carissimi giovani qui presenti, con un affettuoso saluto. La freschezza della vostra età è una bella immagine di quella che potrà essere la condizione del nostro corpo nella futura risurrezione gloriosa, in quella vita celeste che la Vergine Santissima sta già ora vivendo, in anima e corpo, insieme col suo Figlio divino. Proprio l’altro giorno, con la solennità dell’Assunta, abbiamo ricordato questo meraviglioso mistero. Sia la vostra vitalità immagine e segno del fervore della vostra anima, aperta agli influssi della grazia, ed orientata a vivere il mistero pasquale. Vi accompagni la mia Benedizione.
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Miei cari ammalati, rivolgo adesso a voi il mio saluto pieno di rispetto e di sentita partecipazione alla vostra presente condizione. Attraverso il mistero della sofferenza si giunge alla Vita, come la Vergine Assunta, che ora ci guarda teneramente dal Cielo. Proseguite dunque il vostro cammino uniti a Lei, col sostegno anche della mia Benedizione.
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Vada infine il mio saluto a voi, sposi novelli. Il mio augurio più fervido è che possiate portare a buon compimento il “progetto” che Dio ha avuto su di voi unendovi nel sacramento del matrimonio, e compiere ciò sotto lo sguardo e nella luce della Madonna onde pregustare fin da quaggiù quel tenero e purissimo affetto reciproco, che siete destinati a godere per sempre nella patria beata della risurrezione. Accompagno tali voti con la mia affettuosa Benedizione.



Mercoledì, 24 agosto 1983

24883


1. “. . . Affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore” (
Ep 4,14).

1. Carissimi, l’apostolo Paolo ci richiama con queste parole alla necessità di essere persone adulte nella fede, mature nei nostri giudizi, in possesso di una coscienza morale capace di guidare le nostre scelte in armonia con “la verità nella carità” (Ep 4,15).

“Formare” la propria coscienza è compito fondamentale. La ragione è molto semplice: la nostra coscienza può errare. E l’errore, quando prevale su di essa, diviene causa del più grave danno per la persona umana: impedisce che l’uomo realizzi se stesso, subordinando l’esercizio della libertà alla verità.

Il cammino verso una coscienza morale matura, tuttavia, non può neppure avere inizio, se lo spirito non è libero da una malattia mortale, oggi molto diffusa: l’indifferenza verso la verità. Come potremmo, infatti, essere preoccupati che la verità abiti nella nostra coscienza, se riteniamo che l’essere nella verità non sia un valore di importanza decisiva per l’uomo?


2. Numerosi sono i sintomi di tale malattia. L’indifferenza verso la verità si manifesta, ad esempio, nel ritenere che la verità e la falsità, in etica, siano soltanto una questione di gusti, di decisioni personali, di condizionamenti culturali e sociali; oppure che sia sufficiente eseguire ciò che pensiamo, senza preoccuparci ulteriormente se ciò che pensiamo sia vero o falso; o anche che il nostro essere graditi a Dio non dipenda affatto dalla verità di ciò che noi pensiamo di lui, ma solo dal credere sinceramente in ciò che noi professiamo. Indifferenza verso la verità è ancora il ritenere più importante per l’uomo cercare la verità che raggiungerla, giacché questa, in definitiva, gli sfugge irrimediabilmente; e confondere, di conseguenza, il rispetto dovuto ad ogni persona, qualunque siano le idee che professa, con la negazione dell’esistenza di una verità obiettiva.

Se una persona umana è indifferente, nel senso sopraddetto, verso la verità, non si darà pensiero della formazione della propria coscienza, e finirà, presto o tardi, per confondere la fedeltà alla propria coscienza con l’adesione a una qualsiasi opinione personale o all’opinione della maggioranza.

Donde deriva questa gravissima malattia spirituale? La sua origine ultima è l’orgoglio, nel quale, secondo tutta la tradizione etica della Chiesa, sta la radice di ogni male umano. L’orgoglio porta l’uomo ad attribuirsi il potere di decidere, come arbitro supremo, di ciò che è vero e di ciò che è falso; a negare, cioè, la trascendenza della verità nei confronti della nostra intelligenza creata e a contestare, di conseguenza, il dovere di aprirsi ad essa, di accoglierla non come propria invenzione ma come dono che le è fatto dalla luce increata.

Appare chiaro, allora, che l’origine dell’indifferenza verso la verità risiede nelle profondità del cuore umano. Non si trova la verità, se non la si ama; non si conosce la verità, se non si vuole conoscerla.

3. “Vivere secondo verità nella carità”, è ciò a cui ci invita l’apostolo. Abbiamo individuato il punto di partenza per la formazione della coscienza morale: l’amore della verità. Ora possiamo individuarne alcuni “momenti” significativi.

Uno dei risultati positivi che si attendono dalla celebrazione di questo Anno Santo straordinario è che nella Chiesa ritorni la pratica assidua del Sacramento della Penitenza. Nel contesto della nostra riflessione odierna, il richiamo a questo Sacramento diventa particolarmente importante. La “conversione del cuore” è infatti il dono più prezioso di questo avvenimento di grazia. Il cuore convertito al Signore e all’amore del bene è la sorgente ultima dei giudizi veri della coscienza morale. Poiché, non dimentichiamolo, per discernere concretamente ciò che è bene da ciò che è male non è sufficiente - anche se necessaria - la conoscenza della legge morale universale, ma è necessaria anche una sorta di “connaturalità” fra la persona umana e il vero bene (cf., ad esempio, San Tommaso, Summa theologiae, II-II 45,2).

In forza di questa “connaturalità”, la coscienza diviene capace, quasi per una forma di istinto spirituale, di percepire da quale parte stia il bene e quale sia perciò la scelta che s’impone nel caso concreto. Ebbene, la grazia del Sacramento della Penitenza, assiduamente e fervorosamente celebrato, produce nella persona umana questa progressiva e sempre più profonda “connaturalizzazione” con la verità e il bene.

Nel testo paolino, da cui ha preso avvio questa nostra riflessione, si dice che Cristo “ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti . . . al fine di edificare il corpo di Cristo”. Ebbene: è nella Chiesa che la coscienza morale della persona cresce e matura; dalla Chiesa essa è aiutata a “non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini”. La Chiesa, infatti, è “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3,15). La fedeltà al Magistero della Chiesa impedisce, pertanto, alla coscienza morale di sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo.

Non è quindi giusto ritenere la coscienza morale del singolo e il Magistero della Chiesa come due contendenti, come due realtà in conflitto. L’autorità di cui, per volontà di Cristo, gode il Magistero, esiste perché la coscienza morale raggiunga con sicurezza la verità e vi permanga.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai gruppi di espressione inglese

Ad un pellegrinaggio giunto dal Giappone

Ai gruppi di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai gruppi di espressione portoghese



Ai polacchi

Ai fedeli di lingua italiana


Saluto ora i pellegrini e turisti italiani, tutti: i gruppi e ciascuno singolarmente. Grazie per la vostra presenza, così numerosa e varia.

Desidero ricordare in modo speciale i pellegrinaggi delle Diocesi di Aqui (Piemonte) e di Acireale (Sicilia), presieduti dai rispettivi Vescovi. Sono lieto della vostra presenza insieme con i vostri Pastori e vi esorto, sacerdoti e loro collaboratori nelle diverse attività, ad essere sempre fervorosi negli impegni dell’apostolato diocesano e parrocchiale.
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Il mio affettuoso saluto va anche a tutte le Religiose presenti, ed in particolare alle Capitolari delle Congregazioni delle Suore dei Poveri di San Vincenzo de’ Paoli e delle Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore, alle partecipanti alla Quindicesima Settimana Biblica Nazionale e all’Assemblea Generale dell’Opera “Al servizio della Divina Misericordia” nel quarantennio di fondazione. Cercate, ogni giorno più, di essere degne dei nomi meravigliosi e programmatici che vi caratterizzano, orientando la vostra vita interiore e apostolica alla luce della “Parola di Dio” e del “Magistero della Chiesa”.
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Mi rivolgo ora ai partecipanti al Convegno Nazionale della “Crociata del Vangelo”.

Carissimi, ricordo bene l’incontro con voi avuto nel 1980, in una occasione simile a quella odierna. Mi compiaccio con voi per la scelta del tema di studio, dedicato all’approfondimento del “Padre Nostro”. E auspico che la preghiera insegnataci dal Signore Gesù, mediante la quale ci rivolgiamo al Padre Celeste, sia per voi tutti invito e stimolo a dedicarvi sempre più al trionfo del Regno di Dio nella società, mediante la diffusione del Santo Vangelo.

E di cuore vi benedico.
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Ed eccomi a voi e con voi, giovani, qui presenti, venuti in questo luogo santo per consolidare la vostra fede. A voi guardano con speranza la società e la Chiesa. Negli anni della vostra giovinezza avvicinatevi al Signore Gesù, confrontandovi con il suo Vangelo, perché possiate edificare l’avvenire della vostra vita su di Lui. Ai catechisti in particolare della Parrocchia di Senago (Milano) auguro che la fiaccola votiva, che ho la gioia di accendere per voi, illumini i vostri passi lungo la via che percorrerete a piedi, in spirito di preghiera, verso le vostre case. Sia Cristo, sempre, la vostra luce!
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Saluto voi, malati, che condividete nel fisico e nell’animo le sofferenze redentrici di Cristo. Guardando a Lui, sappiate anche voi offrire le vostre pene per la salvezza di tanti fratelli nel mondo, con la certezza della fede, che fece già esclamare all’Apostolo Paolo: “Tutto posso in Colui che mi dà la forza”. Con la mia Apostolica Benedizione.
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Un particolare saluto infine anche a voi, sposi novelli. Venendo alla tomba di Pietro, il primo degli Apostoli, avete voluto manifestare che intendete intraprendere con la fede la vostra vita di amore vero e profondo, di aiuto vicendevole e pieno, di servizio alla vita. Sia con voi, nel cammino che avete appena intrapreso, la presenza materna della Vergine, e vi accompagni la mia Benedizione.




Catechesi 79-2005 30883