Catechesi 79-2005 12183

Mercoledì, 12 gennaio 1983: La sacramentalità del matrimonio sotto l’aspetto del segno

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1. Analizziamo ora la sacramentalità del matrimonio sotto l’aspetto del segno.

Quando affermiamo che nella struttura del matrimonio quale segno sacramentale, entra essenzialmente anche il “linguaggio del corpo”, facciamo riferimento alla lunga tradizione biblica. Questa ha la sua origine nel Libro della Genesi (
Gn 2,23-25) e trova il suo definitivo coronamento nella Lettera agli Efesini (cfr Ep 5,21-33). I Profeti dell’Antico Testamento hanno avuto un ruolo essenziale nel formare questa tradizione. Analizzando i testi di Osea, Ezechiele, Deutero-Isaia, e di altri profeti, ci siamo trovati sulla via di quella grande analogia, la cui espressione ultima è la proclamazione della nuova alleanza sotto forma di uno sposalizio tra Cristo e la Chiesa (cfr Ep 5,21-33). In base a questa lunga tradizione, è possibile parlare di uno specifico “profetismo del corpo”, sia per il fatto che incontriamo questa analogia anzitutto nei Profeti, sia riguardo al contenuto stesso di essa. Qui, il “profetismo del corpo” significa appunto il “linguaggio del corpo”,

2. L’analogia sembra avere due strati. Nello strato primo e fondamentale, i Profeti prospettano il paragone dell’alleanza, stabilita tra Dio e Israele, come un matrimonio (il che ci consentirà ancora di comprendere il matrimonio stesso come un’alleanza tra marito e moglie) (cfr Pr 2,17 Ml 2,14). In questo caso, l’alleanza deriva dall’iniziativa di Dio, Signore di Israele. Il fatto che, come Creatore e Signore, egli stringe alleanza prima con Abramo e poi con Mosè, attesta già una elezione particolare. E perciò i Profeti, presupponendo tutto il contenuto giuridico-morale dell’alleanza vanno più in profondità, rivelandone una dimensione incomparabilmente più profonda di quella del solo “patto”. Dio, scegliendo Israele, si è unito col suo popolo mediante l’amore e la grazia. Si è legato con vincolo particolare, profondamente personale, e perciò Israele, sebbene sia un popolo, viene presentato in questa visione profetica dell’alleanza come “sposa” o “moglie”, quindi, in certo senso, come persona: “. . . Tuo sposo è il tuo Creatore, / Signore degli eserciti è il suo nome; / tuo redentore è il Santo di Israele / è chiamato Dio di tutta la terra . . . / Dice il tuo Dio . . . / Non si allontanerebbe da te il mio affetto, / né vacillerebbe la mia alleanza di pace (Is 54,5)

3. Jahvè è il Signore di Israele, ma divenne anche il suo Sposo. I libri del Vecchio Testamento attestano la completa originalità del “dominio” di Jahvè sul suo popolo. Agli altri aspetti del dominio di Jahvè, Signore dell’alleanza e Padre di Israele, se ne aggiunge uno nuovo svelato dai Profeti, cioè la dimensione stupenda di questo “dominio”, che è la dimensione sponsale. In tal modo, l’assoluto del dominio risulta l’assoluto dell’amore. In rapporto a tale assoluto, la rottura dell’alleanza significa non soltanto l’infrazione del “patto” collegata con l’autorità del supremo Legislatore, ma l’infedeltà e il tradimento: un colpo che addirittura trafigge il suo cuore di Padre, di Sposo e di Signore.

4. Se, nell’analogia usata dai Profeti, si può parlare di strati, questo è in un certo senso lo strato primo e fondamentale. Dato che l’alleanza di Jahvè con Israele ha il carattere di vincolo sponsale a somiglianza del patto coniugale, quel primo strato dell’analogia ne svela il secondo, che è appunto il “linguaggio del corpo”. Abbiamo qui in mente, in primo luogo, il linguaggio in senso oggettivo, i Profeti paragonano l’alleanza al matrimonio, si riportano a quel sacramento primordiale di cui parla Genesi 2, 24, nel quale l’uomo e la donna diventano, per libera scelta, “una sola carne”. Tuttavia è caratteristico del modo di esprimersi dei Profeti il fatto che, supponendo il “linguaggio del corpo” in senso oggettivo, essi passano, ad un tempo, al suo significato soggettivo: cioè consentono, per così dire, al corpo stesso di parlare. Nei testi profetici dell’alleanza, in base all’analogia dell’unione sponsale dei coniugi, è il corpo stesso che “parla”; parla con la sua mascolinità o femminilità, parla con il misterioso linguaggio del dono personale, parla infine - e ciò avviene più spesso - sia col linguaggio della fedeltà cioè dell’amore, sia con quello dell’infedeltà coniugale, cioè dell’“adulterio”.

5. E noto che sono stati i diversi peccati del popolo eletto - e soprattutto le frequenti infedeltà relative al culto del Dio uno, cioè varie forme di idolatria - a offrire ai Profeti l’occasione per le enunciazioni suddette. Il profeta dell’“adulterio” di Israele è diventato in modo particolare Osea, che lo stigmatizza non solo con le parole, ma, in certo senso, anche con atti dal significato simbolico: “Va’, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore (Os 1,2). Osea pone in rilievo tutto lo splendore dell’alleanza, di quello sposalizio in cui Jahvè si dimostra sposo-coniuge sensibile, affettuoso, disposto a perdonare, e insieme esigente e severo, L’“adulterio” e la “prostituzione” di Israele costituiscono un evidente contrasto col vincolo sponsale, su cui è basata l’alleanza, così come, analogamente, il matrimonio dell’uomo con la donna.

6. Ezechiele stigmatizza in modo analogo l’idolatria, servendosi del simbolo dell’adulterio di Gerusalemme (cfr Ez 16) e, in un altro passo, di Gerusalemme e di Samaria (cfr Ez 23): “Passai vicino a te e ti vidi; ecco la tua età era l’età dell’amore . . . Giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e diventasti mia” (Ez 16,8). “Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita concedendo i tuoi favori ad ogni passante” (Ez 16,15).


7. Nei testi profetici, il corpo umano parla un “linguaggio”, di cui esso non è l’autore. Suo autore è l’uomo in quanto maschio o femmina, in quanto sposo o sposa: l’uomo con la sua perenne vocazione alla comunione delle persone. L’uomo, tuttavia, non è capace, in certo senso, di esprimere senza corpo questo linguaggio singolare della sua esistenza personale e della sua vocazione. Egli è stato costituito in tal modo già dal “principio”, così che le più profonde parole dello spirito - parole di amore, di donazione, di fedeltà - esigono un adeguato “linguaggio del corpo”. E senza di esso non possono essere pienamente espresse. Sappiamo dal Vangelo che ciò si riferisce sia al matrimonio sia alla continenza “per il Regno dei cieli”.

8. I Profeti, come ispirati portavoce dell’alleanza di Jahvè con Israele, cercano appunto, mediante questo “linguaggio del corpo”, di esprimere sia la profondità sponsale della suddetta alleanza, sia tutto ciò che la contraddice. Elogiano la fedeltà, stigmatizzano invece l’infedeltà come “adulterio”: parlano dunque secondo categorie etiche, contrapponendo reciprocamente il bene e il male morale. La contrapposizione del bene e del male è essenziale per l’ethos. I testi profetici hanno in questo campo un significato essenziale, come abbiamo già rivelato nelle nostre precedenti riflessioni. Sembra, però, che il “linguaggio del corpo” secondo i Profeti non sia unicamente un linguaggio dell’ethos, un elogio della fedeltà e della purezza, nonché una condanna dell’“adulterio” e della “prostituzione”. Infatti, per ogni linguaggio, quale espressione della conoscenza, le categorie della verità e della non-verità (ossia del falso) sono essenziali. Nei testi dei Profeti, che scorgono l’analogia dell’alleanza di Jahvè con Israele nel matrimonio, il corpo dice la verità mediante la fedeltà e l’amore coniugale, e, quando commette “adulterio”, dice la menzogna, commette la falsità.

9. Non si tratta qui di sostituire le differenziazioni etiche con quelle logiche. Se i testi profetici indicano la fedeltà coniugale e la castità come “verità”, e l’adulterio, invece, o la prostituzione, come non-verità, come “falsità” del linguaggio del corpo, ciò avviene perché nel primo caso il soggetto (Israele come sposa) è concorde col significato sponsale che corrisponde al corpo umano (a motivo della sua mascolinità o femminilità) nella struttura integrale della persona; nel secondo caso, invece, lo stesso oggetto è in contraddizione e collisione con questo significato.

Possiamo dunque dire che l’essenziale per il matrimonio come sacramento è il “linguaggio del corpo”, riletto nella verità. Proprio mediante esso si costituisce infatti il segno sacramentale.


Preghiera alla Madonna di Jasna Gora, Regina della Polonia

Madre di Jasna Gora e Regina della Polonia!

Ci troviamo sulla soglia dell’anno nuovo. Dinanzi a noi si dischiude un nuovo periodo di tempo, che è contemporaneamente donato e dato in compito a ogni uomo.

Nella Chiesa universale desideriamo, nel corso di questo anno, aprirci verso lo straordinario Giubileo della nostra Redenzione. Desideriamo in modo particolare accogliere tutto ciò che il Padre Eterno ha offerto all’umanità in Cristo, tuo Figlio.

In terra polacca dura ancora il Giubileo del seicentesimo anniversario della tua materna presenza nell’Effigie di Jasna Gora. Ciò costituisce, allo stesso tempo, una particolare introduzione al Giubileo della Redenzione.

All’inizio di questo anno non posso non pensare alla mia visita in Polonia legata all’anniversario di Jasna Gora. Già più di una volta ho accennato a questo tema. So pure che sono in corso i dovuti preparativi, per i quali esprimo stima e gratitudine. Tuttavia, mentre preparo questa visita, nel mio cuore, desidero soprattutto che essa sia guidata da te, Madre! Che tu sola decida di essa. A te affido se e come essa debba attuarsi.

Tu, Madre - solo tu - puoi far fiorire da essa il giusto bene! Questo bene che tanto desidero per la Chiesa, per la mia Patria e per ogni uomo!

Ai gruppi italiani

A voi, carissimi giovani, rivolgo ora il mio saluto. Vi ringrazio della vostra presenza che allieta sempre l’Udienza generale e vi esorto di cuore ad essere costantemente fiduciosi e coraggiosi, confidando nell’amore di Dio, che non abbandona nessuno, e nell’affetto di quanti vi seguono e vi vogliono bene. Talvolta anche per voi possono giungere dei momenti difficili e dolorosi; e allora bisogna imitare Gesù nel Getsemani, che, come scrive l’Evangelista Luca, “ in preda all’angoscia pregava più intensamente ”. Sappiate che sempre vi ricordo presso il Signore, affinché vi illumini, vi guidi, vi salvi.
* * *


Anche a voi, cari ammalati, presenti con la vostra sofferenza, va il mio augurio e il mio pensiero colmo di affetto. Superando disagi e pene, voi siete venuti per incontrare il Papa e per ricevere la sua Benedizione; mentre vi esprimo la mia profonda riconoscenza per tanta generosità, mi richiamo a una riflessione di Suor Gabriella, che offrì la sua vita per l’unità delle Chiese e che tra pochi giorni sarà dichiarata “beata”: “O Gesù, consumami come una piccola ostia di amore per la tua gloria e per la salvezza delle anime!”. Anche la vostra malattia, accettata per amore, è preziosa per la Chiesa! Sempre vi accompagni e vi aiuti la mia Benedizione.
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Infine, esprimo con grande gioia le mie felicitazioni ed auguri a voi, Sposi Novelli, che come viaggio di Nozze avete scelto Roma e l’Udienza del Papa! Il Signore benedica il vostro amore e vi mantenga uniti e lieti nella sua grazia. Voi, con la vostra unione fedele e feconda rappresentate la Chiesa di domani, popolo di Dio affidato alle responsabilità dei legittimi Pastori, ed alle sollecitudini delle singole famiglie. Siate esemplari i tutto, in quest’inizio lieto e sereno della vostra vita a due, confidando sempre nell’aiuto del Signore e della Vergine Santa, presente, come a Cana, ad ogni nuovo focolare. Con la mia Benedizione.



Mercoledì, 19 gennaio 1983

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1. I testi dei Profeti hanno grande importanza per comprendere il matrimonio come alleanza di persone (ad immagine dell’alleanza di Jahvè con Israele) e, in particolare, per comprendere l’alleanza sacramentale dell’uomo e della donna nella dimensione del segno. Il “linguaggio del corpo” entra - come già in precedenza è stato considerato - nella struttura integrale del segno sacramentale, il cui precipuo soggetto è l’uomo, maschio e femmina. Le parole del consenso coniugale costituiscono questo segno, perché in esse trova espressione il significato sponsale del corpo nella sua mascolinità e femminilità. Un tale significato viene espresso soprattutto dalle parole: “Io . . . prendo te . . . come mia sposa . . . mio sposo”. Per di più con queste parole è confermata l’essenziale “verità” del linguaggio del corpo e viene anche (almeno indirettamente) esclusa l’essenziale “non verità”, la falsità del linguaggio del corpo. Il corpo, infatti, dice la verità attraverso l’amore, la fedeltà, l’onestà coniugali, così come la non verità, ossia la falsità, viene espressa attraverso tutto ciò che è negazione dell’amore, della fedeltà, dell’onestà coniugali. Si può quindi dire che, nel momento di proferire le parole del consenso coniugale, gli sposi novelli si pongono sulla linea dello stesso “profetismo del corpo”, i cui portavoce furono gli antichi Profeti. Il “linguaggio del corpo”, espresso per bocca dei ministri del matrimonio come sacramento della Chiesa, istituisce lo stesso segno visibile dell’alleanza e della grazia, che - risalendo con la sua origine al mistero della creazione - si alimenta continuamente con la forza della “redenzione del corpo”, offerta da Cristo alla Chiesa.

2. Secondo i testi profetici il corpo umano parla un “linguaggio . . . di cui esso non è l’autore. L’autore ne è l’uomo che, come maschio e femmina, sposo e sposa, rilegge correttamente il significato di questo “linguaggio”. Rilegge dunque quel significato sponsale del corpo come integralmente inscritto nella struttura della mascolinità o femminilità del soggetto personale. Una corretta rilettura “nella verità” è condizione indispensabile per proclamare tale verità, ossia per istituire il segno visibile del matrimonio come sacramento. Gli sposi proclamano appunto questo “linguaggio del corpo”, riletto nella verità, quale contenuto e principio della loro nuova vita in Cristo e nella Chiesa. Sulla base del “profetismo del corpo”, i ministri del sacramento del matrimonio compiono un atto di carattere profetico. Confermano in tal modo la loro partecipazione alla missione profetica della Chiesa, ricevuta da Cristo. “Profeta” è colui che esprime con parole umane la verità proveniente da Dio, colui che proferisce tale verità in sostituzione di Dio, nel suo nome e, in certo senso, con la sua autorità.

3. Tutto ciò si riferisce agli sposi novelli, i quali, come ministri del sacramento del matrimonio, istituiscono con le parole del consenso coniugale il segno visibile, proclamando il “linguaggio del corpo”, riletto nella verità, come contenuto e principio della loro nuova vita in Cristo e nella Chiesa. Questa proclamazione “profetica” ha un carattere complesso. Il consenso coniugale è insieme annunzio e causa del fatto che, d’ora in poi, entrambi saranno dinanzi alla Chiesa e alla società marito e moglie (un tale annunzio intendiamo come “indicazione” nel senso ordinario del termine). Tuttavia, il consenso coniugale ha soprattutto il carattere di una reciproca professione degli sposi novelli, fatta dinanzi a Dio. Basta soffermarsi con attenzione sul testo, per convincersi che quella proclamazione profetica del linguaggio del corpo, riletto nella verità, è immediatamente e direttamente rivolta dall’“io” al “tu”: dall’uomo alla donna e da lei a lui. Posto centrale nel consenso coniugale hanno proprio le parole che indicano il soggetto personale, i pronomi “io” e “te”. Il “linguaggio del corpo”, riletto nella verità del suo significato sponsale, costituisce mediante le parole degli sposi novelli l’unione-comunione delle persone. Se il consenso coniugale ha carattere profetico, se è la proclamazione della verità proveniente da Dio, e in certo senso l’enunciazione di questa verità nel nome di Dio, ciò si attua soprattutto nella dimensione della comunione interpersonale, e soltanto indirettamente “dinanzi” agli altri e “per” gli altri.

4. Sullo sfondo delle parole pronunciale dai ministri del sacramento del matrimonio, sta il perenne “linguaggio del corpo”, a cui Dio “diede inizio” creando l’uomo quale maschio e femmina: linguaggio, che è stato rinnovato da Cristo. Questo perenne “linguaggio del corpo” porta in sé tutta la ricchezza e la profondità del Mistero: prima della creazione, poi della redenzione. Gli sposi, attuando il segno visibile del sacramento mediante le parole del loro consenso coniugale, esprimono in esso “il linguaggio del corpo”, con tutta la profondità del mistero della creazione e della redenzione (la liturgia del sacramento del matrimonio ne offre un ricco contesto). Rileggendo in tal modo “il linguaggio del corpo”, gli sposi non solo racchiudono nelle parole del consenso coniugale la soggettiva pienezza della professione, indispensabile ad attuare il segno proprio di questo sacramento, ma giungono anche, in un certo senso, alle sorgenti stesse, da cui quel segno attinge ogni volta la sua eloquenza profetica e la sua forza sacramentale. Non è lecito dimenticare che “il linguaggio del corpo”, prima di essere pronunciato dalle labbra degli sposi, ministri del matrimonio quale sacramento della Chiesa, è stato pronunciato dalla parola del Dio vivo, iniziando dal Libro della Genesi, attraverso i Profeti dell’antica alleanza, fino all’Autore della Lettera agli Efesini.

5. Adoperiamo qui a più riprese l’espressione “linguaggio del corpo”, riportandoci ai testi profetici. In questi testi, come abbiamo già detto, il corpo umano parla un “linguaggio”, di cui esso non è l’autore nel senso proprio del termine. L’autore è l’uomo - maschio e femmina - che rilegge il vero senso di quel “linguaggio”, riportando alla luce il significato sponsale del corpo come integralmente iscritto nella struttura stessa della mascolinità e femminilità del soggetto personale. Tale rilettura “nella verità” del linguaggio del corpo già di per sé conferisce un carattere profetico alle parole del consenso coniugale, per mezzo delle quali l’uomo e la donna attuano il segno visibile del matrimonio come sacramento della Chiesa. Queste parole contengono tuttavia qualcosa di più che una semplice rilettura nella verità di quel linguaggio, di cui parla la femminilità e la mascolinità degli sposi novelli nel loro rapporto reciproco: “Io prendo te come mia sposa - come mio sposo”. Nelle parole del consenso coniugale sono racchiusi: il proposito, la decisione e la scelta. Entrambi gli sposi decidono di agire in conformità col linguaggio del corpo, riletto nella verità. Se l’uomo, maschio e femmina, è l’autore di quel linguaggio, lo è soprattutto in quanto vuole conferire, ed effettivamente conferisce al suo comportamento e alle sue azioni il significato conforme all’eloquenza riletta della verità della mascolinità e della femminilità nel reciproco rapporto coniugale.

6. In questo ambito l’uomo è artefice delle azioni che hanno di per sé significati definiti. È dunque artefice delle azioni e insieme autore dei loro significato. La somma di quei significati costituisce, in certo senso, l’insieme del “linguaggio del corpo”, con cui gli sposi decidono di parlare tra loro come ministri del sacramento del matrimonio. Il segno che essi attuano con le parole del consenso coniugale non è puro segno immediato e passeggero, ma un segno prospettico che riproduce un effetto duraturo, cioè il vincolo coniugale, unico e indissolubile (“tutti i giorni della mia vita”, cioè fino alla morte). In questa prospettiva essi debbono riempire quel segno del molteplice contenuto offerto dalla comunione coniugale e familiare delle persone, e anche di quel contenuto che, originato “dal linguaggio del corpo”, viene continuamente riletto nella verità. In tal modo la “verità” essenziale del segno rimarrà organicamente legata all’ethos della condotta coniugale. In questa verità del segno e, in seguito, nell’ethos della condotta coniugale, s’inserisce prospetticamente il significato procreativo del corpo, cioè la paternità e la maternità, di cui abbiamo trattato in precedenza. Alla domanda: “Siete disposti ad accogliere responsabilmente con amore i figli che Dio vorrà donarvi ed educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?”, l’uomo e la donna rispondono: “Sì”.

E per ora rimandiamo ad altri incontri approfondimenti ulteriori del tema.


Ai pellegrini provenienti da Paesi anglofoni


Al pellegrinaggio organizzato dai dipendenti delle Linee aeree portoghesi

Preghiera alla Madonna di Jasna Gora





Signora di Jasna Gora! Alla tua presenza spirituale rileggo le seguenti parole del Comunicato dell’ultima (189a) assemblea plenaria della Conferenza dell’Episcopato polacco.

“. . . San Massimiliano disse: “L’Immacolata vuole che la Polonia si rinnovi moralmente”. E il rinnovamento morale da noi, nella Nazione di san Massimiliano, che ha offerto la sua vita per salvare una famiglia, è soprattutto sollecitudine per salvare la famiglia polacca; è pure sollecitudine per amare contro tutte le manifestazioni dell’odio; è sollecitudine per salvare ogni vita umana dal concepimento fino alla morte; è sollecitudine per la solidarietà, l’onestà, la verità nella vita domestica e sociale”.

Insieme con tutta la Chiesa in Polonia prego te, Signora di Jasna Gora e Madre della mia Nazione, affinché le parole di san Massimiliano Kolbe, patrono del nostro difficile secolo, si realizzino nella vita della mia amata Patria secondo il programma sopra delineato.

Il Comunicato dell’Episcopato proclama: “Il programma pastorale è dedicato in questo anno alla speranza cristiana”. Proprio nello spirito di questa speranza elevo la mia preghiera a te, Signora di Jasna Gora, insieme con i miei fratelli nell’Episcopato e con tutta la Chiesa in Polonia.


Ai vari gruppi di pellegrini italiani

Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai Dirigenti del Sindacato Nazionale Autonomo Lavoratori Scuola, riuniti a Roma per celebrare il III Congresso Nazionale,

A tutti i congressisti, che sono impegnati a difendere i principii dell’umanesimo cristiano e democratico, vada il mio fervido augurio di buon lavoro perché il mondo della scuola sia preparazione e allenamento per una vita sempre più degna dell’uomo. Vi sostenga la mia benedizione.
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Un caloroso saluto alle studentesse dell’Istituto romano “ De Vedruna ”, accompagnate dai familiari e dalle Religiose dell’Istituto.

Care studentesse, il cinquantenario della fondazione della Scuola, che è la prima istituita in Italia dalle benemerite Suore Carmelitane della Carità, e il secondo centenario della nascita di Santa Gioacchina De Vedruna, fondatrice della Congregazione, sono motivo sufficiente per una comune esultanza. Tutte vi esorto ad una seria preparazione per il vostro futuro, mentre vi assicuro il mio affetto e la mia benedizione.
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Estendo poi il mio affettuoso saluto a tutti i giovani presenti.

Carissimi, sono certo che l’Ottavario di preghiera per l’Unità della Chiesa, iniziato ieri, trova un’eco tutta particolare nel vostro cuore e nella vostra coscienza: la vostra gioventù incoraggia a sperare che quanto non si è riusciti a raggiungere nel passato, lo posiamo attendere per il futuro: lanciate dunque la vostra fresca vitalità alla conquista della nobilissima causa dell’Unità della Chiesa, con l’assistenza dello Spirito Santo e l’intercessione di Maria!
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Anche a voi, cari ammalati, è affidata una missione importante per il progresso e il successo delle attività ecumeniche: voi rappresentate nel vostro corpo, per così dire, in modo sensibile, le divisione e le sofferenze che gravano sul Corpo mistico della Chiesa: in tal modo, potete sentirvi più vicini alle sue ansie e alle sue speranze, e partecipare maggiormente dell’incrollabile fiducia, con la quale essa invoca quell’Onnipotenza divina che ridona salute e vita sia agli spiriti che ai corpi. Proprio attraverso la prova che il vostro corpo subisce, siete chiamati in modo speciale ad unire la speranza vostra personale con quella di tutta la Chiesa.
* * *


Salute e gioia anche a voi, cari sposi novelli! Il vostro amore recentemente consacrato dalla grazia divina si apre adesso ad una progressiva e feconda maturazione, che avrà compimento soltanto nella vita eterna, superando prove e difficoltà. Simile al vostro è anche il cammino della Chiesa verso la perfetta unità! Fatevi anche voi partecipi della sua stessa speranza, fondandovi sulle divine promesse, affinché anche la vostra nuova famiglia sia sempre fondata su quel “ solo Pastore ”, che è Cristo! Essa sarà perciò segno di unità e di perseveranza. E’ quanto vi auguro di tutto cuore, con la mia benedizione.

Durante l’udienza generale, il Santo Padre ricorda l’inizio dell’Ottavario di preghiere per l’Unità dei Cristiani.

Cari fratelli e sorelle!

Questa udienza si svolge nel secondo giorno della Settimana di preghiere per la ricomposizione dell’unità fra quanti credono in Gesù Cristo e attendono da lui la salvezza. È un momento, questo, di grande importanza ecclesiale: vorrei che fosse profondamente condiviso da tutti i fedeli della Chiesa cattolica e dai cristiani delle Chiese e Comunioni ancora da noi separate, ai quali mando il mio affettuoso e confidente saluto.

Ispirandoci al motto proposto alla riflessione di quest’anno: “Gesù Cristo, vita del mondo” (cfr
1Jn 1,1-4), preghiamo perché egli vivifichi e unifichi sempre più quanti credono in lui. Con la sua grazia, assecondata da uno sforzo perseverante, fatto di umiltà, di carità e di buona volontà, vogliamo giungere un giorno a quel tanto desiderato traguardo, per il quale lo stesso Signore pregò: “Che siano una cosa sola” (Jn 17,11).



Mercoledì, 26 gennaio 1983

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1. Il segno del matrimonio come sacramento della Chiesa viene costituito ogni volta secondo quella dimensione, che gli è propria dal “principio”, e allo stesso tempo viene costituito sul fondamento dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa, come l’unica e irripetibile espressione dell’alleanza fra “questo” uomo e “questa” donna, che sono ministri del matrimonio come sacramento della loro vocazione e della loro vita. Nel dire che il segno del matrimonio come sacramento della Chiesa si costituisce sulla base del “linguaggio del corpo”, ci serviamo dell’analogia (“analogia attributionis”), che abbiamo cercato di chiarire già in precedenza. È ovvio che il corpo come tale non “parla”, ma parla l’uomo, rileggendo ciò che esige di essere espresso appunto in base al “corpo”, alla mascolinità o femminilità del soggetto personale, anzi, in base a ciò che può essere espresso dall’uomo unicamente per mezzo del corpo.

In questo senso, l’uomo - maschio o femmina - non soltanto parla col linguaggio del corpo, ma in un certo senso consente al corpo di parlare “per lui” e “da parte di lui”: direi, a suo nome e con la sua autorità personale. In tal modo, anche il concetto di “profetismo del corpo” sembra essere fondato: il “profeta”, infatti, è colui che parla “per” e “da parte di”: a nome e con l’autorità di una persona.

2. Gli sposi novelli ne sono consapevoli quando, contraendo il matrimonio, ne istituiscono il segno visibile. Nella prospettiva della vita in comune e della vocazione coniugale, quel segno iniziale, segno originario del matrimonio come sacramento della Chiesa, verrà continuamente colmato dal “profetismo del corpo”. I corpi degli sposi parleranno “per” e “da parte di” ciascuno di loro, parleranno nel nome e con l’autorità della persona, di ciascuna delle persone, svolgendo il dialogo coniugale, proprio della loro vocazione e basato sul linguaggio del corpo, riletto a suo tempo opportunamente e continuamente: ed è necessario che esso sia riletto nella verità! I coniugi sono chiamati a formare la loro vita e la loro convivenza come “comunione delle persone” sulla base di quel linguaggio. Dato che al linguaggio corrisponde un complesso di significati, i coniugi - attraverso la loro condotta e comportamento, attraverso le loro azioni e gesti (“gesti di tenerezza”) (cfr Gaudium et Spes
GS 49) - sono chiamati a diventare gli autori di tali significati del “linguaggio del corpo”, di cui conseguentemente si costruiscono e di continuo si approfondiscono l’amore, la fedeltà, l’onestà coniugale e quell’unione che rimane indissolubile fino alla morte.

3. Il segno del matrimonio come sacramento della Chiesa si forma per l’appunto di quei significati, di cui i coniugi sono autori. Tutti questi significati sono iniziati e in certo senso “programmati” in modo sintetico nel consenso coniugale, al fine di costruire in seguito - nel modo più analitico, giorno per giorno - lo stesso segno, immedesimandosi con esso nella dimensione dell’intera vita. C’è un legame organico fra il rileggere nella verità l’integrale significato del “linguaggio del corpo” e il conseguente usare di quel linguaggio nella vita coniugale. In quest’ultimo ambito l’essere umano - maschio e femmina - è l’autore dei significati del “linguaggio del corpo”. Ciò implica che questo linguaggio, di cui egli è autore, corrisponda alla verità che è stata riletta. In base alla tradizione biblica, parliamo qui del “profetismo del corpo”. Se l’essere umano - maschio e femmina - nel matrimonio (e indirettamente anche in tutti gli ambiti della mutua convivenza) conferisce al suo comportamento un significato conforme alla verità fondamentale del linguaggio del corpo, allora anche lui stesso “è nella verità”. Nel caso contrario, egli commette menzogne e falsifica il linguaggio del corpo.

4. Se ci poniamo sulla linea prospettica del consenso coniugale, che - come abbiamo ormai detto - offre agli sposi una particolare partecipazione alla missione profetica della Chiesa, tramandata da Cristo stesso, ci si può a questo proposito servire anche della distinzione biblica tra profeti “veri” e profeti “falsi”.


Attraverso il matrimonio come sacramento della Chiesa, l’uomo e la donna sono in modo esplicito chiamati a dare - servendosi correttamente del “linguaggio del corpo” - la testimonianza dell’amore sponsale e procreativo, testimonianza degna di “veri profeti”. In questo consiste il significato giusto e la grandezza del consenso coniugale nel sacramento della Chiesa.

5. La problematica del segno sacramentale del matrimonio ha carattere altamente antropologico. La costruiamo sulla base dell’antropologia teologica e in particolare su ciò che, sin dall’inizio delle presenti considerazioni, abbiamo definito come “teologia del corpo”. Perciò, nel continuare queste analisi, dobbiamo sempre avere davanti agli occhi le considerazioni precedenti, che si riferiscono all’analisi delle parole-chiave di Cristo (diciamo “parole-chiave, perché ci aprono - come la chiave - le singole dimensioni dell’antropologia teologica, specialmente della teologia del corpo). Costruendo su questa base l’analisi del segno sacramentale del matrimonio di cui - anche dopo il peccato originale - sono sempre partecipi l’uomo e la donna, quale “uomo storico”, dobbiamo ricordare costantemente il fatto che quell’uomo “storico”, maschio e femmina, è ad un tempo l’“uomo della concupiscenza” come tale, ogni uomo e ogni donna entrano nella storia della salvezza e ne vengono coinvolti mediante il sacramento, che è segno visibile dell’alleanza e della grazia.

6. Perciò, nel contesto delle presenti riflessioni sulla struttura sacramentale del segno del matrimonio, dobbiamo tener conto non soltanto di ciò che Cristo disse sull’unità e indissolubilità del matrimonio facendo riferimento al “principio”, ma anche (e ancor più) di ciò che egli espresse nel Discorso della Montagna, quando si richiamò al “cuore umano”.

A sacerdoti di lingua inglese

Preghiera alla Madonna di Jasna Gora


Madre di Jasna Gora! Ecco, nel corso dei sei secoli della tua presenza nell’Effigie da noi tanto amata, tu sembri dire: “Accogliete il mio Figlio e la sua parola non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio che opera in voi che credete” (cfr 1Th 2,13).

Così sembri parlare tu, Madre, a noi. E la parola che opera in noi che crediamo, proviene dal tuo Figlio. Egli è l’Eterno Verbo, il Verbo che viene a noi nel silenzioso e vivo splendore della tua Maternità.

Questa è la parola di Natale che è risuonata con un’eco così profonda nelle anime polacche. È la parola di Natale che, durante i secoli, ha risuonato e continua a risuonare nei nostri canti natalizi.

Quanta ricchezza di contenuto e di melodia! Quanta ricchezza di pensiero e di cuore!

Mickievicz (poeta polacco) ha scritto: “Tu credi che Dio è nato nella mangiatoia di Betlemme, ma guai se egli non è nato in te”.


Oggi, mentre il tempo di Natale dura ancora nella tradizione della popolazione, desidero pregarti, o madre di Jasna Gora, col canto di tutti i nostri cantici di Natale, tanto numerosi.

È grazie ad essi che, nonostante le oscurità e le difficoltà tanto numerose che la vita porta con sé, rivediamo nel profondo della nostra esistenza la luce, e sentiamo di nuovo la gioia che “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Jn 1,14).

Non cessiamo mai di attingervi la forza spirituale!




Ai gruppi italiani

Un cordiale saluto desidero rivolgere al numeroso gruppo di fedeli della Sardegna, i quali - insieme con i loro Vescovi, le Autorità regionali, provinciali e cittadine - sono venuti a Roma per partecipare alla glorificazione di una Figlia della loro Isola, la nuova Beata Maria Gabriella Sagheddu. Nell’esprimervi il mio vivo compiacimento per questo incontro, desidero ricordare alla vostra riflessione la figura della Beata, la quale, rispondendo pienamente ala grazia di Dio, ha portato alla più alta sublimazione le caratteristiche tipiche del vostro temperamento: la forza e la generosità. Essa donò la sua giovane vita perché tutti i cristiani del mondo fossero uniti. La Chiesa tutta, piena di ammirazione, è profondamente grata a questa piccola e forte Monaca trappista, la quale nel silenzio e nella solitudine ci ha insegnato che nel cammino della vita dello spirito e dei grandi ideali si paga di persona. Un particolare e deferente pensiero intendo indirizzare ai Membri della Giunta Regionale Sarda, qui presenti con il loro Presidente: auspico che il vostro indefesso impegno al servizio del bene comune produca in quella Regione, tanto cara al cuore del Papa, frutti di civile convivenza, di autentica promozione umana e di giustizia sociale!

La mia Benedizione Apostolica vi accompagna ora e sempre.
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Saluto ora, con particolare cordialità, il gruppo di Vescovi, amici del Movimento dei Focolari, che hanno voluto essere presenti a questa Udienza. Venerati Fratelli, vi sono profondamente grato per questo spontaneo gesto, nel quale ravviso una testimonianza di comunione che mi reca sincero conforto. Tutto ciò che promuove la comunione fra noi è certamente in sintonia col volere di Cristo, il quale resta il supremo Pastore della Chiesa, nata dal suo sacrificio redentore. Se siamo a Lui uniti come all’unico Signore delle nostre menti e dei nostri cuori, come potremmo essere divisi fra noi? Valga anche questo incontro ad approfondire e consolidare i vincoli di mutua carità che ci legano, così che l’esperienza di “ koinonia ”, che voi oggi vivete, possa riverberarsi positivamente nelle Chiese particolari affidate alle vostre cure, suscitando in esse un senso sempre più vivo dell’appartenenza all’unico Corpo mistico di Cristo.

Vogliate portare ai vostri fedeli, con l’assicurazione del mio affetto, una speciale, propiziatrice Benedizione.
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Rivolgo un cordiale saluto ai Religiosi ed alle Religiose di vari Istituti, che stanno frequentando nel Pontificio Ateneo Antoniano un corso di formazione per le “ Missioni al popolo ”. Carissimi, formo di cuore l’auspicio che anche dal vostro incontro derivi una ripresa di un mezzo tanto efficace di evangelizzazione e di formazione cristiana, come sono in realtà le Missioni al popolo, dirette a risvegliare negli spiriti l’efficace e risolutiva presa di coscienza dei doveri derivanti dalla vocazione di figli di Dio. Vi accompagni la mia Apostolica Benedizione.
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Il mio benvenuto anche ai partecipanti alla X Settimana di Studi sul tema “ La Direzione spirituale nella famiglia Salesiana ” per approfondire lo spirito e l’esempio di S. Giovanni Bosco. Carissimi, vi esorto a prodigarvi a favore dei giovani, affidati alle vostre cure spirituali, con integrità di pensiero ed esemplarità di comportamento, conformati nella vostra missione educatrice della crescente attenzione che la Chiesa dedica, specialmente dopo il Concilio, alle giovani generazioni, sempre bisognose di guida, illuminata ed evangelicamente saggia. Vi sia d’incoraggiamento la mia Benedizione Apostolica.
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Rivolgo ora un pensiero ai giovani qui presenti, con particolare riferimento ai quattrocento appartenenti al “Movimento Gen”, riuniti in questi giorni nel Centro Mariapoli di Rocca di Papa per uno dei loro congressi annuali. S. Paolo Apostolo, la cui conversione abbiamo celebrato nella liturgia di ieri, sia per voi un esempio ed uno stimolo a diventare testimoni di Gesù Cristo, negli ambienti della vostra vita quotidiana, spesso lontani dagli ideali del Vangelo, ma che tanto bisogno hanno di una vita autenticamente cristiana.
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Saluto poi, di cuore, gli ammalati, esprimendo l’auspicio che, con la loro sofferenza spesso nascosta e misconosciuta, vogliano contribuire al bene della Chiesa e dell’umanità intera, portando a compimento, come dice S. Paolo, ciò che manca alle sofferenze di Cristo. Al termine della Settimana di preghiere per l’Unità dei Cristiani, vi esorto a pregare per la causa ecumenica.
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Mi è grato, infine, rivolgermi agli sposi novelli. Rendete sempre più saldo l’impegno assunto davanti all’Altare, di essere, nella vita matrimoniale, testimoni credibili dell’amore totale, fedele e fecondo che unisce Cristo alla Chiesa, suo Corpo.

Vi accompagni tutti la mia Benedizione.






Catechesi 79-2005 12183