Catechesi 79-2005 13182

Mercoledì, 13 gennaio 1982

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1. “Alla Risurrezione . . . non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli” (
Mc 12,25 Mt 22,30). “. . . Sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20,36).

Le parole, con cui Cristo si richiama alla futura risurrezione - parole confermate in modo singolare dalla sua propria risurrezione -, completano ciò che nelle presenti riflessioni siamo soliti chiamare “rivelazione del corpo”. Tale rivelazione penetra per così dire nel cuore stesso della realtà che sperimentiamo, e questa realtà è soprattutto l’uomo, il suo corpo: il corpo dell’uomo “storico”. In pari tempo, tale rivelazione ci consente di oltrepassare la sfera di questa esperienza in due direzioni. Prima, nella direzione di quel “principio” al quale Cristo fa riferimento nel suo colloquio con i Farisei riguardo all’indissolubilità del matrimonio (cfr Mt 19,3-8); poi, nella direzione del “mondo futuro”, al quale il Maestro indirizza gli animi dei suoi ascoltatori in presenza dei Sadducei, che “affermano che non c’è la risurrezione” (cfr Mt 22,23).

2. Né la verità su quel “principio” di cui parla Cristo, né la verità escatologica possono essere raggiunte dall’uomo con i soli metodi empirici e razionalistici. Tuttavia, non è forse possibile affermare che l’uomo porta, in un certo senso, queste due dimensioni nel profondo dell’esperienza del proprio essere, o piuttosto che egli in qualche modo è incamminato verso di esse come verso dimensioni che giustificano pienamente il significato stesso del suo essere corpo, cioè del suo essere uomo “carnale”? In quanto poi alla dimensione escatologica, non è forse vero che la morte stessa e la distruzione del corpo possono conferire all’uomo un eloquente significato circa l’esperienza in cui si realizza il senso personale dell’esistenza? Quando Cristo parla della futura risurrezione, le sue parole non cadono nel vuoto. L’esperienza dell’umanità, e specialmente l’esperienza del corpo, permettono all’ascoltatore di unire a quelle parole l’immagine della nuova esistenza nel “mondo futuro”, a cui l’esperienza terrena fornisce il substrato e la base. Una corrispettiva ricostruzione teologica è possibile.

3. Alla costruzione di questa immagine - che, quanto al contenuto, corrisponde all’articolo della nostra professione di fede: “credo nella risurrezione dei morti” - concorre grandemente la consapevolezza che esiste una connessione tra l’esperienza terrena e tutta la dimensione del “principio” biblico dell’uomo nel mondo. Se in principio Dio “maschio e femmina li creò” (Gn 1,27), se in questa dualità relativa al corpo previde anche una tale unità per cui “saranno una sola carne” (Gn 2,24), se questa unità legò alla benedizione della fecondità ossia della procreazione (cfr Gn 1,29), e se ora, parlando di fronte ai Sadducei della futura risurrezione, Cristo spiega che nell’“altro mondo” . . . “non prenderanno moglie né marito” - allora è chiaro che si tratta qui di uno sviluppo della verità sullo stesso uomo. Cristo indica la sua identità, sebbene questa identità si realizzi nella esperienza escatologica in modo diverso rispetto all’esperienza del “principio” stesso e di tutta la storia. E tuttavia l’uomo sarà sempre lo stesso, tale quale è uscito dalle mani del suo Creatore e Padre. Cristo dice: “Non prenderanno moglie né marito”, ma non afferma che quest’uomo del “mondo futuro” non sarà più maschio e femmina come lo fu “dal principio”. È quindi evidente che il significato di essere, quanto al corpo, maschio o femmina nel “mondo futuro” vada cercato fuori del matrimonio e della procreazione, ma non vi è alcuna ragione di cercarlo fuori di ciò che (indipendentemente dalla benedizione della procreazione) deriva dal mistero stesso della creazione e che in seguito forma anche la più profonda struttura della storia dell’uomo sulla terra, dato che questa storia è stata profondamente compenetrata dal mistero della redenzione.

4. Nella sua situazione originaria, l’uomo dunque è solo e nello stesso tempo diviene maschio e femmina: unità dei due. Nella sua solitudine “si rivela” a sé come persona, per “rivelare”, ad un tempo, nell’unità dei due la comunione delle persone. Nell’uno o nell’altro stato, l’essere umano si costituisce quale immagine e somiglianza di Dio. Dal principio l’uomo è anche corpo tra i corpi, e nell’unità dei due diviene maschio e femmina, scoprendo il significato “sponsale” del suo corpo a misura di soggetto personale. In seguito, il senso di essere-corpo e, in particolare, di essere nel corpo maschio e femmina, viene collegato con il matrimonio e la procreazione (e cioè con la paternità e la maternità). Tuttavia il significato originario e fondamentale di essere corpo, come anche di essere, in quanto corpo, maschio e femmina - cioè appunto quel significato “sponsale” - è unito al fatto che l’uomo viene creato come persona e chiamato alla vita “in communione personarum”. Il matrimonio e la procreazione in se stessa non determinano definitivamente il significato originario e fondamentale dell’essere corpo né dell’essere, in quanto corpo, maschio e femmina. Il matrimonio e la procreazione danno soltanto realtà concreta a quel significato nelle dimensioni della storia. La risurrezione indica la chiusura della dimensione storica. Ed ecco che le parole “quando risusciteranno dai morti . . . non prenderanno moglie né marito” (Mc 12,25) esprimono univocamente non soltanto quale significato non avrà il corpo umano nel “mondo futuro”, ma ci consentono anche di dedurre che quel significato “sponsale” del corpo nella risurrezione alla vita futura corrisponderà in modo perfetto sia al fatto che l’uomo, come maschio-femmina, è persona creata a “immagine e somiglianza di Dio”, sia al fatto che questa immagine si realizza nella comunione delle persone. Quel significato “sponsale” di essere corpo si realizzerà, dunque, come significato perfettamente personale e comunitario insieme.

5. Parlando del corpo glorificato attraverso la risurrezione alla vita futura, abbiamo in mente l’uomo, maschio-femmina, in tutta la verità della sua umanità: l’uomo che, insieme all’esperienza escatologica del Dio vivo (alla visione “a faccia a faccia”), sperimenterà appunto tale significato del proprio corpo. Sarà questa una esperienza del tutto nuova, e contemporaneamente non sarà in nessun modo alienata da ciò a cui l’uomo “da principio” ha avuto parte e neppure da ciò che, nella dimensione storica della sua esistenza, ha costituito in lui la sorgente della tensione tra lo spirito e il corpo, concernente per lo più proprio il significato procreativo del corpo e del sesso. L’uomo del “mondo futuro” ritroverà in tale nuova esperienza del proprio corpo appunto il compimento di ciò che portava in sé perennemente e storicamente, in certo senso, come eredità e ancor più come compito e obiettivo, come contenuto dell’ethos.

6. La glorificazione del corpo, quale frutto escatologico della sua spiritualizzazione divinizzante, rivelerà il valore definitivo di ciò che dal principio doveva essere un segno distintivo della persona creata nel mondo visibile, come pure un mezzo del reciproco comunicarsi tra le persone e un’autentica espressione della verità e dell’amore, per cui si costruisce la “communio personarum”. Quel perenne significato del corpo umano, a cui l’esistenza di ogni uomo, gravato dall’eredità della concupiscenza, ha necessariamente arrecato una serie di limitazioni, lotte e sofferenze, allora si svelerà di nuovo, e si svelerà in tale semplicità e splendore insieme che ogni partecipante dell’“altro mondo” ritroverà nel suo corpo glorificato la fonte della libertà del dono. La perfetta “libertà dei figli di Dio” (cfr Rm 8,14) alimenterà con quel dono anche ciascuna delle comunioni che costituiranno la grande comunità della comunione dei santi.

7. È troppo evidente che - sulla base delle esperienze e conoscenze dell’uomo nella temporalità, cioè in “questo mondo” - è difficile costruire una immagine pienamente adeguata del “mondo futuro”. Tuttavia al tempo stesso non c’è dubbio che, con l’aiuto delle parole di Cristo, è possibile e raggiungibile almeno una certa approssimazione a questa immagine. Ci serviamo di questa approssimazione teologica, professando la nostra fede nella “risurrezione dei morti” e nella “vita eterna”, come anche la fede nella “comunione dei santi”, che appartiene alla realtà del “mondo futuro”.

8. Nel concludere questa parte delle nostre riflessioni, conviene costatare ancora una volta che le parole di Cristo riportate dai Vangeli sinottici (Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,34-35) hanno un significato determinante non soltanto per quel che concerne le parole del libro della Genesi (alle quali Cristo fa riferimento in un’altra circostanza), ma anche in quel che concerne tutta la Bibbia. Queste parole ci consentono, in certo senso, di rileggere nuovamente - cioè fino in fondo - tutto il significato rivelato del corpo, il significato di essere uomo, cioè persona “incarnata”, di essere in quanto corpo maschio-femmina. Queste parole ci permettono di comprendere che cosa può significare, nella dimensione escatologica dell’“altro mondo”, quella unità nell’umanità, che è stata costituita “in principio” e che le parole della Genesi (Gn 2,24) (“L’uomo . . . si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”), pronunziate nell’atto della creazione dell’uomo come maschio e femmina, sembravano orientare - se non completamente, almeno, in ogni caso, soprattutto verso “questo mondo”. Dato che le parole del Libro della Genesi erano quasi la soglia di tutta la teologia del corpo - soglia su cui si è basato Cristo nel suo insegnamento sul matrimonio e sulla sua indissolubilità - allora bisogna ammettere che le sue parole riportate dai Sinottici sono come una nuova soglia di questa verità integrale sull’uomo, che ritroviamo nella Parola rivelata di Dio. È indispensabile che ci soffermiamo su questa soglia, se vogliamo che la nostra teologia del corpo - e anche la nostra “spiritualità del corpo” cristiana - possano servirsene come di una completa immagine.


Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli portoghesi



Ai polacchi

Ed ecco il discorso del Papa in una nostra traduzione italiana

Il 3 gennaio corrente è stata letta in Polonia la mia lettera per il seicentesimo anniversario della Madonna di Jasna Góra.

Desidero ora continuare tale lettera, che ho scritto nella solennità dell’Immacolata Concezione.

Desidero farlo in forma di preghiera alla Madre della Chiesa e alla Madre della mia Nazione; preghiera di cui reciteremo un brano dopo l’altro durante i nostri incontri, le udienze del mercoledì.

A queste Udienze Generali hanno partecipato sempre alcuni pellegrini provenienti dalla Polonia, e in esse pertanto si sentiva la nostra lingua madre.

Ora, a causa del deplorevole “stato di assedio”, che dura già da un mese, la venuta a Roma è stata resa impossibile ai miei connazionali.

Tuttavia essi non cessano di essere moralmente qui presenti. I partecipanti alle Udienze delle altre nazioni sentono la loro assenza. E in questa assenza vedono la limitazione e la violazione dei diritti che spettano agli uomini liberi.

Perciò - come ogni mercoledì - anche oggi parlo in polacco. Alle mie parole do forma di preghiera indirizzata a lei, Signora di Jasna Góra. Infatti attraverso te - e dinanzi a te - ci incontriamo tutti anche quando siamo separati dalla distanza, dalle frontiere, dai muri dei campi e delle carceri. Più di una volta fu così nel corso della storia. E più di una volta si è verificato e riconfermato che dinanzi a te, nostra Madre e Regina, siamo vicendevolmente presenti.

Ed ecco nell’anno del tuo 600° anniversario - e nostro giubileo - ancora una volta capita a noi di fare questa esperienza: a tutti i miei connazionali nella patria e a me, figlio della stessa Terra e Vescovo di Roma.

Come il primo dono del VI Centenario ti offriamo questa esperienza. A te Madre misericordiosa, affidiamo anche tutti coloro che in questi giorni soffrono dolorosamente nella nostra patria a causa dell’alluvione, e coloro che, non risparmiando sforzi, si prodigano per portare rimedio a questa spaventosa calamità.

Ai gruppi italiani

Rivolgo ora un saluto particolare ai pellegrini della parrocchia dell’Immacolata, in diocesi di Molfetta, i quali, insieme al loro Parroco, sono qui convenuti, nell’ottantesimo anniversario della fondazione della propria Associazione “Madonna di Lourdes”, per far benedire dal Papa la statua della Madonna, che farà poi il giro delle famiglie della parrocchia, in devota “peregrinatio”.

Mentre vi esprimo il mio compiacimento per questa vostra iniziativa, volentieri aderisco al vostro desiderio di benedire l’immagine della Vergine santissima, esortandovi a riporre la vostra fiducia in lei, la quale, essendo Madre ed Avvocata, non mancherà di assistervi e di proteggervi nelle vostre necessità materiali e spirituali.
* * *


Saluto anche i giovani e le giovani qui presenti: il Signore accresca sempre più la vostra gioia e vi faccia progredire nel suo amore, nella sua pace e nella sua speranza: altrettanti valori questi di cui il mondo ha tanto bisogno e che aspetta da voi, che rappresentate le forze più sane e più disponibili verso il vero bene della Chiesa e della società.
* * *


Agli ammalati qui presenti e a quelli che sono nelle corsie degli ospedali, nelle case di cura e nelle famiglie dico: non sentitevi mai soli, perché il Signore è con voi e non vi abbandona mai. Siate coraggiosi e forti: unite i vostri dolori e le vostre sofferenze a quelli del Crocifisso e diventerete corredentori dell’umanità, insieme al Cristo. Il Papa è con voi e vi ricorda sempre nella preghiera,
* * *


Un pensiero beneaugurante va pure agli sposi novelli, che hanno da poco iniziato una nuova vita sotto il segno sacramentale della grazia di Dio. Carissimi sposi, abbiate sempre davanti alla vostra coscienza il senso cristiano della famiglia, che ho recentemente ricordato nella esortazione Familiaris Consortio: tale concezione della vita familiare vi riempirà di gioia e vi darà la forza di superare ogni ostacolo. Vi accompagni la mia benedizione.




Mercoledì, 20 gennaio 1982

20182


1. La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani torna a richiamare l’attenzione di tutti i battezzati sul loro impegno per la ricomposizione della piena unità, in una più fedele risposta al disegno di Dio sulla sua Chiesa.

Esorto oggi voi, cari figli e figlie della Chiesa cattolica, ad unirvi a questo coro immenso di preghiere che si alza a Dio in questi giorni.

In un tale atteggiamento di attenzione per l’unità, questa settimana, particolarmente dedicata alla preghiera, anche quest’anno non trova i cristiani pienamente uniti. Non sono ancora state superate tutte le divergenze. E un sentimento di soffusa amarezza pervade il cuore dei cristiani, pensosi e responsabili. È come la constatazione di una interna debolezza; è la sperimentazione del male, che permane nella comunità cristiana.

Ciononostante, questa settimana ci offre motivi validi e fondati di gioia e di speranza. Siamo infatti certi, come ci ha avvertito il Concilio, che “il Signore dei secoli il quale con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori in questi ultimi tempi ha cominciato ad effondere con maggiore abbondanza nei cristiani l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione” (Unitatis Redintegratio
UR 1).


2. Anche quest’anno dobbiamo ringraziare Iddio per i progressi autentici che va facendo la ricerca dell’unità dei cristiani. Il dialogo prosegue il suo lavoro con perseveranza a livello teologico. Qualificate commissioni miste lavorano con serenità e oggettività tanto con la Chiesa ortodossa, quanto con le altre organizzazioni mondiali delle Comunità ecclesiali originate dalla Riforma. Attraverso i vari dialoghi e per mezzo di sempre più intensi contatti va operandosi un reale sviluppo: da una parte emerge chiaramente quanto abbiamo in comune circa la fede, la dottrina e la vita cristiana; dall’altra, le divergenze che ancora restano - e che i dialoghi debbono continuare ad affrontare e dibattere - sono viste con maggiore lucidità e sono liberate dai contorni di confusione che le polemiche del passato avevano creato. Questi dialoghi, che preparano il terreno, consentiranno poi alle rispettive autorità di valutarne le conclusioni, giudicando esattamente il progresso realizzato e ciò che resta da fare. Per tutto questo, e per lo spirito di franchezza, di fraternità e di lealtà che cresce tra i cristiani, dobbiamo rendere grazie a Dio, che illumina la mente, riscalda il cuore, rafforza la volontà.

Le difficoltà nei rapporti tra i cristiani sono reali. Non si tratta solo di pregiudizi ereditati dal passato, ma spesso di giudizi diversi radicati in profonde convinzioni che toccano la coscienza. Inoltre, purtroppo, sorgono nuove difficoltà. Proprio per questo è ancora più necessaria la preghiera di impetrazione, affinché il Signore illumini e guidi il suo popolo a ristabilire quell’unità interiore, organica e visibile, che egli vuole per i suoi discepoli e per cui egli stesso ha pregato (Jn 17).

In questo contesto chiedo le vostre preghiere e quelle di tutti i cattolici affinché, durante il mio viaggio in Gran Bretagna, la visita a Canterbury, sede primaziale della Comunione anglicana, giovi alla grande causa dell’unità dei cristiani.

3. Inoltre, la preghiera offre l’occasione più propizia per la partecipazione di tutti i battezzati alla ricerca del ristabilimento della piena unità. Non tutti possono partecipare al dialogo teologico, non tutti hanno l’opportunità di stabilire rapporti personali e diretti con i cristiani delle altre Chiese e comunità ecclesiali; tutti però possono esprimere la propria partecipazione all’intenzione della Chiesa in questa ricerca con una preghiera sincera e continua, che comprende l’intenzione e la domanda dell’unità dei cristiani. So che questa preoccupazione cresce sempre più nei fedeli, nelle comunità religiose, nelle parrocchie, nei monasteri e particolarmente in quelli di clausura. Ringrazio tutti e li invito ad intensificare la loro preghiera.

Questa partecipazione è l’espressione della crescente consapevolezza che la divisione è contro la volontà di Dio; che essa è dannosa per la vita della Chiesa e nuoce alla sua missione nel mondo (Unitatis Redintegratio UR 1). Affinché questa partecipazione sia convinta e responsabile, accogliendo una preoccupazione del Sinodo dei Vescovi, nell’esortazione apostolica Catechesi Tradendae ho attirato l’attenzione sulla necessità di una profonda catechesi come strumento adeguato per la formazione ecumenica. Infatti: “La catechesi non può essere estranea alla dimensione ecumenica, allorché tutti i fedeli, secondo le loro proprie capacità e posizione nella Chiesa, sono chiamati a partecipare al movimento verso l’unità” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae CTR 32). Una tale dimensione infatti suscita ed alimenta nei fedeli un vero desiderio dell’unità e, più ancora, ispirerà sforzi sinceri in vista della piena unità.

4. Per aiutare la nostra preghiera, ogni anno il Segretariato per l’unione dei cristiani e il Consiglio ecumenico delle Chiese propongono un tema comune.

Quest’anno è stata proposta una intenzione feconda, ecumenica e missionaria nello stesso tempo: “Che tutti trovino la loro dimora in te, o Signore”. Il tema si ispira al Ps 84(83) che generazioni e generazioni di credenti hanno ripetuto e ripetono con insistenza. Il tema mette in prospettiva la comunione con Dio, che è l’elemento essenziale e costitutivo della comunione ecclesiale; esso mette anche in evidenza l’aspetto di cammino, di pellegrinaggio, di movimento verso questa comunione.

Come gli antichi israeliti, che ritornavano dall’esilio, trovavano nel tempio, segno della presenza di Dio, l’espressione della loro unità come Popolo di Dio, così oggi i cristiani ricercano la piena unità alla presenza del Signore, in obbedienza alla sua volontà.

Bisogna ricomporre la piena unità dei cristiani!


“Voi siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (cfr Ep 2,19), scriveva san Paolo ai cristiani di Efeso. L’unità dei cristiani perciò è come l’unità di una grande famiglia. Deve essere animata dalle stesse caratteristiche essenziali di comunione, di fraternità, di solidarietà, di unità. Questa comunità resta aperta a tutti i popoli, a tutte le genti, con lo scopo di fare dell’intera umanità una convivenza pacifica e solidale.

L’unità della comunità cristiana è perciò aperta all’evangelizzazione, all’annuncio, cioè, che in Cristo l’umanità troverà la sua salvezza e la sua dimora di pace.

5. Vorrei concludere questo incontro con una preghiera litanica, a cui invito tutti a rispondere:

“Che tutti trovino la loro dimora in Te, o Signore”.

- Per tutti i battezzati, perché con la loro vita annuncino a tutte le genti il tuo Regno, preghiamo.

- Per le famiglie cristiane, perché diano testimonianza di amore e di unità, preghiamo.

- Per le nostre comunità cristiane, perché siano per tutti dimora di fraternità, preghiamo.

- Per i cristiani sparsi nel mondo, perché siano una cosa sola, preghiamo.

- Per tutti gli uomini, perché trovino nella tua Chiesa la riconciliazione e la pace, preghiamo.

- Preghiamo: Signore, nostro Dio, salva il tuo popolo, e benedici la tua eredità; custodisci in pace tutta quanta la tua Chiesa; santifica coloro che amano la tua dimora. Tu, in cambio, glorificali con la tua potenza e non abbandonare noi che speriamo in Te (Dalla Liturgia bizantina).

Amen.


Ai fedeli di lingua francese

Ad un gruppo di oltre 30 religiosi del Sacro Cuore

Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai pellegrini di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese


Ai polacchi


Ed ecco una nostra traduzione italiana del discorso del Santo Padre.

Oggi continuo la mia preghiera a te, Signora di Jasna Góra e Madre della mia patria terrena.

Da 6 secoli la tua effigie permane fra noi sulla terra polacca come segno di una particolare alleanza con Cristo, stabilita nel Cuore della sua Madre.

Sei stata con noi, o Maria, nei tempi delle varie prove storiche.

Sei stata nel tempo del “diluvio”, nel tempo degli smembramenti e nel tempo dell’occupazione.

In quelle circostanze qualcuno ha detto: quando si sono spente tutte le luci per la Polonia, era ancora presente la Santa di Czestochowa (e la Chiesa) . . . che irradia sempre nel silenzio e mediante quest’opera compie una funzione quasi di una luce perpetua.

Perché per il 600° anniversario è stata procurata a te - e a noi tutti - la situazione “dello stato di guerra”? Nel paese che ha pieno diritto di essere la patria del popolo sovrano?

Madre! La tua immagine di Jasna Góra ha parlato con una particolare luce tra le nostre storiche esperienze e prove. Splenda essa di nuovo! Nella patria della Jasna Góra non può mai mancare la luce della speranza!

Ad alcuni gruppi di religiosi

So che sono presenti alcuni gruppi di religiosi, che in maggioranza sono Missionari: Comboniani, della Consolata, e di Istituti vari, riuniti per corsi di aggiornamento; e inoltre un gruppo di Pallottini, partecipanti al “Congresso degli Educatori”. Carissimi! Vi saluto tutti di cuore, e, mentre esprimo la mia viva gratitudine per il prezioso lavoro che svolgete, vi auguro di dare una sempre più feconda testimonianza evangelica; a tal fine, assicuro la mia preghiera e la mia benedizione.

Ai giovani

Sono contento di accogliere tutti i giovani qui presenti, i quali conoscono certamente la mia predilezione per loro. In particolare, voglio menzionare i numerosi membri del “Movimento Gen 2”, che partecipano ad un convegno sull’unità dei cristiani al Centro Mariapoli di Rocca di Papa; inoltre i ragazzi dell’Associazione Sportiva Roma Nuoto, con i loro genitori; e infine i “Piccoli Cantori di san Francesco”, provenienti da Ferrara, insieme ai loro accompagnatori. A voi tutti va il mio incoraggiamento a vivere ed irradiare sempre con entusiasmo il Vangelo di Cristo per la salvezza integrale dell’uomo.

Agli ammalati

Una parola speciale la riservo, come sempre, agli ammalati, che saluto con affetto. Carissimi, siate certi del mio costante ricordo al Signore, perché egli allevii le vostre sofferenze o almeno vi aiuti a portarle con intima serenità. Voi, infatti, più di tutti gli altri, siete in grado di comprendere appieno le parole dell’Apostolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Ph 4,13). Abbiate anche la mia benedizione, che di cuore vi concedo in pegno della corroborante grazia divina.

Agli sposi novelli

Mi rivolgo poi con gioia agli sposi novelli, che partecipano a questa Udienza. Voi siete all’inizio di un nuovo cammino di vita, che vi auguro felice. E tale sarà certamente, se cercherete di realizzare ogni giorno tra di voi una piena comunione personale di amore, che sia manifestazione di quella che già vi unisce al Signore. E sempre vi accompagni la mia benedizione.


Mercoledì, 27 gennaio 1982

27182

1. Durante le precedenti Udienze abbiamo riflettuto sulle parole di Cristo circa “l’altro mondo”, che emergerà insieme alla risurrezione dei corpi.

Quelle parole ebbero una risonanza singolarmente intensa nell’insegnamento di san Paolo. Tra la risposta data ai Sadducei, trasmessa dai Vangeli sinottici (cfr
Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,35-36) e l’apostolato di Paolo ebbe luogo prima di tutto il fatto della risurrezione di Cristo stesso e una serie di incontri con il Risorto, tra i quali occorre annoverare, come ultimo anello, l’evento occorso nei pressi di Damasco. Saulo o Paolo di Tarso che, convertito, divenne l’“apostolo dei gentili”, ebbe anche la propria esperienza post-pasquale, analoga a quella degli altri Apostoli. Alla base della sua fede nella risurrezione, che egli esprime soprattutto nella prima lettera ai Corinzi (cfr 1Co 15), sta certamente quell’incontro con il Risorto, che divenne inizio e fondamento del suo apostolato.

2. È difficile qui riassumere e commentare adeguatamente la stupenda ed ampia argomentazione del 15° capitolo della prima lettera ai Corinzi in tutti i suoi particolari. È significativo che, mentre Cristo con le parole riportate dai Vangeli sinottici rispondeva ai Sadducei, i quali “negano che vi sia la risurrezione” (Lc 20,27), Paolo, da parte sua, risponde o piuttosto polemizza (conformemente al suo temperamento) con coloro che lo contestano (I Corinzi erano probabilmente travagliati da correnti di pensiero improntate al dualismo platonico e al neopitagorismo di sfumatura religiosa, allo stoicismo e all'epicureismo: tutte le filosofie greche, del resto, negavano la risurrezione del corpo. Paolo aveva già sperimentato ad Atene la reazione dei Greci alla dottrina della risurrezione, durante il suo discorso all'Areopago - (cfr Act Ac 17,32). Cristo, nella sua risposta (pre-pasquale) non faceva riferimento alla propria risurrezione, ma si richiamava alla fondamentale realtà dell’alleanza veterotestamentaria, alla realtà del Dio vivo, che è a base del convincimento circa la possibilità della risurrezione: il Dio vivo “non è un Dio dei morti ma dei viventi” (Mc 12,27). Paolo nella sua argomentazione post-pasquale sulla futura risurrezione si richiama soprattutto alla realtà e alla verità della risurrezione di Cristo. Anzi, difende tale verità persino quale fondamento della fede nella sua integrità: “. . . Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede . . . Ora invece, Cristo è risuscitato dai morti” (1Co 15,14 1Co 15,20).

3. Qui ci troviamo sulla stessa linea della rivelazione: la risurrezione di Cristo è l’ultima e la più piena parola dell’autorivelazione del Dio vivo quale “Dio non dei morti ma dei viventi” (Mc 12,27). Essa è l’ultima e più piena conferma della verità su Dio che fin dal principio si esprime attraverso questa rivelazione. La risurrezione, inoltre, è la risposta del Dio della vita all’inevitabilità storica della morte, a cui l’uomo è stato sottoposto dal momento della rottura della prima alleanza, e che, insieme al peccato, è entrata nella sua storia. Tale risposta circa la vittoria riportata sulla morte, è illustrata dalla prima lettera ai Corinzi (cfr 1Co 15) con una singolare perspicacia, presentando la risurrezione di Cristo come l’inizio di quel compimento escatologico, in cui per lui ed in lui tutto ritornerà al Padre, tutto gli sarà sottomesso, cioè riconsegnato definitivamente, perché “Dio sia tutto in tutti” (1Co 15,28). Ed allora - in questa definitiva vittoria sul peccato, su ciò che contrapponeva la creatura al Creatore - verrà anche vinta la morte: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1Co 15,26).

4. In tale contesto sono inserite le parole che possono esser ritenute sintesi dell’antropologia paolina concernente la risurrezione. Ed è su queste parole che ci converrà soffermarci qui più a lungo. Leggiamo, infatti, nella prima lettera ai Corinzi 15, 42-46, circa la risurrezione dai morti: “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale”.


5. Tra questa antropologia paolina della risurrezione e quella che emerge dal testo dei Vangeli sinottici (Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,35-36), esiste una coerenza essenziale, solo che il testo della prima lettera ai Corinzi è maggiormente sviluppato. Paolo approfondisce ciò che aveva annunciato Cristo, penetrando, ad un tempo, nei vari aspetti di quella verità che nelle parole scritte dai sinottici era stata espressa in modo conciso e sostanziale. È inoltre significativo per il testo paolino che la prospettiva escatologica dell’uomo, basata sulla fede “nella risurrezione dai morti”, è unita con il riferimento al “principio” come pure con la profonda coscienza della situazione “storica” dell’uomo. L’uomo, al quale Paolo si rivolge nella prima lettera ai Corinzi e che si oppone (come i Sadducei) alla possibilità della risurrezione, ha anche la sua (“storica”) esperienza del corpo, e da questa esperienza risulta con tutta chiarezza che il corpo è “corruttibile”, “debole”, “animale”, “ignobile”.

6. Un tale uomo, destinatario del suo scritto - sia nella comunità di Corinto sia pure, direi, in tutti i tempi - Paolo lo confronta con Cristo risorto, “l’ultimo Adamo”. Così facendo, lo invita, in un certo senso, a seguire le orme della propria esperienza post-pasquale. In pari tempo gli ricorda “il primo Adamo”, ossia lo induce a rivolgersi al “principio”, a quella prima verità circa l’uomo e il mondo, che sta alla base della rivelazione del mistero del Dio vivo. Così, dunque, Paolo riproduce nella sua sintesi tutto ciò che Cristo aveva annunziato, quando si era richiamato, in tre momenti diversi, al “principio” nel colloquio con i Farisei (cfr Mt 19,3-8 Mc 10,2-9); al “cuore” umano, come luogo di lotta con le concupiscenze nell’interno dell’uomo, durante il discorso della Montagna (cfr Mt 5,27); e alla risurrezione come realtà dell’“altro mondo” nel colloquio con i Sadducei (cfr Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,35-36).

7. Allo stile della sintesi di Paolo appartiene quindi il fatto che essa affonda le sue radici nell’insieme del mistero rivelato della creazione e della redenzione, da cui essa si sviluppa e alla cui luce soltanto si spiega. La creazione dell’uomo, secondo il racconto biblico, è una vivificazione della materia mediante lo spirito, grazie a cui “il primo uomo Adamo . . . divenne un essere vivente” (1Co 15,45). Il testo paolino ripete qui le parole del libro della Genesi(Gn 2,7)i, cioè del secondo racconto della creazione dell’uomo (cosiddetto: racconto jahvista). È noto dalla stessa fonte che questa originaria “animazione del corpo” ha subìto una corruzione a causa del peccato. Sebbene a questo punto della prima lettera ai Corinzi l’Autore non parli direttamente del peccato originale, tuttavia la serie di definizioni che attribuisce al corpo dell’uomo storico, scrivendo che è “corruttibile . . . debole . . . animale . . . ignobile . . .”, indica sufficientemente ciò che, secondo la rivelazione, è conseguenza del peccato, ciò che lo stesso Paolo chiamerà altrove “schiavitù della corruzione” (Rm 8,21). A questa “schiavitù della corruzione” è sottoposta indirettamente tutta la creazione a causa del peccato dell’uomo, il quale fu posto dal Creatore in mezzo al mondo visibile perché “dominasse” (cfr Gn 1,28). Così il peccato dell’uomo ha una dimensione non solo interiore, ma anche “cosmica”. E secondo tale dimensione, il corpo - che Paolo (in conformità alla sua esperienza) caratterizza come “corruttibile . . . debole . . . animale . . . ignobile . . .” - esprime in sé lo stato della creazione dopo il peccato. Questa creazione, infatti, “geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,22). Tuttavia, come le doglie del parto sono unite al desiderio della nascita, alla speranza di un uomo nuovo, così anche tutta la creazione attende “con impazienza la rivelazione dei figli di Dio . . . e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,19-21).

8. Attraverso tale contesto “cosmico” dell’affermazione contenuta nella lettera ai Romani - in certo senso, attraverso il “corpo di tutte le creature” - cerchiamo di comprendere fino in fondo l’interpretazione paolina della risurrezione. Se questa immagine del corpo dell’uomo storico, così profondamente realistica e adeguata all’esperienza universale degli uomini, nasconde in sé, secondo Paolo, non soltanto la “schiavitù della corruzione”, ma anche la speranza, simile a quella che accompagna “le doglie del parto”, ciò avviene perché l’Apostolo coglie in questa immagine anche la presenza del mistero della redenzione.La coscienza di quel mistero si sprigiona appunto da tutte le esperienze dell’uomo che si possono definire come “schiavitù della corruzione”; e si sprigiona, perché la redenzione opera nell’anima dell’uomo mediante i doni dello Spirito: “. . . Anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rm 8,23). La redenzione è la via alla risurrezione. La risurrezione costituisce il definitivo compimento della redenzione del corpo. Riprenderemo l’analisi del testo paolino nella prima lettera ai Corinzi nelle nostre ulteriori riflessioni.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli spagnoli

Ai pellegrini di lingua portoghese


Ai gruppi arrivati da diverse parti d’Italia.

Mi è caro rivolgere un saluto cordiale ai molti gruppi di lingua italiana qui presenti.

Ricordo anzitutto i partecipanti al “Corso Ignaziano” per Direttori e Promotori di Esercizi, per Formatori e Direttori Spirituali; come pure tutti i partecipanti alla “Settimana di Spiritualità Salesiana”. In consonanza con la Liturgia della scorsa domenica, il Signore Gesù sia centro di una vita conforme alle attese di Dio. Imploriamo dal Padre la grazia di vivere “nel nome del suo diletto Figlio”, cioè sotto il suo impulso, nella sua luce, per recare “frutti generosi di opere buone”.

Tale invito all’unione di sentimenti con Cristo Signore (cfr Ph 2,5), lo rivolgo anche ai fedeli delle parrocchie romane di san Marco evangelista in Agro Laurentino, e del santissimo Nome di Maria. I primi commemorano il trentesimo anniversario della loro parrocchia; gli altri vogliono concludere col Vicario di Cristo le giornate di riflessione organizzate dai Padri Marianisti, a cui è affidata la loro cura spirituale. Cari fedeli, nella gioia di una autentica testimonianza cristiana, crescete come comunità di fede e di scambievole amore, per il bene dell’intera famiglia parrocchiale.
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Un pensiero dirigo ora ai giovani ed in particolare al Gruppo del “Movimento GEN 2” dei Focolari, riunito a Rocca di Papa per un Congresso. Con loro saluto i duemila studenti qui presenti, che frequentano scuole di ogni ordine e grado. Cari giovani, siate fieri della vostra appartenenza a Cristo che comporta anche una grave responsabilità: personale, per la vostra vita ed il vostro futuro; sociale, per la giustizia, per la pace, e soprattutto per la difesa dei più alti valori morali e per l’autentico bene comune. Vi raccomando all’intercessione di sant’Angela Merici, che oggi festeggiamo e che nell’Italia del Rinascimento tanto si adoperò per la gioventù, con atteggiamento di “carità sapiente e coraggiosa” (Liturgia).
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Ed ora un saluto cordialissimo al Gruppo Sportivo “GIS”, che vanta una bella tradizione nel ciclismo professionistico, con un complesso di maestranze sparse in tutta Italia. Cari giovani sportivi, mediante il sano esercizio sportivo, coltivate l’integrazione delle forze fisiche con quelle spirituali, perché è lo spirito che dà luce e “sprint” alla vita, e vi fa essere bravi sportivi, bravi cittadini e bravi cristiani.
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Infine saluto affettuosamente gli ammalati, e, come sempre, li invito alla fiducia amorosa nel Signore, mentre assicuro loro il mio costante ricordo nella preghiera. Ai novelli Sposi porgo i più fervidi auguri di serena prosperità nel Signore, mentre a tutti imparto la mia benedizione.

La preghiera alla Vergine di Jasna Góra


Come ogni mercoledì, il Santo Padre rivolge una preghiera alla Vergine di Czstochowa la cui immagine si venera a Jasna Góra. Queste le parole della preghiera.


Ed ecco una nostra traduzione italiana del discorso del Santo Padre.

“Sii con noi come noi siamo con te”.

Ho ricevuto dalla Polonia una lettera scritta prima di Natale; una lettera di persone internate a causa del decreto di “stato di guerra”.

Ho letto questa lettera con profonda attenzione e commozione, perché era tanto piena di contenuto umano, cristiano, polacco.

E alla fine - quasi un invito a partecipare alla comune veglia natalizia - vi erano le parole “sii con noi, come noi siamo con te”.

Ho accolto questo invito, queste parole, con tutto il cuore e, al tempo stesso, le indirizzo a te, Signora di Jasna Góra e Madre della nazione polacca.

Come potrei altrimenti rispondere a questa lettera e a tante, tante altre non scritte?

Sii con noi!

Sii con loro! Con i detenuti condannati all’isolamento forzato, senza processo. Con tutti coloro che soffrono a causa dell’imprigionamento dei loro cari.

Oh Madre! Ben ricordi che anche tu sei stata “imprigionata”: un tempo è stata imprigionata la tua immagine di Jasna Góra durante l’itinerario della peregrinazione in tutta la Polonia, ma è poi tornata in libertà.

Madre, ti supplico affinché tornino in libertà tutti coloro ai quali è stata ingiustamente tolta.

Benedico con tutto il cuore anche il gruppo dei miei connazionali qui presenti.

Sia lodato Gesù Cristo.





Catechesi 79-2005 13182