Agostino: Le confessioni 508

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8. 14. Fu dunque per la tua azione verso di me che mi lasciai indurre a raggiungere Roma e a insegnare piuttosto là ciò che insegnavo a Cartagine. Non tralascerò di confessarti cosa m’indusse a tanto, perché anche in questa circostanza si deve riconoscere e proclamare l’occulta profondità e l’indefettibile presenza della tua misericordia verso di noi. A raggiungere Roma non fui spinto dalle promesse di più alti guadagni e di un più alto rango, fattemi dagli amici che mi sollecitavano a quel passo, sebbene anche questi miraggi allora attirassero il mio spirito. La ragione prima e quasi l’unica fu un’altra. Sentivo dire che laggiù i giovani studenti erano più quieti e placati dalla coercizione di una disciplina meglio regolata ; perciò non si precipitano alla rinfusa e sfrontatamente nelle scuole di un maestro diverso dal proprio, ma non vi sono affatto ammessi senza il suo consenso. Invece a Cartagine l’eccessiva libertà degli scolari è indecorosa e sregolata. Irrompono sfacciatamente nelle scuole, e col volto, quasi, di una furia vi sconvolgono l’ordine instaurato da ogni maestro fra i discepoli per il loro profitto ; commettono un buon numero di ribalderie incredibilmente sciocche, che la legge dovrebbe punire, se non avessero il patrocinio della tradizione. Ciò rivela una miseria ancora maggiore, se compiono come lecita un’azione che per la tua legge eterna non lo sarà mai, e pensano di agire impunemente, mentre la stessa cecità del loro agire costituisce un castigo ; così quanto subiscono è incomparabilmente peggio di quanto fanno. Io, che da studente non avevo mai voluto contrarre simili abitudini, da maestro ero costretto a tollerarle negli altri. Perciò desideravo trasferirmi in una località ove, a detta degli informati, fatti del genere non avvenivano. Ma in realtà eri tu, mia speranza e mia eredità nella terra dei vivi (
Ps 141,6), che per indurmi a un trasloco mondano salutare alla mia anima (Cf. Sal Ps 34,3), accostavi a Cartagine il pungolo, che me ne staccasse, e presentavi le lusinghe di Roma, che mi attraessero. A tale scopo ti servivi di uomini perduti dietro una vita morta, che qui compivano follie, là promettevano vanità ; e per raddrizzare i miei passi (Ps 39,3) mettevi a frutto segretamente la loro e la mia perversità. Infatti chi disturbava la mia quiete era accecato da un furore degradante, chi m’invitava in un’altra località pensava alla terra (Cf. Ph 3,19), e quanto a me, se qui detestavo una vera miseria, là cercavo una falsa felicità.

Difficile congedo dalla madre


8. 15. Ma le ragioni per cui lasciavo un luogo e ne raggiungevo un altro tu le conoscevi, o Dio, anche se non le indicavi né a me né a mia madre, che pianse atrocemente per la mia partenza. Mi seguì fino al mare ; quando mi strinse violentemente, nella speranza di dissuadermi dal viaggio o di proseguire con me, la ingannai, fingendo di non voler lasciare solo un amico, che attendeva il sorgere del vento per salpare. Mentii a mia madre, a quella madre, eppure scampai, perché la tua misericordia mi perdonò questa colpa, mi salvò dalle acque del mare malgrado le orrende brutture di cui traboccavo, per condurmi all’acqua della tua grazia, le cui abluzioni avrebbero asciugato i fiumi delle lacrime di cui gli occhi di mia madre volti a te rigavano per me quotidianamente la terra sotto il suo volto. Però si rifiutò di tornare indietro senza di me, e faticai a persuaderla di passare la notte nell’interno di una chiesuola dedicata al beato Cipriano, che sorgeva vicinissima alla nostra nave. Quella notte stessa io partivo clandestinamente, mentre essa rimaneva a pregare e a piangere. E cosa ti chiedeva, Dio mio, con tante lacrime, se non d’impedire la mia navigazione ? Tu però nella profondità dei tuoi disegni esaudisti il punto vitale del suo desiderio, senza curarti dell’oggetto momentaneo della sua richiesta, ma badando a fare di me ciò che sempre ti chiedeva di fare. Spirò il vento e riempì le nostre vele. La riva scomparve al nostro sguardo la stessa mattina in cui ella folle di dolore riempiva le tue orecchie di lamenti e gemiti, dei quali non facesti conto : perché, servendoti delle mie passioni, attiravi me a stroncare proprio le passioni e flagellavi lei con la sofferenza meritata per la sua bramosia troppo carnale. Amava la mia presenza al suo fianco come tutte le madri, ma molto più di molte madri, e non immaginava quante gioie invece le avresti procurato con la mia assenza. Non lo immaginava, perciò piangeva e gemeva, e i suoi tormenti rivelavano l’eredità di Eva in lei, che cercava con lamenti quanto con lamenti aveva partorito (Cf. Gn Gn 3,16). Tuttavia, dopo aver imprecato contro i miei tradimenti e la mia crudeltà, riprese a implorarti per me, tornando alla sua solita vita, mentre io veleggiavo alla volta di Roma.

Una pericolosa malattia a Roma

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9. 16. Qui ecco mi accolse il flagello delle sofferenze fisiche, che ben presto m’incamminavano verso l’inferno (
Jb 7,9) col fardello di tutte le colpe commesse contro te, contro me e contro il prossimo, colpe numerose e gravi, aggiunte al vincolo del peccato originale, per cui tutti siamo morti in Adamo (1Co 15,22). Non me ne avevi condonata nessuna nel nome di Cristo, né questi aveva pagato sulla sua croce l’inimicizia (Cf. Ef Ep 2,16) che avevo contratto con te mediante i miei peccati. E invero, come poteva pagarla su una croce il fantasma che io allora mettevo al suo posto ? Quanto mi sembrava falsa la morte della sua carne, tanto era vera quella della mia anima ; e quanto era vera la morte della sua carne, tanto era falsa la vita della mia anima incredula. Col crescere della febbre ben presto fui lì lì per andarmene, e andarmene in perdizione. Dove sarei andato, infatti, se avessi abbandonato allora questo mondo, se non al fuoco (Mt 25,41) e ai tormenti degni dei miei misfatti secondo la verità dei tuoi comandamenti ? Mia madre, pur ignara del mio male, tuttavia pregava, assente, per me ; e tu, dovunque presente, dov’era lei l’esaudivi e dov’ero io t’impietosivi di me a tal segno, da farmi ricuperare la salute del corpo, benché fossi ancora malsano nel cuore sacrilego : anche in un pericolo così grave, infatti, non desiderai il tuo battesimo. Ero più buono da piccolo, perché allora lo richiesi insistentemente dalla tenerezza di mia madre, come ho già ricordato e confessato (Cf. 1, 11, 17). Cresciuto invece a disdoro di me stesso, nella mia follia deridevo le prescrizioni della tua medicina. Eppure non permettesti che io morissi doppiamente in quello stato. Il cuore di mia madre, colpito da una tale ferita, non si sarebbe mai più risanato : perché non so esprimere adeguatamente i suoi sentimenti verso di me e quanto il suo travaglio nel partorirmi in spirito fosse maggiore di quello con cui mi aveva partorito nella carne (Cf. Gal Ga 4,19).

Le preghiere di Monica


9. 17. Non vedo davvero come si sarebbe risanato, se la mia morte in quello stato avesse trafitto le viscere del suo amore. Dove sarebbero finite le preghiere così ferventi che ripeteva senza interruzione (1 Ts 1Th 5,17) ? Presso di te, non altrove ; ma avresti potuto tu, Dio delle misericordie (Cf. 2Co 1,3), sprezzare il cuore contrito e umiliato (Ps 50,19) di una vedova casta e sobria, assidua nell’elemosina, devota e sottomessa ai tuoi santi ; che non lasciava passare giornata senza recare l’offerta al tuo altare, che due volte al giorno, mattino e sera, senza fallo visitava la tua chiesa, e non per confabulare vanamente e chiacchierare come le altre vecchie, ma per udire le tue parole e farti udire le sue orazioni (Cf. 1 Tm 1Tm 5,10 1Tm 4,7 Tt 2,5) ? Le lacrime di una tale donna, che con esse ti chiedeva non oro né argento, né beni labili o volubili, ma la salvezza dell’anima di suo figlio (Cf. Sir Si 30,15), avresti potuto sdegnarle tu, che così l’avevi fatta con la tua grazia, rifiutandole il tuo soccorso ? Certamente no, Signore. Tu anzi le eri accanto e l’esaudivi, operando secondo l’ordine con cui avevi predestinato di dover operare. Lungi da me il pensiero che avresti potuto ingannarla nelle sue visioni e nei tuoi responsi, già ricordati (Cf. 3, 11, 19 s) e non ricordati da me, che ella serbava nel suo cuore fedele e ti presentava nelle sue orazioni incessanti come impegni firmati di tua mano (Cf. Col 2,14). Infatti nell’eternità della tua misericordia (Ps 117 Ps 1 Ps 137,8) tu accetti d’indebitarti con coloro cui condoni tutti i debiti (Cf. Mt 18,32).

Rapporti con i manichei romani

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10. 18. Così mi guaristi da quella infermità e salvasti il figlio dell’ancella tua (
Ps 115,16), allora e per allora fisicamente, per avere poi a chi porgere una salvezza più preziosa e sicura. Però anche a Roma mi tenevo in contatto con quei falsi e fallaci santoni : non solo cioè con gli uditori, fra i quali si annoverava pure chi mi ospitò malato e convalescente, bensì con gli eletti, come son chiamati. Ero tuttora del parere che non siamo noi a peccare, ma un’altra, chissà poi quale natura pecca in noi. Lusingava la mia superbia l’essere estraneo alla colpa, il non dovermi confessare autore dei miei peccati affinché tu guarissi la mia anima rea di peccato contro di te (Ps 40,5). Preferivo scusarmi accusando un’entità ignota, posta in me stesso senza essere me stesso, mentre ero un tutto unico e mi aveva diviso contro me stesso la mia empietà (Cf. Mt Mt 12,26). Ed era un peccato più difficile da sanare il fatto che non mi ritenessi peccatore ; ed era un’empietà esecrabile il preferire, Dio onnipotente (Gn 17,1), la tua sconfitta dentro di me, per mia rovina, alla mia sconfitta di fronte a te, per mia salvezza. Non avevi ancora collocato una custodia alla mia bocca e la porta del ritegno sulle mie labbra, affinché il mio cuore non uscisse in parole maligne per offrire scuse da scusare i peccati insieme a uomini che operano il male. Perciò me l’intendevo ancora con i loro eletti (Ps 140,3 s), sebbene non sperassi più di progredire in quella falsa dottrina. Anzi tenevo ormai con minore impegno e cura la posizione stessa ove avevo deliberato di stare pago, se non trovavo nulla di meglio.

Scetticismo : la filosofia accademica


10. 19. Mi era nata infatti anche l’idea che i più accorti di tutti i filosofi fossero stati i cosiddetti accademici, in quanto avevano affermato che bisogna dubitare di ogni cosa, e avevano sentenziato che all’uomo la verità è totalmente inconoscibile (Cf. Cic., Ac, 2, 6, 18, 10, 31). Allora mi sembrava che la loro dottrina fosse proprio quella che gli si attribuisce comunemente, poiché non capivo ancora il loro vero intento.Così rintuzzai apertamente l’esagerata fiducia che, mi avvidi, il mio ospite riponeva nelle favole di cui sono pieni i libri manichei. Tuttavia mantenevo rapporti di amicizia più con questi che con gli altri uomini alieni dalla loro eresia ; e se non la sostenevo con l’ardore di un tempo, però la familiarità con i suoi seguaci, occultati in grande numero a Roma, mi rendeva meno solerte nella ricerca di altro, tanto più che non speravo di trovare nella tua Chiesa, Signore del cielo e della terra (Gn 24,3), creatore di tutte le cose visibili e invisibili (Cf. Col 1,16), la verità, da cui essi mi avevano allontanato. Mi sembrava sconvenientissimo credere che tu hai la figura della carne umana e sei circoscritto nei limiti materiali delle nostre membra. L’incapacità di pensare, volendo pensare il mio Dio, a cosa diversa da una massa corporea, poiché mi pareva che nulla esistesse senza un corpo, era la suprema e quasi unica ragione del mio inevitabile errore.

Il male concepito come sostanza


10. 20. Di conseguenza credevo che anche il male fosse una qualche sostanza simile e fosse dotato di una sua massa oscura e informe, qui densa, ed è ciò che chiamavano terra, là tenue e sottile, secondo la natura dell’aria, che immaginano come uno spirito maligno strisciante su quella terra. E poiché la mia religiosità, qualunque fosse, mi costringeva a riconoscere che un dio buono non poteva aver creato nessuna natura cattiva, stabilivo due masse opposte fra loro, entrambe infinite, ma in misura più limitata la cattiva, più ampia la buona. Da questo principio letale derivavano tutte le altre mie eresie. Ogni tentativo del mio spirito di tornare alla fede cattolica era frustrato dal falso concetto che avevo di quella fede. Mi sembrava più grande devozione, Dio mio che confessano gli atti della tua commiserazione (Ps 106, 8, 15, 21, 31 (Cf. Aug., En, in Ps 106, 4, 10, 11, 12: PL 37, 1421 ss.; NBA 27, 872)) su di me, il crederti infinito nelle altre direzioni, eccetto in quella sola ove ti si opponeva la massa del male ed ero costretto a riconoscerti finito, che non il pensarti limitato in ogni direzione entro la forma di un corpo umano. Così mi sembrava più degno credere che tu non avessi creato nessun male, anziché credere derivata da te la natura del male quale me la figuravo io, che nella mia ignoranza non solo gli attribuivo una sostanza, ma una sostanza corporea, essendo incapace di pensare persino lo spirito privo di un corpo, sottile, che però si diffondesse nello spazio. Lo stesso nostro Salvatore, il tuo unigenito, lo immaginavo emanato dalla massa del tuo corpo luminosissimo per la nostra salvezza, null’altro credendo di lui, se non ciò che poteva rappresentarmi la mia vanità. Naturalmente ritenevo che una simile natura non potesse nascere da Maria vergine senza connettersi con la carne. Come poi questa connessione potesse avvenire e non inquinare l’essere che mi figuravo, non riuscivo a scorgere. Esitavo dunque a credere che fosse nato nella carne, per timore di doverlo credere inquinato dalla carne. I tuoi figli spirituali sorrideranno ora con affettuosa indulgenza di me, al leggere le mie confessioni. Tuttavia ero così.

Accuse dei manichei alle Scritture

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11. 21. Esistevano poi le critiche dei manichei alle tue Scritture, che mi sembravano irrefutabili. Eppure a volte avrei desiderato davvero sottoporre alcuni singoli passi a qualche profondo conoscitore dei libri sacri per sondare la sua opinione. C’era ad esempio un certo Elpidio, che soleva discutere pubblicamente proprio con i manichei e che già a Cartagine mi aveva impressionato con i suoi discorsi, poiché citava certi passi scritturali difficilmente contrastabili. Le risposte degli avversari mi sembravano deboli ; per di più preferivano darcele in segreto, anziché esporle in pubblico. Sostenevano che gli scritti del Nuovo Testamento erano stati falsati, chissà poi da chi, col proposito d’innestare la legge dei giudei sulla fede cristiana, senza presentare dal canto loro alcun esemplare integro di quel testo. Ma io, incapace di raffigurarmi un essere incorporeo, rimanevo soprattutto schiacciato, per così dire, dalle due masse famose : prigioniero e soffocato sotto il loro peso, anelavo a respirare l’aria limpida e pura della tua verità, ma invano.

Misfatti degli studenti romani

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12. 22. Iniziata volenterosamente l’attività per cui ero venuto a Roma, ossia l’insegnamento della retorica, dapprima adunai in casa mia un certo numero di allievi, ai quali e grazie ai quali cominciai a essere noto ; quand’ecco vengo a conoscere altre abitudini di Roma, che non mi affliggevano in Africa. Certo ebbi la conferma che là non si verificavano i famigerati disordini degli scolari depravati. Tuttavia fui anche avvertito che improvvisamente, per non versare il compenso al proprio maestro, i giovani si coalizzano e si trasferiscono in massa presso altri, tradendo così la buona fede e calpestando la giustizia per amore del denaro. In cuor mio cominciai a odiare anche costoro, ma non di un odio perfetto (
Ps 138,22) : probabilmente li odiavo più per il danno che avrei subìto io, che per il modo illegale con cui agivano verso gli altri. Certo è che si tratta di individui immondi, i quali trescano lontano da te (Ps 72,27), amando un oggetto evanescente, trastullo del tempo, e un lucro fangoso, che a stringerlo insozza le mani ; aggrappandosi a un mondo fugace, e disprezzando te, che stabile lanci il tuo richiamo e perdoni la meretrice anima umana che a te ritorna. Ora odio questa gente malvagia e corrotta, ma l’amo anche, per correggerla e farle anteporre al denaro la dottrina che impara, e quindi alla dottrina te, Dio, verità, fecondità di bene sicuro e castissima pace ; invece allora cercavo di evitare le sue cattiverie per amor mio, anziché di migliorarla per amor tuo.

A Milano


Trasferimento a Milano e incontro con Ambrogio

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13. 23. Perciò, quando il prefetto di Roma ricevette da Milano la richiesta per quella città di un maestro di retorica, con l’offerta anche del viaggio con mezzi di trasporto pubblici, proprio io brigai e proprio per il tramite di quegli ubriachi da favole manichee, da cui la partenza mi avrebbe liberato a nostra insaputa, perché, dopo avermi saggiato in una prova di dizione, il prefetto del tempo, Simmaco, m’inviasse a Milano. Qui incontrai il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori, e tuo devoto servitore. In quel tempo la sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento (Cf. Sal
Ps 80,17 Ps 147,14), la letizia del tuo olio (Cf. Sal Ps 44,8) e la sobria ebbrezza del tuo vino (Cf. Ambr., Hymn, 2, 23 s, [ed, Bulst]; Cain et Ab 1, 5, 19; CSEL 32, 1, 355; Paul, Nol., Carm, 24). A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te. Quell’uomo di Dio (2 Re 2R 1,9-13 1 Tm 1Tm 6,11 2 Tm 2Tm 3,17) mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza. Frequentavo assiduamente le sue istruzioni pubbliche, non però mosso dalla giusta intenzione : volevo piuttosto sincerarmi se la sua eloquenza meritava la fama di cui godeva, ovvero ne era superiore o inferiore. Stavo attento, sospeso alle sue parole, ma non m’interessavo al contenuto, anzi lo disdegnavo. La soavità della sua parola m’incantava. Era più dotta, ma meno gioviale e carezzevole di quella di Fausto quanto alla forma ; quanto alla sostanza però, nessun paragone era possibile : l’uno si sviava nei tranelli manichei, l’altro mostrava la salvezza nel modo più salutare. Ma la salvezza è lontana dai peccatori (Ps 118,155), quale io ero allora là presente. Eppure mi avvicinavo ad essa sensibilmente e a mia insaputa.

Il significato spirituale delle Scritture nella predicazione di Ambrogio

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14. 24. Non badavo dunque a imparare i temi, ma solo ad ascoltare i modi della sua predicazione. Sfiduciato ormai che all’uomo si aprisse la via per giungere a te, conservavo questo futile interesse. Pure, insieme alle parole, da cui ero attratto, giungevano al mio spirito anche gli argomenti, per cui ero distratto. Non potevo separare gli uni dalle altre, e mentre aprivo il cuore ad accogliere la sua predicazione feconda, vi entrava insieme la verità che predicava, sia pure per gradi. Dapprima, incominciai a rendermi conto ormai che anche le sue tesi erano difendibili, e ormai mi convinsi che non era temerario sostenere la fede cattolica, benché fino ad allora fossi stato persuaso che nessun argomento si potesse opporre agli attacchi dei manichei. Ciò avvenne soprattutto dopoché udii risolvere via via molti grovigli dell’Antico Testamento, che, presi alla lettera, erano esiziali per me (Cf.
2Co 3,6). L’esposizione dunque di numerosi passaggi della Sacra Scrittura secondo il significato spirituale mi mosse ben presto a biasimare almeno la mia sfiducia, per cui avevo creduto del tutto impossibile resistere a chi esecrava e derideva la Legge e i Profeti (Cf. Mt Mt 5,17 Mt 7,12 Lc 16,16). Non per questo tuttavia mi sentivo ancora costretto a seguire da un lato la fede cattolica, che poteva essa pure disporre di dotti sostenitori, capaci di confutare le obiezioni con parola eloquente e argomenti rigorosi ; a condannare dall’altro il sistema che seguivo, per essere i due partiti pari nella difesa. Ossia la fede cattolica non mi appariva vinta, ma non si mostrava ancora vincitrice.

L’abbandono del manicheismo


14. 25. Allora però tesi tutte le forze del mio spirito nella ricerca di un argomento inconfutabile, con cui dimostrare la falsità delle dottrine manichee. Se solo avessi potuto pensare a una sostanza spirituale, tutte le loro macchinose costruzioni si sarebbero istantaneamente sfasciate e dileguate dalla mia mente. Ma non riuscivo. Riguardo alla struttura del mondo, tuttavia, e all’intera natura soggetta ai nostri sensi fisici, le mie considerazioni e i miei raffronti mi persuasero sempre meglio che le teorie della maggioranza dei filosofi erano molto più attendibili. Nel mio dubitare di tutto, secondo il costume degli accademici quale è immaginato comunemente, e nel fluttuare fra tutte le dottrine, risolsi di abbandonare davvero i manichei. Giudicai che proprio in quella fase d’incertezza non dovessi rimanere in una setta che ormai ponevo più in basso di parecchi filosofi, sebbene poi mi rifiutassi assolutamente di affidare alle loro cure la debolezza della mia anima (Cf. Mt Mt 9,35 Lc 9,1), poiché ignoravano il nome di Cristo. Decisi dunque di rimanere come catecumeno nella Chiesa cattolica, raccomandatami dai miei genitori, in attesa che si accendesse una luce di certezza, su cui dirigere la mia rotta.

Libro sesto




A TRENT’ANNI

Primi passi verso la fede


Monica a Milano

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1. 1. O speranza mia fin dalla mia giovinezza (
Ps 70,5), dov’eri per me, dove ti eri ritratto (Cf. Sal Ps 9,22) ? Non eri stato tu a crearmi, a farmi diverso dai quadrupedi e più sapiente dei volatili del cielo ? Ma io camminavo fra le tenebre e su terreno sdrucciolevole (Cf. Sal Ps 34,6 Is 50,10) ; ti cercavo fuori di me e non ti trovavo, perché tu sei il Dio del mio cuore (Ps 72,26). Ormai avevo raggiunto il fondo del mare (Ps 67,23) : come non perdere fiducia, non disperare di scoprire più il vero ? Già mi aveva raggiunto mia madre, che, forte della sua pietà, m’inseguì per terra e per mare, traendo sicurezza da te in ogni pericolo. Così anche nei fortunali marini confortava gli stessi marinai, da cui abitualmente chi attraversa per la prima volta gli abissi riceve conforto nella sua paura, promettendo loro un arrivo sicuro alla meta, poiché tu glielo avevi promesso in una visione (Cf. At Ac 27,20-26). Mi trovò in grave pericolo. Non speravo più di scoprire la verità. Tuttavia, quando la informai che, pur senza essere cattolico cristiano, non ero più manicheo, non sobbalzò di gioia come alla notizia di un avvenimento imprevisto : da tempo era tranquilla per questa parte della mia sventura, ove mi considerava come un morto, ma un morto da risuscitare con le sue lacrime versate innanzi a te e che ti presentava sopra il feretro del suo pensiero affinché tu dicessi a questo figlio della vedova : "Giovane, dico a te, alzati", ed egli tornasse a vivere e cominciasse a parlare, e tu lo restituissi a sua madre (Lc 7,12-15). Nessuna esultanza scomposta commosse dunque il suo cuore alla notizia che quanto ti chiedeva ogni giorno, fra le lacrime, di compiere, si era compiuto : se non avevo ancora colto la verità, ero però stato ormai tolto dalla menzogna. Fermamente sicura, anzi, che avresti concesso anche il resto, poiché tutto le avevi promesso, mi rispose con assoluta pacatezza e il cuore pieno di fiducia : "Credo in Cristo che prima di migrare da questo mondo ti avrò veduto cattolico convinto". Questa la risposta che diede a me ; ma a te, fonte di misericordie, diede più intense preghiere e lacrime, affinché affrettassi il tuo aiuto (Cf. Sal Ps 7,11 Ps 37,23 Ps 69,2) e illuminassi le mie tenebre (Ps 17,29). Con maggior fervore correva anche in chiesa, ove pendeva dalle labbra di Ambrogio, fonte di acqua zampillante per la vita eterna (Jn 4,14). Amava quell’uomo come un angelo di Dio (Ga 4,14) da quando aveva saputo che per suo merito ero arrivato frattanto a ondeggiare almeno nel dubbio, a questo varco obbligato e più pericoloso, come sono gli attacchi che i medici chiamano critici, del mio transito, per lei sicuro, dalla malattia alla salute.

Ubbidienza e devozione di Monica verso Ambrogio

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2. 2. Un giorno mia madre, secondo un’abitudine che aveva in Africa, si recò a portare sulle tombe dei santi una farinata, del pane e del vino. Respinta dal custode, appena seppe che c’era un divieto del vescovo, lo accettò con tale devozione e ubbidienza, da stupire me stesso al vedere la facilità con cui condannava la propria consuetudine anziché discutere la proibizione del vescovo. Il suo spirito non era soffocato dall’ebrietà né spinto dall’amore del vino a odiare il vero, mentre i più fra i maschi e le femmine all’udire il ritornello della sobrietà vengono assaliti dalla nausea che prende gli ubriachi davanti a un bicchiere d’acqua. Quando portava lei il canestro con le vivande rituali da distribuire agli intervenuti dopo averle assaggiate, poneva davanti solo un calicetto di vino diluito secondo le esigenze del suo palato piuttosto sobrio e per riguardo verso gli altri ; e se erano molte le sepolture dei defunti che così si volevano onorare, portava intorno quell’unico, piccolo calice da deporre su ogni tomba, e in quello condivideva a piccoli sorsi con i fedeli presenti un vino non solo molto annacquato, ma anche molto tiepido. Alle tombe infatti si recava per devozione, non per diletto. Perciò, una volta informata che il predicatore illustre, l’antesignano della devozione aveva proibito di eseguire quelle cerimonie anche sobriamente, per non dare ai beoni alcuna occasione d’ingurgitare vino e per la grande somiglianza di quella sorta di parentali con le pratiche superstiziose dei pagani, se ne astenne ben volentieri. In luogo di un canestro pieno di frutti terreni imparò a portare alle tombe dei martiri un cuore pieno di affetti più puri. Così dava ai poveri quanto poteva, anche se a celebrarsi era la comunione del corpo del Signore : perché i martiri s’immolarono e furono coronati a imitazione della passione di lui. Eppure credo, Signore Dio mio, ed è in proposito la mia intima convinzione davanti ai tuoi occhi (
Ps 18,15), che probabilmente mia madre non si sarebbe arresa con tanta facilità a troncare le sue usanze, se la proibizione fosse venuta da una persona che non avesse amato come Ambrogio ; e Ambrogio lo amava soprattutto a cagione della mia salvezza. Lui poi amava mia madre a cagione della sua vita religiosissima, per cui fra le opere buone (1 Tm 1Tm 6,18 1Tm 5,10) con tanto fervore spirituale (Ac 18,25 Cf. Rm Rm 12,11) frequentava la chiesa. Spesso, incontrandomi, non si tratteneva dal tesserne l’elogio e dal felicitarsi con me, che avevo una tal madre. Ignorava quale figlio aveva lei, dubbioso di tutto ciò e convinto dell’impossibilità di trovare la via della vita (Ps 15,11 al).

L’ammirevole figura di Ambrogio

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3. 3. Non t’invocavo ancora con gemiti affinché venissi in mio aiuto. Il mio spirito era piuttosto attratto dalla ricerca e mai sazio di discussioni. Lo stesso Ambrogio era per me un uomo qualsiasi, fortunato secondo il giudizio mondano perché riverito dalle massime autorità ; l’unica sua pena mi sembrava fosse il celibato che praticava. Delle speranze invece che coltivava, delle lotte che sosteneva contro le tentazioni della sua stessa grandezza, delle consolazioni che trovava nell’avversità, delle gioie che assaporava nel ruminare il tuo pane entro la bocca nascosta del suo cuore, di tutto ciò non potevo avere né idea né esperienza. Dal canto suo ignorava anch’egli le mie tempeste e la fossa ove rischiavo di cadere. Non mi era infatti possibile interrogarlo su ciò che volevo e come volevo. Caterve di gente indaffarata, che soccorreva nell’angustia, si frapponevano tra me e le sue orecchie, tra me e la sua bocca. I pochi istanti in cui non era occupato con costoro, li impiegava a ristorare il corpo con l’alimento indispensabile, o l’anima con la lettura. Nel leggere, i suoi occhi correvano sulle pagine e la mente ne penetrava il concetto, mentre la voce e la lingua riposavano. Sovente, entrando, poiché a nessuno era vietato l’ingresso e non si usava preannunziargli l’arrivo di chicchessia, lo vedemmo leggere tacito, e mai diversamente. Ci sedevamo in un lungo silenzio : e chi avrebbe osato turbare una concentrazione così intensa ? Poi ci allontanavamo, supponendo che aveva piacere di non essere distratto durante il poco tempo che trovava per ricreare il proprio spirito libero dagli affari tumultuosi degli altri. Può darsi che evitasse di leggere ad alta voce per non essere costretto da un uditore curioso e attento a spiegare qualche passaggio eventualmente oscuro dell’autore che leggeva, o a discutere qualche questione troppo complessa : impiegando il tempo a quel modo avrebbe potuto scorrere un numero di volumi inferiore ai suoi desideri. Ma anche la preoccupazione di risparmiare la voce, che gli cadeva con estrema facilità, poteva costituire un motivo più che legittimo per eseguire una lettura mentale. Ad ogni modo, qualunque fosse la sua intenzione nel comportarsi così, non poteva non essere buona in un uomo come quello.

L’uomo immagine di Dio secondo la fede cattolica


3. 4. Certo è che non mi era assolutamente possibile interrogare quel tuo santo oracolo, ossia il suo cuore, su quanto mi premeva, bensì soltanto su cose presto ascoltate. Invece le tempeste della mia anima esigevano di trovarlo disponibile a lungo, per riversarsi su di lui ; ma invano. Ogni domenica lo ascoltavo mentre spiegava rettamente la parola della verità (2 Tm 2Tm 2,15) in mezzo al popolo, confermandomi sempre più nell’idea che tutti i nodi stretti dalle astute calunnie dei miei seduttori a danno dei libri divini potevano sciogliersi. La scoperta poi da me fatta, che i tuoi figli spirituali, rigenerati per tua grazia dalla maternità della Chiesa cattolica, non intendevano le parole ov’è detto che l’uomo fu da te fatto a tua immagine (Gn 9,6 Gn 1,26 s) nel senso di crederti e pensarti rinchiuso nella forma di un corpo umano, per quanto non riuscissi a scorgere neppure debolmente e in un enigma (1Co 13,12) come fosse una sostanza spirituale, mi fece arrossire gioiosamente di aver latrato per tanti anni non già contro la fede cattolica, bensì contro fantasmi creati da immaginazioni carnali. Temerario ed empio ero stato, perché avevo asserito, accusando, cose che avrei dovuto asserire indagando. Tu, altissimo (Ps 9,3 Ps 91,2) e vicinissimo, remotissimo e presentissimo, non fornito di membra più grandi e più piccole, ma esistente per intero in ogni luogo e in nessuno, facesti però l’uomo a tua immagine senza possedere affatto questa nostra forma corporale ; ed ecco l’uomo esistere in un dato luogo dalla testa ai piedi.

Scoperta dell’unica Chiesa

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4. 5. Ignorando in quale modo l’uomo fosse tua immagine, avrei dovuto, bussando (Cf. Mt
Mt 7,7 s.; Lc 11,9 s), controllare in quale modo bisognava credervi, non, burlando, contrastare, quasi che vi si credesse come io mi immaginavo. Tanto più acuto era dunque nel mio intimo l’assillo di conoscere cosa dovevo ritenere per certo, quanto più mi vergognavo di essermi lasciato illudere e ingannare così a lungo da una promessa di certezza, e di aver proclamato per certo un grande numero di dottrine incerte, come un fanciullo impetuoso nei suoi errori. La fallacia di quelle dottrine mi apparve più tardi ; fin d’allora però ebbi la certezza della loro incertezza, benché un tempo le avessi tenute per certe, quando sferravo alla cieca attacchi e accuse contro la tua Chiesa cattolica, ignaro che insegna la verità, ma non insegna le dottrine di cui l’accusavo gravemente. Di qui la mia confusione, la mia conversione e la mia gioia, Dio mio, perché la tua unica Chiesa, corpo del tuo unico Figlio (Cf. Col Col 1, 18, 24), nel cui grembo mi fu inoculato, infante, il nome di Cristo, non si compiaceva di futilità infantili, e il suo insegnamento sicuro non ti confinava, creatore di tutte le cose, in uno spazio fisico, sia pure altissimo ed ampio, ma tuttavia limitato in ogni direzione dal profilo delle membra umane.


Agostino: Le confessioni 508