Catechesi 79-2005 10982

Mercoledì, 1° settembre 1982

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1. L’Autore della lettera agli Efesini, proclamando l’analogia tra il vincolo sponsale che unisce Cristo e la Chiesa, e quel che unisce il marito e la moglie nel matrimonio, così scrive: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (
Ep 5,25-27).

2. È significativo che l’immagine della Chiesa gloriosa venga presentata, nel testo citato, come una sposa tutta bella nel suo corpo. Certo, questa è una metafora; ma essa è molto eloquente, e testimonia quanto profondamente incida il momento del corpo nell’analogia dell’amore sponsale. La Chiesa “gloriosa” è quella “senza macchia né ruga”. “Macchia” può essere intesa come segno di bruttezza, “ruga” come segno d’invecchiamento e di senilità. Nel senso metaforico sia l’una che l’altra espressione indicano i difetti morali, il peccato. Si può aggiungere che in san Paolo l’“uomo vecchio” significa l’uomo del peccato (cf. Rm 6,6). Cristo quindi con il suo amore redentore e sponsale fa sì che la Chiesa non solo diventi senza peccato, ma resti “eternamente giovane”.

3. L’ambito della metafora è, come si vede, ben vasto. Le espressioni che si riferiscono direttamente e immediatamente al corpo umano, caratterizzandolo nei rapporti reciproci tra lo sposo e la sposa, tra il marito e la moglie, indicano al tempo stesso attributi e qualità di ordine morale, spirituale e soprannaturale. Ciò è essenziale per tale analogia. Pertanto l’Autore della lettera può definire lo stato “glorioso” della Chiesa in rapporto allo stato del corpo della sposa, libero da segni di bruttezza o d’invecchiamento (“o alcunché di simile”), semplicemente come santità e assenza del peccato: tale è la Chiesa “santa e immacolata”. È dunque ovvio di quale bellezza della sposa si tratti, in qual senso la Chiesa sia corpo di Cristo e in qual senso quel Corpo-Sposa accolga il dono dello Sposo che “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”. Nondimeno è significativo che san Paolo spieghi tutta questa realtà, che per essenza è spirituale e soprannaturale, attraverso la somiglianza del corpo e dell’amore per cui i coniugi, marito e moglie, diventano “una sola carne”.

4. Nell’intero passo del testo citato è ben chiaramente conservato il principio della bi-soggettività: Cristo-Chiesa, Sposo-Sposa (marito-moglie). L’Autore presenta l’amore di Cristo verso la Chiesa - quell’amore che fa della Chiesa il corpo di Cristo, di cui egli è il capo - come modello dell’amore degli sposi e come modello delle nozze dello sposo e della sposa. L’amore obbliga lo sposo-marito ad essere sollecito per il bene della sposa-moglie, lo impegna a desiderarne la bellezza ed insieme a sentire questa bellezza e ad averne cura. Si tratta qui anche della bellezza visibile, della bellezza fisica. Lo sposo scruta con attenzione la sua sposa quasi nella creativa, amorosa inquietudine di trovare tutto ciò che di buono e di bello è in lei e che per lei desidera. Quel bene che colui che ama crea, col suo amore, in chi è amato, è come una verifica dello stesso amore e la sua misura. Donando se stesso nel modo più disinteressato, colui che ama non lo fa fuori di questa misura e di questa verifica.

5. Quando l’Autore della lettera agli Efesini - nei successivi versetti del testo (Ep 5,28-29) - volge la mente esclusivamente ai coniugi stessi, l’analogia del rapporto di Cristo con la Chiesa risuona ancor più profonda e lo spinge ad esprimersi così: “I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo” (Ep 5,28). Qui ritorna dunque il motivo dell’“una sola carne”, che nella suddetta frase e nelle frasi successive viene non soltanto ripreso, ma anche chiarito. Se i mariti debbono amare le loro mogli come il proprio corpo, ciò significa che quella uni-soggettività si fonda sulla base della bi-soggettività e non ha carattere reale, ma intenzionale: il corpo della moglie non è il corpo proprio del marito, ma deve essere amato come il corpo proprio. Si tratta quindi dell’unità, non nel senso ontologico, ma morale: dell’unità per amore.

6. “Chi ama la propria moglie ama se stesso” (Ep 5,28). Questa frase conferma ancora di più quel carattere di unità. In certo senso, l’amore fa dell’“io” altrui il proprio “io”: l’“io” della moglie, direi, diviene per amore l’“io” del marito. Il corpo è l’espressione di quell’“io” e il fondamento della sua identità. L’unione del marito e della moglie nell’amore si esprime anche attraverso il corpo. Si esprime nel rapporto reciproco, sebbene l’Autore della lettera agli Efesini lo indichi soprattutto da parte del marito. Ciò risulta dalla struttura della totale immagine. Sebbene i coniugi debbano essere “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (ciò è stato messo in evidenza già nel primo versetto del testo citato) (Ep 5,22-23), tuttavia in seguito il marito è soprattutto colui che ama e la moglie invece colei che è amata. Si potrebbe perfino arrischiare l’idea che la “sottomissione” della moglie al marito, intesa nel contesto dell’intero brano (Ep 5,22-23) della lettera agli Efesini, significhi soprattutto il “provare l’amore”. Tanto più che questa “sottomissione” si riferisce all’immagine della sottomissione della Chiesa a Cristo, che certamente consiste nel provare il suo amore. La Chiesa, come sposa, essendo oggetto dell’amore redentore di Cristo-sposo, diventa suo corpo. La moglie, essendo oggetto dell’amore sponsale del marito, diventa “una sola carne” con lui: in certo senso, la sua “propria” carne. L’Autore ripeterà questa idea ancora una volta nell’ultima frase del brano qui analizzato: “Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso” (Ep 5,33).


7. Questa è l’unità morale, condizionata e costituita dall’amore. L’amore non solo unisce i due soggetti, ma consente loro di compenetrarsi a vicenda, appartenendo spiritualmente l’uno all’altro, al punto tale che l’Autore della lettera può affermare: “Chi ama la propria moglie, ama se stesso” (Ep 5,28). L’“io” diventa in certo senso il “tu” e il “tu” l’“io” (s’intende, nel senso morale). E perciò il seguito del testo da noi analizzato suona così: “Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario, la nutre e la cura, come fa Cristo, poiché siamo membra del suo corpo” (Ep 5,29-30). La frase, che inizialmente si riferisce ancora ai rapporti dei coniugi, in fase successiva ritorna esplicitamente al rapporto Cristo-Chiesa, e così, alla luce di quel rapporto, ci induce a definire il senso dell’intera frase. L’Autore, dopo aver spiegato il carattere del rapporto del marito con la propria moglie formando “una carne sola”, vuole ancora rafforzare la sua precedente affermazione (“chi ama la propria moglie, ama se stesso”) e, in un certo senso, sostenerla con la negazione e l’esclusione della possibilità opposta (“nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne”) (Ep 5,29). Nell’unione per amore, il corpo “altrui” diviene “proprio” nel senso che si ha premura del bene del corpo altrui come del proprio. Le suddette parole, caratterizzando l’amore “carnale” che deve unire i coniugi, esprimono, si può dire, il contenuto più generale e, ad un tempo, il più essenziale. Esse sembrano parlare di questo amore soprattutto con il linguaggio dell’“agape”.

8. L’espressione secondo cui l’uomo “nutre e cura” la propria carne - cioè che il marito “nutre e cura” la carne della moglie come la propria - sembra indicare piuttosto la premura dei genitori, il rapporto tutelare, anziché la tenerezza coniugale. La motivazione di tale carattere deve essere cercata nel fatto che l’Autore passa qui distintamente dal rapporto che unisce i coniugi al rapporto tra Cristo e la Chiesa. Le espressioni che si riferiscono alla cura del corpo, e prima di tutto al suo nutrimento, alla sua alimentazione, suggeriscono a numerosi studiosi di Sacra Scrittura il riferimento all’Eucaristia, di cui Cristo, nel suo amore sponsale, “nutre” la Chiesa. Se queste espressioni, sia pure in tono minore, indicano il carattere specifico dell’amore coniugale, specialmente di quell’amore per cui i coniugi diventano “una sola carne”, esse in pari tempo, aiutano a comprendere, almeno in modo generale, la dignità del corpo e l’imperativo morale di aver cura del suo bene: di quel bene che corrisponde alla sua dignità. Il paragone con la Chiesa come Corpo di Cristo, Corpo del suo amore redentore ed insieme sponsale, deve lasciare nella coscienza dei destinatari della lettera agli Efesini (Ep 5,22-23) un senso profondo del “sacrum” del corpo umano in genere, e specialmente nel matrimonio, come “luogo” in cui tale senso del “sacrum” determina in modo particolarmente profondo i rapporti reciproci delle persone, e soprattutto quelle dell’uomo con la donna, in quanto moglie e madre dei loro figli.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese


Ad un gruppo di cantori della diocesi di Alba Julia in Romania


Saluto ora un gruppo di 44 cantori i quali provengono dalla Romania, e più precisamente dalla diocesi di Alba Julia, di lingua ungherese. Essi sono dirigenti di coro ed insegnanti di canto nelle Chiese parrocchiali in quella diocesi: quindi compiono un importante ministero in quella Chiesa particolare.

Il gruppo ha partecipato al Festival Internazionale di Arezzo. Insegnate al Popolo di Dio a cantare bene e con devozione. Con la mia benedizione apostolica.

Ai fedeli polacchi

Ed ecco la nostra traduzione italiana del discorso del Santo Padre.


Il 26 agosto - solennità della Madre di Dio - l’Episcopato della Polonia ha proclamato un “Messaggio dei Vescovi da Jasna Góra”, che racchiude indicazioni ed appelli, pieni di contenuto pastorale e patriottico, a tutti i connazionali.

Alla fine di questo testo si legge:

“I Vescovi sono consapevoli che il secondo anniversario, già vicino, degli accordi sociali ha non soltanto un’eloquenza storica, ma anche influisce vivamente sulla formazione degli atteggiamenti dei polacchi e dell’attuale realtà polacca.

Perciò, mossi dalla sollecitudine per il bene dell’intera nazione, chiediamo con insistenza a tutti che questo anniversario sia celebrato in spirito di serietà nazionale e di tranquillità, creata dalla preghiera comune agli altari del Signore . . .

Uniremo queste preghiere a quelle ormai tradizionali per la pace, durante le celebrazioni di quest’anno dell’anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale”.

O Signora di Jasna Góra.

Con queste preghiere sono davanti al tuo Volto insieme con tutta la mia Nazione e con la Chiesa in Polonia: Regina della Polonia, Regina della pace, prega per noi!

Ai Consiglieri ecclesiastici della Confederazione Nazionale dei Coltivatori Diretti

Un cordiale saluto rivolgo ai Consiglieri ecclesiastici della “Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti”, i quali sono riuniti in questi giorni a Roma, in occasione del XV Congresso, sul tema: “Lavoro, professionalità agricola e valori cristiani”.

Sono lieto, carissimi confratelli nel sacerdozio, della vostra presenza e, mentre esprimo sinceramente il mio plauso per questo vostro incontro di studio, ricordo quanto ho detto nella mia enciclica sul lavoro umano, che cioè in molte situazioni sono necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all’agricoltura - ed agli uomini dei campi - il giusto valore come base di una sana economia nell’insieme della comunità sociale (cf. Giovanni Paolo II, Laborem Exercens LE 21).

La mia benedizione apostolica accompagni sempre voi e tutti coloro che si dedicano al lavoro agricolo rurale.


A vari gruppi italiani

Ben volentieri procedo adesso alla benedizione della pregevole Icone di Maria santissima, Madre della Divina Misericordia, che sarà posta nella Basilica Collegiata di santa Maria dell’Elemosina in Catania. Nel rivolgere il mio cordiale saluto al Pastore dell’arcidiocesi, Monsignor Domenico Picchinenna, al Prevosto Monsignor Lucio Rapicavoli, ai Membri del Capitolo ed ai pellegrini presenti, affido quella parrocchia e tutta la Comunità diocesana alla materna protezione della Madonna.

Con la mia benedizione apostolica.
* * *


A voi, carissimi giovani, va ora la mia parola, piena di stima e di affetto, perché mi sono noti i valori che portate nella vostra personalità: spontaneità, sincerità, impegno di essere sempre voi stessi, di voler vivere le istanze del tempo presente, interpretandole nel giusto modo. Sono sicuro che in questa ricerca interiore voi avvertite sempre più insistentemente il bisogno di Dio e la necessità di amarlo con tutte le vostre forze. Vi auguro di mirare sempre a questo traguardo luminoso!
* * *


Rivolgo, inoltre un affettuoso saluto ed incoraggiamento agli infermi qui presenti: fra essi, in particolare, quelli guidati dall’UNITALSI della diocesi di Faenza; un gruppo di ragazzi assistiti dal “Corpo Volontario Pubblica Assistenza”, di Cremona; le sordomute dell’Istituto Farina, di Cittadella (Padova), diretto dalle suore Maestre di santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori.

Carissimi, la fede è fonte di luce e di calore per la vostra vita duramente provata. Dinanzi a Gesù, l’uomo del dolore, la vostra sofferenza e la vostra infermità acquistano un profondo significato. Sopportate col Divin Redentore le vostre prove ed egli sarà sempre per voi forza e sostegno.
* * *


Porgo, infine, il mio saluto e il mio augurio agli sposi novelli. A voi il mio compiacimento per la testimonianza umana e cristiana che offrite con la vostra visita; siate sempre fedeli alla dignità del sacramento che avete voi stessi celebrato; rispondete alle responsabilità di essere nella vita coniugale immagine vivente dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.

A tutti imparto la benedizione apostolica.




Mercoledì, 8 settembre 1982

8982


1. L’autore della lettera agli Efesini scrive: “Nessuno mai . . . ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo” (
Ep 5,29-30). Dopo questo versetto, l’Autore ritiene opportuno citare quello che nell’intera Bibbia può essere considerato il testo fondamentale sul matrimonio, testo contenuto in Genesi, capitolo 2,24: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola” (Ep 5,31 Gn 2,24). È possibile dedurre dall’immediato contesto della lettera agli Efesini che la citazione del Libro della Genesi (Gn 2,24) è qui necessaria non tanto per ricordare l’unità dei coniugi, definita fin “da principio” nell’opera della creazione, quanto per presentare il mistero di Cristo con la Chiesa, da cui l’Autore deduce la verità sull’unità dei coniugi. Questo è il punto più importante di tutto il testo, in certo senso, la sua chiave di volta.L’Autore della lettera agli Efesini racchiude in queste parole tutto ciò che ha detto in precedenza, tracciando l’analogia e presentando la somiglianza tra l’unità dei coniugi e l’unità di Cristo con la Chiesa. Riportando le parole del Libro della Genesi (Gn 2,24), l’Autore rileva che le basi di tale analogia vanno cercate nella linea che, nel piano salvifico di Dio, unisce il matrimonio, come la più antica rivelazione (e “manifestazione”) di quel piano nel mondo creato, con la rivelazione e “manifestazione” definitiva, la rivelazione cioè che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ep 5,25), conferendo al suo amore redentore indole e senso sponsale.

2. Così dunque questa analogia che permea il testo della lettera agli Efesini (Ep 5,22-23) ha la base ultima nel piano salvifico di Dio. Questo diverrà ancor più chiaro ed evidente quando collocheremo il brano del testo da noi analizzato nel complessivo contesto della lettera agli Efesini. Allora si comprenderà più facilmente la ragione per cui l’Autore, dopo aver citato le parole del Libro della Genesi (Gn 2,24), scrive: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ep 5,32).

Nel contesto globale della lettera agli Efesini e inoltre nel contesto più ampio delle parole della Sacra Scrittura che rivelano il piano salvifico di Dio “da principio”, bisogna ammettere che il termine “mysterion” significa qui il mistero, prima nascosto nel pensiero divino, e in seguito rivelato nella storia dell’uomo. Si tratta infatti di un mistero “grande”, data la sua importanza: quel mistero, come piano salvifico di Dio nei riguardi dell’umanità, è, in certo senso, il tema centrale di tutta la rivelazione, la sua realtà centrale. È ciò che Dio, come Creatore e Padre, desidera soprattutto trasmettere agli uomini nella sua Parola.

3. Si trattava di trasmettere non solo la “buona novella” sulla salvezza, ma di iniziare al tempo stesso l’opera della salvezza, come frutto della grazia che santifica l’uomo per la vita eterna nell’unione con Dio. Appunto sulla via di questa rivelazione-attuazione, san Paolo pone in rilievo la continuità tra la più antica alleanza, che Dio stabilì costituendo il matrimonio già nell’opera della creazione, e l’alleanza definitiva in cui Cristo, dopo aver amato la Chiesa e aver dato se stesso per lei, si unisce con essa in modo sponsale, corrispondente cioè all’immagine dei coniugi. Questa continuità dell’iniziativa salvifica di Dio costituisce la base essenziale della grande analogia contenuta nella lettera agli Efesini. La continuità della iniziativa salvifica di Dio significa la continuità e perfino l’identità del mistero, del “grande mistero”, nelle diverse fasi della sua rivelazione - quindi in certo senso, della sua “manifestazione” - ed insieme dell’attuazione; nella fase “più antica” dal punto di vista della storia dell’uomo e della salvezza e nella fase “della pienezza del tempo” (Ga 4,4).

4. È possibile intendere quel “grande mistero” come “sacramento”? L’Autore della lettera agli Efesini parla forse, nel testo da noi citato, del sacramento del matrimonio? Se non ne parla direttamente e in senso stretto - qui occorre esser d’accordo con l’opinione abbastanza diffusa dei biblisti e teologi - tuttavia sembra che in questo testo parli delle basi della sacramentalità di tutta la vita cristiana, e in particolare, delle basi della sacramentalità del matrimonio. Parla dunque della sacramentalità di tutta l’esistenza cristiana nella Chiesa e in specie del matrimonio in modo indiretto, tuttavia nel modo più fondamentale possibile.

5. “Sacramento” non è sinonimo di “mistero” (1). Il mistero infatti rimane “occulto” - nascosto in Dio stesso - cosicché anche dopo la sua proclamazione (ossia rivelazione) non cessa di chiamarsi “mistero”, e viene anche predicato come mistero. Il sacramento presuppone la rivelazione del mistero e presuppone anche la sua accettazione mediante la fede, da parte dell’uomo. Tuttavia esso è ad un tempo qualcosa di più che la proclamazione del mistero e l’accettazione di esso mediante la fede. Il sacramento consiste nel “manifestare” quel mistero in un segno che serve non solo a proclamare il mistero, ma anche ad attuarlo nell’uomo. Il sacramento è segno visibile ed efficace della grazia. Per suo mezzo si attua nell’uomo quel mistero nascosto dalla eternità in Dio, di cui parla, subito all’inizio, la lettera agli Efesini (cfr Ep 1,9) - mistero della chiamata alla santità, da parte di Dio, dell’uomo in Cristo, e mistero della sua predestinazione a divenire figlio adottivo. Esso si attua in modo misterioso, sotto il velo di un segno; nondimeno quel segno è pur sempre un “rendere visibile” quel mistero soprannaturale che agisce nell’uomo sotto il suo velo.

6. Prendendo in considerazione il passo della lettera agli Efesini qui analizzato, e in particolare le parole: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa”, bisogna costatare che l’Autore della Lettera scrive non soltanto del grande mistero nascosto in Dio, ma anche - e soprattutto - del mistero che si realizza per il fatto che Cristo, il quale con atto di amore redentore ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, col medesimo atto si è unito con la Chiesa in modo sponsale, così come si uniscono reciprocamente marito e moglie nel matrimonio istituito dal Creatore. Sembra che le parole della lettera agli Efesini motivino sufficientemente ciò che leggiamo all’inizio stesso della costituzione Lumen Gentium: “. . . la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium LG 1). Questo testo del Vaticano II non dice: “La Chiesa è sacramento”, ma “è come sacramento”, indicando con questo che della sacramentalità della Chiesa bisogna parlare in modo analogico e non identico rispetto a ciò che intendiamo quando ci riferiamo ai sette sacramenti amministrati dalla Chiesa per istituzione di Cristo. Se esistono le basi per parlare della Chiesa come di un sacramento, tali basi sono state per la maggior parte indicate appunto nella lettera agli Efesini.

7. Si può dire che tale sacramentalità della Chiesa è costituita da tutti i sacramenti per mezzo dei quali essa compie la sua missione santificatrice. Si può inoltre dire che la sacramentalità della Chiesa è fonte dei sacramenti, e in particolare del Battesimo e dell’Eucaristia, come risulta dal brano, già analizzato, della lettera agli Efesini (cfr Ep 5,25-30). Bisogna infine dire che la sacramentalità della Chiesa rimane in un particolare rapporto con il matrimonio: il sacramento più antico.




(1) Il “sacramento”, concetto centrale per le nostre considerazioni, ha fatto nel corso dei secoli una lunga strada. La storia semantica del termine “sacramento” occorre iniziarla dal termine greco “mystèrion”, che, per dir il vero, nel Libro di Giuditta significa ancora i piani militari del re (consiglio segreto, cf. Jdt 2,2), ma già nel Libro della Sapienza (Sg 2,22) e nella profezia di Daniele (Da 2,27) significa i piani creativi di Dio e il fine che Egli assegna al mondo e che sono rivelati soltanto ai confessori fedeli.

In tale senso “mystèrion” appare solo una volta nei Vangeli: “A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio” (Mc 4,11 e par.). Nelle grandi lettere di San Paolo quel termine ritorna sette volte, con punto culminante nella lettera ai Romani: “. . . secondo il Vangelo che io vi annunzio e il messaggio di Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora . . .” (Rm 16,25-26).

Nelle lettere posteriori avviene l’identificazione del “mystèrion” con il Vangelo (cfr Ep 6,19) e perfino con lo stesso Gesù Cristo (cfr Col 2,2 Col 4,3 Ep 3,4), il che costituisce una svolta nell’intendere il termine; “mystèrion” non è più soltanto il piano eterno di Dio, ma la realizzazione sulla terra di quel piano, rivelato in Gesù Cristo.

Perciò nel periodo patristico si cominciano a denominare “mystèrion” anche gli eventi storici attraverso cui si manifesta la volontà divina di salvare l’uomo. Già nel II secolo, negli scritti di Sant’Ignazio di Antiochia, di San Giustino e Melitone, i misteri della vita di Gesù, le profezie e le figure simboliche dell’Antico Testamento sono definiti con il termine “mystèrion”.

Nel III secolo cominciano ad apparire le più antiche versioni in latino della Sacra Scrittura, nelle quali il termine greco è tradotto sia col termine “mystèrion”, sia col termine “sacramentum” (ad es. Sg 2,22 Ep 5,32), forse per esplicito distacco dai riti misterici pagani e dalla neoplatonica mistagogia gnostica.

Tuttavia, originariamente il “sacramentum” significava il giuramento militare, prestato dai legionari romani. Dato che in esso si poteva distinguere l’aspetto di “iniziazione ad una nuova forma di vita”, “l’impegno senza riserva”, “il servizio fedele fino al rischio di morte”, Tertulliano rileva queste dimensioni nel sacramento cristiano del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia. Nel III secolo viene quindi applicato il termine “sacramentum” sia al mistero del piano salvifico di Dio in Cristo (cfr., ex. gr. , Ep 5,32), sia alla sua concreta realizzazione per mezzo delle sette fonti della grazia, chiamate oggi “sacramenti della Chiesa”.

Sant’Agostino, servendosi di vari significati di quel termine, chiamò sacramenti i riti religiosi sia dell’Antica che della Nuova Alleanza, i simboli e le figure bibliche come pure la religione cristiana rivelata. Tutti questi “sacramenti”, secondo Sant’Agostino, appartengono al grande sacramento: il mistero di Cristo e della Chiesa. Sant’Agostino influì sull’ulteriore precisazione del termine “sacramento”, sottolineando che i sacramenti sono segni sacri; che hanno in sé somiglianza con ciò che significano e che conferiscono ciò che significano. Contribuì quindi con le sue analisi ad elaborare una concisa definizione scolastica del sacramento: “signum efficax gratiae”.

Sant’Isidoro di Siviglia (VII secolo) sottolineò in seguito un altro aspetto: la misteriosa natura del sacramento che, sotto i veli delle specie materiali, nasconde l’azione dello Spirito Santo nell’anima dell’uomo.

Le somme teologiche del XII e XIII secolo formulano già le definizioni sistematiche dei sacramenti, ma un significato particolare ha la definizione di San Tommaso: “Non omne signum rei sacrae est sacramentum, sed solum ea quae significant perfectionem sanctitatis humanae” (III 60,2).

Come “sacramento” fu da allora in poi intesa esclusivamente una delle sette fonti della grazia e gli studi dei teologi si appuntarono sull’approfondimento dell’essenza e dell’azione dei sette sacramenti, elaborando, in via sistematica, le linee principali, contenute nella tradizione scolastica.

Solo nell’ultimo secolo è stata prestata attenzione agli aspetti del sacramento disattesi nel corso dei secoli, ad esempio alla sua dimensione ecclesiale e all’incontro personale con Cristo, che hanno trovato espressione nella Costituzione sulla Liturgia (SC 59). Tuttavia il Vaticano II torna soprattutto al significato originario del “sacramentum-mysterium”, denominando la Chiesa “sacramento universale della salvezza” (Lumen Gentium LG 48), sacramento, ossia “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium LG 1).

Il sacramento è qui inteso - conformemente al suo significato originario - come realizzazione dell’eterno piano divino relativo alla salvezza dell’umanità.




Ai fedeli di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai gruppi di espressione tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai gruppi di espressione portoghese

A un gruppo proveniente dalla Jugoslavia

Sia lodato Gesù e Maria. Saluto i pellegrini di Novi Sad e nella odierna festa della Madonna voglio che voi, cari pellegrini, rimaniate sempre fedeli a Gesù e Maria. Il Papa vi benedice.


Preghiera alla Madonna Nera di Jasna Góra



Diamo una traduzione in italiano del discorso in polacco del Papa.

1. Ricorre oggi la festa della Natività della Madre di Dio, solennità tanto celebrata nei diversi Santuari e in molti luoghi della nostra Patria.

“La tua Natività illumini tutte le Chiese”, così prega l’odierna liturgia.

2. Ogni anno, all’inizio di settembre, ricordiamo gli avvenimenti della seconda guerra mondiale, che hanno causato tante vittime nella nostra terra natale.

Cerchiamo di guardare a questa luttuosa tragedia in spirito di fede, attraverso il mistero della tua Natività.

In questa luce la grande comunità della Nazione abbraccia tutti i connazionali, che sono stati travolti negli avvenimenti della guerra negli anni 1939-45. Essi vivono nei nostri cuori.


3. Celebrando la festa della tua Natività, o Signora di Jasna Góra, abbracciamo, al tempo stesso, con la più grande sollecitudine coloro che dagli avvenimenti dell’attuale stato di guerra sono stati distaccati dalle loro famiglie, dalla loro vita abituale e dal lavoro.

Ci sta a cuore la sorte degli internati, che la società e la Chiesa possono aiutare.

Ci sta a cuore sempre più la sorte dei detenuti e condannati, ai quali la società e la Chiesa quasi non hanno accesso.

Con la massima inquietudine pensiamo a coloro che nel carcere si spingono fino allo sciopero della fame.

4. Tutti questi nostri fratelli e sorelle appartengono alla grande comunità della Nazione, così come appartengono quei sei milioni, che hanno dato la vita durante la seconda guerra mondiale.

La Nazione ha il diritto e il dovere di aver sollecitudine per loro, ha il diritto di adoperarsi affinché nei confronti dei prigionieri siano rispettati tutti i diritti dell’uomo.

Non siamo forse confessori del Cristo che disse “ero . . . carcerato e siete venuti a trovarmi”?

A te, Signora di Jasna Góra, Madre di Cristo imprigionato, raccomandiamo tutti gli internati ed i carcerati a causa dello stato di guerra nella nostra Patria.


Ai gruppi italiani

Rivolgo ora, un saluto particolare a tutti i partecipanti al Congresso promosso dal Segretariato degli Enti di Assistenza ai Carcerati. Carissimi, il vostro servizio di prevenzione e di assistenza nei confronti di tanti fratelli che hanno bisogno di ritrovare il retto cammino, è suggerito da una profonda generosità, ispirata ai principi della più nobile umanità e dell’amore cristiano. Soprattutto chi ha deviato necessita di un sostegno particolare per costruirsi interiormente la gioiosa speranza di un laborioso e valido reinserimento nella società. A tutti gli Organismi e le persone che si adoperano per questo elevato scopo di rieducazione, va il mio augurio, il mio plauso, il mio incoraggiamento, la mia benedizione.
* * *



Saluto anche i fedeli di Ravanusa, che celebrano quest’anno il 350° anniversario di fondazione della loro parrocchia. Carissimi, nel raccomandarvi di tener alte le vostre tradizioni di fede, invoco l’assistenza divina su di voi, sui vostri familiari e su tutti i vostri concittadini, con un particolare pensiero per quelli che hanno dovuto emigrare in cerca di lavoro, e tutti benedico di cuore.
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Saluto inoltre e benedico i membri del Circolo Dalmine di Castel Volpino.
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Il mio pensiero va poi a tutti i giovani presenti a questa Udienza. Oggi, festa della Natività della beata Vergine Maria, vi saluto con le parole di san Giovanni Damasceno, grande devoto della Madonna, pronunciate per questo giorno: “Venite tutti con letizia a celebrare la nascita della Letizia del mondo intero . . ., oggi è per il mondo l’inizio della salvezza”. La gioia per la nascita di Maria inondi i vostri cuori e vi aiuti a guardare al vostro avvenire con tanta speranza, con fiducia invitta nella sua protezione. Maria saprà fare di voi uomini e cristiani maturi.
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Anche a voi, cari ammalati, giunga la mia parola affettuosa e l’invito a gioire per la nascita dell’Immacolata Madre di Dio. Maria, pur concepita e nata senza macchia di peccato, ha partecipato in maniera mirabile alle sofferenze del suo divin Figlio, per essere Corredentrice dell’umanità. Voi lo sapete, il dolore se unito a quello del Redentore ha un grande ed insostituibile valore salvifico. Intuite, allora, la preziosità inestimabile della vostra grande missione, sulla quale invoco le consolazioni di Maria, le gioie più profonde che per voi ha preparato il suo purissimo Cuore di Madre.
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Il mio speciale saluto va ora agli Sposi novelli qui presenti. Sin dalla sua nascita, Maria occupa un posto privilegiato nel disegno di Dio, essa è la “Vergine che darà alla luce un Figlio” (Is 7,14): il Sole di giustizia, Cristo nostro Dio (Liturgia odierna). Vergine, Sposa e Madre, Maria sia il modello a cui si ispira la vostra unione fedele, indissolubile, feconda. Mentre vi auguro ogni vera gioia, vi affido a lei perché sia l’ispiratrice ed il sostegno continuo del vostro indefettibile amore in questa vita, destinato a perpetuarsi nell’eternità.





Catechesi 79-2005 10982