Agostino: Le confessioni 311

Un sogno di Monica

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11. 19. Ma tu stendesti la tua mano dall’alto (Cf. Sal
Ps 143,7) e traesti la mia anima (Ps 85,13) da un tale abisso di tenebre, mentre per amor mio piangeva innanzi a te mia madre, tua fedele, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli. Grazie alla fede e allo spirito (Cf. Gal Ga 5,5) ricevuto da te essa vedeva la mia morte ; e tu l’esaudisti, Signore. L’esaudisti, non spregiasti le sue lacrime, che rigavano a fiotti la terra sotto i suoi occhi dovunque pregava. Tu l’esaudisti : perché, da chi le venne il sogno consolatore, per il quale accettò di vivere con me e avere con me in casa la medesima mensa, che da principio aveva rifiutata per avversione e disgusto del mio traviamento blasfemo ? Le sembrò, dunque, di essere ritta sopra un regolo di legno, ove un giovane radioso e ilare le andava incontro sorridendole, mentre era afflitta, accasciata dall’afflizione. Il giovane le chiedeva i motivi della sua mestizia e delle lacrime che versava ogni giorno, più con l’intento di ammaestrarla, come suole accadere, che d’imparare ; ed ella rispondeva di piangere sulla mia perdizione. Allora l’altro la invitava, per tranquillizzarla, e la esortava a guardarsi attorno : non vedeva (Cf. Lam Lm 1,12) che là dov’era lei ero anch’io ? Ella guardò e mi vide ritto al suo fianco sul medesimo regolo. Quale l’origine del sogno, se non il tuo orecchiare al suo cuore (Cf. Sal Ps 9,38), o bontà onnipotente, che ti prendi cura di ciascuno di noi come se avessi solo lui da curare, e di tutti come di ciascuno ?

11. 20. E quale l’origine di quest’altro fatto : che dopo avermi narrato il suo sogno, appunto, e mentre io m’ingegnavo a trarlo a questo significato : che era lei piuttosto a non dover disperare di essere un giorno come me ; ebbene, subito, senza un attimo di esitazione, esclamò : "No, non mi fu detto : là dov’è lui sarai anche tu ; ma : là dove sei tu sarà anche lui". Ti confesso, Signore, questo mio ricordo, in quanto mi rammento, né mai ne feci mistero, che ancor più del sogno in sé mi scosse questa tua risposta per bocca di mia madre sveglia. Essa non si smarrì di fronte a una così sottile, ma falsa interpretazione e vide così presto ciò che si doveva vedere e io certo non avevo veduto prima delle sue parole. Così proprio in quel sogno e molto tempo prima del vero fu predetto alla pia il gaudio che avrebbe provato in un futuro lontano, per consolarla dell’ansia che la struggeva al presente. Passarono in seguito nove anni, durante i quali io mi avvoltolai in quel fango d’abisso (Ps 68,3) e tenebre d’errore ove ad ognuno dei molti tentativi che feci per risollevarmi, più pesantemente mi abbattevo ; eppure quella vedova casta, pia e sobria (Cf. Tt Tt 2,5), quali tu le ami, dalla speranza, certo, resa ormai più alacre, ma al pianto e ai gemiti non meno pronta, persisteva a far lamento per me davanti a te in tutte le ore delle sue orazioni. Le sue preghiere penetravano sino al tuo sguardo (Ps 87,3), e nondimeno tu mi lasciavi ancora aggirare e raggirare nella caligine.

L’augurio di un vescovo

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12. 21. Ricordo un secondo responso che desti nel frattempo, e tralascio molti altri episodi per la fretta di giungere a quelli che più mi urgono perché li confessi, senza dire che molti li ho dimenticati. Dunque ci fu un secondo responso, che desti per bocca di un tuo sacerdote, certo vescovo nutrito nella chiesa ed esperto nei tuoi libri. Pregato da quella donna che si degnasse di trattenersi con me per confutare i miei errori, dissuadermi dai princìpi errati e persuadermi dei giusti, come del resto era solita fare quando per caso trovava una persona adatta, si rifiutò, saggiamente invero, come più tardi capii. Le risposte infatti che ero ancora indocile perché gonfiato dal contatto recente con quella tale eresia e perché avevo già confuso molte persone impreparate mediante certe polemichette, come, aveva saputo da lei. "Ma, soggiunse, lascialo stare dov’è. Prega soltanto il Signore per lui. Scoprirà da se stesso, leggendo, dove sia il suo errore e quanto sia grande la sua empietà". Contemporaneamente le narrò come egli pure, fanciulletto, fosse stato affidato dalla madre, da loro lusingata, ai manichei e avesse non soltanto letto, ma altresì copiato via via quasi tutti i loro libri. Così aveva scoperto da solo, senza bisogno delle discussioni e delle persuasioni di nessuno, quanto si debba fuggire dalla loro setta, da cui infatti fuggì. Queste parole non bastarono ad acquietare mia madre. Essa anzi insisteva ancor più con implorazioni e lacrime copiose, perché acconsentisse a vedermi, a discutere con me ; finché il vescovo, un po’ stizzito e un po’ annoiato, esclamò : "Vattene : possa tu vivere come non può essere che il figlio di tante lacrime perisca". Queste parole ella accolse, come ricordava poi spesso nei nostri colloqui, quasi fossero risuonate dal cielo.

Libro quarto




INSEGNANTE PER NOVE ANNI A TAGASTE E CARTAGINE

Vanità di retore


Nove anni di superbia e superstizione manichea

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1. 1. Trascorremmo questo periodo di nove anni, dal diciannovesimo al ventottesimo, cadendo e traendo in agguati, fra inganni subìti e attuati, in preda a diverse passioni, pubblicamente praticando l’insegnamento delle discipline cosiddette liberali, occultamente una religione spuria, superbi nel primo, superstiziosi nella seconda, in entrambi vani ; attraverso il primo inseguendo una fama popolare vuota fino agli applausi teatrali, ai certami poetici, a gare per una corona di fieno, a spettacoli frivoli e passioni sregolate ; attraverso la seconda cercando la purificazione da queste macchie mediante le vivande che portavamo agli eletti e ai santoni, come li chiamavano, affinché nell’officina del loro ventricolo ne fabbricassero per noi gli angeli e gli dèi nostri liberato-ri. Io seguivo queste pratiche, le compivo insieme ai miei amici, ingannandoli e ingannandomi con loro. Subirò la derisione dei presuntuosi, coloro che non hai ancora prostrati e schiacciati per il loro bene, Dio mio ; ma ti confesserò ugualmente le mie infamie a tua lode (
Ps 105,47). Permettimi, ti scongiuro, concedimi di percorrere col ricordo presente gli antichi percorsi del mio errore e di immolarti una vittima di giubilo (Ps 26,6). Cosa sono io per me stesso senza te, se non una guida verso il precipizio ? e quando anche sto bene, cosa sono, se non uno che succhia il tuo latte (Cf. Dt Dt 33,19 Is 60,16) e si nutre di te, vivanda incorruttibile (Cf. Gv Jn 6,27) ? e chi è l’uomo, qualsiasi uomo, come uomo ? Ci deridano pure i forti e i potenti ; noi, deboli e bisognosi (Cf. Sal Ps 73,21), ci confesseremo a te.

Vita pubblica e privata di Agostino in quegli anni

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2. 2. In quegli anni insegnavo retorica : vinto cioè dalla mia passione, vendevo chiacchiere atte a vincere cause. Tuttavia preferivo, Signore, tu sai (
Tb 8,9 Jn 21,15 s), avere allievi buoni nel vero senso della parola, e a loro senza inganno insegnavo inganni utili non a perdere un innocente (Cic, De off, 214, 51), ma a salvare talvolta un reo. E tu, Dio, di lontano vedesti vacillare sul viscidume la mia buona fede ed emettere tra denso fumo qualche sprazzo di luce (Cf. Is Is 42,3). Io la offrivo nel mio insegnamento a persone che amavano la vanità e cercavano la menzogna (Ps 4,3), senza essere diverso da loro. Ancora in quegli anni tenevo con me una donna, non posseduta in nozze, come si dicono, legittime, ma scovata nel vagolare della mia passione dissennata ; una sola, comunque, e a cui prestavo per di più la fedeltà di un marito. Sperimentai tuttavia di persona in questa unione l’enorme divario esistente fra l’assetto di un patto coniugale stabilito in vista della procreazione, e l’intesa di un amore libidinoso, ove pure la prole nasce, ma contro il desiderio dei genitori, sebbene imponga di amarla dopo nata.

Avversione per le pratiche degli aruspici


2. 3. Ricordo pure che, avendo voluto partecipare a un concorso di poesia teatrale, un oscuro aruspice mi fece chiedere quale ricompensa ero disposto a dargli, perché mi facesse vincere. Risposi che detestavo e aborrivo le sue luride pratiche, e neppure se la corona fosse stata d’oro indistruttibile avrei permesso che s’immolasse una mosca per la mia vittoria. Era infatti evidente che si preparava a immolare nei suoi sacrifici alcuni animali nell’intento di attrarre su di me con tali omaggi i favori dei demòni. Rifiutai dunque un simile misfatto, ma ancora una volta non in nome della tua illibatezza, Dio del mio cuore (Ps 72,26), perché non sapevo amarti, non sapendo pensare a uno splendore privo di corpo : e un’anima che sospira dietro a simili immaginazioni non tresca forse lontano da te (Ps 72,27), non poggia su falsità, non nutre i venti (Pr 10,4) ? Non volevo certamente che s’immolassero vittime per me ai demòni ; io stesso però m’immolavo a loro mediante la mia superstizione : e che altro è "nutrire i venti", se non nutrire i demòni, offrire cioè ad essi col proprio errore motivi di godimento e derisione ?

Ostinata devozione per l’astrologia

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3. 4. Perciò quegli altri vagabondi, che chiamano matematici, non desistevo dal consultarli tranquillamente, pensando che non praticavano nessun sacrificio e non pregavano nessuno spirito per divinare il futuro. La religiosità cristiana, la vera, respinge e condanna però coerentemente ogni pratica del genere. È bene confessare te, Signore (
Ps 91,2), e dirti : "Abbi pietà di me, sana la mia anima, perché ho peccato contro di te" (Ps 40,5) ; ed è bene non abusare della tua indulgenza per darsi licenza di peccare, ricordando le parole divine : Eccoti guarito, non peccare più, se non vuoi che ti avvenga di peggio (Jn 5,14). Dono di salvezza, costoro si sforzano di distruggerlo interamente dicendo : "Dal cielo ti viene la causa inevitabile del peccato" e : "È opera di Venere", oppure di Saturno, oppure di Marte. Evidentemente mirano con ciò a rendere senza colpa l’uomo, che è carne e sangue (Mt 16,17 1 Cor 1Co 15,50) e superbo marciume, e colpevole il creatore e regolatore del cielo e degli astri. Ma chi è costui, se non tu, nostro Dio, dolcezza e fonte di giustizia, che renderai a ciascuno secondo le proprie opere (Ps 61,13 Mt 16,27 Rm 2,6), e non sprezzi il cuore contrito e umiliato (Ps 50,19) ?

Due avversari dell’astrologia : Vindiciano e Nebridio


3. 5. Viveva in quel tempo un personaggio intelligente, versatissimo e reputatissimo in medicina, il quale da proconsole aveva posto di sua mano sul mio capo malsano la corona vinta nelle gare poetiche, ma non come medico, poiché il guaritore di quella specie di malattie sei tu, che resisti ai superbi, mentre agli umili accordi favore (Jc 4,6 1 Pt 1P 5,5). Eppure mancasti o cessasti forse di medicare la mia anima anche per il tramite di quel vecchio ? Entrato dunque in una certa dimestichezza con lui, ne ascoltavo assiduamente e attentamente i discorsi, piacevoli e austeri, poveri di vocaboli ricercati ma ricchi di pensieri vividi. Allorché da un nostro colloquio venne a conoscenza del mio interesse per i libri degli oroscopi, mi consigliò con amorevolezza paterna di buttarli e di non impiegare vanamente in futilità l’attenzione e la fatica necessaria per le cose utili. Egli stesso, mi disse, aveva studiato la materia, tanto che in gioventù avrebbe voluto farsene il proprio mestiere, di cui campare : se aveva capito Ippocrate, avrebbe ben potuto capire anche quei testi. Eppure più tardi li abbandonò per darsi alla medicina solo perché aveva scoperto la loro completa falsità e non avrebbe voluto, persona seria qual era, guadagnare il pane gabbando il prossimo. "Tu, soggiunse, possiedi un’arte che ti offre una posizione sociale solida, la retorica, e coltivi questo imbroglio per libera passione, non per necessità economiche. A maggior ragione devi fidarti di me in questa materia, che ho cercato d’imparare compiutamente così come avevo deciso di farne il mio unico sostentamento". Io gli chiesi allora come mai avvenisse che molte predizioni si realizzano. Rispose come poteva, che è un effetto del caso disseminato dovunque in natura. Consultando a casaccio, spiegava, le pagine di un qualsiasi poeta, che ben altro canta e pensa, spesso ne esce un verso, mirabilmente consono col fatto proprio ; non è dunque strano se per un misterioso impulso dall’alto l’anima umana, pur ignara di quanto avviene nel suo interno, non per abilità, ma per accidente, faccia echeggiare alcune parole, che si armonizzano con la situazione e le faccende dell’interrogante.

3. 6. Questo ammaestramento tu mi facesti avere da quell’uomo o per mezzo di quell’uomo, tracciando nella mia memoria le linee di una ricerca, che poi avrei svolto per conto mio. Al momento né lui né il mio carissimo Nebridio, giovane di grande bontà e accortezza, con i suoi dileggi verso ogni sorta di presagi, poterono indurmi a respingerli. Aveva più influenza sul mio animo l’autorità dei miei autori, né avevo trovato ancora una prova sicura, quale cercavo, che mi mostrasse senza ambiguità come le predizioni degli astrologhi consultati predices-sero il vero per fortuna o sorte, non per l’arte di osservare le stelle.

Morte di un carissimo amico


Storia di un’amicizia

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4. 7. In quegli anni, all’inizio del mio insegnamento nella città natale, mi ero fatto un amico, che la comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell’adolescenza come me, con me era cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato ; però prima di allora non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti non c’è vera amicizia, se non quando l’annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell’amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato (). Ma quanto era soave, maturata com’era al calore di gusti affini ! Io lo avevo anche traviato dalla vera fede, sebbene, adolescente, non la professasse con schiettezza e convinzione, verso le funeste fandonie della superstizione, che erano causa delle lacrime versate per me da mia madre. Con me ormai la mente del giovane errava, e il mio cuore non poteva fare a meno di lui. Quando eccoti arrivare alle spalle dei tuoi fuggiaschi, Dio delle vendette (
Ps 93,1) e fonte insieme di misericordie, che ci rivolgi a te in modi straordinari (Cf. Sal Ps 50,15) ; eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era amico, a me dolce più di tutte le dolcezze della mia vita di allora.

Malattia e morte dell’amico


4. 8. Chi può da solo enumerare i tuoi vanti (Cf. Ps 105,2), che in sé solo ha conosciuto ?. Che facesti tu allora, Dio mio ? Imperscrutabile abisso delle tue decisioni (Cf. Sal Ps 35,7 Rm 11,33) ! Tormentato dalle febbri egli giacque a lungo incosciente nel sudore della morte. Poiché si disperava di salvarlo, fu battezzato senza che ne avesse sentore. Io non mi preoccupai della cosa nella presunzione che il suo spirito avrebbe mantenuto le idee apprese da me, anziché accettare un’azione operata sul corpo di un incosciente. La realtà invece era ben diversa. Infatti migliorò e uscì di pericolo ; e non appena potei parlargli, e fu molto presto, non appena poté parlare anch’egli, poiché non lo lasciavo mai, tanto eravamo legati l’uno all’altro, tentai di ridicolizzare ai suoi occhi, supponendo che avrebbe riso egli pure con me, il battesimo che aveva ricevuto mentre era del tutto assente col pensiero e i sensi, ma ormai sapeva di aver ricevuto. Egli invece mi guardò inorridito, come si guarda un nemico, e mi avvertì con straordinaria e subitanea franchezza che, se volevo essere suo amico, avrei dovuto smettere di parlare in quel modo con lui. Sbalordito e sconvolto, rinviai a più tardi tutte le mie reazioni, in attesa che prima si ristabilisse e acquistasse le forze convenienti per poter trattare con lui a mio modo. Senonché fu strappato alla mia demenza per essere presso di te serbato alla mia consolazione. Pochi giorni dopo, in mia assenza, è assalito nuovamente dalle febbri e spira.

Lo sconforto di Agostino


4. 9. L’angoscia avviluppò di tenebre il mio cuore (Cf. Lam Lm 5,17). Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un tormento la mia patria, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno strazio immane. I miei occhi se lo aspettavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi : "Ecco, verrà", come durante le sue assenze da vivo. Io stesso ero divenuto per me un grande enigma. Chiedevo alla mia anima perché fosse triste e perché mi conturbasse tanto, ma non sapeva darmi alcuna risposta ; e se le dicevo : "Spera in Dio" (Cf. Sal Ps 41, 6, 12; 42, 5), a ragione non mi ubbidiva, poiché l’uomo carissimo che aveva perduto era più reale e buono del fantasma in cui era sollecitata a sperare. Soltanto le lacrime mi erano dolci e presero il posto del mio amico tra i conforti del mio spirito (Ps 138,11 Cf. Prv Pr 29,17).

Misterioso conforto del pianto

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5. 10. Ed ora, Signore, tutto ciò è ormai passato e il tempo ha lenito la mia ferita. Potrei ascoltare da te, che sei la verità (Cf. Gv
Jn 14,6), avvicinare alla tua bocca l’orecchio del mio cuore, per farmi dire come il pianto possa riuscire dolce agli infelici ? o forse, sebbene ovunque presente, hai respinto lontano da te la nostra infelicità e, mentre tu sei stabile in te stesso, noi ci muoviamo in un seguito di prove (Cf. Sg 7,27) ? Eppure, se non potessimo piangere contro le tue orecchie, non rimarrebbe nulla della nostra speranza. Come può essere dunque che dall’amarezza della vita si coglie un soave frutto di gemiti, di pianto, di sospiri, di lamenti ? La dolcezza nasce forse dalla speranza che tu li ascolti ? Ciò accade giustamente nelle preghiere, perché sono animate dal desiderio di giungere fino a te : ma anche nella sofferenza per una perdita, in un lutto come quello che allora mi opprimeva ? Io non speravo né invocavo con le mie lacrime il ritorno dell’amico alla vita, ma soffrivo e piangevo soltanto. Io ero infelice e la mia felicità più non era. O forse il pianto è una realtà amara e ci diletta per il disgusto delle realtà un tempo godute e ora aborrite ?

Le ragioni della vita di fronte alla morte

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6. 11. Ma perché parlo di queste cose ? Non è tempo, questo, di porti domande, bensì di farti le mie confessioni. Sì, ero infelice, e infelice è ogni animo avvinto d’amore alle cose mortali. Solo quando la loro perdita lo strazia, avverte l’infelicità, di cui però era preda anche prima della loro perdita. Così avveniva allora per me. Piangevo amarissimamente, e riposavo nell’amarezza (
Jb 3,20 Jb 23,2 Is 38,15) ; mi sentivo infelicissimo, e avevo cara la stessa vita infelice più dell’amico perduto. Avrei voluto mutarla, ma non avrei voluto perderla in sua vece. Non so se avrei accettato di fare anche per lui come Oreste e Pilade, i quali, secondo la tradizione, se non è un’invenzione, avrebbero accettato di morire uno per l’altro o insieme, essendo per loro peggio di quella morte il vivere non insieme. In me era sorto un sentimento indefinibile decisamente contrario a questo, ove la noia, gravissima, della vita, in me si associava al timore della morte. Quanto più lo amavo, io credo, tanto più odiavo e temevo la morte, nemica crudelissima che me lo aveva tolto e si apprestava a divorare in breve tempo, nella mia immaginazione, tutti gli uomini, se aveva potuto divorare quello. Tale certamente era il mio stato d’animo, mi ricordo. Eccolo il mio cuore, mio Dio, eccolo nel suo intimo. Vedilo attraverso i miei ricordi, o speranza mia (Ps 70,5), tu che mi purifichi dall’impurità di questi sentimenti, dirigendo i miei occhi verso di te e strappando dal laccio i miei piedi (Ps 24,15). Mi stupivo che gli altri mortali vivessero, se egli, amato da me come non avesse mai a morire, era morto ; e più ancora, che io vivessi se era morto colui, del quale ero un altro se stesso (Cic, Ad famil, 7, 5, 1), mi stupivo. Bene fu definito da un tale il suo amico la metà dell’anima sua (Cf. Hor., Carm, 1, 3-8; A, Otto, o.c., s.v, animus 1, p, 1P 26). Io sentii che la mia anima e la sua erano state un’anima sola in due corpi (Cf. A, Otto, o.c., s.v, animus 1, pp, 25 s.; Ov., Trist, 4, 4, 72) ; perciò la vita mi faceva orrore, poiché non volevo vivere a mezzo, e perciò forse temevo di morire, per non far morire del tutto chi avevo molto amato.

Partenza per Cartagine in cerca di sollievo

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7. 12. Oh follia, incapace di amare gli uomini quali uomini ! Oh stoltezza dell’uomo, insofferente della condizione umana ! Tali erano i miei sentimenti di allora, e di lì nascevano i miei furori, i miei sospiri, le mie lacrime, i miei turbamenti e l’irrequietudine e l’incertezza. Mi portavo dentro un’anima dilaniata e sanguinante, insofferente di essere portata da me ; e non trovavo dove deporla. Non certo nei boschi ameni, nei giochi e nei canti, negli orti profumati, nei conviti sfarzosi, fra i piaceri dell’alcova e delle piume, sui libri infine e i poemi posava. Tutto per lei era orrore, persino la luce del giorno ; e qualunque cosa non era ciò che lui era, era triste e odiosa, eccetto i gemiti e il pianto. Qui soltanto aveva un po’ di riposo ; ma appena di lì la toglievo, la mia anima, mi opprimeva sotto un pesante fardello d’infelicità. Per guarirla avrei dovuto sollevarla verso di te, Signore (
Ps 24,1), lo capivo, ma non volevo né valevo tanto, e ancora meno perché non eri per la mia mente un essere consistente e saldo, ossia non eri ciò che sei. Un vano fantasma e il mio errore erano il mio dio. Se tentavo di adagiarvi la mia anima per farla riposare, scivolava nel vuoto, ricadendo nuovamente su di me ; e io ero rimasto per me stesso un luogo infelice, ove non potevo stare e donde non potevo allontanarmi. Dove poteva fuggire infatti il mio cuore via dal mio cuore, dove fuggire io da me stesso, senza inseguirmi ? Dalla mia patria però fuggii (Cf. Sal Ps 138,7 Lucr, Ps 3,34 s.; Hor., Carm, Ps 2, 16, Ps 19 s.; Sen., De tranqu, an, Ps 2,14), perché i miei occhi meno cercavano l’amico dove non erano avvezzi a vederlo. Così dal castello di Tagaste mi trasferii a Cartagine.

A Cartagine


Nuove amicizie consolatrici

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8. 13. Il tempo non è inoperoso, non passa oziosamente sui nostri sentimenti. Agisce invece sul nostro animo in modo sorprendente. Ecco, veniva e trascorreva di giorno in giorno (
Ps 60,9 Ps 95,2 Si 5,8 Is 58,2 2Co 4,16), e venendo e trascorrendo insinuava dentro di me nuove speranze, nuovi ricordi con paziente restauro ove alle antiche forme di piacere cedeva il recente dolore. Ma succedevano, se non nuovi dolori, motivi almeno di nuovi dolori. Perché, d’altronde, quel primo dolore era penetrato con grande facilità nel mio intimo, se non perché avevo versato la mia anima sulla sabbia (Cf. A, Otto, o.c., s.v, harena 2, 159), amando una creatura mortale come fosse immortale ? Massimo ristoro e sollievo mi veniva dai conforti degli altri amici, con i quali avevo in comune l’amore di ciò che amavo in tua vece, dell’enorme finzione, della lunga impostura, corruttrice, con le sue carezze spurie, del nostro pensiero smanioso di udire (Cf. 2Tm 4,3 s). Per me quella finzione non moriva, se anche uno dei miei amici moriva. Altri legami poi avvincevano ulteriormente il mio animo : i colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture di libri ameni, i comuni passatempi ora frivoli ora decorosi, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con se stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi, rarissimi dissensi ; l’essere ognuno dell’altro ora maestro, ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose di chi ritorna. Questi e altri simili segni di cuori innamorati l’uno dell’altro, espressi dalla bocca, dalla lingua, dagli occhi e da mille gesti gradevolissimi, sono l’esca, direi, della fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa una sola (Cf. A, Otto, o.c., s.v, animus 1, pp, 25 s).

Fortunati gli amici di Dio

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9. 14. Tutto ciò si ama negli amici, e si ama in modo che la nostra coscienza di uomini si sente colpevole, se non risponde sempre con amore ad amore senza chiedere all’essere amato che prove di affetto. Vengono di qui il lutto alla morte degli amici, le tenebre del dolore, il mutarsi della dolcezza in amarezza, il cuore zuppo di pianto e la morte dei vivi per la perduta vita dei morti. Felice chi ama te, l’amico in te, il nemico per te (Cf. Tb
Tb 13,18 Mt 5,44 Lc 6,27). L’unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti cari in chi non è mai perduto. E chi è costui, se non il Dio nostro, il Dio che creò il cielo e la terra (Gn 1,1) e li colma (Cf. Jr 23,24), perché colmandoli li ha fatti ? Nessuno ti perde, se non chi ti lascia, e poiché ti lascia, ove va, ove fugge (Cf. Sal Ps 138,7), se non dalla tua benevolenza alla tua collera ? Dovunque troverà la tua legge nella sua pena, e la tua legge è verità (Ps 118,142), e la verità sei tu (Cf. Gv Jn 14,6).

Destino effimero delle creature

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10. 15. Dio delle virtù, rivolgi noi a te, mostra a noi il tuo viso, e saremo salvi (
Ps 79,8). L’animo dell’uomo si volge or qua or là, ma dovunque fuori di te è affisso al dolore, anche se si affissa sulle bellezze esterne a te e a sé. Eppure non esisterebbero cose belle, se non derivassero da te. Nascono e svaniscono : nascendo cominciano, per così dire, a esistere, crescono per maturare, e appena maturate invecchiano fino a morire. Non tutte invecchiano, ma tutte muoiono. Nel nascere, dunque, e nel tendere all’esistenza, quanto più rapida è la loro crescita verso l’essere, tanto più frettolosa la loro corsa verso il non essere. Questa è la loro limitazione, non più di questo hai concesso loro, perché sono parte di altre entità che non esistono tutte simultaneamente, ma tutte formano con la loro scomparsa e comparsa l’universo, di cui sono parti. Così, ecco, anche i nostri discorsi si sviluppano fino alla loro conclusione attraverso una successione di suoni, e non si avrebbe un discorso completo, se ogni parola non sparisse per lasciare il posto a un’altra dopo aver espresso la sua parte di suono. Ti lodi per quelle cose la mia anima (Ps 118,175 Ps 145,2), Dio creatore di tutto (Ambr., Hymn, 4, 1 [ed.W, Bulst]; 2 Mac 2M 1,24), ma senza lasciarsi in esse invischiare dall’amore, attraverso i sensi del corpo. Esse vanno ove andavano (Cf. Sal Ps 138,7) per cessare di esistere, e straziano l’anima con passioni pestilenziali, perché il suo desiderio è di esistere e di riposare fra le cose che ama. Ma lì non può trovare un punto fermo, perché le cose non sono stabili. Fuggono, e chi potrebbe raggiungerle con i sensi della carne, o afferrarle, anche quando sono vicine ? I sensi della carne sono lenti, appunto perché sono della carne, e questa è la loro limitazione. Bastano ad altri scopi, per cui sono fatti, ma non bastano allo scopo di trattenere le cose che corrono dal debito inizio al debito fine. Nella tua parola, con cui sono create, si sentono dire : "Di qui e fin qui" (Jb 38,11).

Stabilità di Dio

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11. 16. Non essere vana, anima mia, non assordare l’orecchio del cuore col tumulto delle tue vanità. Ascolta tu pure : è il Verbo stesso che ti grida di tornare ; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni, se lui perprimo non abbandona. Qui invece, lo vedi, ogni cosa dilegua per far posto ad altre e costituire l’universo inferiore nella sua interezza. "Ma io, dice il Verbo divino, mi dileguo forse da qualche parte ?". Fissa dunque in lui la tua dimora (Cf. Gv
Jn 14,23), affida a lui quanto tieni da lui, anima mia finalmente stanca d’inganni ; affida alla verità quanto ti viene dalla verità, e nulla perderai. Rifioriranno le tue putredini, tutte le tue debolezze saranno guarite, le tue parti caduche riparate, rinnovate (Cf. Sal Ps 102, 3, 5; Mt 4,23), fissate strettamente a te stessa ; anziché travolgerti nel loro abisso, rimarranno stabili e durevoli con te accanto a Dio eternamente stabile e durevole (Cf. Sal Ps 101, 13, 27 (= He 1,11); 1 Pt 1, 23).

11. 17. Perché segui, pervertita, la tua carne ? Essa piuttosto segua te, convertita. Attraverso le sue sensazioni tu hai conoscenze parziali, ma ignoranza del tutto, di cui pure le parti ti dànno diletto. Se i sensi della tua carne fossero capaci di abbracciare la totalità e non fossero stati giustamente limitati, per tuo castigo, a una parte del complesso, vorresti che le cose ora esistenti passassero, per gustarle maggiormente tutte insieme. Tu odi quanto diciamo, mediante la stessa sensibilità della carne, e certo non vuoi mai che le sillabe si arrestino, bensì che trascorrano a volo per far posto ad altre, in modo da udire l’intero discorso. Così sempre per tutte le parti che costituiscono un’unica sostanza e non esistono tutte simultaneamente per costituirla : si gustano maggiormente tutte, che ognuna per sé, qualora si possano percepire tutte. Molto migliore delle cose è però colui che le fece tutte, e questi è il Dio (Ps 99,3) nostro, che mai si ritrae, poiché nulla gli sottentra.

Esortazione a cercare la felicità in Dio

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12. 18. Se ti piacciono i corpi loda Dio (
Ps 145,2) per essi, rivolgi il tuo amore al loro artefice per evitare di spiacere a lui per il piacere delle cose. Se ti piacciono le anime, in Dio amale, poiché sono mutevoli anch’esse, ma in lui si fissano stabilmente, mentre altrove passerebbero e perirebbero. In lui amale dunque, rapisci a lui con te quante altre anime puoi e di’ loro : "Amiamolo : lui è il creatore di queste cose (Ps 99,3) e non ne è lontano (Cf. At Ac 17,27), perché non le abbandonò dopo averle create, ma, venute da lui, in lui sono. Dov’è ? dove si assapora la verità ? È nell’intimo del cuore, ma il cuore errò lontano da lui (Cf. Sal Ps 118,176). Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori (Is 46,8), e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui, e resterete saldi ; riposate in lui, e avrete riposo. Dove andate (Cf. Sal Ps 137,7), alle tribolazioni ? Dove andate ? Il bene che amate deriva da lui, ma solo in quanto tende a lui è buono e soave ; sarà invece giustamente amaro, perché ingiustamente si ama, lasciando lui, ciò che deriva da lui. Quale vantaggio ricavate dal vostro lungo e continuo camminare per vie aspre (Sg 5,7) e penose ? Non vi è quiete dove voi la cercate. Cercate ciò che cercate, ma non è lì, dove voi cercate. Voi cercate una vita felice in un paese di morte (Is 9,2) : non è lì. Come potrebbe essere una vita felice ove manca la vita ?

12. 19. Discese nel mondo la nostra vita, la vera (Cf. Gv Jn 6, 33, 41, 59; 11, 25; 14, 6), si prese sulle sue spalle la nostra morte e l’uccise (Cf. 1 Tm 1Tm 1,10) con la sovrabbondanza della sua vita, ci gridò tuonando di tornare dal mondo a lui, nel sacrario onde venne a noi dapprima entrando nel seno di una vergine, ove gli si unì come sposa la creatura umana, la nostra carne mortale, per non rimanere definitivamente mortale ; poi di là, come sposo che esce dal talamo, uscì con balzo di gigante per correre la sua via (Ps 18,6), e senza mai attardarsi corse gridando a parole e a fatti, con la morte e la vita, con la discesa e l’ascesa (Cf. Ef Ep 4,9 s), gridando affinché tornassimo a lui ; e si dipartì dagli occhi (Ac 1,9 Cf. Lc Lc 24,51) affinché tornassimo al cuore, ove trovarlo. Partì infatti, ed eccolo, è qui (Mt 24,23 Mc 13,21). Non volle rimanere a lungo con noi, e non ci ha lasciati. Partì verso un luogo da cui non si era mai dipartito, perché il mondo fu fatto per mezzo suo, e in questo mondo era (Jn 1,10) e venne in questo mondo a salvare i peccatori (1 Tm 1Tm 1,15). La mia anima si confessa a lui, e lui la guarisce, perché ha peccato contro di lui (Cf. Sal Ps 40,5). Figli degli uomini, fino a quando questo peso nel cuore ? (Ps 4,3). Anche dopo che la vita discese a voi, non volete ascendere a vivere ? Dove ascendete, se siete già in alto e avete posto la bocca nel cielo (Ps 72,9) ? Discendete, per ascendere, e ascendere a Dio, poiché cadeste nell’ascendere contro Dio". Di’ loro queste parole, anima mia, affinché piangano nella valle del pianto (Ps 83,7), e così rapiscili via con te fino a Dio. Lo spirito di Dio t’ispira queste parole, se nel parlare ardi col fuoco della carità.


Agostino: Le confessioni 311