Catechesi 79-2005 24112

Mercoledì, 24 novembre 1982

24112


1. Abbiamo analizzato la lettera agli Efesini, e soprattutto il passo del capitolo 5, 22-33, dal punto di vista della sacramentalità del matrimonio. Ora esaminiamo ancora lo stesso testo nell’ottica delle parole del Vangelo.

Le parole di Cristo rivolte ai Farisei (cfr
Mt 19) si riferiscono al matrimonio quale sacramento, ossia alla rivelazione primordiale del volere e dell’operare salvifico di Dio “al principio”, nel mistero stesso della creazione. In virtù di quel volere ed operare salvifico di Dio, l’uomo e la donna, unendosi tra loro così da divenire “una sola carne” (Gn 2,24), erano ad un tempo destinati ad essere uniti “nella verità e nella carità” come figli di Dio (cfr Gaudium et Spes GS 24), figli adottivi nel Figlio Primogenito, diletto dall’eternità. A tale unità e verso tale comunione di persone, a somiglianza dell’unione delle persone divine (cfr Gn 2,24), sono dedicate le parole di Cristo, che si riferiscono al matrimonio come sacramento primordiale e nello stesso tempo confermano quel sacramento sulla base del mistero della Redenzione. Infatti, l’originaria “unità nel corpo” dell’uomo e della donna non cessa di plasmare la storia dell’uomo sulla terra, sebbene abbia perduto la limpidezza del sacramento, del segno della salvezza, che possedeva “al principio”.

2. Se Cristo di fronte ai suoi interlocutori, nel Vangelo di Matteo e di Marco (cfr Mt 19 Mc 10), conferma il matrimonio quale sacramento istituito dal Creatore “al principio” - se in conformità con questo ne esige l’indissolubilità - con ciò stesso apre il matrimonio all’azione salvifica di Dio, alle forze che scaturiscono “dalla redenzione del corpo” e che aiutano a superare le conseguenze del peccato e a costruire l’unità dell’uomo e della donna secondo l’eterno disegno del Creatore. L’azione salvifica che deriva dal mistero della Redenzione assume in sé l’originaria azione santificante di Dio nel mistero stesso della Creazione.

3. Le parole del Vangelo di Matteo (cfr Mt 19,3-9 Mc 10,2-12) hanno, al tempo stesso, una eloquenza etica molto espressiva. Queste parole confermano - in base al mistero della Redenzione - il sacramento primordiale e nello stesso tempo stabiliscono un ethos adeguato, che già nelle nostre precedenti riflessioni abbiamo chiamato “ethos della redenzione”. L’ethos evangelico e cristiano, nella sua essenza teologica, è l’ethos della redenzione. Possiamo certo trovare per quell’ethos una interpretazione razionale, una interpretazione filosofica di carattere personalistico; tuttavia, nella sua essenza teologica, esso è un ethos della redenzione, anzi: “un ethos della redenzione del corpo”. La redenzione diviene ad un tempo la base per comprendere la particolare dignità del corpo umano, radicata nella dignità personale dell’uomo e della donna. La ragione di questa dignità sta appunto alla radice dell’indissolubilità dell’alleanza coniugale.

4. Cristo fa riferimento al carattere indissolubile del matrimonio come sacramento primordiale e, confermando questo sacramento sulla base del mistero della redenzione, ne trae ad un tempo le conclusioni di natura etica: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,11 cfr Mt 19,9). Si può affermare che in tal modo la redenzione è data all’uomo come grazia della nuova alleanza con Dio in Cristo - ed insieme gli è assegnata come ethos: come forma della morale corrispondente all’azione di Dio nel mistero della Redenzione. Se il matrimonio come sacramento è un segno efficace dell’azione salvifica di Dio “dal principio”, al tempo stesso - nella luce delle parole di Cristo qui meditate - questo sacramento costituisce anche una esortazione rivolta all’uomo, maschio e femmina, affinché partecipino coscienziosamente alla redenzione del corpo.

5. La dimensione etica della redenzione del corpo si delinea in modo particolarmente profondo, quando meditiamo sulle parole pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna in rapporto al comandamento “Non commettere adulterio”. “Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,27-28). A questo lapidario enunciato di Cristo abbiamo precedentemente dedicato un ampio commento, nella convinzione che esso ha un significato fondamentale per tutta la teologia del corpo, soprattutto nella dimensione dell’uomo “storico”. E sebbene queste parole non si riferiscano direttamente ed immediatamente al matrimonio come sacramento, tuttavia è impossibile separarle dall’intero sostrato sacramentale, in cui, per quanto riguarda il patto coniugale, è stata collocata l’esistenza dell’uomo quale maschio e femmina: sia nel contesto originario del mistero della Creazione, sia pure, in seguito, nel contesto del mistero della Redenzione. Questo sostrato sacramentale riguarda sempre le persone concrete, penetra in ciò che è l’uomo e la donna (o piuttosto in chi è l’uomo e la donna) nella propria originaria dignità di immagine e somiglianza con Dio a motivo della creazione, ed insieme nella stessa dignità ereditata malgrado il peccato e di nuovo continuamente “assegnata” come compito all’uomo mediante la realtà della Redenzione.


6. Cristo, che nel Discorso della Montagna dà la propria interpretazione del comandamento “Non commettere adulterio” - interpretazione costitutiva del nuovo ethos - con le medesime lapidarie parole assegna come compito ad ogni uomo la dignità di ogni donna; e contemporaneamente (sebbene dal testo ciò risulti solo in modo indiretto) assegna anche ad ogni donna la dignità di ogni uomo (Il testo di San Marco che parla dell’indissolubilità del matrimonio afferma chiaramente che anche la donna diventa soggetto dell’adulterio,quando ripudia il marito e sposa un altro [cf. Mc 10, 12]). Assegna infine a ciascuno - sia all’uomo che alla donna - la propria dignità: in certo senso, il “sacrum” della persona, e ciò in considerazione della sua femminilità o mascolinità, in considerazione del “corpo”. Non è difficile rilevare che le parole pronunciate da Cristo nel Discorso della Montagna riguardano l’ethos. Al tempo stesso, non è difficile affermare, dopo una riflessione approfondita, che tali parole scaturiscono dalla profondità stessa della redenzione del corpo. Benché esse non si riferiscano direttamente al matrimonio come sacramento, non è difficile costatare che raggiungono il loro proprio e pieno significato in rapporto con il sacramento: sia quello primordiale, che è unito con il mistero della Creazione, sia quello in cui l’uomo “storico”, dopo il peccato e a motivo della sua peccaminosità ereditaria, deve ritrovare la dignità e santità dell’unione coniugale “nel corpo”, in base al mistero della Redenzione.

7. Nel Discorso della Montagna - come anche nel colloquio con i Farisei sull’indissolubilità del matrimonio - Cristo parla dal profondo di quel mistero divino. E in pari tempo si addentra nella profondità stessa del mistero umano. Perciò fa richiamo al “cuore”, a quel “luogo intimo”, in cui combattono nell’uomo il bene e il male, il peccato e la giustizia, la concupiscenza e la santità. Parlando della concupiscenza (dello sguardo concupiscente) (cfr Mt 5,28), Cristo rende consapevoli i suoi ascoltatori che ognuno porta in sé, insieme al mistero del peccato, la dimensione interiore “dell’uomo della concupiscenza” (che è triplice: “concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita”) (1Jn 2,16). Proprio a quest’uomo della concupiscenza è dato nel matrimonio il sacramento della Redenzione come grazia e segno dell’alleanza con Dio - e gli è assegnato “come ethos”.E contemporaneamente, in rapporto con il matrimonio come sacramento, esso è assegnato come ethos a ciascun uomo, maschio e femmina: è assegnato al suo “cuore”, alla sua coscienza, ai suoi sguardi e al suo comportamento. Il matrimonio - secondo le parole di Cristo (cfr Mt 19,4) - è sacramento dal “principio” stesso e ad un tempo, in base alla peccaminosità “storica” dell’uomo, è sacramento sorto dal mistero della “redenzione del corpo”.

Ai pellegrini francesi

Ai gruppi di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Preghiera alla Vergine di Czstochowa



Della preghiera diamo una nostra traduzione italiana.

Da mesi perdura questa preghiera alla Signora di Jasna Góra e Madre della mia Nazione, in relazione al giubileo della sua beata Effigie.

Nel mese di novembre la preghiera s’indirizza particolarmente verso i nostri morti. Poiché ad essi è dedicato questo mese, iniziato dalla solennità di Tutti i Santi e dalla commemorazione di tutti i Fedeli Defunti.

Sto, quindi, in spirito - con la mente e con il cuore - presso le tombe dei miei genitori, del fratello e della sorella, dei parenti, degli amici, dei conoscenti, dei connazionali.

Scendo - come ho fatto per molti anni nella Cattedrale di Wawel - alle cripte che conservano le ceneri dei re della nazione, dei suoi condottieri e vati.

Visito - come ho fatto anche per molti anni - il grande cimitero di Oswiecin, la fossa di quattro milioni di vittime della crudeltà inumana.

E in spirito abbraccio tutti i cimiteri, i campi di battaglia, i campi di morte e tutte le tombe della mia terra nativa, che racchiudono in sé le ceneri dei Caduti per la Patria e dei trucidati per la giusta causa . . . di tutti i defunti.

Imploro per essi l’eterno riposo. E insieme sulle tombe dei morti, chiedo a te, o Signora di Jasna Góra, la Vita, la Vita piena di verità e di speranza per i viventi.


“Regem, cui omnia vivunt, venite, adoremus”!

Ai sacerdoti dell’OASNI

Desidero salutare il gruppo di sacerdoti, i quali in questi giorni si sono dati convegno a Roma per riflettere sul tema: “Catechesi nel mondo del Circo e Luna Park”, con la partecipazione di Monsignor Sennen Corrà, Vescovo di Chioggia e promotore dell’iniziativa.

Vi ringrazio per la vostra presenza a questa Udienza e soprattutto per l’opera che svolgete in un campo tanto importante per la diffusione del Vangelo. Vi sia di sostegno la mia speciale benedizione.

Ai Rettori dei Santuari Mariani d’Italia

Il mio affettuoso saluto va ora ai Rettori dei Santuari Mariani d’Italia, riuniti in questi giorni in convegno a Roma, per approfondire il tema: “Maria e l’Eucaristia nella comunità pellegrinante ai Santuari”.

Carissimi, vi esprimo il mio compiacimento per l’argomento prescelto, che si inserisce nel programma pastorale della Chiesa Italiana, impegnata nella riflessione su “Comunione e Comunità”, e ormai avviata verso la celebrazione del XX Congresso Eucaristico Nazionale.

Il Santuario Mariano è un luogo privilegiato per un incontro con Maria santissima, e, con lei ed in lei, per sperimentare più a fondo la ricchezza del Mistero Eucaristico, e per realizzare una più profonda comunione con la Chiesa.

Maria infatti si può dire, allo stesso tempo, la “culla” del Mistero Eucaristico e della Chiesa. Se l’Eucaristia costruisce quella comunità d’amore che è frutto dell’Amore di Cristo, nell’intimità filiale con Maria troviamo la via per scoprire questo mistero d’Amore agli albori del suo incarnarsi nella nostra storia. La Madre di questo Amore benedica i vostri lavori.

Ai giovani, agli ammalati, agli sposi

Il mio cordiale ed affettuoso benvenuto si rivolge ora a voi, carissimi giovani, studenti e lavoratori convenuti da ogni parte d’Italia. Consapevoli come siete della vostra dignità battesimale di figli di Dio, sappiate esprimere il vostro entusiasmo come logica conseguenza di tale grandezza; come pure la generosità delle vostre intenzioni scaturisca sempre dalla vostra fede in Cristo Gesù. Siate portatori e diffusori di gioia per significare che siete in pace con Dio, col prossimo, con voi stessi. Vi accompagna la mia benedizione.
* * *


A voi, amatissimi infermi, uno speciale pensiero: di ringraziamento per la vostra tanto gradita visita; di augurio, perché possiate sentirvi sempre più sorretti nella vostra sofferenza dalla certezza che la vostra umile accettazione della prova, permessa dal Signore, è sorgente feconda di energie soprannaturali. A tale riguardo, il Papa prega per voi e di cuore vi benedice, unitamente ai vostri cari ed a quanti amorevolmente vi assistono.
* * *


Cari sposi, siate fedeli alla promessa di amore che fa di voi una realtà unica, una famiglia, una “piccola Chiesa”, in cui deve sempre regnare il rispetto reciproco, la mutua comprensione, ma soprattutto l’amore di Dio, unico vero garante, nelle difficoltà e nei disagi, del vostro affetto e della vostra felicità. Vi sia d’incoraggiamento la mia benedizione apostolica.



Mercoledì, 1° dicembre 1982

11282

1. Abbiamo fatto l’analisi della lettera agli Efesini, e soprattutto del passo del capitolo 5, 22-33, nella prospettiva della sacramentalità del matrimonio. Ora cercheremo ancora una volta di considerare il medesimo testo alla luce delle parole del Vangelo e delle lettere paoline ai Corinzi e ai Romani.

Il matrimonio - come sacramento nato dal mistero della Redenzione e rinato, in certo senso, nell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa - è una efficace espressione della potenza salvifica di Dio, che realizza il suo eterno disegno anche dopo il peccato e malgrado la triplice concupiscenza, nascosta nel cuore di ogni uomo, maschio e femmina. Come espressione sacramentale di quella potenza salvifica, il matrimonio è anche un’esortazione a dominare la concupiscenza (come ne parla Cristo nel Discorso della Montagna). Frutto di tale dominio è l’unità e indissolubilità del matrimonio, e inoltre, l’approfondito senso della dignità della donna nel cuore dell’uomo (come anche della dignità dell’uomo nel cuore della donna), sia nella convivenza coniugale, sia in ogni altro àmbito dei rapporti reciproci.

2. La verità, secondo cui il matrimonio, quale sacramento della redenzione, è dato “all’uomo della concupiscenza”, come grazia e in pari tempo come ethos, ha trovato particolare espressione anche nell’insegnamento di san Paolo, specialmente nel 7° capitolo della prima lettera ai Corinzi. L’Apostolo, confrontando il matrimonio con la verginità (ossia con la “continenza per il regno dei cieli”) e dichiarandosi per la “superiorità” della verginità, costata ugualmente che “ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro” (
1Co 7,7). In base al mistero della Redenzione, al matrimonio corrisponde dunque un “dono” particolare, ossia la grazia. Nello stesso contesto l’Apostolo dando consigli ai suoi destinatari, raccomanda il matrimonio “per il pericolo dell’incontinenza” (1Co 7,2), e in seguito raccomanda ai coniugi che “il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito” (1Co 7,3). E continua così: “È meglio sposarsi che ardere” (1Co 7,9).

3. Su questi enunciati paolini si è formata l’opinione che il matrimonio costituisca uno specifico “remedium concupiscentiae”. Tuttavia san Paolo, il quale, come abbiamo potuto costatare, insegna esplicitamente che al matrimonio corrisponde un “dono” particolare e che nel mistero della Redenzione il matrimonio è dato all’uomo e alla donna come grazia, esprime nelle sue parole, suggestive ed insieme paradossali, semplicemente il pensiero che il matrimonio è assegnato ai coniugi come ethos. Nelle parole paoline “È meglio sposarsi che ardere”, il verbo “ardere” significa il disordine delle passioni, proveniente dalla stessa concupiscenza della carne (analogamente viene presentata la concupiscenza nell’Antico Testamento dal Siracide) (cfr Si 23,17). Il “matrimonio”, invece, significa l’ordine etico, introdotto consapevolmente in questo àmbito. Si può dire che il matrimonio è luogo d’incontro dell’ eros con l’ ethos e del reciproco compenetrarsi di essi nel “cuore” dell’uomo e della donna, come pure in tutti i loro rapporti reciproci.

4. Questa verità - che cioè il matrimonio, quale sacramento scaturito dal mistero della Redenzione, è dato all’uomo “storico” come grazia ed insieme come ethos - determina inoltre il carattere del matrimonio quale uno dei sacramenti della Chiesa. Come sacramento della Chiesa, il matrimonio ha indole di indissolubilità. Come sacramento della Chiesa, esso è anche parola dello Spirito, che esorta l’uomo e la donna a modellare tutta la loro convivenza attingendo forza dal mistero della “redenzione del corpo”. In tal modo, essi sono chiamati alla castità come allo stato di vita “secondo lo Spirito” che è loro proprio (cfr Rm 8,4-5 Ga 5,25). La redenzione del corpo significa, in questo caso, anche quella “speranza” che, nella dimensione del matrimonio, può essere definita speranza del giorno quotidiano, speranza della temporalità. Sulla base di una tale speranza viene dominata la concupiscenza della carne come fonte della tendenza ad un egoistico appagamento, e la stessa “carne”, nell’alleanza sacramentale della mascolinità e femminilità, diventa lo specifico “sostrato” di una comunione duratura ed indissolubile delle persone (“communio personarum”) al modo degno delle persone.

5. Coloro che, come coniugi, secondo l’eterno disegno divino si uniscono così da divenire, in certo senso, “una sola carne”, sono anche a loro volta chiamati, mediante il sacramento, ad una vita “secondo lo Spirito”, tale che corrisponda al “dono” ricevuto nel sacramento. In virtù di quel “dono”, conducendo come coniugi una vita “secondo lo Spirito”, sono capaci di riscoprire la particolare gratificazione, di cui sono divenuti partecipi. Quanto la “concupiscenza” offusca l’orizzonte della visuale interiore, toglie ai cuori la limpidezza dei desideri e delle aspirazioni, altrettanto la vita “secondo lo Spirito” (ossia la grazia del sacramento del matrimonio) consente all’uomo e alla donna di ritrovare la vera libertà del dono, unita alla consapevolezza del senso sponsale del corpo nella sua mascolinità e femminilità.


6. La vita “secondo lo Spirito” si esprime dunque anche nel reciproco “unirsi” (cfr Gn 4,1), con cui i coniugi, divenendo “una sola carne”, sottopongono la loro femminilità e mascolinità alla benedizione della procreazione: “Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì . . . e disse: Ho acquistato un uomo dal Signore” (Gn 4,1).

La vita “secondo lo Spirito” si esprime anche qui nella consapevolezza della gratificazione, a cui corrisponde la dignità degli stessi coniugi in qualità di genitori, cioè si esprime nella profonda consapevolezza della santità della vita (“sacrum”), a cui ambedue danno origine, partecipando - come i progenitori - alle forze del mistero della creazione. Alla luce di quella speranza, che è connessa col mistero della redenzione del corpo (cfr Rm 8,19-23), questa nuova vita umana, l’uomo nuovo concepito e nato dall’unione coniugale di suo padre e di sua madre, si apre alle “primizie dello Spirito” (Rm 8,23) “per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21). E se “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,22), una particolare speranza accompagna le doglie della madre partoriente, cioè la speranza della “rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19), speranza di cui ogni neonato che viene al mondo porta con sé una scintilla.

7. Questa speranza che è “nel mondo”, compenetrando - come insegna san Paolo - tutta la creazione, non è, al tempo stesso, “dal mondo”. Ancor più: essa deve combattere nel cuore umano con ciò che è “dal mondo”, con ciò che è “nel mondo”. “Perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo” (1Jn 2,16). Il matrimonio, come sacramento primordiale ed insieme come sacramento nato nel mistero della redenzione del corpo dall’amore sponsale di Cristo e della Chiesa, “viene dal Padre”. Non è “dal mondo”, ma “dal Padre”. Di conseguenza, anche il matrimonio, come sacramento, costituisce la base della speranza per la persona, cioè per l’uomo e per la donna, per i genitori e per i figli, per le generazioni umane. Da una parte, infatti, “passa il mondo con la sua concupiscenza”, dall’altra “chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Jn 2,17). Con il matrimonio, quale sacramento, è unita l’origine dell’uomo nel mondo, e in esso è anche iscritto il suo avvenire, e ciò non soltanto nelle dimensioni storiche, ma anche in quelle escatologiche.

8. A ciò si riferiscono le parole, in cui Cristo si richiama alla risurrezione dei corpi - parole riportate dai tre sinottici (cfr Mt 22,23-32 Mc 12,18-27 Lc 20,34-39). “Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo”: così Matteo e in modo simile Marco; ed ecco Luca: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dei morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20,34-36). Questi testi sono stati sottoposti in precedenza ad una analisi particolareggiata.

9. Cristo afferma che il matrimonio - sacramento dell’origine dell’uomo nel mondo visibile temporaneo - non appartiene alla realtà escatologica del “mondo futuro”. Tuttavia l’uomo, chiamato a partecipare a questo avvenire escatologico mediante la risurrezione del corpo, è il medesimo uomo, maschio e femmina, la cui origine nel mondo visibile temporaneo è collegata col matrimonio quale sacramento primordiale del mistero stesso della creazione. Anzi, ogni uomo, chiamato a partecipare alla realtà della futura risurrezione, porta nel mondo questa vocazione, per il fatto che nel mondo visibile temporaneo ha la sua origine per opera del matrimonio dei suoi genitori. Così, dunque, le parole di Cristo, che escludono il matrimonio dalla realtà del “mondo futuro”, al tempo stesso svelano indirettamente il significato di questo sacramento per la partecipazione degli uomini, figli e figlie, alla futura risurrezione.

10. Il matrimonio, che è sacramento primordiale - rinato, in un certo senso, nell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa - non appartiene alla “redenzione del corpo” nella dimensione della speranza escatologica (cfr Rm 8,23). Lo stesso matrimonio dato all’uomo come grazia, come “dono” destinato da Dio appunto ai coniugi, e al tempo stesso assegnato loro, con le parole di Cristo, come ethos - quel matrimonio sacramentale si compie e si realizza nella prospettiva della speranza escatologica. Esso ha un significato essenziale per la “redenzione del corpo” nella dimensione di questa speranza. Proviene, difatti, dal Padre ed a lui deve la sua origine nel mondo. E se questo “mondo passa”, e se con esso passano anche la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, che vengono “dal mondo”, il matrimonio come sacramento serve immutabilmente affinché l’uomo, maschio e femmina, dominando la concupiscenza, faccia la volontà del Padre. E chi “fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Jn 2,17).

11. In tale senso il matrimonio, come sacramento, porta in sé anche il germe dell’avvenire escatologico dell’uomo, cioè la prospettiva della “redenzione del corpo” nella dimensione della speranza escatologica, a cui corrispondono le parole di Cristo circa la risurrezione: “Alla risurrezione . . . non si prende né moglie né marito” (Mt 22,30); tuttavia, anche coloro che, “essendo figli della risurrezione . . . sono uguali agli angeli e . . . sono figli di Dio” (Lc 20,36), debbono la propria origine nel mondo visibile temporaneo al matrimonio e alla procreazione dell’uomo e della donna. Il matrimonio, come sacramento del “principio” umano, come sacramento della temporalità dell’uomo storico, compie in tal modo un insostituibile servizio riguardo al suo avvenire extra-temporale, riguardo al mistero della “redenzione del corpo” nella dimensione della speranza escatologica.

Ai pellegrini francesi e agli esperti della pastorale dei nomadi


Ai pellegrini di espressione linguistica inglese

Ai gruppi di espressione tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola


Alle Suore Missionarie del Buon Pastore

Ai fedeli di espressione portoghese

Ai pellegrini della Polonia


Del discorso in polacco diamo una traduzione in italiano.


Signora di Jasna Góra!

Innalzo il mio grido a te nel Giubileo del 600° anniversario della tua Effigie in terra polacca.

Grido a te all’inizio dell’Avvento.

Le Chiese e le Cappelle risuonano con il canto: “Mandateci giù sulle pianure terrene / o nuvole dei cieli, il Salvatore. / Il mondo sventurato a causa dei peccati / ha gridato nella notte profonda . . .”.

E in questa notte di dicembre dell’Avvento polacco, la gente s’incammina con premura alla Messa del “Rorate”, nella quale esprime la sua speranza e l’attesa del Messia.

Negli ultimi giorni ho ricevuto una lettera. La sua autrice scrive tra l’altro così: “Malgrado la nostra enorme debolezza, ci è rimasta ancora la capacità di amare, e perciò le nostre Chiese sono piene di preghiera e di speranza . . .”.

Cristo è, costantemente, la speranza del mondo; è la sua attesa. Ciò è espresso, ogni anno, in modo speciale nel periodo di Avvento.

Giunga questa verità a tutti. In particolare a coloro che soffrono di più.

E la luce dell’Avvento, simboleggiata dal cero che si accende durante la Messa del “Rorate”, ricordi ogni giorno che la tua Immagine di Jasna Góra si leva sulla Polonia, come la “Stella mattutina”.

Ai gruppi di lingua italiana

Un cordiale benvenuto porgo ora al folto gruppo di alunni ed ex alunni del Collegio Nazareno di Roma, che accompagnano la bambina Carolina Di Pietro, distintasi per continui gesti di bontà nell’assistere una sua condiscepola impedita, meritando così il premio istituito presso quel Collegio. Rivolgo a tutti voi, cari giovani e fanciulli, l’esortazione ad esercitarvi quotidianamente in atti di generoso servizio in seno alle vostre famiglie e tra i coetanei, per prepararvi fin da ora alla costruzione di una società più pacifica ed ordinata. Con la mia benedizione apostolica.
* * *


Un affettuoso saluto rivolgo a voi, giovani presenti a questo incontro, che avviene all’inizio del Tempo liturgico di Avvento. Auguro - con le parole della Liturgia di domenica scorsa - che Iddio Padre susciti in voi la volontà di andare incontro con le buone opere a Cristo che viene. Tali opere sono la coerenza tra fede e vita quotidiana, la generosa carità verso i fratelli, specialmente bisognosi della nostra comprensione e del nostro aiuto. A voi tutti la mia benedizione apostolica.
* * *


Indirizzo anche il mio saluto a voi tutti, fratelli ammalati, che Gesù ha voluto associare ancor più intimamente alla sua debolezza e fragilità umana. Forti della speranza cristiana, che lenisce e dà un senso soprannaturale al vostro dolore, offrite le vostre sofferenze ed innalzate le vostre preghiere per tutta l’Umanità, sempre bisognosa della misericordia di Dio. La mia benedizione apostolica sia di conforto ora e sempre a voi, ed in particolare ai componenti del pellegrinaggio, organizzato dalla Sottosezione di Imola dell’UNITALSI, infermi, dame di carità, barellieri e cappellani.
* * *


Infine, il mio ricordo e il mio saluto anche per voi, Sposi novelli, che in questi giorni avete consacrato il vostro amore di fronte a Dio, alla Chiesa e alla società mediante il sacramento del Matrimonio.

Affido oggi alla Vergine santissima i vostri ideali ed i vostri propositi di costruire la vostra nascente famiglia come una “Chiesa in miniatura”. Vi accompagno in questo vostro cammino di fede e di carità con la mia benedizione apostolica.


Mercoledì, 15 dicembre 1982

15122


1. L’Autore della lettera agli Efesini, come abbiamo già visto, parla di un “grande mistero”, unito al sacramento primordiale mediante la continuità del piano salvifico di Dio. Anche egli si riporta al “principio”, come aveva fatto Cristo nel colloquio con i Farisei (cfr
Mt 19,8), citando le stesse parole: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24). Quel “grande mistero” è soprattutto il mistero della unione di Cristo con la Chiesa, che l’Apostolo presenta nella similitudine dell’unità dei coniugi: “Lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ep 5,32). Ci troviamo nell’àmbito della grande analogia, in cui il matrimonio come sacramento da un lato viene presupposto e, dall’altro, riscoperto. Viene presupposto come sacramento del “principio” umano, unito al mistero della creazione. E viene invece riscoperto come frutto dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa, collegato col mistero della Redenzione.

2. L’Autore della lettera agli Efesini, rivolgendosi direttamente ai coniugi, li esorta a plasmare il loro rapporto reciproco sul modello dell’unione sponsale di Cristo e della Chiesa. Si può dire che - presupponendo la sacramentalità del matrimonio nel suo significato primordiale - ordina loro di apprendere nuovamente questo sacramento dall’unione sponsale di Cristo e della Chiesa: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa . . .” (Ep 5,25-26). Questo invito, indirizzato dall’Apostolo ai coniugi cristiani, ha la sua piena motivazione in quanto essi, mediante il matrimonio come sacramento, partecipano all’amore salvifico di Cristo, che si esprime al tempo stesso come amore sponsale di lui verso la Chiesa. Alla luce della lettera agli Efesini - appunto mediante la partecipazione a questo amore salvifico di Cristo - viene confermato ed insieme rinnovato il matrimonio come sacramento del “principio” umano, cioè sacramento in cui l’uomo e la donna, chiamati a diventare “una sola carne”, partecipano all’amore creatore di Dio stesso. E vi partecipano, sia per il fatto che, creati ad immagine di Dio, sono stati chiamati in virtù di questa immagine ad una particolare unione (“communio personarum”), sia perché questa stessa unione è stata fin dal principio benedetta con la benedizione della fecondità (cfr Gn 1,28).

3. Tutta questa originaria e stabile struttura del matrimonio come sacramento del mistero della creazione - secondo il “classico” testo della lettera agli Efesini (Ep 5,21-33) - si rinnova nel mistero della Redenzione, quando quel mistero assume l’aspetto della gratificazione sponsale della Chiesa da parte di Cristo. Quell’originaria e stabile forma del matrimonio, si rinnova quando gli sposi lo ricevono come sacramento della Chiesa, attingendo alla nuova profondità della gratificazione dell’uomo da parte di Dio, che si è svelata e aperta col mistero della Redenzione, quando “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa . . .” (Ep 5,25-26). Si rinnova quella originaria e stabile immagine del matrimonio come sacramento, quando i coniugi cristiani - consapevoli dell’autentica profondità della “redenzione del corpo” - si uniscono “nel timore di Cristo” (Ep 5,21).

4. L’immagine paolina del matrimonio, iscritta nel “grande mistero” di Cristo e della Chiesa, accosta la dimensione redentrice dell’amore alla dimensione sponsale. In certo senso unisce queste due dimensioni in una sola. Cristo è divenuto sposo della Chiesa, ha sposato la Chiesa come sua sposa, perché “ha dato se stesso per lei” (Ep 5,25). Mediante il matrimonio come sacramento (come uno dei sacramenti della Chiesa) ambedue queste dimensioni dell’amore, quella sponsale e quella redentrice, insieme con la grazia del sacramento, penetrano nella vita dei coniugi. Il significato sponsale del corpo nella sua mascolinità e femminilità, che si è manifestato per la prima volta nel mistero della creazione sullo sfondo dell’innocenza originaria dell’uomo, viene collegato nell’immagine della lettera agli Efesini col significato redentore, e in tal modo confermato e in certo senso “nuovamente creato”.


5. Questo è importante riguardo al matrimonio, alla vocazione cristiana dei mariti e delle mogli. Il testo della lettera agli Efesini (Ep 5,21-33) si rivolge direttamente a loro e parla soprattutto a loro. Tuttavia, quel collegamento del significato sponsale del corpo con il suo significato “redentore” è ugualmente essenziale e valido per l’ermeneutica dell’uomo in generale: per il fondamentale problema della comprensione di lui e dell’auto-comprensione del suo essere nel mondo. È ovvio che non possiamo escludere da questo problema l’interrogativo sul senso di essere corpo, sul senso di essere, in quanto corpo, uomo e donna. Questi interrogativi sono stati posti per la prima volta in rapporto con l’analisi del “principio” umano, nel contesto del libro della Genesi. Fu quel contesto stesso, in certo senso, ad esigere che fossero posti. Ugualmente lo richiede il “classico” testo della lettera agli Efesini. E se il “grande mistero” dell’unione di Cristo con la Chiesa ci obbliga a collegare il significato sponsale del corpo con il suo significato redentore, in tale collegamento i coniugi trovano la risposta all’interrogativo sul senso di “essere corpo”, e non solo essi, benché soprattutto a loro sia indirizzato questo testo della lettera dell’Apostolo.

6. L’immagine paolina del “grande mistero” di Cristo e della Chiesa parla indirettamente anche della “continenza per il regno dei cieli”, in cui ambedue le dimensioni dell’amore, sponsale e redentore, si uniscono reciprocamente in un modo diverso da quello matrimoniale, secondo diverse proporzioni. Non è forse quell’amore sponsale, con cui Cristo “ha amato la Chiesa”, sua sposa, “e ha dato se stesso per lei”, ugualmente la più piena incarnazione dell’ideale della “continenza per il regno dei cieli” (cfr Mt 19,12)? Non trovano sostegno proprio in essa tutti coloro - uomini e donne - che, scegliendo lo stesso ideale, desiderano collegare la dimensione sponsale dell’amore con la dimensione redentrice, secondo il modello di Cristo stesso? Essi desiderano confermare con la loro vita che il significato sponsale del corpo - della sua mascolinità o femminilità -, profondamente inscritto nella struttura essenziale della persona umana, è stato aperto in un modo nuovo, da parte di Cristo e con l’esempio della sua vita, alla speranza unita alla redenzione del corpo. Così, dunque, la grazia del mistero della Redenzione fruttifica anche - anzi fruttifica in modo particolare - con la vocazione alla continenza “per il regno dei cieli”.

7. Il testo della lettera agli Efesini (Ep 5,22-23) non ne parla esplicitamente. Esso è indirizzato ai coniugi e costruito secondo l’immagine del matrimonio, che attraverso l’analogia spiega l’unione di Cristo con la Chiesa: unione nell’amore redentore e sponsale insieme. Non è forse appunto questo amore che, quale viva e vivificante espressione del mistero della Redenzione, oltrepassa il cerchio dei destinatari della lettera circoscritti dall’analogia del matrimonio? Non abbraccia ogni uomo e, in certo senso, tutto il creato, come denota il testo paolino sulla “redenzione del corpo” nella lettera ai Romani (cfr Rm 8,23)? Il “sacramentum magnum” in tal senso è addirittura un nuovo sacramento dell’uomo in Cristo e nella Chiesa: sacramento “dell’uomo e del mondo”, così come la creazione dell’uomo, maschio e femmina, ad immagine di Dio fu l’originario sacramento dell’uomo e del mondo. In questo nuovo sacramento della redenzione è inscritto organicamente il matrimonio, così come fu inscritto nell’originario sacramento della creazione.

8. L’uomo, che “dal principio” è maschio e femmina, deve cercare il senso della sua esistenza e il senso della sua umanità giungendo fino al mistero della creazione attraverso la realtà della Redenzione. Ivi si trova anche la risposta essenziale all’interrogativo sul significato del corpo umano, sul significato della mascolinità e femminilità della persona umana. L’unione di Cristo con la Chiesa ci consente di intendere in quale modo il significato sponsale del corpo si completa con il significato redentore, e ciò nelle diverse strade della vita e nelle diverse situazioni: non soltanto nel matrimonio o nella “continenza” (ossia verginità o celibato), ma anche, per esempio, nella multiforme sofferenza umana, anzi: nella stessa nascita e morte dell’uomo. Attraverso il “grande mistero”, di cui tratta la lettera agli Efesini, attraverso la nuova alleanza di Cristo con la Chiesa, il matrimonio viene nuovamente inscritto in quel “sacramento dell’uomo” che abbraccia l’universo, nel sacramento dell’uomo e del mondo, che grazie alle forze della “redenzione del corpo” si modella secondo l’amore sponsale di Cristo e della Chiesa fino alla misura del compimento definitivo nel regno del Padre.

Il matrimonio come sacramento rimane una parte viva e vivificante di questo processo salvifico.


La preghiera alla Signora di Jasna Góra


Questo il testo della preghiera in una nostra traduzione italiana.


Signora di Jasna Góra! Unito a te nel segno della tua Effigie di Jasna Góra, cerco di condividere la sollecitudine della Chiesa e della Nazione che i Vescovi polacchi manifestano nel Comunicato della loro recente Conferenza:

“Nel settore dei problemi sociali i Vescovi ricordano che la Chiesa è corresponsabile della sorte della Nazione, nella quale essa svolge la sua missione apostolica. Nello spirito di questa responsabilità la Chiesa desidera contribuire al consolidamento e alla crescita del bene comune, prima di tutto mediante l’insegnamento della fede di Cristo e l’approfondimento della morale cristiana nella vita individuale e sociale. La missione della Chiesa ha carattere religioso; essa però non viene realizzata al di fuori delle condizioni della vita sociale e politica. È dovere della Chiesa di prendere la parola ogni volta che lo richiede il bene spirituale dei fedeli e la difesa dei valori morali e della dignità della persona umana.

Negli ultimi mesi si sono verificati alcuni avvenimenti, nel nostro Paese, che hanno colpito dolorosamente interi gruppi sociali e numerose singole persone. Tra l’altro sono stati sciolti tutti i sindacati, tra i quali anche il Sindacato Indipendente ed Autonomo «Solidarnosc», che godeva il riconoscimento di vasti cerchi sociali, e il Sindacato Indipendente Autonomo «Solidarnosc» degli Agricoltori.

È da rimpiangere che non siano state scelte altre vie, quando la nazione aspira alla pace e all’ordine sociale. La Chiesa ritiene che la costruzione della durevole pace sociale richiede il rispetto delle giuste aspirazioni della società, organizzata in gruppi sociali, in base agli accordi raggiunti e alle convenzioni ottenute come risultato del dialogo”.

Unito a te, Madre della nostra Nazione, nel segno della tua Effigie di Jasna Góra, ti presento con dolore - e nello stesso tempo con piena speranza e fiducia - questi difficili problemi e sollecitudini che i miei fratelli nell’Episcopato esprimono.

Ai membri dell’Arciconfraternita dei Siciliani e ad altri gruppi di pellegrini italiani

Il mio affettuoso saluto va ora ai membri della venerabile Arciconfraternita “Santa Maria Odigitria” dei Siciliani in Roma, guidati dal Primicerio, l’Arcivescovo Monsignor Antonio Maria Travia, mio Elemosiniere. Voi siete venuti, anche in rappresentanza di tutti i Siciliani, col gentile proposito di esprimere gratitudine per la mia recente Visita nella Valle del Belice ed a Palermo. Sono vivissimi nel mio spirito i ricordi delle ore trascorse nella vostra amata Isola, terra di fede e di preziose tradizioni culturali, i cui figli sono animati dalla volontà costante di risolvere nella pace e nella giustizia i difficili problemi emergenti dalla vita sociale. Carissimi Confrati, la Vergine Odigitria vi guidi lungo il cammino della vostra testimonianza cristiana e sia per voi, e per le vostre famiglie, fonte di luce e di profonda consolazione, come vi auguro di cuore in questa ormai imminente vigilia natalizia.
* * *


Ed ora mi rivolgo agli Allievi Ufficiali di Complemento della Scuola del Genio di Roma ed ai Militari del Presidio Aeronautico di Roma e Guidonia, accompagnati dai familiari, venuti ad esprimere al Papa gli auguri di Buon Natale. Grazie di cuore. Vi accompagno tutti con la mia preghiera e porgo a voi ed alle vostre famiglie i più fervidi auguri di letizia per le feste ormai vicine del nostro Redentore, al quale tutti insieme diciamo con la liturgia odierna: “Vieni, Signore, Re di giustizia e di pace”.
* * *


Agli Insegnanti ed Alunni dell’Istituto Tecnico “Padre Reginaldo Giuliani” dirigo ora il mio benvenuto, lieto di essere circondato da tanti giovani desiderosi di manifestare al Papa la loro volontà di affrontare il futuro con vigoroso impegno per una società più ordinata e giusta, attingendo forza dalla fede in Gesù Cristo, Salvatore di ogni uomo. Cari giovani, sono con voi e prego per voi.
* * *


Anche ai giovani pellegrini dell’Istituto Tecnico Industriale “Ettore Maiorana” di Avezzano esprimo il mio beneaugurante saluto. Ad essi ed a tutti i giovani dico: con l’entusiasmo del vostro cuore giovane, camminate incontro a Cristo, cercatelo insieme ed amatelo insieme, sorreggendovi a vicenda; solo egli è Via, Verità e Vita; solo egli è la speranza dell’umanità. Preparatevi con impegno al Natale, vivendo intensamente il periodo dell’Avvento. Vi accompagno con la mia benedizione.
* * *


Un particolare saluto rivolgo a tutti gli ammalati e a quanti soffrono nel corpo e nello spirito. La vostra sofferenza, le vostre pene, vissute alla luce della fede, sono una testimonianza del vostro amore a Cristo Redentore, sono un invito, per quanti hanno cura di voi e vivono con voi, a riconoscere il valore della vita, quale dono di Dio affidato all’uomo. Auspico che, illuminati da Cristo Redentore, possiate scoprire il valore della sofferenza.

A tutti voi, cari ammalati, auguro tanta serenità e vi benedico di cuore.
* * *


Infine un saluto a tutte le coppie di novelli Sposi. La grazia che avete ricevuta nel sacramento del Matrimonio, vi renda capaci di un amore grande, per essere nel mondo immagine viva dell’amore di Dio. Siate suoi collaboratori, responsabili e generosi, nel trasmettere la vita. Vivete insieme la vostra fede per educare cristianamente i figli che Dio vorrà donarvi. Siate famiglie aperte, siate famiglie vive! La società dei nostri tempi ha particolarmente bisogno di una testimonianza delle coppie di sposi autenticamente cristiane. La preghiera, fatta insieme ogni giorno, rafforzi la vostra gioia.

Volentieri imparto la mia benedizione a tutti voi e alle vostre famiglie.




Catechesi 79-2005 24112