Catechesi 79-2005 11882

Mercoledì, 11 agosto 1982

11882


1. Iniziamo oggi un’analisi più particolareggiata del brano della lettera agli Efesini 5, 21-33. L’Autore, rivolgendosi ai coniugi, raccomanda loro di esser “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (
Ep 5,21).

Si tratta qui di un rapporto dalla doppia dimensione o di duplice grado: reciproco e comunitario. Uno precisa e caratterizza l’altro. Le relazioni reciproche del marito e della moglie debbono scaturire dalla loro comune relazione con Cristo. L’Autore della lettera parla del “timore di Cristo” in un senso analogo a quando parla del “timore di Dio”. In questo caso, non si tratta di timore o paura, che è un atteggiamento difensivo davanti alla minaccia di un male, ma si tratta soprattutto di rispetto per la santità, per il “sacrum”; si tratta della “pietas”, che nel linguaggio dell’Antico Testamento fu espressa anche col termine “timore di Dio” (cf.,ex. gr. , Ps 102,11 [103],11 Pr 1,7 Pr 23,17 Si 1,11-16). In effetti, una tale “pietas”, sorta dalla profonda coscienza del mistero di Cristo, deve costituire la base delle reciproche relazioni tra i coniugi.

2. Come il contesto immediato, così anche il testo scelto da noi ha un carattere “parenetico”, cioè di istruzione morale. L’Autore della lettera desidera indicare ai coniugi come si devono stabilire le loro relazioni reciproche e tutto il loro comportamento. Egli deduce le proprie indicazioni e direttive dal mistero di Cristo presentato all’inizio della lettera. Questo mistero deve essere spiritualmente presente nel reciproco rapporto dei coniugi. Penetrando i loro cuori, generando in essi quel santo “timore di Cristo” (cioè appunto la “pietas”), il mistero di Cristo deve condurli ad esser “sottomessi gli uni agli altri”: il mistero di Cristo, cioè il mistero della scelta, fin dall’eternità, di ciascuno di loro in Cristo “ad essere figli adottivi” di Dio.


3. L’espressione che apre il nostro brano di Efesini 5, 21-33, al quale ci siamo avvicinati grazie all’analisi del contesto remoto e immediato, ha un’eloquenza tutta particolare. L’Autore parla della mutua sottomissione dei coniugi, marito e moglie, e in tal modo fa anche capire come bisogna intendere le parole che scriverà in seguito sulla sottomissione della moglie al marito. Infatti leggiamo: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore” (Ep 5,22). Esprimendosi così, l’Autore non intende dire che il marito è “padrone” della moglie e che il patto inter-personale proprio del matrimonio è un patto di dominio del marito sulla moglie. Esprime, invece, un altro concetto: cioè che la moglie, nel suo rapporto con Cristo - il quale è per ambedue i coniugi unico Signore - può e deve trovare la motivazione di quel rapporto con il marito, che scaturisce dall’essenza stessa del matrimonio e della famiglia. Tale rapporto, tuttavia, non è sottomissione unilaterale. Il matrimonio, secondo la dottrina della lettera agli Efesini, esclude quella componente del patto che gravava e, a volte, non cessa di gravare su questa istituzione. Il marito e la moglie sono infatti “sottomessi gli uni agli altri”, sono vicendevolmente subordinati. La fonte di questa reciproca sottomissione sta nella “pietas” cristiana, e la sua espressione è l’amore.

4. L’Autore della lettera sottolinea in modo particolare questo amore, rivolgendosi ai mariti. Scrive infatti: “E voi, mariti, amate le vostre mogli . . .”, e con questo modo di esprimersi toglie qualunque timore, che avrebbe potuto suscitare (data la sensibilità contemporanea) la frase precedente: “Le mogli siano sottomesse ai mariti”. L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito, oggetto di sottomissione unilaterale. L’amore fa sì che contemporaneamente anche il marito è sottomesso alla moglie, e sottomesso in questo al Signore stesso, così come la moglie al marito. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole. Cristo è fonte ed insieme modello di quella sottomissione che, essendo reciproca “nel timore di Cristo”, conferisce all’unione coniugale un carattere profondo e maturo. Molteplici fattori di natura psicologica o di costume vengono, in questa fonte e dinanzi a questo modello, talmente trasformati da far emergere, direi, una nuova e preziosa “fusione” dei comportamenti e dei rapporti bilaterali.

5. L’Autore della lettera agli Efesini non teme di accogliere quei concetti che erano propri della mentalità e dei costumi di allora; non teme di parlare della sottomissione della moglie al marito; non teme, poi (anche nell’ultimo versetto del testo da noi citato), di raccomandare alla moglie che “sia rispettosa verso il marito” (Ep 5,33). Infatti è certo che, quando il marito e la moglie saranno sottomessi l’uno all’altro “nel rumore di Cristo”, tutto troverà un giusto equilibrio, cioè tale da corrispondere alla loro vocazione cristiana nel mistero di Cristo.

6. Diversa è certamente la nostra sensibilità contemporanea, diversi sono anche le mentalità e i costumi, e differente è la posizione sociale della donna nei confronti dell’uomo. Nondimeno, il fondamentale principio parenetico, che troviamo nella lettera agli Efesini, rimane lo stesso e porta i medesimi frutti. La sottomissione reciproca “nel timore di Cristo” - sottomissione nata sul fondamento della “pietas” cristiana - forma sempre quella profonda e salda struttura portante della comunità dei coniugi, in cui si realizza la vera “comunione” delle persone.

7. L’Autore del testo agli Efesini, che ha iniziato la sua lettera con una magnifica visione del piano eterno di Dio verso l’umanità, non si limita a porre in rilievo soltanto gli aspetti tradizionali del costume o quelli etici del matrimonio, ma oltrepassa l’ambito dell’insegnamento, e, scrivendo sul rapporto reciproco dei coniugi, scopre in esso la dimensione dello stesso mistero di Cristo, di cui egli è annunziatore e apostolo. “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti, in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei . . .” (Ep 5,22-25). In tal modo, l’insegnamento proprio di questa parte parenetica della lettera viene, in certo senso, inserito nella realtà stessa del mistero nascosto fin dall’eternità in Dio e rivelato all’umanità in Gesù Cristo. Nella lettera agli Efesini siamo testimoni, direi, di un particolare incontro di quel mistero con l’essenza stessa della vocazione al matrimonio. Come bisogna intendere questo incontro?

8. Nel testo della lettera agli Efesini esso si presenta anzitutto come una grande analogia. Vi leggiamo: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore . . .”: ecco la prima componente dell’analogia. “Il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa . . .”: ecco la seconda componente, che costituisce il chiarimento e la motivazione della prima. “E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti . . .”: il rapporto di Cristo con la Chiesa, presentato precedentemente, viene ora espresso quale rapporto della Chiesa con Cristo, e qui è compresa la componente successiva dell’analogia. Infine: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei . . .”: ecco l’ultima componente dell’analogia. Il seguito del testo della lettera sviluppa il pensiero fondamentale, contenuto nel passo or ora citato; e l’intero testo della lettera agli Efesini al capitolo 5 (Ep 5,21-23) è interamente permeato della stessa analogia; cioè: il rapporto reciproco tra i coniugi, marito e moglie, va inteso dai cristiani a immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa.

Ai fedeli di espressione francese

Ai fedeli di lingua inglese



Ad alcuni pellegrini provenienti dal Giappone

Sia lodato Gesù Cristo!

Ringrazio di cuore gli appartenenti alla “Città del Sole” e voi tutti turisti, perché siete venuti qui proprio per incontrarmi. Sono molto lieto di accogliervi superando ogni differenza di religione.

Vi auguro di alimentare la vostra vita con ciò che avete appreso visitando Roma.

Impartisco di cuore la mia benedizione apostolica a voi tutti e ai vostri familiari.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di lingua tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai fedeli di espressione portoghese


La preghiera alla Madonna di Jasna Góra




Questa la traduzione italiana della preghiera del Santo Madre alla Madonna di Jasna Góra.

“Madre graziosa e magnifica,
Maria di Czestochowa”!

In questo periodo, ogni anno, da più di due secoli, si reca a Jasna Góra un grande pellegrinaggio di Varsavia.

Dalla capitale polacca si avviano i pellegrini verso Colei che “è data per la difesa della nostra Nazione”. A loro si congiungono persone da diverse parti della Polonia, ed anche da altri Paesi dell’Europa e del mondo.

Mi unisco con il cuore ad essi, pellegrino anch’io verso la Madre di Cristo, che da sei secoli è presente in modo particolare nella vita del Popolo di Dio in terra polacca mediante il santuario di Jasna Góra.

Condivido tutte le loro fatiche, i loro desideri, le loro intenzioni.

“Abbiamo sentito la voce dolce, con la quale Maria ci chiama: / Venite a me, figli miei; / è giunto il tempo, oh! è giunto il tempo”.


In questo avviarsi come pellegrini verso Jasna Góra della Vittoria vi è l’immagine della vita umana. Tutti infatti pellegriniamo in Cristo verso la vittoria definitiva, nata dalla sua croce e risurrezione.

In questo pellegrinaggio annuale verso Jasna Góra vi è l’immagine della vita della Nazione, che sempre cammina lungo la propria storia verso un domani migliore.

Il pellegrinaggio di Jasna Góra è la testimonianza della speranza che ravviva le anime umane e restituisce alla vita la sua piena dimensione e il suo vero senso.

Cari fratelli e sorelle!

Pellegrini nella speranza!

Quanto sono con voi!

“Madre graziosa e magnifica, / Maria di Czestochowa”!

A te ricorriamo o Maria, o Maria”!

A gruppi italiani

Saluto anzitutto le numerose religiose, presenti a questa Udienza: in particolare le suore della Sacra Famiglia di Spoleto, che stanno celebrando il Capitolo Generale, alle quali rivolgo il mio compiacimento e il mio augurio affinché il bene che compiono con le loro numerose opere educative e assistenziali sia sorretto da sempre più ardente amore a Cristo e alla Chiesa. Con pari affetto saluto le suore del Patrocinio di san Giuseppe, le suore di nostra Signora della Mercede e le suore Domenicane del santissimo Sacramento, anch’esse riunite in Capitolo Generale. Il Signore tutte vi illumini e irrobustisca con la sua grazia, e largamente ricompensi la vostra instancabile generosità.
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Intendo poi anche salutare il pellegrinaggio di Guadagnolo, nel cui Comune è sito il Santuario mariano della Mentorella, a me tanto caro. La Madonna vi protegga sempre e alimenti ogni giorno di più la vostra fede in Gesù Cristo.
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Saluto il gruppo degli appartenenti alla Società Cattolica di Mutuo Soccorso, di Padova, che hanno qui voluto idealmente concludere l’anno centenario di fondazione. Carissimi, mi compiaccio vivamente per le molteplici attività assistenziali compiute, nell’arco di un secolo, dal benemerito vostro Sodalizio, e con voi ringrazio il Signore che vi ha fatto strumenti della sua Provvidenza. Per l’attività futura, che auguro ancora lunga ed efficace, vi esorto a radicare sempre più le vostre iniziative nello spirito della carità evangelica e benedico di cuore voi, i vostri dirigenti, i consoci che rappresentate e tutti i vostri cari.
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Saluto di cuore tutti i giovani presenti a questa Udienza, compreso il gruppo di “Guide e Scouts Cattolici”. A tutti loro auguro una vita sempre generosa e lieta nell’amicizia col Signore e in una costante testimonianza del suo Vangelo al mondo.
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Una particolarissima parola di saluto è per gli ammalati qui presenti. Voi formate uno speciale tesoro della Chiesa, e sull’offerta delle vostre sofferenze al Signore il Papa conta molto, mentre vi assicura il suo costante affetto e la sua incessante preghiera.
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Infine, ai novelli Sposi va il mio sentito augurio di amore, di fecondità e di prosperità in una vita resa sicura e felice da una irrinunciabile comunione col Signore. Egli vi colmi dei suoi favori, mentre tutti vi benedico di cuore.



Mercoledì, 18 agosto 1982

18882


1. Analizzando le rispettive componenti della lettera agli Efesini, abbiamo costatato mercoledì scorso che, il rapporto reciproco tra i coniugi, marito e moglie, va inteso dai cristiani ad immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa.

Questo rapporto è rivelazione e realizzazione nel tempo del mistero della salvezza, dell’elezione di amore, “nascosta” dall’eternità in Dio. In questa rivelazione e realizzazione il mistero della salvezza comprende il tratto particolare dell’amore sponsale nel rapporto di Cristo con la Chiesa, e perciò lo si può esprimere nel modo più adeguato, ricorrendo all’analogia del rapporto che c’è - che deve esserci - tra marito e moglie nel matrimonio. Tale analogia chiarisce il mistero, almeno fino ad un certo grado. Anzi, sembra che, secondo l’Autore della lettera agli Efesini, questa analogia sia complementare di quella di “Corpo Mistico” (cfr
Ep 1,22-23), quando cerchiamo di esprimere il mistero del rapporto di Cristo con la Chiesa e - risalendo ancor più lontano - il mistero dell’amore eterno di Dio verso l’uomo, verso l’umanità: il mistero, che si esprime e si realizza nel tempo attraverso il rapporto di Cristo con la Chiesa.

2. Se - come è stato detto - questa analogia illumina il mistero, essa stessa a sua volta viene illuminata da quel mistero. Il rapporto sponsale che unisce i coniugi, marito e moglie, deve - secondo l’Autore della lettera agli Efesini - aiutarci a comprendere l’amore che unisce il Cristo con la Chiesa, quell’amore reciproco di Cristo e della Chiesa, in cui si realizza l’eterno piano divino della salvezza dell’uomo. Tuttavia, il significato dell’analogia non si esaurisce qui. L’analogia usata nella lettera agli Efesini, chiarendo il mistero del rapporto tra il Cristo e la Chiesa, contemporaneamente svela la verità essenziale sul matrimonio: cioè, che il matrimonio corrisponde alla vocazione dei cristiani solo quando rispecchia l’amore che Cristo-Sposo dona alla Chiesa sua Sposa, e che la Chiesa (a somiglianza della moglie “sottomessa”, dunque pienamente donata) cerca di ricambiare a Cristo. Questo è l’amore redentore, salvatore, l’amore con cui l’uomo dall’eternità è stato amato da Dio in Cristo: “In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, / per essere santi e immacolati al suo cospetto . . .” (Ep 1,4).


3. Il matrimonio corrisponde alla vocazione dei cristiani in quanto coniugi soltanto se, appunto, quell’amore vi si rispecchia ed attua. Ciò diverrà chiaro se cercheremo di rileggere l’analogia paolina nella direzione inversa, cioè partendo dal rapporto di Cristo con la Chiesa, e volgendoci poi al rapporto del marito e della moglie nel matrimonio. Nel testo è usato il tono esortativo: “Le mogli siano sottomesse ai mariti . . . come la Chiesa sta sottomessa a Cristo”. E d’altra parte: “Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa . . .”. Queste espressioni dimostrano che si tratta di un obbligo morale. Tuttavia, per poter raccomandare tale obbligo, bisogna ammettere che nell’essenza stessa del matrimonio si racchiude una particella dello stesso mistero.Altrimenti, tutta questa analogia rimarrebbe sospesa nel vuoto. L’invito dell’Autore della lettera agli Efesini, rivolto ai coniugi, perché modellino il loro rapporto reciproco a somiglianza del rapporto di Cristo con la Chiesa (“come - così”), sarebbe privo di una base reale, come se gli mancasse il terreno sotto i piedi. Tale è la logica dell’analogia usata nel citato testo agli Efesini.

4. Come si vede, questa analogia opera in due direzioni. Se, da una parte, ci consente di comprendere meglio l’essenza del rapporto di Cristo con la Chiesa, dall’altra, al tempo stesso, ci permette di penetrare più profondamente nell’essenza del matrimonio, al quale sono chiamati i cristiani. Essa manifesta, in un certo senso, il modo in cui questo matrimonio, nella sua essenza più profonda, emerge dal mistero dell’amore eterno di Dio verso l’uomo e l’umanità: da quel mistero salvifico, che si compie nel tempo mediante l’amore sponsale di Cristo verso la Chiesa. Partendo dalle parole della lettera agli Efesini (Ep 5,22-33), possiamo in seguito sviluppare il pensiero contenuto nella grande analogia paolina in due direzioni: sia nella direzione di una più profonda comprensione della Chiesa, sia nella direzione di una più profonda comprensione del matrimonio. Nelle nostre considerazioni seguiremo anzitutto questa seconda, memori che, alla base della comprensione del matrimonio nella sua essenza stessa, sta il rapporto sponsale di Cristo con la Chiesa. Quel rapporto va analizzato ancor più accuratamente per poter stabilire - supponendo l’analogia con il matrimonio - in qual modo questo diventi segno visibile dell’eterno mistero divino, ad immagine della Chiesa unita con Cristo. In questo modo la lettera agli Efesini ci conduce alle basi stesse della sacramentalità del matrimonio.

5. Intraprendiamo, dunque, un’analisi particolareggiata del testo. Quando leggiamo nella lettera agli Efesini che “il marito . . . è capo della moglie come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo” (Ep 5,23), possiamo supporre che l’Autore, il quale ha già prima chiarito che la sottomissione della moglie al marito, come capo, va intesa quale sottomissione reciproca “nel timore di Cristo”, risale al concetto radicato nella mentalità del tempo, per esprimere anzitutto la verità circa il rapporto di Cristo con la Chiesa, cioè che Cristo è capo della Chiesa. È capo come “salvatore del suo corpo”. La Chiesa è appunto quel corpo che - essendo sottomesso in tutto a Cristo come suo capo - riceve da lui tutto ciò, per cui diviene ed è suo corpo: cioè la pienezza della salvezza come dono di Cristo, il quale “ha dato se stesso per lei” sino alla fine. Il “donarsi” di Cristo al Padre per mezzo dell’obbedienza fino alla morte di croce acquista qui un senso strettamente ecclesiologico: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ep 5,25). Attraverso una totale donazione per amore ha formato la Chiesa come suo corpo e continuamente la edifica, divenendo suo capo. Come capo è salvatore del suo corpo e, nello stesso tempo, quale salvatore è capo. Come capo e salvatore della Chiesa è anche sposo della sua sposa.

6. In tanto la Chiesa è se stessa, in quanto, come corpo, accoglie da Cristo, suo capo, l’intero dono della salvezza come frutto dell’amore di Cristo e della sua donazione per la Chiesa: frutto della donazione di Cristo sino alla fine. Quel dono di sé al Padre per mezzo dell’obbedienza fino alla morte (cfr Ph 2,8) è contemporaneamente, secondo la lettera agli Efesini, un “dare se stesso per la Chiesa”. In questa espressione, l’amore redentore si trasforma, direi, in amore sponsale: Cristo, dando se stesso per la Chiesa, con lo stesso atto redentore si è unito una volta per sempre con essa, come lo sposo con la sposa, come il marito con la moglie, donandosi attraverso tutto ciò che una volta per sempre è racchiuso in quel suo “dare se stesso” per la Chiesa. In tal modo, il mistero della redenzione del corpo nasconde in sé, in certo senso, il mistero “delle nozze dell’Agnello” (cfr Ap 19,7). Poiché Cristo è capo del corpo, l’intero dono salvifico della redenzione penetra la Chiesa come il corpo di quel capo, e forma continuamente la più profonda, essenziale sostanza della sua vita. E la forma al modo sponsale, dato che nel testo citato l’analogia del corpo-capo passa nell’analogia dello sposo-sposa, o piuttosto del marito-moglie. Lo dimostrano i brani successivi del testo, ai quali converrà passare in seguito.

Ai fedeli di lingua francese



Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini giapponesi

Dio sia lodato!

Dilettissimi pellegrini della diocesi di Kagoshima e tutti voi pellegrini del Giappone che partecipate a questa udienza, auspicando che sia con voi l’abbondante grazia di Dio, di cuore vi benedico.

Dio sia lodato!


Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese

Ad un gruppo di giovani slovacchi

Un benvenuto e un saluto al gruppo dei giovani slovacchi, partecipanti al campo-scuola organizzato dall’Istituto slovacco dei santi Cirillo e Metodio.

State godendo il meritato riposo, ma lo utilizzate anche nell’istruzione e nell’approfondimento religioso e culturale. Vi sia anche la visita della Città Eterna a incoraggiamento e a rafforzamento della fede e della fedeltà all’eredità dei padri.


Di tutto cuore vi imparto la mia benedizione.

Ai fedeli polacchi



Della preghiera dl Papa pubblichiamo qui di seguito una nostra traduzione italiana.

Madre Assunta!

Mi unisco in spirito a tutti coloro che nella mia terra natale celebrano il 15 agosto come la grande festa della Chiesa e della Nazione.

L’Assunzione della Genitrice di Dio è, al tempo stesso, la festa della maturità della terra polacca. In questo giorno si benedicono le spighe raccolte nei campi e la frutta portata dai giardini.

Prendo parte a questa benedizione dei frutti della terra.

E contemporaneamente penso a tutto ciò che matura negli uomini: a ciò che è maturato nei pensieri e nelle coscienze dei miei connazionali nel corso degli ultimi difficili anni.

L’uomo è chiamato a vivere nella verità e nella libertà. Dio gli ha dato la dignità di figlio di Dio, perché maturasse questa dignità.

Madre di Jasna Góra! Auspico e prego che la benedizione della tua Assunzione si posi soprattutto su ciò che è maturato nei pensieri, nelle coscienze e nei cuori polacchi.

Che questo rimanga come un frutto duraturo! Frutto della maturità dello spirito, che non si può distruggere e calpestare con nessuna umiliazione né violenza. Che questo frutto maturi ancor più in mezzo alle attuali contrarietà, così come è maturato il frutto della testimonianza del beato Massimiliano nel “bunker” della morte a Oswiecim.

Madre Assunta, ti offro i frutti della terra polacca! Ancor di più ti offro, per la tua solennità, il difficile frutto della maturità delle anime polacche. Accetta e benedici! E fa’ che la terra polacca non cessi di portare frutti! Che l’uomo non cessi di maturare!

Ai gruppi italiani


Desidero ora salutare alcuni gruppi speciali provenienti da varie parti d’Italia: rivolgo anzitutto il mio pensiero ai pellegrini della diocesi di Acireale e al loro Vescovo Monsignor Giuseppe Malandrino, i quali, diretti al Santuario Mariano di Lourdes, hanno voluto fare una sosta a Roma per esprimermi di persona i loro sentimenti di fede e di affetto.
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Una parola di compiacimento va poi al gruppo di fedeli di Terlizzi, in provincia di Bari, aderenti al “Rinnovamento nello Spirito”, che in questi giorni si sono dati convegno a Roma per un “Ritiro-Vacanza” presso la “Domus Pacis”.
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Saluto inoltre, augurando ogni bene, le suore Figlie di Cristo Re, le quali partecipano qui a Roma al proprio Capitolo Generale.
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Carissimi, questo incontro avviene all’indomani della festività della beata Vergine Assunta in cielo. So che tutti voi: sia quelli diretti a Lourdes, sia coloro che sono convenuti a Roma per approfondire la loro spiritualità, ne siete devoti! Voi, da parte vostra, confidate in lei e ripetete con lei: “Magnificat anima mea Dominum!”. Magnificate anche voi il Signore, ed egli non mancherà di riservarvi un giorno la gloria del cielo, accanto alla Madre sua e Madre nostra, Assunta in Paradiso.

Vi benedico tutti di gran cuore.
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Mi rivolgo ora a tutti i giovani qui convenuti per confermare la loro fede, conferendo così significato religioso alle loro vacanze. Nel manifestarvi riconoscenza per tali vostri sentimenti, vi esorto a prepararvi con rinnovato vigore alle responsabilità che vi attendono e a pregare perché la divina assistenza le renda feconde di bene per voi stessi, per i vostri cari, per la società. Con la mia benedizione apostolica.
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Per voi, cari ammalati, nell’additarvi la glorificazione della Madre di Dio mediante l’assunzione al cielo, testé celebrata, formo l’auspicio che il vostro corpo, afflitto dalla sofferenza, ma sempre tempio vivo dello Spirito Santo, sia eletto strumento di bene per la Chiesa e per le anime. In quest’opera di carità ecclesiale vi conforti la mia benedizione apostolica.
* * *


Non posso dimenticare voi, carissimi Sposi novelli, tuttora esultanti per la speciale grazia del matrimonio. Nell’invitarvi a guardare sempre al modello della Famiglia di Nazaret, vi porgo i più fervidi auguri di bene e di felicità. Con la mia benedizione apostolica.



Mercoledì, 25 agosto 1982

25882


1. Nelle precedenti considerazioni sul quinto capitolo della lettera agli Efesini (
Ep 5,21-33) abbiamo richiamato particolarmente l’attenzione sull’analogia del rapporto che esiste tra Cristo e la Chiesa, e di quello che esiste tra lo sposo e la sposa, cioè tra il marito e la moglie, uniti dal vincolo sponsale. Prima di accingerci all’analisi dei brani ulteriori del testo in questione, dobbiamo prendere coscienza del fatto che nell’ambito della fondamentale analogia paolina: Cristo e Chiesa da una parte, uomo e donna, come coniugi, dall’altra, vi è pure un’analogia supplementare: l’analogia cioè del Capo e del Corpo. Ed è proprio questa analogia a conferire un significato principalmente ecclesiologico all’enunciato da noi analizzato: la Chiesa, come tale, è formata da Cristo; è costituita da lui nella sua parte essenziale, come il corpo dal capo. L’unione del corpo con il capo è soprattutto di natura organica, è, in semplici parole, l’unione somatica dell’organismo umano. Su questa unione organica si fonda, in modo diretto, l’unione biologica, in quanto si può dire che “il corpo vive dal capo” (anche se, in pari tempo, sebbene in un altro modo, il capo vive dal corpo). E inoltre, se si tratta dell’uomo, su questa unione organica si fonda anche l’unione psichica, intesa nella sua integrità e, in definitiva, l’unità integrale della persona umana.

2. Come già è stato detto (per lo meno nel brano analizzato), l’Autore della lettera agli Efesini ha introdotto l’analogia supplementare del capo e del corpo nell’ambito dell’analogia del matrimonio. Sembra perfino che abbia concepito la prima analogia: “capo-corpo”, in maniera più centrale dal punto di vista della verità su Cristo e sulla Chiesa, da lui proclamata. Tuttavia, bisogna ugualmente affermare che non l’ha posta accanto o al di fuori dell’analogia del matrimonio come legame sponsale. Anzi, al contrario. Nell’intero testo della lettera agli Efesini (Ep 5,22-33), e specialmente nella prima parte, di cui ci stiamo occupando (Ep 5,22-23), l’Autore parla come se nel matrimonio anche il marito sia “capo della moglie”, e la moglie “corpo del marito” come se anche i coniugi formino una unione organica. Ciò può trovare il suo fondamento nel testo della Genesi, in cui si parla di “una sola carne” (Gn 2,24), ossia in quello stesso testo, al quale l’Autore della lettera agli Efesini si riferirà tra poco nel quadro della sua grande analogia. Nondimeno, nel testo del libro della Genesi viene chiaramente posto in evidenza che si tratta dell’uomo e della donna, come di due distinti soggetti personali, i quali decidono coscientemente della loro unione coniugale, definita da quell’arcaico testo con i termini: “una sola carne”. E anche nella lettera agli Efesini, questo è ugualmente ben chiaro. L’Autore si serve di una duplice analogia: capo-corpo, marito-moglie, al fine di illustrare con chiarezza la natura dell’unione tra Cristo e la Chiesa. In un certo senso, specialmente in questo primo passo del testo agli Efesini 5, 22-33, la dimensione ecclesiologica sembra decisiva e prevalente.

3. “Le mogli siano sottomesse ai mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei...” (Ep 5,22-25). Questa analogia supplementare “capo-corpo” fa sì che nell’ambito dell’intero brano della lettera agli Efesini (Ep 5,22-23) abbiamo a che fare con due soggetti distinti, i quali, in virtù di un particolare rapporto reciproco, diventano in certo senso un solo soggetto: il capo costituisce insieme al corpo un soggetto (nel senso fisico e metafisico), un organismo, una persona umana, un essere. Non vi è dubbio che Cristo è un soggetto diverso dalla Chiesa, tuttavia, in virtù di un particolare rapporto, si unisce con essa, come in una unione organica del capo e del corpo: la Chiesa è così fortemente, così essenzialmente se stessa in virtù di una unione con Cristo (mistico). È possibile dire lo stesso dei coniugi, dell’uomo e della donna, uniti in un legame matrimoniale? Se l’Autore della lettera agli Efesini vede l’analogia dell’unione del capo con il corpo anche nel matrimonio, questa analogia, in un certo senso, sembra rapportarsi al matrimonio in considerazione dell’unione che Cristo costituisce con la Chiesa e la Chiesa con Cristo. Quindi l’analogia riguarda soprattutto il matrimonio stesso come quell’unione per cui “due formeranno una carne sola” (Ep 5,31 cf. Gn 2,24).

4. Questa analogia, tuttavia, non offusca l’individualità dei soggetti: quella del marito e quella della moglie, cioè l’essenziale bi-soggettività che sta alla base dell’immagine di “un solo corpo”, anzi, l’essenziale bi-soggettività del marito e della moglie nel matrimonio, che fa di loro in un certo senso “un solo corpo”, passa, nell’ambito di tutto il testo che stiamo esaminando (Ep 5,22-33), all’immagine della Chiesa-Corpo, unita con Cristo come Capo. Ciò si vede specialmente nel seguito di questo testo, dove l’Autore descrive il rapporto di Cristo con la Chiesa appunto mediante l’immagine del rapporto del marito con la moglie. In questa descrizione la Chiesa-Corpo di Cristo appare chiaramente come il soggetto secondo dell’unione coniugale, al quale il soggetto primo, Cristo, manifesta l’amore di cui l’ha amata dando “se stesso per lei”. Quell’amore è immagine e soprattutto modello dell’amore che il marito deve manifestare alla moglie nel matrimonio, quando ambedue sono sottomessi l’un l’altro “nel timore di Cristo”.

5. Leggiamo infatti: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola” (Ep 5,25-31).

6. È facile scorgere che in questa parte del testo della lettera agli Efesini 5, 22-33prevale” chiaramente la bi-soggettività: essa viene rilevata sia nel rapporto Cristo-Chiesa, sia anche nel rapporto marito-moglie. Ciò non vuol dire che sparisca l’immagine di un soggetto unico: l’immagine di “un solo corpo”. Essa è conservata anche nel brano del nostro testo, e in un certo senso vi è ancor meglio spiegata. Ciò si vedrà con più chiarezza quando sottoporremo ad un’analisi particolareggiata il brano sopracitato. Così dunque l’Autore della lettera agli Efesini parla dell’amore di Cristo verso la Chiesa, spiegando il modo in cui quell’amore si esprime, e presentando, nello stesso tempo, sia quell’amore sia le sue espressioni come modello che il marito deve seguire nei riguardi della propria moglie. L’amore di Cristo verso la Chiesa ha essenzialmente, come scopo, la sua santificazione: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso... per renderla santa” (Ep 5,25-26). Al principio di questa santificazione è il battesimo, primo ed essenziale frutto della donazione di sé, che Cristo ha fatto per la Chiesa. In questo testo, il battesimo non viene chiamato col proprio nome, ma definito come purificazione “per mezzo del lavacro dell’acqua, accompagnato dalla parola” (Ep 5,26). Questo lavacro, con la potenza che deriva dalla donazione redentrice di sé, che Cristo ha fatto per la Chiesa, opera la purificazione fondamentale mediante la quale l’amore di lui verso la Chiesa acquista, agli occhi dell’Autore della lettera, un carattere sponsale.

7. È noto che al sacramento del battesimo partecipa un soggetto individuale nella Chiesa. L’Autore della lettera, tuttavia, attraverso quel soggetto individuale del battesimo vede tutta la Chiesa. L’amore sponsale di Cristo si riferisce ad essa, alla Chiesa ogni qualvolta una persona singola riceve in essa la purificazione fondamentale per mezzo del battesimo. Chi riceve il battesimo, in virtù dell’amore redentore di Cristo, diviene al tempo stesso partecipe del suo amore sponsale verso la Chiesa. “Il lavacro dell’acqua, accompagnato dalla parola” è, nel nostro testo, l’espressione dell’amore sponsale, nel senso che prepara la sposa (Chiesa) allo Sposo, fa la Chiesa sposa di Cristo, direi, “in actu primo”. Alcuni studiosi della Bibbia osservano qui che, nel testo da noi citato, il “lavacro dell’acqua” rievoca l’abluzione rituale che precedeva lo sposalizio, il che costituiva un importante rito religioso anche presso i Greci.


8. Come sacramento del battesimo il “lavacro dell’acqua, accompagnato dalla parola” (Ep 5,26) rende sposa la Chiesa non solo “in actu primo”, ma anche nella prospettiva più lontana, ossia nella prospettiva escatologica. Questa si apre davanti a noi quando, nella lettera agli Efesini, leggiamo che “il lavacro dell’acqua” serve, da parte dello sposo, “al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ep 5,27). L’espressione “di farsi comparire davanti” sembra indicare quel momento dello sposalizio, in cui la sposa viene condotta allo sposo, già vestita dell’abito nuziale e adornata per lo sposalizio. Il testo citato rileva che lo stesso Cristo-Sposo ha cura di adornare la sposa-Chiesa, ha cura che essa sia bella della bellezza della grazia, bella in virtù del dono della salvezza nella sua pienezza, già concesso fin dal sacramento del battesimo. Ma il battesimo è soltanto l’inizio, da cui dovrà emergere la figura della Chiesa gloriosa (come leggiamo nel testo), quale frutto definitivo dell’amore redentore e sponsale, solamente con l’ultima venuta di Cristo (parusia).

Vediamo quanto profondamente l’Autore della lettera agli Efesini scruta la realtà sacramentale, proclamandone la grande analogia: sia l’unione di Cristo con la Chiesa, sia l’unione sponsale dell’uomo e della donna nel matrimonio vengono in tal modo illuminate da una particolare luce soprannaturale.

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di lingua inglese



Ad un gruppo di studentesse giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissime alunne della “Università Juniore Junshin”, sono molto lieto di accogliervi qui in Vaticano.

Mi hanno detto che voi studiate Arte. Ora, Roma è un vero tesoro di Arte. Allora, ciò che avrete appreso qui a Roma, sappiate utilizzarlo non soltanto per l’arte, ma anche per la vostra vita.

Insieme con la patrona della vostra Scuola, la Madonna, impartisco di cuore la mia benedizione apostolica a voi, ai vostri familiari ed alla vostra scuola.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola



Ai fedeli di lingua portoghese


Ad un gruppo di fedeli ungheresi

Dall’Ungheria provengono dei pellegrini della parrocchia di Szajolad. Essi portano il loro crocifisso, che usano a casa nelle processioni solenni.

Custodite e consegnate agli altri la fede cristiana nello spirito di santo Stefano re, che or ora avete festeggiato. Con la mia benedizione apostolica.

La preghiera alla Madonna di Jasna Góra



Ed ecco la preghiera del Papa in una nostra traduzione italiana.

Domani ricorre la solennità della Madre di Dio a Jasna Góra.

È una solennità speciale perché è collegata col 600° anniversario della presenza dell’Icona di Jasna Góra in questo luogo scelto dalla Provvidenza e santificato da Colui che è il Signore della storia.

In questa Effigie meravigliosa riconosciamo il Segno del Mistero di Dio, rivelato ai figli e alle figlie dell’intera famiglia umana in Gesù Cristo.

In questa Effigie incontriamo la Madre che il Figlio - compiendo sul Calvario la volontà del Padre - rese Madre di tutti gli uomini.

La storia degli uomini - e la storia dei popoli - si è legata con questa Madre.

L’Effigie di Jasna Góra è una permanente espressione di come la storia della nostra Nazione si è collegata con la Madre di Dio, e costantemente si collega con essa.

Alla vigilia di questa festa, desidero rievocare in spirito tutti i figli e le figlie della nostra Patria che hanno avuto parte in questi 600 anni. In modo particolare invito a questa vigilia:


La beata Edvige, Regina, il cui regno sul trono della Polonia coincide con gli inizi di Jasna Góra,

il Padre Agostino Kordecki, che ha difeso il Santuario e l’immagine di Jasna Góra ai tempi del “diluvio” nel XVII secolo,

il Cardinale Stefano Wyszynski, Primate della Polonia, morto un anno fa, che insieme con tutto l’Episcopato polacco ha preparato la Chiesa in Polonia al giubileo dei 600 anni.

Insieme con tutti loro e con voi, cari connazionali, mi presento all’appello di Jasna Góra questa sera e ripeto:

Maria, Regina della Polonia, sono vicino a te, mi ricordo di te, veglio!

Ai gruppi italiani

Rivolgo ora un saluto particolare a tre gruppi di suore, le quali in questi giorni si sono riunite per i loro rispettivi Capitoli Generali. Esse appartengono alle Congregazioni religiose rispettivamente delle Orsoline di Maria Vergine Immacolata di Gandino, del Sacro Cuore del Verbo Incarnato e delle Suore Francescane Alcantarine.

Carissime, sono lieto di esprimere a voi e a tutte le vostre consorelle il mio apprezzamento per il generoso servizio che voi rendete alla Chiesa ed alla società nei vari campi educativi, assistenziali e delle missioni, secondo lo spirito proprio delle vostre comunità religiose. Nella preghiera e nella riflessione di questi giorni, procurate di dare un nuovo e più efficace impulso alla vitalità e al carisma originario dei vostri Istituti, e siate consapevoli che la vostra consacrazione a Dio, oggi più che mai, deve essere vissuta nella sua integrità e nelle sue più profonde esigenze. Da parte mia, vi assicuro di seguirvi con le mie preghiere, che ora desidero avvalorare con una speciale benedizione.
* * *


Indirizzo poi un saluto particolarmente affettuoso ai giovani presenti all’Udienza. Sono molto lieto di vedervi e di sentire le vostre voci e le vostre acclamazioni! Vi auguro tanta gioia e serenità nel Signore e vi esorto a vivere con ferma fede cristiana e con ardente bontà verso tutti, ricordando ciò che diceva Pier Giorgio Frassati, un giovane allegro e fervoroso, che dal cielo è vostro modello e vostro amico: “Con la carità si semina negli uomini la pace... La vera pace che solo la fede in Cristo ci può dare, affratellandoci” (Pier Giorgio Frassati, Appunti per un discorso).
* * *


Anche a voi, carissimi malati, giunga la mia parola affettuosa e cordiale. Il vostro posto, lo sapete, è molto importante e privilegiato nel disegno della Provvidenza e nell’intera vita della Chiesa. Ricordate le commoventi parole di san Giovanni: “Noi abbiamo conosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore e chi dimora nell’amore, dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Jn 4,16). Questa è la verità che veramente può consolare e sublimare la vostra sofferenza.
* * *


Infine l’ultimo speciale saluto lo riservo agli sposi novelli, che, in visita a Roma, hanno voluto incontrarsi con il Papa e ricevere la sua benedizione. Vi ringrazio per questo gesto di ossequio e di fede e vi auguro la felicità e la gioia che provengono dall’amore fedele e sacrificato. Ricordate ciò che disse Giovanni Paolo I, appena eletto al Soglio Pontificio? “Amare significa viaggiare, significa correre con il cuore verso l’oggetto amato”; e soggiungeva: “Amare Dio è un viaggiare col cuore verso Dio”. Viaggiate anche voi insieme, verso Dio e verso i fratelli! Con la mia preghiera e la mia benedizione!






Catechesi 79-2005 11882