Catechesi 79-2005 28983

Mercoledì, 28 settembre 1983

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1. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui” (
1Jn 4,9).

All’origine di tutto, carissimi fratelli e sorelle, sta l’amore di Dio che, dopo averci mirabilmente creati e chiamati all’essere insieme a tutte le creature, ci ha liberati e purificati dalle colpe per mezzo di Gesù Cristo, il quale ha espiato e cancellato i nostri peccati e ci ha reintegrati nella grazia e nella comunione con Dio.

Questo atto di Dio per mezzo di Gesù Cristo è così grande e misterioso che non v’è parola umana capace di esprimerlo adeguatamente. Gli autori del Nuovo Testamento lo hanno chiamato sacrificio della nuova Pasqua, sacrificio della nuova alleanza, sacrificio della grande Espiazione, ma erano consapevoli che nessuno di tali termini poteva esprimere nella sua totalità l’atto redentore di Cristo, nel quale si è manifestato il disegno misericordioso di Dio, paternamente sollecito della nostra sorte. Per questo, oltre alle immagini del sacrificio, essi hanno fatto ricorso a parole e immagini tratte dalla loro esperienza sia religiosa che profana. Leggiamo infatti nel Nuovo Testamento che Gesù ha espiato per noi, che Dio ci ha redenti in Cristo, che ci ha comperati, pacificati, liberati, purificati, lavati dalle nostre colpe e impurità.

2. Fissiamo per un momento la nostra attenzione su alcune di queste parole. Esse designano anzitutto una condizione dalla quale siamo tolti, un dato negativo, oscuro di servitù, di corruzione, di pericolo, di alienazione, di rovina, di inimicizia, e uno stato nuovo di santità, di libertà e di vita, a cui siamo stati trasferiti. Da uno stato di morte e di peccato siamo stati trasferiti ad uno stato di liberazione e di grazia.

Per comprendere a fondo il dono della salvezza si deve, perciò, comprendere quale grande male sia il peccato, “quanti ponderis sit peccatum” (S. Anselmo). Il Concilio Vaticano II, dopo aver presentato al numero 27 della costituzione Gaudium et Spes un’orribile sequenza di peccati moderni, osserva: “Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose e mentre guastano la civiltà umana, inquinano ancor più coloro che così si comportano che non coloro che le subiscono, e ledono gravemente l’onore del Creatore”. Le ultime parole riecheggiano la ben nota definizione del peccato, quale offesa fatta a Dio disobbedendo alla sua legge, che è legge di amore. Di tali disubbidienze tutti, nella nostra parte, siamo più o meno consapevoli. Tutti pecchiamo in qualche modo e abbiamo leso la gloria e l’onore di Dio (cfr Rm 3,23).

Ebbene, la morte di Cristo ci libera dai nostri peccati, poiché la Redenzione è essenzialmente la distruzione del peccato.

3. Siamo ora in grado di comprendere meglio il vocabolario della Redenzione, i termini cioè con i quali l’ha indicata il Nuovo Testamento, testimoniando la fede degli Apostoli e della prima comunità cristiana.

Una delle espressioni più ricorrenti è quella di redenzione, “apolytrosis”. Quando diciamo che Gesù ci ha “redenti” usiamo un’immagine che significa liberazione dalla schiavitù, dalla prigionia, s’intende del peccato. Come Dio ha liberato il suo popolo dalla servitù dell’Egitto, come si libera un prigioniero pagandone il prezzo, come si recupera una cosa cara caduta in possesso di altri, così Dio ha riscattato noi mediante il sangue di Cristo. “Non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro - scrive san Pietro - foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1P 1,18).

Un altro termine classico è quello di espiazione: Gesù ha espiato i nostri peccati. Scrive ad esempio san Giovanni: “Dio ci ha amato e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10), “non solo per i nostri peccati, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1Jn 2,2). Nel linguaggio biblico “espiazione” significa eliminazione, purificazione, distruzione della colpa e dei suoi effetti rovinosi. Attraverso la morte di Cristo e la sua offerta totale al Padre, il peccato dell’uomo viene eliminato, distrutto e l’uomo si trova purificato e diventa gradito a Dio.

4. Ma c’è un modo di designare l’opera di Cristo che di tutti è il più chiaro e intelligibile per noi ed è quello che è tratto dall’esperienza della riconciliazione: nella morte di Cristo noi siamo stati riconciliati con Dio. Autore della riconciliazione è Dio che ne ha preso la libera iniziativa; Gesù Cristo ne è stato l’agente e mediatore; l’uomo ne è il destinatario.

La riconciliazione infatti discende da Dio verso l’uomo e lo tocca mediante Gesù Cristo, creando con lui un essere nuovo, facendolo passare da un modo di esistenza a un altro e aprendolo alla possibilità di riconciliarsi, oltre che con Dio anche con i fratelli.


L’Anno Santo vuol essere soprattutto questo: un invito insistente e appassionato ad aprire il cuore al dono divino della riconciliazione.

Ai pellegrini di lingua francese

Ad alcuni gruppi di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese


Ai polacchi

Ai gruppi italiani

Saluto di cuore i vari gruppi di lingua italiana, convenuti numerosi a Roma per acquistare il Giubileo.

Anzitutto, il mio saluto va ai pellegrini delle due diocesi di Belluno e di Vittorio Veneto, guidati dai rispettivi Vescovi. Carissimi, ho voluto menzionarvi per primi, perché proprio oggi ricorre il V anniversario della morte di Papa Giovanni Paolo I, mio indimenticabile predecessore, che con le vostre diocesi ebbe inscindibili legami, essendo nato in quella di Belluno, diventando poi Vescovo di Vittorio Veneto. nella sua cara memoria, abbiate l’assicurazione del mio affetto, insieme all’esortazione ad una vita cristiana sempre luminosa.

Saluto parimenti con sincero affetto il pellegrinaggio della diocesi di Aversa, a cui auguro di vivere sempre più i valori di una profonda religiosità e di una cristiana testimonianza di fraternità;

- quello di Gubbio, così notoriamente legata all’epopea francescana;


- quello congiunto di Potenza, Marsico e Muro Lucano, che testimonia la fede e la religiosità di quelle generose genti;

- e infine il pellegrinaggio di Bosa, che ci ricorda la nobile fierezza delle popolazioni sarde. Sono lieto di benedirvi tutti, insieme ai vostri degni Pastori qui presenti.

Un particolare saluto va al pellegrinaggio interparrocchiale della Garfagnana (diocesi di Apuania), a cui presiede il benemerito Cardinale Paolo Bertoli, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, originario di quella terra; ringrazio lui e tutti voi per questo familiare incontro, di cui mi compiaccio vivamente. Contemporaneamente, saluto il Vescovo della stessa diocesi, che è qui presente con alcuni sacerdoti e con i chierici teologi del suo Seminario Maggiore.

Così saluto il Vescovo di Vallo della Lucania, che ha accompagnato alcuni membri del suo Presbiterio.

Il mio saluto, infine, si estende al Rettore e alla Comunità del Seminario teologico “San Gaudenzio” di Novara e ai loro genitori;

- al gruppo di religiosi Salesiani, provenienti dall’America Latina per alcuni corsi di aggiornamento presso la loro Università qui a Roma;

- e ai Presidenti Nazionali degli Ex Allievi salesiani, rappresentanti di 70 nazioni, che incoraggio vivamente a proseguire con slancio nella loro generosa e intelligente testimonianza cristiana.
* * *


E ora a voi il mio saluto, carissimi giovani, che sapete donare a questi nostri incontri una simpatica nota di entusiasmo. La vostra presenza numerosa suggerisce sempre pensieri di fiducia e di speranza. Vi ringrazio tutti, e vi raccomando di orientare verso il bene questa vitalità così ricca. Vivete con forza la vostra fede e impegnatevi a promuovere nella società i valori spirituali, coscienti come siete che questa impresa è ardua, ma tanto importante e urgente!

Vi accompagni e vi sostenga la mia Benedizione.
* * *



Anche a voi, carissimi ammalati, una parola di particolare attenzione e affetto. Voglio assicurarvi che la vostra presenza nella società, se è accompagnata dalla testimonianza di fede e accettazione della prova, è preziosissima. Voi siete chiamati a prestare una collaborazione più stretta al signore nella Sua azione redentrice mediante la Croce: e sapete che questa realtà, anche se non elimina il dolore, lo rende salvifico e spesso anche più leggero.

Vogliate essere consapevoli di così grande vocazione! E ricevete pace e conforto dalla mia Benedizione Apostolica.
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Carissimi sposi novelli, il mio sguardo è ora rivolto a voi. In visita a Roma, non avete voluto mancare a questo incontro con il Papa. Vi ringrazio per la vostra presenza affettuosa e lieta: essa è anche indice di fede, di amore a Dio e alla Chiesa, di desiderio che la nuova comunità che avete costituito sia chiaramente cristiana. Vi auguro di essere felici, certi che il Signore è con voi e veglia su questo vostro cammino, intrapreso nella reciproca donazione di fedeltà e amore.

A tutti sono vicino con la mia Benedizione.

Un nuovo pressante invito alla preghiera per il Libano viene rivolto dal Santo Padre al termine dell’udienza giubilare in piazza San Pietro. Sottolineando la grande importanza della tregua raggiunta tra le parti in confitto, il Papa dice.

Anche oggi vi invito a pregare per il Libano. Dopo gli aspri scontri che si sono protratti per molte settimane facendo aumentare paurosamente le distruzioni e le vittime tra i combattenti e tra la popolazione civile del tutto scoraggiata ed esausta, finalmente è stato raggiunto un accordo per la cessazione del fuoco.

È una tregua ancora fragile, che per essere efficace avrà bisogno di tanta buona volontà da parte di tutti. Ma è un fatto di grande importanza, prima di tutto perché non si spara più, e inoltre perché l’accordo prevede garanzie contro il riaccendersi dei combattimenti e delinea una procedura che dovrebbe condurre alla ripresa del dialogo tra i gruppi interessati col fine di pervenire ad una riconciliazione nazionale.

Se si pensa alle esperienze precedenti, si possono prevedere gli ostacoli e le difficoltà che si dovranno ancora superare; ma è lecito sperare - ed è doveroso soprattutto pregare intensamente - che la buona volontà e lo spirito di responsabilità prevalgano sia tra i dirigenti dei gruppi libanesi all’interno, sia tra li autorità dei governi in qualche modo interessati alla vicenda del martoriato Libano.

La Vergine santa, patrona e Regina del Libano, preservi e sorregga tutti gli sforzi di buon volere diretti a restituire la pace e l’unità a quella cara Nazione.





Mercoledì, 5 ottobre 1983

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1. “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (
2Co 5,20).

Carissimi fratelli e sorelle, queste parole dell’apostolo Paolo ci portano spontaneamente col pensiero ad uno dei più importanti avvenimenti di questo Anno Santo della Redenzione, e cioè all’assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, che si sta svolgendo in questi giorni in Roma. Più di duecento Pastori qui venuti da tutte le parti del mondo discutono sulla “riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa”. La Chiesa ha la missione di portare a tutti i popoli la Redenzione e cioè la riconciliazione, che il Padre ha offerto e continua ad offrire ad ogni uomo nella morte e risurrezione del suo Figlio. Il tema e lo scopo del Sinodo sono quindi in piena sintonia con l’intimo significato della Redenzione e dell’Anno Santo.

Già nei suoi documenti preparatori il Sinodo richiama l’uomo a cercare le cause profonde del suo dramma, a prendere chiara coscienza della sua fragilità, ma anche dell’aspirazione al bene. Perché - come ha rivelato il Concilio Vaticano II - “gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si contrastano a vicenda [. . .] per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società” (Gaudium et Spes GS 10).

2. Ma il Sinodo non si ferma qui. Esso indica anche la strada della liberazione dalle catene del peccato, a cui l’uomo interiormente aspira, e richiama la grandezza della misericordia divina. Noi peccatori, infatti, ci convertiamo grazie all’iniziativa di Dio: “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Co 5,19). Lo riconosciamo umilmente con le parole della quarta Prece eucaristica del Messale Romano: “Quando per la sua disobbedienza l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare”.

L’iniziativa misericordiosa di Dio si rinnova continuamente. La voce di Dio interpella ogni peccatore, come un giorno Adamo dopo il peccato: “Dove sei?” (Gn 3,9). E l’uomo è capace di ascoltare la propria coscienza; se il peccato originale ha lasciato in lui ferite profonde, non ha però corrotto la sua fondamentale capacità di ascoltare, con l’aiuto della grazia, e di seguire la voce della coscienza, di scegliere il bene invece del male, di decidere come il figlio prodigo: “Mi leverò e andrò da mio Padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te” (Lc 15,18).

L’iniziativa dell’Amore misericordioso di Dio verso l’uomo alienato dal peccato richiama la risposta dell’uomo, la conversione, il ritorno a Dio, la prontezza ad abbracciare i fratelli, a confessare i propri peccati, a ripararne le conseguenze e a conformare la propria vita secondo la volontà del Padre.

Così, per merito della morte e risurrezione di Cristo, per l’opera dello Spirito Santo, l’uomo diventa “nuova creatura” (2Co 5,17), uomo nuovo (cf. Ga 6,15), e attraverso l’opera della riconciliazione l’umanità stessa diventa una nuova comunità umana (cf. Ep 2,14-18) in cui regna abbondantemente la pace con Dio e con i fratelli.

3. Il Sinodo è chiamato ad approfondire l’importanza della Redenzione nella missione della Chiesa e a studiare le vie per un sempre migliore adempimento di questa missione. Nostro Signore, prima di salire al cielo, ha affidato agli Apostoli e ai loro successori il compito di annunciare a tutte le genti il Vangelo, che è essenzialmente la “buona novella” della riconciliazione con Dio; di battezzarle per il perdono dei peccati, e di rimettere o ritenere, in nome di Dio, i peccati: “Riceverete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Jn 20,23 cfr Mt 18,28).

Il Sinodo sta esaminando come viene compresa e applicata nella Chiesa la forza rinnovatrice del sacramento della Penitenza, dono scaturito dal costato trafitto del Salvatore, un dono che è stato per secoli, ed è ancor oggi, sorgente di rinnovamento e di pace interiore ed esteriore, strumento di maturazione e di crescita, scuola di santità, palestra di nuove vocazioni. Dalla conversione, che viene ratificata e consolidata in questo sacramento, ha inizio ogni vera e profonda riforma dei costumi, della vita e della società; qui si pongono le basi per un nuovo ordine morale nella famiglia, nel lavoro, nel campo economico, sociale, politico. Se è vero che “dal cuore dell’uomo provengono i propositi malvagi”, è pure vero che questo cuore è capace di ascoltare la voce del Padre, di chiedere e ottenere il perdono, di risorgere a vita nuova, di rinnovare se stesso e l’ambiente attorno a sé.

Preghiamo quindi tutti lo Spirito Santo perché corrobori i Pastori radunati nel Sinodo e li guidi nelle loro deliberazioni. Preghiamo perché il Sinodo stesso, celebrato in quest’Anno Giubilare della Redenzione, aiuti tutte le coscienze a ravvivare il senso di Dio e del peccato, a capire la grandezza della misericordia di Dio e l’importanza del sacramento della Penitenza per la crescita dei cristiani, per il rinnovamento spirituale della Chiesa, per il risanamento morale della società.


Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese


Al gruppo della parrocchia di S. Massimiliano Kolbe a Oswicim

Ai gruppi italiani

Saluto ora i Pellegrini di lingua italiana, rivolgendo un affettuoso pensiero ai vari gruppi.

Saluto innanzitutto i pellegrini di Venezia, accompagnati dal loro Cardinale Patriarca. Carissimi Veneziani, le vostre tradizioni di fede hanno raggiunto il mondo intero. Rinvigoritele anche mediante questo vostro pellegrinaggio di riconciliazione e penitenza, per divenire sempre più docili all’azione dello Spirito Santo, diretta a trasformarci ad immagine di Cristo.
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Anche ai mille pellegrini di Foligno dirigo un lieto benvenuto. Dai primi secoli dell’era cristiana, “Fulginium” si mise alla sequela di Cristo. Essa richiede combattimento contro tutto ciò che impedisce al cristiano di “rivestirsi del Signore Gesù Cristo”. Siate fedeli e coraggiosi in questa lotta contro il male, per il bene delle vostre anime, per la pace dei vostri cuori, per la serenità delle vostre famiglie.
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Ai missionari sacerdoti, religiosi, religiose e laici in partenza per l’Africa, secondo i programmi della “Cooperazione Missionaria” fra le Chiese, un affettuoso augurio ed una speciale Benedizione. Voi siete gli Araldi della Verità e della Carità di Cristo. Invoco per voi una fedeltà al vostro impegno e coraggio tra le difficoltà, nella coscienza della vittoria della Croce: in hoc signo vinces.
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A tutti i partecipanti al VII Cenacolo del Movimento per un Mondo Migliore, provenienti da 35 Paesi, dirigo una parola di speciale incoraggiamento, esortandoli ad approfondire la comunione vitale con Cristo per contribuire ad un’effettiva trasformazione dell’intera famiglia umana secondo l’“ethos” della Redenzione.
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Ed ora saluto cordialmente i 1.500 Convegnisti della Federazione Maestri del Lavoro d’Italia che rappresentano tanti Colleghi, ma soprattutto quanti sono impegnati nel mondo del lavoro. Voi vi proponete, tra l’altro, di incrementare il valore morale del lavoro. Vi sono vicino nel vostro generoso impegno, che è in sintonia col pensiero della Chiesa sul lavoro stesso, mediante il quale ogni uomo ed ogni donna prolunga l’opera del Creatore, si rende utile ai propri fratelli ed offre un contributo personale all’avvento del piano di Dio nella storia. A voi, cari Maestri del Lavoro ed alle vostre famiglie, la mia Benedizione più cordiale.
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Agli illustri membri del 2° Convegno Internazionale per le Malattie dell’Esofago guidati dal Presidente Prof. Castrini, dirigo un saluto ed un augurio particolarmente fervidi, consapevole delle responsabilità della loro alta missione di scienziati e di medici. Essa è radicalmente esercizio di carità, di rispetto, di amore per l’uomo. Prego il Signore di concedere a tutti voi la sua assistenza di luce, affinché dal vostro lavoro derivino incrementi veri per la salute ed anche per il bene morale di tanti fratelli.
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Mi rivolgo ora a voi, giovani, con un caloroso saluto e con l’esortazione a vivere con gioia e speranza la vostra giovinezza, in vista delle responsabilità future. Siamo nel mese di ottobre, mese del Roasio; affidate la vostra vita a Maria, la Santa Madre di Dio, incaricata di una missione di salvezza per ciascuno di voi. Invocatela, veneratela, amatela.
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Anche a voi, cari ammalati, raccomando la recita del Santo Rosario. Maria consacrò se stessa alla persona ed all’opera del Figlio suo, per servire il Mistero della Redenzione. così voi siete chiamati a servire tale Mistero con la vostra sofferenza. E’ una grande missione, anche se talvolta molto difficile. Svolgetela insieme con Maria e con la mia Benedizione.
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Un saluto, infine, a voi sposi novelli e l’esortazione a costruire un focolare cristiano, amandovi ogni giorno di più con amore totale, fedele, fecondo. Nelle battaglie per il trionfo del bene in voi, usate l’arma del Santo Rosario tanto raccomandata dalla Vergine a Lourdes ed a Fatima. La Regina del Santo Rosario, di cui celebreremo la memoria Venerdì prossimo, è anche la Regina delle Vittore. Con la mia Benedizione.


L'anelito dell'uomo alla redenzione

Mercoledì, 12 ottobre 1983 L'uomo, prendendo sul serio la sua umanità, percepisce di essere in una situazione di impotenza strutturale

12103 1. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua perché non abbia sete” (Jn 4,15). La domanda della Samaritana a Gesù esprime, nel suo significato più profondo, il bisogno incolmabile e il desiderio inesauribile dell’uomo. Infatti ogni uomo degno di questo nome si accorge inevitabilmente di una incapacità congenita di rispondere a quel desiderio di verità, di bene e di bellezza che scaturisce dal profondo del suo essere. Man mano che si inoltra nella vita, egli si scopre, proprio come la Samaritana, incapace di spegnere la sete di pienezza che porta dentro di sé.

Da oggi, fino a Natale, le riflessioni di questo incontro settimanale saranno sul tema dell’anelito dell’uomo alla Redenzione. L’uomo ha bisogno di un Altro; vive, lo sappia o meno, in attesa di un Altro, che redima questa sua innata incapacità a saziare le sue attese e le sue speranze.

Ma come potrà incontrarsi con lui? Condizione indispensabile per questo incontro risolutivo è che l’uomo prenda coscienza della sete esistenziale che lo affligge e della sua radicale impotenza a spegnerne l’arsura. La via per giungere a tale presa di coscienza è, per l’uomo di oggi come per quello di tutti i tempi, la riflessione sulla propria esperienza. Lo aveva intuito già la saggezza antica. Chi non ricorda la scritta che campeggiava bene in vista sul tempio di Apollo a Delfi? Essa diceva appunto: “Uomo, conosci te stesso”. Questo imperativo, espresso in modi e forme diverse anche in più antiche aree di civiltà, ha attraversato la storia e si ripropone con la medesima urgenza anche all’uomo contemporaneo.

Il Vangelo di Giovanni in taluni episodi salienti documenta assai bene come Gesù stesso, nel proporsi quale Inviato del Padre. abbia fatto leva su questa capacità che l’uomo possiede di capire il suo mistero riflettendo sulla propria esperienza. Basti pensare al citato incontro con la Samaritana, ma anche a quelli con Nicodemo, con l’adultera o il cieco nato.

2. Ma come definirla questa esperienza umana profonda che indica all’uomo la strada dell’autentica comprensione di sé? Essa è il paragone continuo tra l’io e il suo destino. La vera esperienza umana avviene solo in quella genuina apertura alla realtà che consente alla persona, intesa come essere singolare e consapevole, carico di potenzialità e di bisogni, capace di aspirazioni e di desideri, di conoscersi nella verità del suo essere.

E quali sono le caratteristiche di una simile esperienza, grazie alla quale l’uomo può affrontare con decisione e serietà il compito del “conosci te stesso”, senza perdersi lungo il cammino di tale ricerca? Due sono le condizioni fondamentali che egli dovrà rispettare.

Dovrà anzitutto essere appassionato a quel complesso di esigenze, bisogni e desideri che caratterizzano il suo io. In secondo luogo dovrà aprirsi ad un incontro oggettivo con tutta la realtà.

San Paolo non cessa di richiamare ai cristiani queste fondamentali caratteristiche di ogni esperienza umana quando sottolinea con vigore: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Co 3,23), oppure quando invita i cristiani di Tessalonica a “vagliare ogni cosa e trattenere ciò che è buono” (1Th 5,21). In questo continuo paragone col reale alla ricerca di ciò che corrisponda o meno al proprio destino, l’uomo fa l’esperienza elementare della verità, quella che dagli Scolastici e da san Tommaso è stata definita in modo mirabile come “adeguazione dell’intelletto alla realtà” (San Tommaso, De Veritate, q. 1 a. 1 corpus).

3. Se per essere vera l’esperienza deve essere integrale e aprire l’uomo alla totalità, si capisce bene dove stia per l’uomo il rischio dell’errore: egli dovrà guardarsi da ogni parzializzazione. Dovrà vincere la tentazione di ridurre l’esperienza, ad esempio, a mere questioni sociologiche o ad elementi esclusivamente psicologici. Così come dovrà temere di scambiare per esperienza schemi e “pregiudizi” che l’ambiente in cui normalmente vive e opera gli propone: pregiudizi tanto più frequenti e rischiosi oggi perché ammantati dal mito della scienza o dalla presunta completezza dell’ideologia.

Come è difficile per l’uomo di oggi approdare alla sicura spiaggia della genuina esperienza di sé, quella nella quale gli si può adombrare il vero senso del suo destino! egli è continuamente insidiato dal rischio di cedere a quegli errori di prospettiva che, facendogli dimenticare la sua natura di “essere” fatto ad immagine di Dio, lo lasciano poi nella più desolante delle disperazioni o, che è ancora peggio, nel più inattaccabile cinismo.

Alla luce di queste riflessioni quanto appare liberante la frase pronunciata dalla Samaritana: “Signore . . . dammi di quest’acqua perché non abbia più sete . . .”! Veramente essa vale per ogni uomo, anzi a ben vedere è una profonda discrezione della sua stessa natura.

Infatti l’uomo che affronta seriamente se stesso e osserva con occhio chiaro la sua esperienza secondo i criteri che abbiamo esposti, si scopre più o meno consapevolmente come un essere a un tempo carico di bisogni, cui non sa trovare risposta, e attraversato da un desiderio, da una sete di realizzazione di sé, che non è capace, da solo, di appagare.

L’uomo si scopre così collocato dalla sua stessa natura nell’atteggiamento di attesa di un Altro che completi la sua mancanza. Un’inquietudine pervade in ogni momento la sua esistenza, come suggerisce Agostino all’inizio delle sue Confessioni (I, 1): “Ci hai fatti per te, o Signore, ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in te”. L’uomo, prendendo sul serio la sua umanità, percepisce di essere in una situazione di impotenza strutturale!

Cristo è Colui che lo salva. Egli solo può toglierlo da questa situazione di stallo, colmando la sete esistenziale che lo tormenta.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

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Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli di lingua italiana

Saluto ora tutti e singoli i pellegrini italiani,

Prendono parte a questa Udienza due pellegrinaggi diocesani di Alessandria e di Albenga-Imperia, guidati dai loro rispettivi Vescovi, i Monsignori Ferdinando Maggioni e Alessandro Piazza.


Carissimi, vi esprimo l’auspicio che questo vostro pellegrinaggio giubilare valga a rinsaldare la vostra fede e la vostra fedeltà a Cristo Redentore, e a riaffermare il vostro impegno di amore alla Chiesa e di collaborazione con i vostri Pastori per l’edificazione di una comunità cristiana sempre più viva ed operante. Vi benedico tutti nel nome del Signore.
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Il mio saluto si volge ora ai dirigenti e responsabili provinciali e locali dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, riuniti per un loro convegno di studio, e ai pellegrini etiopici residenti a Roma o provenienti da Addis Abeba.

Vi ringrazio per la vostra testimonianza di fede cristiana e vi auguro che l’impegno da voi posto per realizzare in pienezza gli scopi dell’Anno Santo, in un rinnovato rapporto con Dio e nell’amore operoso verso tutti gli uomini, vi accompagni per tutta la vita e vi sia di stimolo per un continuo progresso spirituale. Vi incoraggi a ciò la mia particolare Benedizione.
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Uno speciale pensiero va anche e soprattutto ai giovani che affollano ed animano questa piazza; sono tra loro i ragazzi del “Centro Nazionale per l’Apostolato della Bontà nella Scuola”, che celebrano il loro Giubileo. Carissimi giovani, voi potete immaginare quante cose vorrei confidarvi per esprimervi il mio affetto e il mio incoraggiamento; ma essendo breve il tempo, vi esorto solo a confidare pienamente in Dio e a ricordarvi che ad ogni età Egli dà luce e forze sufficienti a superare le prove per restare sempre fedeli alla sua Parola. La mia preghiera e la mia Benedizione vi siano di sostegno nel vostro impegno spirituale.
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Saluto poi tutti gli ammalati qui presenti e quelli degenti nelle proprie case o negli ospedali, e li esorto a non cedere allo scoraggiamento, ma ad essere sempre forti nel Signore per poter superare, col suo aiuto, tutte le prove e le sofferenze che la malattia reca con sé. Sappiate accettare con fede questa vostra situazione e valorizzarne gli aspetti spirituali. Contribuirete così ad arricchire i meriti della Chiesa ed a rendere sempre più efficace la sua missione redentrice. Da parte mia vi assicuro il ricordo nella preghiera per la vostra guarigione e serenità spirituale, raccomandandovi la recita del Rosario, soprattutto in questo mese di ottobre.
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Vada anche un saluto agli sposi novelli. Carissimi, vi dico, con le stesse parole rivolte Domenica scorsa alle 38 coppie unite da me in matrimonio: “Il vostro amore non cessi mai di attingere a quell’amore col quale ha amato Cristo. Allora il vostro amore non si esaurirà mai. Esso non vi deluderà mai. Si sveleranno davanti a voi quella profondità e maturità che corrispondono alla vocazione di sposi e di genitori”. E’ quanto vi auguro di cuore, mentre con affetto vi benedico.



Mercoledì, 19 ottobre 1983

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1. “Che è l’uomo e a che può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male?” (
Si 18,7).

Gli interrogativi, posti nella pagina del libro del Siracide, ora ascoltata, interrogativi ai quali fa eco tutta la letteratura biblica sapienziale, che ha riflettuto parimenti sul senso della nascita, della morte e della fragilità dell’uomo, individuano un livello dell’esperienza umana assolutamente comune a tutti gli uomini. Queste domande sono nel cuore di ogni uomo, come ben dimostra il genio poetico di ogni tempo e di ogni popolo, che quasi profezia dell’umanità, ripropone continuamente la “domanda seria” che rende l’uomo veramente tale.

Esse esprimono l’urgenza di trovare un perché all’esistenza, ad ogni suo istante, alle sue tappe salienti e decisive così come ai suoi momenti più comuni.

In tali questioni è testimoniata la ragionevolezza profonda dell’esistere umano, poiché l’intelligenza e la volontà dell’uomo vi sono sollecitate a cercare liberamente la soluzione capace di offrire un senso pieno alla vita. Questi interrogativi, pertanto, costituiscono l’espressione più alta della natura dell’uomo: di conseguenza la risposta ad esse misura la profondità del suo impegno con la propria esistenza.

2. In particolare, quando il “perché delle cose” viene indagato con integralità alla ricerca della risposta ultima e più esauriente, allora la ragione umana tocca il suo vertice e si apre alla religiosità. In effetti la religiosità rappresenta l’espressione più elevata della persona umana, perché è il culmine della sua natura razionale. Essa sgorga dall’aspirazione profonda dell’uomo alla verità ed è alla base della ricerca libera e personale che egli compie del divino.

In questa prospettiva si coglie l’importanza dell’insegnamento conciliare che, a proposito della libertà religiosa, afferma: “L’esigenza di libertà nella società umana riguarda soprattutto i beni dello spirito umano e in primo luogo ciò che si riferisce al libero esercizio della religione nella società” (Dignitatis Humanae DH 1).

L’attitudine religiosa dell’animo umano si pone come una sorta di capacità connaturale al nostro stesso essere. Per questo, domande e risposte sul significato ultimo delle cose non si possono mai cancellare dal cuore dell’uomo.

Per quanto ci si ostini a rifiutarle e a contraddirle nella propria esistenza, non si riesce tuttavia a tacitarle. Ogni uomo - il più superficiale o il più dotto, il più convinto assertore o il più accanito oppositore della religione - per vivere deve dare, e di fatto dà, una risposta a questa radicale questione.

L’esistenza e l’universalità della domanda sul senso della vita trovano la conferma più clamorosa nel fatto che chi la nega è costretto ad affermarla nell’istante stesso in cui la nega! Ecco la riprova più solida del fondamento metafisico del senso religioso dell’uomo. E ciò è in perfetta armonia con quanto abbiamo appena detto sulla religiosità come culmine della razionalità.

Il senso religioso dell’uomo non dipende in sé dalla sua volontà, ma è iniziativa di chi l’ha creato. La scoperta del senso religioso è, dunque, il primo risultato che l’uomo consegue, se affronta seriamente l’esperienza di impotenza strutturale che lo caratterizza.

3. La tradizione religiosa chiama “Dio” la risposta compiuta alla domanda ultima ed esauriente sull’esistenza. La Bibbia, nella quale è documentata in modi svariatissimi e drammatici l’universale presenza del disegno religioso nell’uomo, indica tale fondamentale risposta nel Dio vivo e vero. Tuttavia nei momenti della tentazione e del peccato Israele fabbrica l’idolo, il dio falso e inerte.


Così è per l’uomo di ogni tempo, anche il nostro. Alla domanda sul suo destino ultimo egli può rispondere riconoscendo l’esistenza di Dio, oppure sostituendovi una caricatura di propria invenzione, un idolo come ad esempio il denaro, l’utile o il piacere.

Per questo san Paolo ammonisce duramente nella lettera ai Romani: “Mentre si dichiaravano sapienti sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili” (Rm 1,22-23). Non è forse racchiuso in questo giudizio di Paolo il senso dell’inevitabilità della domanda religiosa nell’uomo?

Come voce di Dio, luce del suo volto impressa nella nostra mente, l’energica inclinazione del senso religioso è all’erta nell’animo di ogni uomo. Che egli la attui nel riconoscimento di Colui da cui dipende tutto il suo essere, fragile e splendido, o che tenti di sfuggire alla sua presa, inseguendo svariati e parziali motivi per il suo esistere, l’inclinazione del senso religioso resterà sempre alla radice dell’essere umano, creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Dio solo, infatti, può pienamente appagare la sete dello spirito umano, tendente istintivamente al Bene Infinito.

Noi che crediamo in Cristo e che in questo straordinario Anno Santo della Redenzione vogliamo portare con onore il glorioso nome di cristiani, preghiamo perché ogni uomo accolga l’orientamento fondamentale a cui il senso religioso inclina la sua mente.

Ai gruppi francesi

Ai fedeli di espressione inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ai pellegrini polacchi


Ai pellegrini italiani

Desidero porgere un cordiale saluto a tutti i gruppi di lingua italiana qui presenti e, in particolare, ai pellegrini delle diocesi di Senigallia, di Alatri, di Savona e Noli, di Oria, di Verona, di Vicenza, accompagnati dai loro Vescovi e dai loro Sacerdoti. Un ricordo anche al pellegrinaggio dell’Abbazia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni e al loro Ordinario diocesano; al pellegrinaggio interparrocchiale di San Donà di Piave, in diocesi di Treviso, ed a quello delle parrocchie del Vicariato di Montelupo Fiorentino dell’Arcidiocesi di Firenze.
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Un affettuoso saluto rivolgo anche al gruppo dei 37 Sacerdoti dell’Arcidiocesi di Milano, che celebrano quest’anno il 25° anniversario di Ordinazione e sono venuti a Roma per pregare sulla tomba di San Pietro e su quella di Paolo VI, il quale, quando era Pastore della Diocesi ambrosiana, comunicò loro il carisma presbiterale. A nome mio personale e di tutta la Chiesa un fervido augurio di un ancora lungo e fecondo ministero per l’edificazione del Popolo di Dio.
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Saluto anche il pellegrinaggio dei Dirigenti, Impiegati ed Agenti generali, provenienti da tutta l’Italia, della “Società Cattolica di Assicurazione”, di Verona, che dal 1896 ha ben meritato nel campo della previdenza, manifestando una particolare attenzione al Clero italiano.

A tutti il mio sincero auspicio per una degna celebrazione dell’Anno Giubilare della Redenzione, nello spirito della conversione e riconciliazione interiore.

La mia Benedizione Apostolica vi accompagni sempre.
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Un saluto particolare va soprattutto ai giovani oggi presenti in questa piazza. Carissimi, vi esorto ad aderire senza riserve a Cristo, che è l’ideale della vita, ciò a cui tutta l’esistenza deve tendere. Pertanto a Lui riferite ora la vostra vita personale e in futuro quella familiare e sociale. La mia preghiera e la mia benedizione vi siano di aiuto nel vostro cammino.
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Saluto poi gli ammalati, che con la loro presenza ci aiutano ad avere davanti agli occhi il mistero pasquale della Croce e della Risurrezione. La sofferenza ha un valore speciale per la Chiesa, la quale si inchina con venerazione su questo bene prezioso, nel quale si manifesta la stessa potenza di Dio, come nella Croce di Cristo. Non stancatevi di accettare e di soffrire con fede il vostro dolore per rendere sempre più efficace la missione di salvezza della Chiesa. Da parte mia vi assicuro un particolare ricordo nella preghiera perché il Signore vi sostenga in ogni istante.
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Vada anche un saluto agli sposi novelli. Miei cari, il vostro amore e la vostra fedeltà hanno la loro radice in Dio, La riconoscenza al Signore e fra voi, come permea l’inizio del vostro nuovo stato di vita, così vi aiuti ad essere sempre guidati da ciò che amate. Chiedete a Dio di riconoscere i segni della sua benevolenza e della sua fedeltà, affinché anche voi, con il cuore pieno di gratitudine, siate sempre capaci di essere fedeli ed operosi nel bene. La mia benedizione e il mio affetto vi siano di aiuto e di stimolo per un continuo progresso spirituale.

Profonda partecipazione all’angoscia causata dall’incredibile episodio di violenza compiuta nei confronti della piccola Elena Luisi, la bimba di 17 mesi rapita nei giorni scorsi a Bagni di Lucca, viene espressa dal Papa, il quale durante l’udienza generale in Piazza San Pietro invita alla preghiera particolare per la piccola Luisi e per quanti ancora sono nelle mani di rapitori. Rivolgendosi a quella “residua eco” di umanità che questi criminali devono “pur avere nelle loro coscienze” il Santo Padre dice.

Desidero esprimere la mia profonda partecipazione all’angoscia per il recente rapimento, di cui è stata vittima, nei pressi di Lucca, una bimba di appena 17 mesi. L’episodio di violenza ha suscitato intensa emozione nell’opinione pubblica, sgomenta per simili forme di criminalità, che non sembrano conoscere limite alcuno.

Nel rivolgere agli autori del sequestro un pressante appello perché non chiudano il cuore a quel senso di umanità, che qualche residua eco deve pur avere anche nelle loro coscienze, invito tutti i presenti ad unirsi a me nella preghiera a Dio per la bambina, per i genitori e i nonni di lei: voglia il Signore prendere sotto la sua speciale tutela quella innocente creatura e far sì che sia prontamente restituita all’affetto dei suoi cari.

Il mio pensiero si estende altresì alle altre persone rapite, che ancora non hanno potuto fare ritorno alle loro case. Anch’esse abbraccia la mia preghiera, che si eleva accorata a Dio, implorando per questi suoi figli, insieme col necessario conforto, la rapida e felice conclusione della terribile prova.




Catechesi 79-2005 28983