Catechesi 79-2005 25111

Mercoledì, 25 novembre 1981: Papa Giovanni indicò le vie del rinnovamento nel grande solco della tradizione

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Carissimi fratelli e sorelle in Cristo!

1. Esattamente cento anni fa – il venerdì 25 novembre 1881 – a Sotto il Monte, apriva gli occhi alla vita il piccolo Angelo Giuseppe Roncalli. In quello stesso giorno, verso sera, diventava cristiano colui che nel corso della sua lunga vita, singolarmente ricca di grazia, sarebbe poi diventato sacerdote, vescovo e infine successore di Pietro.

In questa udienza, che per una coincidenza felice, sia pure casuale, ci trova qui radunati in questa data tanto significativa, non posso non ricordare in modo particolare quel mio grande predecessore, la cui memoria è in benedizione nei nostri cuori, e nella coscienza di tutti i popoli del mondo. Cento anni fa nasceva colui che, seguendo il filo d’oro della "buona Provvidenza" – com’egli amava frequentemente chiamarla –, avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia della Chiesa del nostro tempo. Vorrei insieme con voi fermare l’attenzione sul significato, l’importanza, la grandezza, che ha avuto per la Chiesa e per il mondo la presenza di quell’uomo in mezzo a noi. Nel far questo, mi riallaccio col pensiero alla visita, che ho compiuto nel suo paese natale, ormai notissimo in tutto il mondo, il 26 aprile scorso. Era, quello, il mio personale tributo di affetto e di venerazione, in questo Centenario, verso colui che, salendo sulla sede di Pietro, prese il nome profetico di Giovanni – quello che il mio immediato predecessore e io stesso abbiamo conservato in segno di amore e di riconoscenza a quel grande Papa, accanto a quello di Paolo. "Venne un uomo mandato da Dio, e il suo nome era Giovanni" (
Jn 1,6): queste parole, che furono universalmente applicate a lui, e che certamente lo facevano trasalire come un segno di predilezione divina, sono tuttora emblematiche della sua missione pontificale.

2. Papa Giovanni è stato un grande dono di Dio alla Chiesa. Non solo perché – e basterebbe questo a renderne imperituro il ricordo – egli ha legato il suo nome all’evento più grande e trasformatore del nostro secolo: l’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui intuito, com’ebbe a confessare, come per una misteriosa e irresistibile ispirazione dello Spirito Santo; non solo perché celebrò il Sinodo Romano, e volle dare inizio alla revisione del Codice di Diritto Canonico. Egli è stato un grande dono di Dio perché ha fatto sentire viva la Chiesa all’uomo di oggi. È stato, come il Battista, un Precursore. Ha indicato le vie del rinnovamento nel grande solco della Tradizione, come ho ampiamente sviluppato nei miei discorsi di Sotto il Monte e di Bergamo. Ha voluto "essere voce" (Jn 1,23) per preparare a Cristo un nuovo avvento nella Chiesa e nel mondo. Nel suo messaggio per la Pasqua del 1962 aveva voluto dire: "È ancora Pietro, nel suo più recente, umile successore, che attorniato da immensa corona di vescovi si dispone trepidante ma fiducioso, a parlare alle moltitudini. La sua parola vien su dal fondo di venti secoli, e non è sua: è di Gesù Cristo, Verbo del Padre e redentore di tutte le genti, ed è ancora lui che segna all’umanità le vie maestre che conducono alla convivenza nella verità e nella giustizia" (21 aprile 1962: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, IV [1962] 221s.).

Quella voce scosse il mondo. Per la sua semplicità e immediatezza, per la sua umiltà e discrezione, per il suo coraggio e la sua forza. Per mezzo di quella voce si è nettamente udita la Parola di Cristo: nel suo richiamo alla verità, alla giustizia, all’amore e alla libertà, a cui ispirare i rapporti tra gli uomini e tra i popoli, secondo le linee portanti della grande enciclica Pacem in Terris; si è udita nel suo sottolineare sia i valori della persona, nucleo unico e irripetibile in cui si riflette direttamente la gloria del Volto di Dio creatore e redentore, sia quelli della famiglia, nucleo sociale fondamentale per la vita della società e della Chiesa, a cui essa offre i propri figli come segno di speranza e di promessa, specie nelle vocazioni sacerdotali e religiose; si è udita nel suo riproporre agli uomini le vie della preghiera e della santità. "Venne un uomo, mandato da Dio, e il suo nome era Giovanni".

3. La nota dominante di questa sua azione nella Chiesa è stato il suo ottimismo. Per questo, quel Pontefice è stato ed è tuttora caro al nostro cuore. Chiamato alle responsabilità del supremo governo della Chiesa quando solo tre anni, o poco più, mancavano al compimento dell’ottantesimo anno di vita, egli fu un giovane, nella mente e nel cuore, come per un prodigio di natura. Egli sapeva guardare al futuro, con incrollabile speranza; egli attendeva per la Chiesa e per il mondo il fiorire di una stagione nuova, affidata alla buona volontà e alla retta intenzione di una nuova umanità, più giusta, più retta, più buona. Il Concilio doveva segnare una nuova primavera, come egli soleva ripetere; doveva essere una "novella Pentecoste"; doveva essere una "nuova Pasqua", cioè "un grande risveglio, una ripresa di più animoso cammino" (21 aprile 1962: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, IV [1962] 221).

Di qui la freschezza e l’ardimento delle sue iniziative. Di qui la sua fiducia nei giovani, che egli chiamò ad assumere le grandi responsabilità della vita, individuale e pubblica, senza infingardaggini, senza tentennamenti, senza paure. Di qui soprattutto il suo anelito missionario, che gli faceva abbracciare il mondo con amore appassionato, che si trasformava in preghiera: ed è noto che teneva nel suo studio un grande mappamondo, per seguire più da vicino la vita dei popoli di tutta la terra; e che ogni giorno, nella recita del terzo mistero gaudioso, raccomandava "a Gesù che nasce il numero senza numero di tutti i bambini... di tutte le stirpi umane che, nelle ultime ventiquattro ore, di notte, di giorno, vengono alla luce un po’ dappertutto sulla faccia della terra" (Alla Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia, 5 maggio 1962: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, IV [1962] 241). Tale slancio missionario egli aveva assorbito e vissuto fin dagli anni trascorsi a "Propaganda Fide", e poi nei contatti a raggio sempre più vasto del suo servizio ecclesiale, fino alla Sede di san Pietro. Egli ebbe fiducia nelle popolazioni autoctone; egli volle dare un’impronta sempre più incisiva alla presenza dei figli di quelle terre nel clero e nei vescovi, sottolineandone il valore ecclesiologico con le varie ordinazioni, sia sacerdotali, che episcopali, che egli stesso volle compiere qui a Roma, per porre in chiara evidenza il compito primariamente missionario del mandato della Chiesa e del suo Capo visibile. Come disse in una di queste ordinazioni di vescovi missionari, "l’umile Vicario di Cristo raduna ogni mattina intorno al suo calice i figli disposti in immensa corona da tutti i punti della terra: con particolare tenerezza si volge ai suoi cooperatori nell’apostolato ancora innumerevoli, grazie a Dio, ma sempre insufficienti alle esigenze e alle aspirazioni della messe, operai dell’Evangelio, distribuiti su tutti i continenti" (8 maggio 1960: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, II [1960] 337).

Da questa attesa ottimistica, quasi una "spes contra spem" (cfr Rm 4,18), che seppe attendere da Dio nella pazienza il momento della grazia, e stimolare negli uomini il consenso e la collaborazione, è sorta quell’immensa simpatia, con cui i nostri contemporanei accompagnarono l’operato di quel Pontefice e ne piansero la morte come quella di un antico Patriarca, anzi di un padre. A tale speranza rispose la fiducia dei giovani – ora uomini maturi, certamente impegnati, come auspico, nel vivere e attuare i suoi insegnamenti – che videro in lui chi li invitava a prendere il loro posto nella società e nella Chiesa. E in essa trova spiegazione l’irradiazione straordinaria che, in tutte le categorie sociali e professionali, ebbero il suo insegnamento, la sua parola e la sua opera, pur nel breve arco di quell’intensissimo pontificato.

4. Papa Giovanni ebbe infine, in misura sensibilissima e straordinaria, l’anelito all’unità.Fu uno sforzo tenace, intessuto di confidenza in Dio e di simpatia nei rapporti umani, di sano realismo e di generosa apertura; fu un programma continuamente seguito in tutte le tappe della sua vita, fino alle parole pronunciate ancora sul letto di morte: "È particolarmente l’"unum sint" che il Cristo ha affidato come testamento alla Chiesa sua. La santificazione del clero e del popolo, l’unione dei cristiani, la conversione del mondo sono dunque il compito precipuo del Papa e dei vescovi" (Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, V [1963] 618).


"Ut unum sint"! Il testamento di Cristo nell’ora della Eucaristia e della Passione ebbe risonanza costante nel cuore di Papa Giovanni: quella frase fu da lui ripetuta innumerevoli volte, e ci dice com’egli vivesse il dramma della divisione tra i cristiani e l’attesa dell’unione nell’impegno di proseguire – come disse la sera della storica giornata dell’inaugurazione del Concilio, riprendendo un’espressione a lui cara – "a cogliere quello che unisce, lasciando da parte, se c’è, qualche cosa che potrebbe tenerci un poco in difficoltà" (11 ottobre 1962: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, IV [1962] 592).

"Ut unum sint"! Questa consegna ha spinto fino ad oggi la Chiesa nel cammino, faticoso ma progrediente e costruttivo, che da allora si è svolto con tappe singolarmente importanti e promettenti e che, con la grazia di Dio, prosegue instancabilmente a tutti i livelli. Che Papa Giovanni assista dal Cielo quest’opera, come suo luminoso modello, come propulsore ispirato, come valido intercessore!

5. Carissimi fratelli e sorelle!

Vorrei ancora accennare ai vincoli che quel grande Pontefice, di cui ricordiamo oggi il preciso centenario della nascita, ebbe con la mia terra di origine, visitando la città di Cracovia nel 1912, celebrando la Santa Messa nella cattedrale, e recandosi varie volte pellegrino al Santuario di Jasna Góra. E anche i ricordi personali, legati alla celebrazione del Concilio, devono qui essere ricordati, sia pure di sfuggita. Basti avere, oggi, davanti agli occhi e nel cuore – per continuare con impulso limpido e ardente nel servizio della società e della Chiesa, a cui ciascuno di noi è chiamato nella propria vocazione – la figura di Giovanni XXIII, che ci richiama ai nostri doveri di amare Cristo e di servire l’uomo. Come ho detto a Bergamo, "dalla soglia della casa di Sotto il Monte, dalle colline della... terra bergamasca si vede la Chiesa come cenacolo di tutti i popoli e continenti, aperta verso l’avvenire" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV/1 [1981] 1046). In questa prospettiva piena di promesse, da quell’umile terra di origine fino alla attigua Basilica, ove le sue spoglie mortali riposano in attesa della risurrezione, noi guardiamo oggi alla figura di Papa Giovanni, il Papa buono, il Papa del Concilio, il Papa dell’ecumenismo, delle missioni, della Chiesa che vuole abbracciare il mondo, per chiedergli che dal Cielo ancora ci benedica tutti, e tutti ci incoraggi a seguire le sue orme.

Saluti:

Ai pellegrini di lingua francese


Ai membri dell’Orchestra Filarmonica di Lille


Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini tedeschi

Ad un gruppo di anziani membri della Società radiofonica di Hilversum in Olanda



Ai fedeli spagnoli

Ai fedeli portoghesi


Ai pellegrini polacchi

Ai pellegrini italiani

Rivolgo innanzitutto un cordiale saluto ai numerosi Rettori dei Santuari Mariani d’Italia, convenuti a Roma per partecipare al XVII Convegno Nazionale della loro Associazione, il quale ha come tema: " La consacrazione mariana, cammino spirituale della Chiesa ". Auguro loro di approfondire sempre di più la funzione di Maria alla luce del mistero di Cristo, che rappresenta il punto focale della nostra fede, così da far progredire davvero la Chiesa in una crescente adesione a Lui, suo Capo.

Un saluto particolarmente affettuoso va poi agli Alunni delle Scuole Elementari romane " Poggio Ameno " e " Livio Tempesta " ed a quelli della Scuola Elementare statele di Grottaferrata. Carissimi, so che il Centro Nazionale Apostolato della Bontà nella Scuola vi ha conferito dei premi speciali in occasione della " XXXI Giornata della Bontà nella Scuola ". Mi complimento con voi e vi esorto ad esserne sempre degni per tutta la vostra vita.

Indirizzo pure il mio saluto ai nuovi Consiglieri Ecclesiastici locali della " Coldiretti ", riuniti per un corso di sociologia rurale, ed ai giovani dell’Ente Patronato Assistenza Coltivatori Agricoli, venuti a Roma per un corso di formazione professionale.

Nello stesso tempo estendo il mio saluto a tutti i giovani qui presenti e confermo loro la grande speranza che ripongo in essi per la Chiesa e per il mondo di domani.

Agli ammalati poi assicuro come sempre tutto il mio affetto, insieme al mio particolare ricordo nella preghiera.

E infine saluto gli Sposi Novelli, augurando loro una lunga vita felice nella comunione col Signore.




Mercoledì, 2 dicembre 1981: La dottrina sulla Risurrezione e la formazione dell’antropologia teologica

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1. "Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito" (
Mc 12,25). Cristo pronunzia queste parole, che hanno un significato-chiave per la teologia del corpo, dopo aver affermato, nel colloquio con i Sadducei, che la risurrezione è conforme alla potenza del Dio vivente. Tutti e tre i Vangeli Sinottici riportano lo stesso enunciato, solo che la versione di Luca si differenzia in alcuni particolari da quella di Matteo e di Marco. Essenziale è per tutti la constatazione che, nella futura risurrezione, gli uomini, dopo aver riacquistato i loro corpi nella pienezza della perfezione propria dell’immagine e somiglianza a Dio – dopo averli riacquistati nella loro mascolinità e femminilità – "non prenderanno moglie né marito". Luca nel capitolo 20,34-35 esprime la stessa idea con le parole seguenti: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito".

2. Come risulta da queste parole, il matrimonio, quella unione in cui, come dice il libro della Genesi, "l’uomo... si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2,25) – unione propria dell’uomo fin dal "principio" – appartiene esclusivamente "a questo mondo".Il matrimonio e la procreazione non costituiscono invece il futuro escatologico dell’uomo. Nella risurrezione perdono, per così dire, la loro ragion d’essere. Quell’"altro mondo", di cui parla Luca (Lc 20,35), significa il compimento definitivo del genere umano, la chiusura quantitativa di quella cerchia di esseri, che furono creati ad immagine e somiglianza di Dio, affinché moltiplicandosi attraverso la coniugale "unità del corpo" di uomini e donne, soggiogassero a sé la terra. Quell’"altro mondo" non è il mondo della terra, ma il mondo di Dio, il quale, come sappiamo dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi, lo riempirà interamente, divenendo "tutto in tutti" (1Co 15,28).

3. Contemporaneamente quell’"altro mondo", che secondo la rivelazione è "il regno di Dio", è anche la definitiva ed eterna "patria" dell’uomo (cfr Ph 3,20), è la "casa del Padre" (Jn 14,2). Quell’"altro mondo", come nuova patria dell’uomo, emerge definitivamente dal mondo attuale, che è temporale – sottoposto alla morte, ossia alla distruzione del corpo (cfr Gn 3,19) ["in polvere tornerai"] – attraverso la risurrezione. La risurrezione, secondo le parole di Cristo riportate dai Sinottici, significa non soltanto il ricupero della corporeità e il ristabilimento della vita umana nella sua integrità, mediante l’unione del corpo con l’anima, ma anche uno stato del tutto nuovo della vita umana stessa. Troviamo la conferma di questo nuovo stato del corpo nella risurrezione di Cristo (cfr Rm 6,5-11). Le parole riportate dai Sinottici (Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,34-35) risoneranno allora (cioè dopo la risurrezione di Cristo) a coloro che le avevano udite, direi quasi con una nuova forza probativa, e nello stesso tempo acquisteranno il carattere di una promessa convincente. Tuttavia per ora ci soffermiamo su queste parole nella loro fase "prepasquale", basandoci soltanto sulla situazione in cui furono pronunziate. Non c’è alcun dubbio che già nella risposta data ai Sadducei, Cristo svela la nuova condizione del corpo umano nella risurrezione, e lo fa proponendo appunto un riferimento e un paragone con la condizione di cui l’uomo era stato partecipe fin dal "principio".

4. Le parole: "Non prenderanno moglie né marito", sembrano nello stesso tempo affermare che i corpi umani, recuperati e insieme rinnovati nella risurrezione, manterranno la loro peculiarità maschile o femminile e che il senso di essere nel corpo maschio o femmina verrà nell’"altro mondo" costituito e inteso in modo diverso da quello che fu "da principio" e poi in tutta la dimensione dell’esistenza terrena. Le parole della Genesi, "l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gn 2,24), hanno costituito fin dal principio quella condizione e relazione di mascolinità e femminilità, estendentesi anche al corpo, che giustamente bisogna definire "coniugale" e insieme "procreativa" e "generativa"; essa infatti è connessa con la benedizione della fecondità, pronunciata da Dio (Elohim) alla creazione dell’uomo "maschio e femmina" (Gn 1,27). Le parole pronunziate da Cristo sulla risurrezione ci consentono di dedurre che la dimensione di mascolinità e femminilità – cioè l’essere nel corpo maschio e femmina – verrà nuovamente costituita insieme con la risurrezione del corpo nell’"altro mondo".

5. È possibile dire qualcosa di ancor più dettagliato su questo tema? Senza dubbio, le parole di Cristo riportate dai Sinottici (Lc 20,27-40) ci autorizzano a questo. Vi leggiamo, infatti, che "quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti... nemmeno possono più morire perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio" (MT e Marco riferiscono soltanto che "saranno come angeli nei cieli"). Questo enunciato consente soprattutto di dedurre una spiritualizzazione dell’uomo secondo una dimensione diversa da quella della vita terrena (e perfino diversa da quella dello stesso "principio"). È ovvio che non si tratta qui di trasformazione della natura dell’uomo in quella angelica, cioè puramente spirituale. Il contesto indica chiaramente che l’uomo conserverà nell’"altro mondo" la propria natura umana psicosomatica. Se fosse diversamente, sarebbe privo di senso parlare di risurrezione.

Risurrezione significa restituzione alla vera vita della corporeità umana, che fu assoggettata alla morte nella sua fase temporale. Nell’espressione di Luca (Lc 20,36) appena citata (cfr Mt 22,30 Mc 12,25) si tratta certamente della natura umana, cioè psicosomatica. Il paragone con gli esseri celesti, usato nel contesto, non costituisce alcuna novità nella Bibbia. Fra l’altro, già il Salmo, esaltando l’uomo come opera del Creatore, dice: "Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli" (Ps 8,6). Bisogna supporre che nella risurrezione questa somiglianza diverrà maggiore: non attraverso una disincarnazione dell’uomo, ma mediante un altro genere (si potrebbe anche dire: un altro grado) di spiritualizzazione della sua natura somatica, cioè mediante un altro "sistema di forze" all’interno dell’uomo. La risurrezione significa una nuova sottomissione del corpo allo spirito.

6. Prima di accingerci a sviluppare questo argomento, conviene ricordare che la verità sulla risurrezione ebbe un significato-chiave per la formazione di tutta l’antropologia teologica, che potrebbe essere considerata semplicemente quale "antropologia della risurrezione". La riflessione sulla risurrezione ha fatto sì che Tommaso d’Aquino abbia tralasciato nella sua antropologia metafisica (ed insieme teologica) la concezione filosofica di Platone sul rapporto tra l’anima e il corpo e si sia avvicinato alla concezione di Aristotele(1).

La risurrezione infatti attesta, almeno indirettamente, che il corpo, nell’insieme del composto umano, non è soltanto temporaneamente connesso all’anima (quale sua "prigione" terrena, come riteneva Platone) (Tò mèn sômá estin hemîn sêma [Platone, Gorgia 493 A; cf. anche Fedone 66B; Cratilo 400 C), ma che insieme all’anima costituisce l’unità ed integrità dell’essere umano. Così appunto insegnava Aristotele (Aristotele, De Anima, II, 412a, 19-22; cf. anche Metaph. 1029 b 11 – 1030 b 14.), diversamente da Platone. Se san Tommaso nella sua antropologia accettò la concezione di Aristotele, lo fece avendo riguardo alla verità sulla risurrezione. La verità sulla risurrezione afferma infatti con chiarezza che la perfezione escatologica e la felicità dell’uomo non possono esser intese come uno stato dell’anima sola, separata (secondo Platone: liberata) dal corpo, ma bisogna intenderla come lo stato dell’uomo definitivamente e perfettamente "integrato" attraverso una unione tale dell’anima col corpo, che qualifica e assicura definitivamente siffatta integrità perfetta.

A questo punto interrompiamo la nostra riflessione sulle parole pronunziate da Cristo sulla risurrezione. La grande ricchezza dei contenuti racchiusi in queste parole ci induce a riprenderle nelle ulteriori considerazioni.

Saluti:


Ai pellegrini di lingua francese


Al Movimento Internazionale degli Intellettuali Cattolici

Ai "Frères de Ploërmel et de Saint-Gabriel"

Ai fedeli di lingua inglese




Ai pellegrini tedeschi

Saluto in lingua neerlandese

Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese



Ai pellegrini polacchi

Ai gruppi italiani

1. Rivolgo altresì un saluto cordiale e beneaugurante alle Suore Oblate al Divino Amore, che hanno a Grottaferrata il Capitolo Generale. Le grandi linee della vostra vocazione religiosa: Adorazione, Riparazione ed Apostolato, vi sospingano ad essere sempre più consapevolmente il cuore della Chiesa, soprattutto mediante la fedele adesione ai più alti ideali evangelici. Con la mia affettuosa Benedizione.

2. Saluto cordialmente i partecipanti al Convegno Nazionale di Studio per Economi di Comunità e Istituzioni Ecclesiastiche e Religiose.

Ho appreso con piacere, figli carissimi, che nel corso dell’incontro avete esaminato i complessi problemi del vostro settore, alla luce anche delle indicazioni contenute nell’Enciclica Laborem Exercens.Nell’esprimere l’augurio che questi giorni di studio vi abbiano offerto utili orientamenti per la vostra delicata attività, a tutti imparto, quale auspicio di copiosi favori celesti, la mia Apostolica Benedizione.

3. Ed ora saluto affettuosamente tutti i Membri del Circo " Moira Orfei " che hanno desiderato farmi visita.

Carissimi Fratelli e Sorelle, voi adempite il compito di offrire un divertimento sano, distensivo, intelligente all’uomo moderno così carico di tensione di problemi. Abbiate tutto il mio incoraggiamento, mentre vi ringrazio per la vostra testimonianza itinerante di attaccamento ai valori morali della famiglia e della collaborazione fraterna. Il Signore vi assista e vi conforti ogni giorno, mentre vi benedico di cuore.


4. Mi rivolgo infine ai giovani, ai novelli Sposi e agli ammalati.

Desidero stavolta salutarli insieme per sottolineare la necessità di quell’amore fraterno, che deve regnare nella Chiesa tra i diversi membri ed i vari gruppi.

L’attesa del Signore sostiene la nostra preghiera in questo periodo di Avvento. Il cristiano è un uomo che attende Cristo, ma questo suo atteggiamento non è passivo né un disinteresse nei confronti del mondo. Camminiamo dunque verso il Signore con animo lieto, senza risparmiarci! Voi, Giovani, affidategli fiduciosi le vostre speranze; voi, Sposi, il vostro amore cristiano e l’impegno di una fedele, reciproca donazione; voi, carissimi Ammalati, offritegli l’oro fino e lucente della vostra sofferenza che, in unione con la sua, è grazia, è salvezza, è gioia per tutta la Comunità dei Fedeli.

Vi benedico tutti di cuore.

(1) Cf., ad esempio, "Habet autem anima alium modum essendi cum unitur corpori, et cum fuerit a corpore separata, manente tamen eadem animae natura; non ita quod uniri corpori sit ei accidentale, sed per rationem suae naturae corpori unitur..." [S. Tommaso, Summa theologiae, I 89,1]. "Si autem hoc non est ex natura animae, sed per accidens hoc convenit ei ex eo quod corpori alligatur, sicut Platonici posuerunt... remoto impedimento corporis, rediret anima ad suam naturam... Sed, secundum hoc, non esset anima corpori unita propter melius animae...; sed hoc esset solum propter melius corporis: quod est irrationabile, cum materia sit propter formam, et non e converso..." [Ivi]. "Secundum se convenit animae corpori uniri... Anima humana manet in suo esse cum fuerit a corpore separata, habent aptitudinem et inclinationem naturalem ad corporis unionem" [Ivi, I 76,1 ad 6].



Mercoledì, 9 dicembre 1981: La risurrezione realizzerà perfettamente la persona

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1. "Alla risurrezione... non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo" (
Mt 22,30 Mc 12,25). "Sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio" (Lc 20,36).

Cerchiamo di comprendere queste parole di Cristo riguardanti la futura risurrezione, per trarne una conclusione sulla spiritualizzazione dell’uomo, differente da quella della vita terrena. Si potrebbe qui parlare anche di un perfetto sistema di forze nei rapporti reciproci tra ciò che nell’uomo è spirituale e ciò che è corporeo. L’uomo "storico", in seguito al peccato originale, sperimenta una molteplice imperfezione di questo sistema di forze, che si manifesta nelle ben note parole di San Paolo: "Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente" (Rm 7,23).

L’uomo "escatologico" sarà libero da quella "opposizione". Nella risurrezione il corpo tornerà alla perfetta unità ed armonia con lo spirito: l’uomo non sperimenterà più l’opposizione tra ciò che in lui è spirituale e ciò che è corporeo. La "spiritualizzazione" significa non soltanto che lo spirito dominerà il corpo, ma, direi, che esso permeerà pienamente il corpo, e che le forze dello spirito permeeranno le energie del corpo.


2. Nella vita terrena, il dominio dello spirito sul corpo – e la simultanea subordinazione del corpo allo spirito – può, come frutto di un perseverante lavoro su se stessi, esprimere una personalità spiritualmente matura; tuttavia, il fatto che le energie dello spirito riescano a dominare le forze del corpo non toglie la possibilità stessa della loro reciproca opposizione. La "spiritualizzazione", a cui alludono i Vangeli sinottici (Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,34-35) nei testi qui analizzati, si trova già fuori di tale possibilità. È dunque una spiritualizzazione perfetta, in cui viene completamente eliminata la possibilità che "un’altra legge muova guerra alla legge della... mente" (cfr Rm 7,23). Questo stato che – come è evidente – si differenzia essenzialmente (e non soltanto riguardo al grado) da ciò che sperimentiamo nella vita terrena, non significa tuttavia alcuna "disincarnazione" del corpo né, di conseguenza, una "disumanizzazione" dell’uomo. Anzi, al contrario, significa la sua perfetta "realizzazione". Infatti, nell’essere composto, psicosomatico, che è l’uomo, la perfezione non può consistere in una reciproca opposizione dello spirito e del corpo, ma in una profonda armonia fra loro, nella salvaguardia del primato dello spirito. Nell’"altro mondo", tale primato verrà realizzato e si manifesterà in una perfetta spontaneità, priva di alcuna opposizione da parte del corpo. Tuttavia ciò non va inteso come una definitiva "vittoria" dello spirito sul corpo. La risurrezione consisterà nella perfetta partecipazione di tutto ciò che nell’uomo è corporeo a ciò che in lui è spirituale. Al tempo stesso consisterà nella perfetta realizzazione di ciò che nell’uomo è personale.

3. Le parole dei Sinottici attestano che lo stato dell’uomo nell’"altro mondo" sarà non soltanto uno stato di perfetta spiritualizzazione, ma anche di fondamentale "divinizzazione" della sua umanità. I "figli della risurrezione" – come leggiamo in Luca Lc 20,36 – non soltanto "sono uguali agli angeli", ma anche "sono figli di Dio". Si può trarne la conclusione che il grado della spiritualizzazione, proprio dell’uomo "escatologico", avrà la sua fonte nel grado della sua "divinizzazione", incomparabilmente superiore a quella raggiungibile nella vita terrena. Bisogna aggiungere che qui si tratta non soltanto di un grado diverso, ma in certo senso di un altro genere di "divinizzazione". La partecipazione alla natura divina, la partecipazione alla vita interiore di Dio stesso, penetrazione e permeazione di ciò che è essenzialmente umano da parte di ciò che è essenzialmente divino, raggiungerà allora il suo vertice, per cui la vita dello spirito umano perverrà ad una tale pienezza, che prima gli era assolutamente inaccessibile. Questa nuova spiritualizzazione sarà quindi frutto della grazia, cioè del comunicarsi di Dio, nella sua stessa divinità, non soltanto all’anima, ma a tutta la soggettività psicosomatica dell’uomo.Parliamo qui della "soggettività" (e non solo della "natura"), perché quella divinizzazione va intesa non soltanto come uno "stato interiore" dell’uomo (cioè: del soggetto), capace di vedere Dio "a faccia a faccia", ma anche come una nuova formazione di tutta la soggettività personale dell’uomo a misura dell’unione con Dio nel suo mistero trinitario e dell’intimità con Lui nella perfetta comunione delle persone. Questa intimità – con tutta la sua intensità soggettiva – non assorbirà la soggettività personale dell’uomo, anzi, al contrario, la farà risaltare in misura incomparabilmente maggiore e più piena.

4. La "divinizzazione" nell’"altro mondo", indicata dalle parole di Cristo, apporterà allo spirito umano una tale "gamma di esperienza" della verità e dell’amore che l’uomo non avrebbe mai potuto raggiungere nella vita terrena. Quando Cristo parla della risurrezione, dimostra al tempo stesso che a questa esperienza escatologica della verità e dell’amore, unita alla visione di Dio "a faccia a faccia", parteciperà anche, a modo suo, il corpo umano. Quando Cristo dice che coloro i quali parteciperanno alla futura risurrezione "non prenderanno moglie né marito" (Mc 12,25), le sue parole – come già prima fu osservato – affermano non soltanto la fine della storia terrena, legata al matrimonio e alla procreazione, ma sembrano anche svelare il nuovo significato del corpo. È forse possibile, in questo caso, pensare – a livello di escatologia biblicaalla scoperta del significato "sponsale" del corpo, soprattutto come significato "verginale" di essere, quanto al corpo, maschio e femmina? Per rispondere a questa domanda, che emerge dalle parole riportate dai Sinottici, conviene penetrare più a fondo nell’essenza stessa di ciò che sarà la visione beatifica dell’Essere Divino, visione di Dio "a faccia a faccia" nella vita futura. Occorre anche farsi guidare da quella "gamma di esperienza" della verità e dell’amore, che oltrepassa i limiti delle possibilità conoscitive e spirituali dell’uomo nella temporalità, e di cui egli diverrà partecipe nell’"altro mondo".

5. Questa "esperienza escatologica" del Dio Vivente concentrerà in sé non soltanto tutte le energie spirituali dell’uomo, ma, allo stesso tempo, svelerà a lui, in modo vivo e sperimentale, il "comunicarsi" di Dio a tutto il creato e, in particolare, all’uomo; il che è il più personale "donarsi" di Dio, nella sua stessa divinità, all’uomo: a quell’essere, che dal principio porta in sé l’immagine e somiglianza di Lui. Così, dunque, nell’"altro mondo" l’oggetto della "visione" sarà quel mistero nascosto dall’eternità nel Padre, mistero che nel tempo è stato rivelato in Cristo, per compiersi incessantemente per opera dello Spirito Santo; quel mistero diverrà, se così ci si può esprimere, il contenuto dell’esperienza escatologica e la "forma" dell’intera esistenza umana nella dimensione dell’"altro mondo". La vita eterna va intesa in senso escatologico, cioè come piena e perfetta esperienza di quella grazia (= charis) di Dio, della quale l’uomo diviene partecipe mediante la fede durante la vita terrena, e che invece dovrà non soltanto rivelarsi a coloro i quali parteciperanno dell’"altro mondo" in tutta la sua penetrante profondità, ma esser anche sperimentata nella sua realtà beatificante.

Qui sospendiamo la nostra riflessione centrata sulle parole di Cristo relative alla futura risurrezione dei corpi. In questa "spiritualizzazione" e "divinizzazione", a cui l’uomo parteciperà nella risurrezione, scopriamo – in una dimensione escatologica – le stesse caratteristiche che qualificavano il significato "sponsale" del corpo; le scopriamo nell’incontro col mistero del Dio vivente, che si svela mediante la visione di Lui "a faccia a faccia".

Saluti:

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese



Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini spagnoli

Ai pellegrini portoghesi



Ai pellegrini polacchi

A diversi gruppi e pellegrinaggi italiani

Mi è caro rivolgere un saluto cordiale ai molti gruppi di lingua italiana qui presenti.

Di essi menzionano innanzitutto i Diaconi dell’Istituto Teologico " Don Orione ", ordinati appena ieri, e qui venuti con i loro familiari; ad essi auguro una vita di generoso e fruttuoso apostolato al servizio del Vangelo.

Saluto poi i membri del " Movimento parrocchiale dell’Opera di Maria ", provenienti da varie Parrocchie d’Italia e riuniti in questi giorni a Rocca di Papa per meditare sulle parole di Gesù: " Che tutti siano una cosa sola ". Auguro loro un Convegno fecondo di luce e di grazia.

Un particolare saluto va ai numerosi appartenenti all’" Associazione Genitori Scuole Cattoliche " della città di Roma, ed assicuro loro il mio incoraggiamento a proseguire nel loro valido impegno ed a perseguire le finalità che si propongono per il bene delle numerosissime Scuole Cattoliche della mia diletta diocesi.

C’è poi una rappresentanza dell’" Associazione Medici Scrittori Italiani ", convenuti a Roma per la cerimonia dell’assegnazione del loro premio letterario, celebratasi ieri in Campidoglio; mentre li saluto, mi complimento pure con il vincitore e con tutti i concorrenti.

Saluto anche i numerosi uomini dell’Aeronautica Militare, del Centro Scorte di Acquasanta e del Deposito di Torricola; gli Allievi Ufficiali di complemento del 104° corso della Scuola del Genio; e i membri dell’Associazione Nazionale Combattenti della guerra di liberazione, ai quali è unita una rappresentanza dell’analoga associazione polacca. A tutti loro, accompagnati dai Comandanti e dai Cappellani, rivolgo un fervido augurio di pace.

Inoltre mi rivolgo a tutti gli Studenti di diverse Scuole, tra i quali ricordo gli Alunni e gli ex-Alunni del Collegio Nazareno di Roma, il cui Comitato per " L’alunno più buono d’Italia " ha conferito il suo premio annuale; ma tutti paternamente invito ad esserne degni. Con essi saluto tutti i giovani presenti, esortandoli a preparasi al Natale con generosa dedizione in modo che tale Solennità rappresenti per ciascuno un vero incontro con Cristo, Redentore dell’uomo.

Infine, saluto affettuosamente tutti gli ammalati e, come sempre, assicuro loro il mio costante ricordo nella preghiera. A tutti i novelli Sposi porgo poi i miei più fervidi auguri, mentre a tutti imparto la mia cordiale benedizione.





Catechesi 79-2005 25111