Catechesi 79-2005 60483

Mercoledì, 6 aprile 1983

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1. Ci troviamo ancora nel clima della Solennità Pasquale, nel quale una ineffabile esperienza spirituale ci ha fatto gustare la profonda verità della nostra fede in Cristo Risorto, “nostra Pasqua” (
1Co 5,7), che si è immolato per noi, ma non è stato sconfitto dalla morte, non ha esaurito il suo mistero e la sua missione quando, pendente dalla Croce, ha pronunziato quelle parole: “Tutto è compiuto” (Jn 19,30). In quello stesso momento, infatti, il compimento del disegno salvifico di Dio ha aperto una fase nuova nella storia umana, che Cristo stesso avrebbe consacrato con la sua risurrezione da morte: il nuovo “kairós” della certezza della vita, fondata su quella dimostrazione della divina onnipotenza.

Cristo è risorto, come aveva promesso, perché il suo Io profondo si identifica col principio eterno della vita, Dio, tanto che ha potuto dire di sé: “Io sono la Vita” (Jn 14,6), come un’altra volta aveva proclamato: “Io sono la Risurrezione e la Vita” (Jn 11,25). Con lui, dunque, la forza onnipotente della vita è entrata nel mondo e, dopo il sacrificio di giustizia e di amore offerto sulla Croce, è esplosa nella sua umanità e, attraverso la sua umanità, nel genere umano e in qualche modo nell’intero universo. Da quel momento il creato racchiude in sé il segreto di una sempre nuova giovinezza e noi non siamo più schiavi della “paura della morte” (He 2,15). Cristo ci ha liberato per sempre!

Col Giubileo noi vogliamo celebrare anche questa vittoria della vita e della libertà, perché essa dà pienezza di dimensione al mistero della Redenzione e rivela la potenza della Croce. Giustamente quindi, con la liturgia della Chiesa, possiamo salutare la Croce come “speranza unica” e fonte di “grazia” e di “perdono” non solo “hoc Passionis tempore”, come abbiamo fatto il Venerdì Santo, ma anche “in hac triumphi gloria”, come canteremo nella festa della sua Esaltazione (14 settembre), quasi facendo eco all’alleluia pasquale.

2. Di questo mistero di gloria sfavillante nella Croce (“Fulget Crucis mysterium”) ci parla san Pietro nella sua prima Lettera alle comunità cristiane dell’Asia Minore, documento fondamentale della riflessione semplice e lineare, ma densa di significato cristologico, degli Apostoli e delle prime comunità cristiane: “Sia benedetto Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo - egli scrive -; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce” (1P 1,3-4).

Cristo Risorto domina dunque la scena della storia e dà una forza generatrice di eterna speranza alla vita cristiana, in questo “kairós”, in questa età escatologica già cominciata con la vittoria sulla morte da parte di Colui che “fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi” (1P 1,20).

Questa è la certezza di cui aveva bisogno il mondo, nel quale gli Apostoli predicavano il Vangelo di Cristo; questa è la speranza di cui ha bisogno l’umanità del nostro tempo, alla quale vogliamo comunicare il messaggio e il dono dell’Anno Santo: Cristo è risorto e risorgendo ha interrotto quello che sembrava e sembra tuttora a molti un inesorabile vortice di decadimento, di degrado e di corruzione nella storia. Cristo risorto ci dà la garanzia di una vita che non tramonta, di una “eredità incorruttibile”, di una “custodia” da parte di Dio per i giusti che, liberati e rinnovati dal Redentore, appartengono ormai nella fede e nella speranza al regno della vita eterna.

3. La storia terrena e il movimento cosmico continuano senza dubbio il loro corso, che non si identifica con i ritmi di sviluppo del Regno di Cristo. Difatti il dolore, il male, il peccato, la morte fanno ancora le loro vittime, nonostante la risurrezione di Cristo. Il ciclo della successione e del divenire non è affatto arrestato: sarebbe chiusa la storia! E anzi, si ripetono continuamente fatti ed eventi che fanno pensare a un conflitto insanabile, qui sulla terra, tra i due regni o, come diceva sant’Agostino, fra le due “città”. Pensate per esempio al contrasto che questo Anno Santo presenta tra la celebrazione della Redenzione, da una parte, e dall’altra le offese a Dio, i misfatti contro l’uomo e, in fondo, le sfide a Cristo che contemporaneamente si continuano a commettere. È l’aspetto più impressionante, la dimensione più misteriosa della dialettica storica tra le forze del bene e quelle del male: il fatto cioè che si frappongano ostacoli o si ostenti indifferenza dinanzi alle forze della Redenzione immesse nel mondo da Cristo con la sua Risurrezione come principio risolutivo del contrasto tra la morte e la vita.

Ma ecco un’altra verità che viene offerta alla riflessione dei cristiani da san Pietro e che deriva dal discorso delle Beatitudini: tra le sofferenze e le difficoltà del tempo che passa, i cristiani, tutti i cristiani, sono chiamati a essere come lui, i giusti che soffrono mantenendosi nella certezza della fede e della speranza, e proprio per questa via essi prendono il loro posto, compiono la loro missione nella grande dialettica storica: sono, con Cristo e per Cristo, forza di rigenerazione, fermento di vita nuova.

Di qui l’esortazione: “Non conformatevi ai desideri d’un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto: Voi sarete santi, poiché io sono santo . . .” (1P 1,13-16 cf. Mt 10,17).

Il mondo ha bisogno, oggi come e più di ieri, che tra le vicissitudini, i conflitti, le variazioni dei tempi che portano non di rado a situazioni così scabrose, a volte addirittura drammatiche, permanga nel suo seno il “popolo nuovo” che con umiltà, coraggio e perseveranza si dedichi al servizio della Redenzione e concretizzi nella buona condotta cristiana la forza rigeneratrice della Risurrezione di Cristo.

Questa è la funzione dei cristiani come evangelizzatori e testimoni della Redenzione nella storia; questa è la missione storica ed escatologica a cui si richiama l’Anno Santo.


Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai pellegrini francesi

Ai pellegrini di lingua inglese



Ai fedeli di espressione spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese


Ai polacchi



“Gioisci, o Regina del cielo, / rallegrati, o angelica Signora . . . / perché il tuo Figlio è risorto . . .”.

Ci troviamo davanti a te, Madre di Jasna Gora, nella settimana dell’ottava di pasqua. La Chiesa in Polonia ti canta da sei secoli l’antifona riguardante tuo Figlio Risorto “che tu meritasti / di portare, alleluia”. In questa antifona pasquale mariana mi unisco, davanti al volto della Madre di Jasna Gora, con voi, cari connazionali, figli e figlie della stessa grande famiglia della Nazione, della stessa Patria.

Ringraziamo per tutto ciò che rappresenta per ognuno di noi la Risurrezione di Cristo. Ringraziamo per ciò che fu ed è per tutte le generazioni la Risurrezione di Cristo. Ringraziamo per la definitiva Speranza dell’uomo contenuta in essa. Ringraziamo per la potenza della Verità che non può essere irrevocabilmente condannata a morte. Ringraziamo per la vittoria della Vita che non può essere annientata, perché rinasce dalla potenza dello Spirito.

Cantiamo alla Genitrice di Dio: “Gioisci, o Regina del cielo, / prega per noi Cristo Signore, alleluia”.

A Jasna Gora presentiamo, insieme alla nostra Madre, al Risorto le più grandi necessità degli uomini e della Nazione nell’Anno del Signore 1983.

Ai fedeli italiani


Ho ascoltato con vivo compiacimento la lettura dell’elenco dei gruppi italiani presenti a questa Udienza, e saluto di cuore ciascuno di essi come pure ciascuno dei suoi componenti. In particolare, mi piace sottolineare la presenza di varie Religiose e dei Seminaristi partecipanti ad un convegno nel Centro Mariapoli di Roccadi Papa. A loro e a tutti voi va non solo il mio sentito saluto, ma anche la mia benedizione.
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Porgo poi un cordiale benvenuto a tutti i giovani presenti alla udienza di quest’oggi, tra i quali ricordo in modo particolare il folto gruppo degli aderenti all’Azione Cattolica Ragazzi della Diocesi di Pistoia, guidato dal Vescovo Monsignor Simone Scatizzi.

La vostra letizia, carissimi, è segno ed affetto della vostra fede in Cristo risorto e glorificato. In Lui è stato vinto il nostro peccato ed in Lui siamo chiamati ad una continua rinascita spirituale, che è fonte di vera gioia. Tutto ciò implica il superamento degli ostacoli che allontanano da Dio, la fedeltà alla grazia santificante frutto del sacrificio di Cristo. Essa deve essere alimentata col sacramento eucaristico e con l’assidua preghiera. Incoraggiandovi a ricopiare sempre in voi il modello di Cristo, v’imparto di cuore la confortatrice Benedizione Apostolica.
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Anche a voi, cari malati, Gesù fa conoscere la fortezza e la gioia della sua risurrezione. Egli che vi ha assimilati alle sue sofferenze e vi ha fatto partecipare più intimamente alla sua offerta, imprime in voi più vive le vestigia della sua somiglianza. Docili a tale sublime lezione di amore generoso, specialmente durante questo Anno Santo, sappiate offrire la vostra croce per ottenere da Dio il ritorno di tante anime, dimenticate da Lui.

Con la mia Benedizione Apostolica.
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Voi, novelli sposi, che avete celebrato il vostro matrimonio in questa stagione liturgica pasquale dovete rimanere, per la grazia del sacramento, un fermento nuovo, cioè nuove creature sull’esempio del risorto; accrescete la grazia che vi è stata data e che vi farà vivere nella verità della legge divina. A voi, e alle vostre famiglie imparto di cuore la Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 13 aprile 1983

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1. “Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo” (
2Co 5,18).

Carissimi fratelli e sorelle, l’uomo ha bisogno di riconciliazione! Con il peccato egli ha infranto l’amicizia con Dio. e s’è trovato solo e disperato, perché il suo destino non può compiersi al di fuori di tale amicizia. Egli aspira perciò alla riconciliazione, pur essendo incapace di realizzarla da sé. Con le sole sue forze infatti non può purificare il proprio cuore, liberarsi dal peso del peccato, aprirsi al calore vivificante dell’amore di Dio.

Il “lieto annunzio” che la fede ci reca è proprio questo: Dio, nella sua bontà, s’è fatto incontro all’uomo. Egli ha operato, una volta per tutte, la riconciliazione dell’umanità con se stesso, perdonando le colpe e creando in Cristo un uomo nuovo, puro e santo. San Paolo sottolinea la sovranità di questa azione divina quando, parlando della nuova creazione, dichiara: “Tutto viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo” (2Co 5,18). Ed aggiunge; “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe” (2Co 5,19). Perciò l’Apostolo, nella consapevolezza di avere da Dio il ministero della riconciliazione, conclude con l’esortazione appassionata: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Co 5,20)!

Solo Dio è il Salvatore: la convinzione che l’uomo non può salvarsi mediante i suoi sforzi umani e che tutta la salvezza viene da Dio, era stata inculcata dalla rivelazione dell’Antico Testamento. Jahvè diceva al suo popolo; “Fuori di me non c’è altro Dio, Dio giusto e Salvatore” (Is 45,21). Con tale affermazione, tuttavia, Dio assicurava altresì che non avrebbe abbandonato l’uomo al proprio destino. E infatti Colui che si era definito come Dio Salvatore, manifestò, con la venuta di Cristo sulla terra, che egli lo era realmente.

2. E anzi, il compimento ha superato la promessa: in Cristo infatti il mistero di salvezza si è rivelato come mistero di Dio Padre che offre il Figlio in sacrificio per la redenzione dell’umanità. Mentre il popolo giudaico aspettava un Messia umano, il Figlio di Dio in persona è venuto in mezzo agli uomini e, nella sua qualità di vero Dio e di vero uomo, ha svolto il ruolo di Salvatore. È lui che, col suo sacrificio, ha operato la riconciliazione degli uomini con Dio. Noi non possiamo che ammirare questa meravigliosa invenzione del piano divino di salvezza: il Figlio incarnato ha agito tra noi, nella sua vita, nella sua morte e nella sua risurrezione, come Dio Salvatore.

Essendo il Figlio, ha compiuto alla perfezione l’opera che gli era stata affidata dal Padre. Egli considera quest’opera sia propria del Padre che sua. Essa è prima di tutto l’opera del Padre, perché questi ne ha avuto l’iniziativa ed è lui che continua a guidarla. Il Padre ha rimesso quest’opera nelle mani di suo Figlio, ma rimane Colui che la domina e che la conduce a termine. Gesù riconosce nel Padre colui che ha tracciato la via del sacrificio come via di salvezza. Egli non vuole negare la responsabilità degli uomini nella sua condanna a morte. Ma, nel dramma che si prepara, discerne l’azione sovrana del Padre che, pur rispettando la libertà umana, guida gli avvenimenti secondo un disegno superiore. Al Getsemani è la volontà del Padre che egli accetta, e al momento dell’arresto, ordinato a Pietro di rimettere la spada nel fodero, indica il motivo della sua docilità: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Jn 18,11).

Ogni spiegazione dell’avvenimento del Calvario mediante cause semplicemente storiche, sarebbe insufficiente. Il sacrificio redentore non è dovuto a quelli che hanno condannato Gesù, ma al Padre, che ha preso la decisione di procurare la salvezza all’umanità mediante questa via.

3. Questo mistero ci sorprende sempre, perché gli uomini che ascoltano la buona novella non possono astenersi dal porre la domanda: perché il Padre ha scelto il sacrificio come mezzo di liberazione dell’umanità? Non assume egli un volto crudele mandando il Figlio al sacrificio? Non v’è in ciò la manifestazione di un rigore eccessivo?

La risposta della rivelazione è precisa: lungi dall’essere un atto di crudeltà o di rigorosa severità, il gesto del Padre, che offre il Figlio in sacrificio, è il vertice dell’amore: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. San Giovanni, che riporta queste parole nel Vangelo (Jn 3,16), le commenta nella sua prima Lettera (1Jn 4,10): “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Jn 4,10).

Il Padre ha voluto un sacrificio di riparazione per le colpe dell’umanità, ma egli stesso ha pagato il prezzo di questo sacrificio (cf. S. Tommaso, Summa theologiae, III 48,5, ac. et ad 2), donando suo Figlio. Con questo dono ha mostrato in che misura egli era Salvatore e fino a che punto amava gli uomini. Il suo gesto è il gesto definitivo dell’amore. Per questo il mistero pasquale è “il vertice della rivelazione ed attuazione della misericordia” di Dio (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia DM 7).

Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra riconciliazione è costata al Padre un prezzo così alto. E come non ringraziarlo di questo amore che ci ha apportato, con la salvezza, la pace e la gioia?



Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai polacchi

Durante il mio pellegrinaggio a Oswiecim nel giugno del 1979, fermandomi davanti alla lapide in lingua ebraica, dedicata alle vittime di quel campo di morte, ho pronunziato le seguenti parole: “Questa iscrizione suscita il ricordo del Popolo, i cui figli e figlie erano destinati allo sterminio totale. Questo Popolo ha la sua origine da Abramo, che è padre della nostra fede (cfr Rm 4,12), come si è espresso Paolo di Tarso. Proprio questo popolo, che ha ricevuto da Dio il comandamento: “Non uccidere”, ha provato su se stesso in misura particolare che cosa significa uccidere. Davanti a questa lapide non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza”.

Oggi desidero richiamarmi, ancora una volta, a queste parole, ricordando insieme con tutta la Chiesa in Polonia e con l’intera Nazione ebraica i terribili giorni dell’insurrezione e dello sterminio del ghetto di Varsavia, quaranta anni fa (dal 19 aprile a metà del luglio 1943). Fu un grido disperato per il diritto alla vita, per la libertà e per la salvezza della dignità dell’uomo.


Signora di Jasna Gora!

Nel quadro del 600° anniversario della tua beata Effigie, ogni settimana mi presento davanti a te. Oggi ti chiedo di accogliere l’ecatombe di questi nostri fratelli e sorelle, che appartenendo al popolo ebraico, hanno condiviso con noi le prove della terribile occupazione nazista e hanno subìto la morte crudele dalle mani dell’occupante nella Capitale della Polonia.

Rendendo omaggio alla memoria delle vittime innocenti, preghiamo affinché Dio Eterno accolga questo sacrificio per il bene e la salvezza del mondo.

Ai gruppi italiani

Nel salutare tutti i presenti di lingua italiana, rivolgo un particolare pensiero al gruppo di Sacerdoti dell’arcidiocesi di Milano che celebrano il XXX anniversario della loro ordinazione sacerdotale e al gruppo delle religiose, che in questi giorni partecipano ad un corso di formazione promosso dalla scuola “Mater Divinae Gratiae” dell’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia o al Congresso promosso dal Movimento dei Focolari a Rocca di Papa.

Carissimi, questa circostanza della vostra vita sia per voi tutti uno stimolo per ravvivare il vostro impegno in una sempre più generosa corrispondenza alla vocazione sacerdotale e religiosa nella luce del Cristo Risorto, che non cessa di invitarvi alla sua imitazione nell’ardua, ma beatificante fatica per acquistare la perfezione vostra personale e per risuscitare alla grazia le anime affidate alla vostra cura pastorale.
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Saluto pure i partecipanti al pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Ferrara e della diocesi di Comacchio.

Carissimi, so che siete venuti per celebrare l’Anno Santo della Redenzione: sia questo pellegrinaggio per voi tutti il Giubileo della speranza, del perdono, della riconciliazione e di una nuova vita, attinta alle fonti della grazia! Il Signore vi benedica e vi sostenga sempre.
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Saluto poi i fedeli della Parrocchia di San Francesco Saverio in Roma, e nel ricordo della mia visita alla loro parrocchia, di cuore li benedico.
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Porgo ora a voi, giovani, il mio particolare saluto e vi ringrazio per la vostra presenza. Nell’atmosfera gioiosa e serena della Pasqua, in cui ancora viviamo in questi giorni, voglio ricordarvi ciò che si legge negli “Atti degli Apostoli”. Quando un angelo del Signore aprì le porte della prigione in cui gli Apostoli erano stati rinchiusi, disse loro: “Andate e mettetevi a predicare al popolo nel tempio tutte queste parole di vita”. Desidero anch’io rivolgere a voi tale esortazione: Gesù, risorgendo, ci ha liberati dalla prigione dell’ignoranza e del peccato. Siate anche voi nella vostra vita i testimoni convinti e generosi del messaggio di Cristo! Per questo vi ricordo tutti nelle mie preghiere e vi benedico.
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A voi malati e in qualunque modo sofferenti, rivolgo il mio pensiero e la mia parola, con profondo affetto: vi saluto cordialmente e vi auguro la guarigione e nello stesso tempo anche tanta pazienza e confidenza nel Signore, che ci è vicino sempre, ma specialmente quando il dolore fa sentire la precarietà della nostra vita e cambia le nostre prospettive. Meditate, cari malati, sulla realtà consolante della Risurrezione di Cristo, e nella tribolazione ripetete anche voi con totale fiducia le parole del Salmista: “Benedirò il Signore in ogni tempo! - Gustate e vedete quanto è buono il Signore!- Beato l’uomo che in lui si rifugia!” Vi accompagni la mia Benedizione.
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Infine, il mio speciale saluto e il mio augurio giungano a voi, Sposi Novelli, che avete voluto venire a Roma e partecipare all’Udienza, per iniziare così in modo spirituale la vostra nuova vita! Il gaudio della Pasqua sia sempre con voi, nei vostri affetti e nei vostri propositi. Nel cammino quotidiano del vostro amore sia sempre presente l’amore di Dio, fonte di vera letizia e di paziente coraggio! Anche a voi imparto la mia Benedizione, con l’augurio di ogni bene!



Mercoledì, 20 aprile 1983

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1. In questo tempo pasquale noi viviamo in pienezza la gioia della riconciliazione con Dio, che il Cristo risorto ci annuncia col saluto augurale; “Pace a voi” (
Jn 20,21). Ce l’annuncia “mostrandoci le mani e il costato” (Jn 20,20), invitandoci cioè a volgere il nostro sguardo verso il sacrificio che ci ha procurato questa riconciliazione. È soffrendo e morendo per noi che Cristo ha meritato il perdono dei nostri peccati e ha ristabilito l’alleanza tra Dio e l’umanità.

Il suo è stato un sacrificio espiatorio, ossia un sacrificio che presenta una riparazione per ottenere la remissione delle colpe. Nel culto dell’antica alleanza si praticavano questi sacrifici di riparazione; nel libro d’Isaia, il personaggio ideale del “Servo di Dio” ci viene descritto in una terribile prova, nella quale egli offre la sua vita come sacrificio espiatorio (Is 53,10). Gesù allude a questa figura di Servo quando definisce il senso della sua missione terrena: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45 Mt 20,28).

Egli sa perfettamente perché va alla morte: il suo sacrificio è il prezzo, il riscatto per la liberazione dell’umanità. Quando egli istituisce l’Eucaristia, offre da bere il sangue destinato ad essere versato per molti, in remissione dei peccati (Mt 26,28). Gesù è, dunque, consapevole d’offrire un sacrificio espiatorio, sacrificio diverso da quelli del culto giudaico, poiché consiste nel dono della propria vita e ottiene, una volta per tutte, la remissione dei peccati dell’umanità intera.

Questo sacrificio è stato espresso più tardi, nella riflessione teologica, mediante i concetti di soddisfazione e di merito. Cristo ha offerto una soddisfazione per i peccati e con ciò ci ha meritato la salvezza. Il Concilio di Trento dichiara che “Nostro Signore Gesù Cristo, mediante la sua santissima Passione, sul legno della Croce, ci ha meritato la giustificazione e ha soddisfatto per noi Dio Padre” (Denz.-S. DS 1529).

2. Il sacrificio espiatorio della Croce ci fa comprendere la gravità del peccato. Agli occhi di Dio il peccato non è mai un fatto senza importanza. Il Padre ama gli uomini ed è profondamente offeso dalle loro trasgressioni o ribellioni. Pur essendo disposto a perdonare, egli, per il bene e l’onore dell’uomo stesso, chiede una riparazione. Ma è proprio qui che la generosità divina si dimostra nel modo più sorprendente. Il Padre dona all’umanità il proprio Figlio, perché offra questa riparazione. Con ciò egli mostra tutta l’abissale gravità del peccato, poiché reclama la più alta riparazione possibile, quella che viene dal suo stesso Figlio. Al tempo stesso egli rivela la grandezza infinita del suo amore, poiché è il primo, col dono del Figlio, a portare il peso della riparazione.


Dio punisce dunque il Figlio innocente? Non v’è in ciò una violazione palese della giustizia? Cerchiamo di capire. È vero che il Cristo si sostituisce, in un certo modo, all’umanità peccatrice: egli, infatti, prende su di sé le conseguenze del peccato, che sono la sofferenza e la morte. Ma quello che sarebbe stato castigo, se questa sofferenza e questa morte fossero state inflitte ai colpevoli, riveste un significato diverso quando esse sono liberamente assunte dal Figlio di Dio: esse diventano un’offerta espiatrice per i peccati del mondo. Cristo assume, innocente, il posto dei colpevoli. Lo sguardo, che il Padre gli rivolge quando soffre sulla Croce, non è uno sguardo di collera, né di giustizia punitiva; è uno sguardo di perfetta compiacenza, che accoglie il suo sacrificio eroico.

3. Come non ammirare la commovente solidarietà, con la quale Cristo ha voluto portare il carico delle nostre colpe? Anche oggi, quando ci fermiamo a considerare il male che si manifesta nel mondo, possiamo stimare il peso immenso che è ricaduto sulle spalle del Salvatore. Come Figlio di Dio fatto uomo, egli era in grado di caricarsi dei peccati di tutti gli uomini, in tutti i tempi della loro storia. Assumendo questo carico davanti al Padre e offrendo una perfetta riparazione, egli ha trasformato il volto dell’umanità e liberato il cuore umano dalla schiavitù del peccato.

Come non essergli riconoscenti? Gesù conta sulla nostra gratitudine. Se infatti nel sacrificio espiatorio egli ha preso il posto di tutti noi, la sua intenzione non era di dispensarci da ogni riparazione. Egli anzi attende la nostra fattiva collaborazione alla sua opera redentrice.

Questa collaborazione riveste una forma liturgica nella celebrazione eucaristica, in cui il sacrificio espiatorio del Cristo è reso presente al fine di coinvolgere la comunità e i fedeli nell’offerta. Essa si estende poi all’insieme della vita cristiana, che è necessariamente contrassegnata dal segno della Croce. In tutta la sua esistenza, il cristiano è invitato a offrire se stesso in oblazione spirituale, da presentare al Padre in unione con quella di Cristo.

Felici di essere stati da Cristo riconciliati con Dio, sentiamo l’onore di condividere con lui l’ammirabile sacrificio che ci ha procurato la salvezza, e rechiamo anche il nostro contributo alla applicazione dei frutti della riconciliazione all’universo di oggi.

Ai pellegrini di lingua tedesca

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Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di espressione inglese


Ai gruppi di pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

Preghiera alla Madonna di Jasna Gora





Signora di Jasna Gora e Madre della mia Patria! Oggi desidero raccomandare in modo particolare al tuo amore materno la gioventù polacca.

Durante l’ultima riunione plenaria i Vescovi della Polonia hanno discusso sui problemi dei giovani polacchi di oggi, specialmente di quelli che lavorano. Lo dimostra l’enunciazione contenuta nel comunicato di questa riunione. La riporto: “Alcune cerchie della gioventù si trovano ad un crocevia e domandano: esiste ancora nel nostro Paese la possibilità di soddisfare le oneste aspirazioni della vita? Taluni, non vedendo prospettive davanti a sé, lasciano il Paese. Intanto i giovani intelletti e le forti mani sono necessarie alla Patria”.

Signora di Jasna Gora! Conserva questi giovani intelletti e queste mani forti per la grande, comune causa che porta il nome: Polonia. Aiuta la Chiesa ad “aver cura efficace” nel creare per i giovani le adeguate condizioni alla formazione dei caratteri.

Permetti che osi dire di più: tu stessa guida maternamente “la preparazione” dei giovani ad assumere la responsabilità per la propria vita, per la sorte del Paese e della Chiesa! Abbi anche cura, o Madre Immacolata, di tutta la pastorale giovanile e in particolare, del movimento delle Oasi e di quello di “Luce-Vita”, legati al servizio liturgico, di cui fanno menzione i Vescovi nel loro comunicato.

Madre di Jasna Gora! A te affidiamo la nostra gioventù! A te affidiamo il nostro avvenire!

Ai giovani

Mi rivolgo ora ai giovani. So che oggi sono presenti oltre undicimila studenti italiani. Carissimi, vi saluto con viva cordialità.

Il pellegrinaggio a Roma per l’Anno Santo si addice a voi in modo del tutto speciale: il vigore e la freschezza delle vostre forze vi consente di affrontare lunghi e disagevoli viaggi dalle parti più lontane del mondo: tale pellegrinaggio, mentre soddisfa la vostra sete di nuove esperienze, mette alla prova la vostra generosità e il vostro spirito di adattamento. Ma soprattutto il richiamo a Roma deve avere per voi un significato soprannaturale: ricevere maggior luce da Dio sul vostro avvenire, per affrontarlo in un sincero cammino di conversione nell’intento di preparare, nella luce di Cristo, una umanità migliore. Vi accompagna la mia affettuosa benedizione.

Agli ammalati

A voi, cari malati, che portate una croce pesante, vanno ora, col mio saluto, tutto il mio affetto, la mia stima, la mia ammirazione. Il Papa, miei cari, è sempre con voi; e voi - come ho già detto in tante altre occasioni - lo aiutate in un modo tutto speciale. Soltanto in cielo saprete quanto lo avete aiutato! Grazie di essere venuti. Desidero solo una cosa da voi: che perseveriate, con fede, nel vostro atto di offerta. Siate sempre generosi nell’offrire tutto per la vostra salvezza, per la riconciliazione dei peccatori, per la pace nel mondo, per l’avvento del Regno di Cristo. Vi benedico con tutto il cuore.

Agli sposi novelli

Ora mi rivolgo a voi, sposi novelli. Quale momento propizio quello di oggi, per farvi i migliori auguri! Siamo nel periodo pasquale, in questo Anno Santo che ricorda e riattualizza in modo speciale la Redenzione di Cristo e quindi la riconciliazione, la pace, la speranza, la gioia! Vi siete incamminati assieme, uniti, per una nuova vita fatta di amore, di fecondità, di speranza. Siete e dovete essere “segni” speciali della Pasqua e dell’Anno Santo. Proponetevi con fermezza, oggi e qui, di essere sempre questi segni, per tutta la vita. La grazia della Pasqua e dell’Anno Santo sia la vostra luce e la vostra forza.

Preghiera per il Libano

Vi invito oggi a pregare con me per la situazione nel tormentato Libano, dove la forza distruttrice della cieca violenza ha nuovamente causato, col gravissimo attentato all’Ambasciata degli Stati Uniti a Beirut, numerose vittime innocenti.

Eleviamo innanzitutto la nostra preghiera di suffragio per quanti sono deceduti tra le macerie, affinché il Signore conceda loro la pace eterna; imploriamo il conforto per i feriti e per le famiglie colpite negli affetti più cari.

Invochiamo anche il Signore perché mantenga sempre viva nel caro popolo libanese, così duramente provato, la speranza di una soluzione pacifica, giusta e durevole dell’attuale difficile stato di cose, ben sapendo che simili gesti, che la coscienza di tutti condanna e rifiuta, non giovano a restaurare la concordia e la pace a cui quella Nazione tanto anela. Il Signore Gesù che ha trionfato sulla morte, conceda al nobile popolo libanese e a tutti i popoli dell’intera regione di riconquistare la sospirata pace, e di vivere nel rispetto reciproco e nella riconciliazione degli uomini.

Il Signore esaudisca questi ardenti voti, che ora vogliamo avvalorare col canto del Pater Noster.



Mercoledì, 27 aprile 1983

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1. La gioia pasquale, che è la condizione abituale del cristiano e che apprezziamo più particolarmente in questo tempo liturgico, non può farci dimenticare, carissimi fratelli e sorelle, l’immensità delle sofferenze del mondo. Non è forse vero, del resto, che la Risurrezione di Cristo, da cui scaturisce la nostra gioia, ci rimanda continuamente al mistero della sua Passione? Anche l’umanità che, nella Pasqua, è stata introdotta nel mistero della Passione e della Risurrezione del Salvatore, è chiamata a vivere continuamente il passaggio dalla sofferenza alla gioia. E anzi, secondo il disegno divino, dove abbondano maggiormente le sofferenze, ivi la gioia è destinata a sovrabbondare.

Nella sua opera di riconciliazione, il Figlio di Dio incarnato ha preso volontariamente su di sé la sofferenza e la morte, che gli uomini avevano meritato per i loro peccati. Ma non ci ha esonerati da questa sofferenza e da questa morte, perché vuole farci partecipare al suo sacrificio redentore. Egli ha cambiato il senso del dolore: esso avrebbe dovuto essere un castigo per le colpe commesse; ora invece, nel Signore crocifisso, è diventato materia di una possibile offerta all’amore divino per la formazione di una nuova umanità.

Gesù ha corretto l’opinione che considerava la sofferenza unicamente come punizione del peccato. Infatti, alla domanda dei discepoli riguardo al cieco nato, egli esclude che quell’infermità derivi dal peccato, e afferma che ha per motivo la manifestazione delle opere di Dio, manifestazione che si avrà col miracolo della guarigione e ancor più con l’adesione dell’infermo guarito alla luce della fede (
Jn 9,3).

2. Per comprendere il senso della sofferenza, non si deve guardare tanto all’uomo peccatore, quanto piuttosto a Cristo Gesù, suo Redentore. Il Figlio di Dio, che non aveva meritato la sofferenza e che avrebbe potuto esimersene, per amore nostro si è invece impegnato a fondo nella via della sofferenza. Egli ha sopportato dolori di ogni specie, sia di ordine fisico che di ordine morale. Tra le sofferenze morali non ci furono soltanto gli oltraggi, le false accuse e il disprezzo dei nemici, insieme con la delusione per la viltà dei discepoli; vi fu anche la misteriosa afflizione provata nell’intimo dell’animo a causa dell’abbandono del Padre. La sofferenza invase e avvolse tutto l’essere umano del Figlio incarnato.


La parola “Ecco l’uomo!” (Jn 19,5), che Pilato pronunciò per distogliere gli accusatori dal loro disegno, mostrando ad essi in quale stato miserando Gesù si trovava, fu accolta e conservata dai cristiani come un invito a scoprire un nuovo volto dell’uomo. Gesù appare come l’uomo oppresso dal dolore, dall’odio, dalla violenza, dallo scherno, e ridotto all’impotenza. In quel momento egli impersonava le sofferenze più profonde dell’umanità. Mai uomo ha sofferto così intensamente, né così completamente, e quest’uomo è il Figlio di Dio. Nel suo volto umano traspare una nobiltà superiore. Cristo realizza l’ideale dell’uomo che, attraverso il dolore, porta al più alto livello il valore dell’esistenza.

3. Questo valore non risulta unicamente dalla sofferenza, ma dall’amore che in essa si esprime. “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Jn 13,1). Nel mistero della Passione l’amore di Cristo per noi raggiunge il suo vertice. E proprio da quel vertice si diffonde una luce che illumina e dà senso a tutte le sofferenze umane. Nell’intenzione divina le sofferenze sono destinate a favorire la crescita dell’amore e perciò a nobilitare e ad arricchire l’esistenza umana. La sofferenza non è mai inviata da Dio allo scopo di schiacciare, né di diminuire la persona umana, né d’intralciarne lo sviluppo. Essa ha sempre lo scopo di elevare la qualità della vita, stimolandola ad una più alta generosità.

Certo, seguendo Gesù, dobbiamo sforzarci di alleviare e, per quanto possibile, sopprimere le sofferenze di coloro che ci circondano. Nel corso della vita terrena Gesù testimoniò la sua simpatia per tutti gli infelici, e apportò loro un soccorso efficace, guarendo un gran numero di malati e di infermi. Ai suoi discepoli raccomandò poi di soccorrere tutti gli sventurati, riconoscendo in ciascuno di essi il proprio volto.

Ma nelle sofferenze che ci toccano personalmente, e che non possiamo evitare, Cristo c’invita a cogliere la possibilità di un amore più grande. Egli avverte i suoi discepoli che saranno particolarmente associati alla sua Passione redentrice: “In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Jn 16,20). Gesù non è venuto ad instaurare un paradiso terrestre, dal quale sia escluso il dolore. Quelli che sono più intimamente uniti al suo destino, devono aspettarsi la sofferenza. Questa, tuttavia, si concluderà nella gioia. Come la sofferenza della donna che dà alla luce la propria creatura (Jn 16,21).

La sofferenza è sempre un breve passaggio verso una gioia duratura (Rm 8,18), e questa gioia è fondata sull’ammirabile fecondità del dolore. Nel piano divino ogni dolore è dolore di parto; esso contribuisce alla nascita di una nuova umanità. Possiamo affermare pertanto che, riconciliando l’uomo con Dio mediante il suo sacrificio, Cristo lo ha riconciliato con la sofferenza, perché ha fatto di essa una testimonianza d’amore e un atto fecondo per la creazione di un mondo migliore.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese



Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di espressione spagnola


Ai fedeli di espressione portoghese

Ai polacchi



Desidero riportare le parole del messaggio pontificio in occasione del millesimo della consacrazione episcopale di san Wojciech (Adalberto). L’avvenimento ebbe luogo il 29 giugno 983 a Verona. La celebrazione dell’anniversario è stata presieduta dal Cardinale Wladyslaw Rubin.

Nella lettera si legge: “L’esempio di sant’Adalberto si presenta quindi oggi più che mai valido in un’Europa che, pur conservando il tesoro inestimabile della verità cristiana, vede tuttavia risorgere nel proprio seno, in varie forme, i fermenti di dissoluzione propri di quel pensiero pagano che era stato superato dalla novità del Vangelo, grazie all’opera generosa e - diciamolo pure - eroica dei primi missionari, tra i quali appunto il santo patrono di Praga”.

Sant’Adalberto è, insieme con san Stanislao, principale patrono della Polonia al tuo fianco, o Signora di Jasna Gora e Regina della Polonia. Unendomi in spirito all’annuale solennità di sant’Adalberto, che domenica ha avuto il suo centro a Gniezno, sede primaziale, raccomando all’intercessione di questo santo la nostra Patria e tutti i miei conterranei.

Egli, le cui sante reliquie sono diventate, poco dopo il Battesimo della Polonia, fondamento dell’unione gerarchica della Patria, interceda per noi, affinché nelle prove dei nostri tempi restiamo fedeli alle promesse del nostro Battesimo e affinché il Battesimo non cessi di essere per noi la sorgente della forza spirituale.

Ai fedeli italiani

Un affettuoso saluto desidero rivolgere ai fedeli della Diocesi di La Spezia, che, con la guida del Vescovo Monsignor Siro Silvestri, compiono un pellegrinaggio a Roma per venerare le Tombe degli Apostoli.

A voi il mio compiacimento e l’augurio che questo Anno Giubilare della Redenzione sia vissuto in spirito di penitenza e di rinnovamento spirituale, secondo l’invito rivolto da Cristo alle folle, fin dall’inizio del suo ministero: “Convertitevi e credete al Vangelo”.
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Un deferente saluto porgo anche ai partecipanti al nono Corso-convegno sulla “Umanizzazione della Medicina” ed altresì ai medici partecipanti al secondo Congresso nazionale sulla “Terapia di Supporto in Oncologia”, organizzato dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; come pure ai partecipanti al terzo Simposio internazionale sulla “Chirurgia ed Endoscopia dell’Apparato digerente”, organizzato dai Direttori delle Cattedre di Semeiotica e Patologia chirurgica dell’Università degli Studi di Roma.

La vostra professione è un grave, continuo e delicato impegno, dedicato alla vita ed alla salute dell’uomo; è pertanto un gesto di amore e di solidarietà verso i fratelli. Il Signore, Padre di tutti, vi illumini sempre, vi guidi e vi dia i suoi celesti conforti.
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Desidero salutare il gruppo dei pellegrini di Apricena, in diocesi di Lucera, e ben volentieri intendo benedire il diadema d’oro, con cui il 10 maggio prossimo sarà incoronata l’Effigie della Vergine Santissima venerata nel Santuario mariano di quella cittadina.
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Un particolare saluto anche al folto gruppo di Donatori del Sangue, che sono venuti da Lanciano, guidato dal loro Arcivescovo, Monsignor Enzo d’Antonio, al fine di lucrare il Giubileo.
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Il mio più cordiale saluto a voi, carissimi giovani, ed a voi studenti delle scuole di ogni grado. Saluto in particolare voi, ari bambini, che nel sacramento dell’Eucaristia avete ricevuto per la prima volta Gesù nel cuore. Sia Egli l’amico vostro di oggi e di sempre. La vostra presenza mi porta col pensiero ai ragazzi della scuola media di Napoli che ieri sono stati coinvolti in un tragico incidente nei pressi della città di Firenze. Invito tutti i presenti ad unirsi con me ad un’accorata preghiera al Signore, perché accolga nella gioia della sua casa le vittime della sciagura e conforti le loro famiglie, alle quali mi sento tanto vicino in questo momento di indicibile dolore. Preghiamo, altresì, per i feriti, affinché possano ricuperare presto la salute.
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Un pensiero particolare, nel clima dell’Anno Santo, rivolgo agli ammalati, che sono i collaboratori più cari del Signore, nell’Opera della Salvezza. Saluto in particolare i Ragazzi del Centro Don Gnocchi di Milano, i Volontari della Sofferenza di Roma, gli ammalati di Villaraspa di Mason e dell’UNITALSI di Signa. Carissimi, come ogni croce offerta al Signore, anche il vostro quotidiano dolore è strumento di bene per l’umanità intera. Il Cristo della Pasqua, che è presente ogni giorno con voi, sia il costante punto di riferimento della vostra vita.
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Agli sposi novelli, qui presenti, ricordo che il Salvatore ci ha redenti nell’amore. Auspico perciò che possiate trovare sempre in Lui, che ha amato fino al sacrificio di sé, l’esempio e la forza per poter vivere un amore autenticamente cristiano, e formulo voti affinché nella società siate luce capace di togliere dai cuori le tenebre dell’egoismo.

Su voi tutti e sui vostri cari la mia Benedizione Apostolica.






Catechesi 79-2005 60483