Agostino: Le confessioni 604

Il senso spirituale delle Scritture


4. 6. Gioivo pure che la lettura dell’antica Legge e dei Profeti (Cf. Mt Mt 5,17 Mt 7,12 Lc 16,16) mi fosse proposta con una visuale diversa dalla precedente, la quale me li faceva apparire assurdi, mentre rimproveravo ai tuoi santi una concezione che non avevano ; e mi rallegravo di sentir ripetere da Ambrogio nei suoi sermoni davanti al popolo come una norma che raccomandava caldamente : "La lettera uccide, lo spirito invece vivifica" (2 Cor 2Co 3,6). Così quando, scostando il velo mistico, scopriva il senso spirituale di passi che alla lettera sembravano insegnare un errore, le sue parole non mi spiacevano, benché ignorassi ancora se erano veritiere. Trattenevo il mio cuore dall’assentirvi minimamente, per timore del precipizio, e il pencolare a quel modo era una morte peggiore. Che pretesa la mia, di raggiungere su cose che non vedevo la stessa certezza con cui ero certo che sette più tre fa dieci ! Non così pazzo da ritenere che nemmeno quest’ultima verità si può comprendere, volevo però comprendere allo stesso modo anche le altre verità, sia le corporee non sottoposte ai miei sensi, sia le spirituali, per me pensabili esclusivamente sotto una forma corporea. Potevo guarire con la fede, cosicché l’occhio della mia mente si fissasse più puro sulla tua verità permanente (Cf. Sal Ps 116,2) e indefettibile ; ma, come accade di solito, che dopo aver incontrato un medico cattivo si ha paura di affidarsi anche al buono, così la mia anima ammalata e risanabile soltanto dalla fede respingeva la guarigione per timore di una fede sbagliata, resistendo alle tue mani (Cf. Dn Da 4,32 Ps 16,8), che confezionarono la medicina della fede e la sparsero sulle malattie dell’universo intero, dotandola di così grande potere.

Lento e incerto sviluppo della fede in Agostino

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5. 7. Tuttavia da allora incominciai a preferire la dottrina cattolica, anche perché la trovavo più equilibrata e assolutamente sincera nel prescrivere una fede senza dimostrazioni, che a volte ci sono, ma non sono per tutti, altre volte non ci sono affatto. Il manicheismo invece prometteva temerariamente una scienza, tanto da irridere la fede, e poi imponeva di credere a un grande numero di fole del tutto assurde, dal momento che erano indimostrabili. Sotto il lavorio della tua mano delicatissima e pazientissima, Signore, ora il mio cuore lentamente prendeva forma. Tu mi facesti considerare l’incalcolabile numero dei fatti a cui credevo senza vederli, senza assistere al loro svolgimento, quale la moltitudine degli eventi storici, delle notizie di luoghi e città mai visitate di persona, delle cose per cui necessariamente, se vogliamo agire comunque nella vita, diamo credito agli amici, ai medici, a persone di ogni genere ; e infine come ero saldamente certo dell’identità dei miei genitori, benché nulla potessi saperne senza prestare fede a ciò che udivo. Così mi convincesti che non merita biasimo chi crede nelle tue Scritture, di cui hai radicato tanto profondamente l’autorità in quasi tutti i popoli, ma piuttosto chi non vi crede. Dunque non dovevo prestare ascolto, se qualcuno per caso mi diceva : "Come sai che questi libri furono trasmessi al genere umano dallo spirito dell’unico Dio vero e assolutamente veritiero ?". Proprio ciò bisognava soprattutto credere, poiché non v’era stata violenza di calunniose obiezioni nelle molte dispute dei filosofi lette sui libri, che avesse potuto strapparmi neppure per un attimo la fede nella tua esistenza sotto qualunque forma a me ignota, e nel governo delle cose umane, che ti appartiene (Cf. Cic., De nat, deor, 1, 1, 2).

5. 8. Però questa fede era in me ora più salda, ora più fievole. Tuttavia credetti sempre che esisti e ti curi di noi, pur ignorando quale concezione bisognava avere della tua sostanza e quale sia la strada che conduce o riconduce a te. Essendo dunque gli uomini troppo deboli per trovare la verità con la sola ragione, e avendo perciò bisogno dell’autorità di testi sacri, io avevo incominciato a credere ormai che non avresti attribuito un’autorità così eminente presso tutti i popoli della terra a quella Scrittura, se non avessi desiderato che l’uomo per suo mezzo credesse in te e per suo mezzo ti cercasse. Dopo le molte spiegazioni accettabili che ne avevo udito, ormai attribuivo le assurdità che mi solevano urtare in quei testi alla sublimità dei simboli. La loro autorità mi appariva tanto più venerabile e degna di fede pura, in quanto si offrivano a qualsiasi lettore, ma serbavano la maestà dei loro misteri a una penetrazione più profonda. L’estrema chiarezza del linguaggio e umiltà dello stile li rendevano accessibili a tutti, eppure stimolavano l’acume di coloro che non sono leggeri di cuore (Cf. Sir
Si 19,4) ; e se accoglievano nel loro seno aperto l’umanità intera, lasciavano passare per anguste fessure fino a te un numero piccolo di persone (Cf. Mt Mt 7,13 s), molto più grande tuttavia di quanto non sarebbe stato, se ad essi fosse mancato un prestigio così eminente e una santità così umile, da attrarre nel proprio grembo le turbe. Mentre andavo così riflettendo, tu mi eri vicino, udivi i miei sospiri, mi guidavi nei miei ondeggiamenti, mi accompagnavi nel mio cammino attraverso l’ampia strada del mondo (Cf. Mt Mt 7,13).

Un mendicante felice

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6. 9. Cercavo avidamente onori, guadagni, nozze, e tu ne ridevi (Cf. Sal
Ps 2,4 Ps 36,13 Sg 4,18). Per colpa di queste passioni soffrivo disagi amarissimi, ma la tua benignità era tanto più grande, quanto meno dolce mi facevi apparire ciò che tu non eri. Guarda il mio cuore, Signore (Lm 1, 9, 11), per il cui volere rievoco e ti confesso questi fatti. Si unisca ora a te la mia anima (Cf. Sal Ps 62,9), che hai estratta dal vischio tenacissimo della morte. Quanto era misera ! E tu stuzzicavi il bruciore della piaga perché, lasciando tutto, si rivolgesse a te (Cf. Sal Ps 50,15), che sei sopra tutto (Rm 9,5) e senza di cui tutto sarebbe nulla ; perché si volgesse a te e fosse guarita (Cf. Is Is 6,10). Quanto ero misero, dunque, e tu come hai operato per farmi sentire la mia miseria ! Quel giorno mi preparavo a recitare un elogio dell’imperatore, infarcito di menzogne, ma capace di conciliare al mentitore i favori di altre persone, ben consapevoli. Il cuore ansimante di preoccupazioni e riarso dalle febbri di rovinosi pensieri, nel percorrere un vicolo milanese scorsi un povero mendicante, che, credo, oramai saturo di vino, scherzava allegramente. Sospirando feci rilevare agli amici che mi accompagnavano le molte pene derivanti dalle nostre follie : tutti i nostri sforzi, quali quelli che proprio allora sostenevo traendo sotto il pungolo dell’ambizione il fardello della mia insoddisfazione e ingrossandolo per via, a che altro miravano, se non al traguardo di una gioia sicura, ove quel povero mendico ci aveva già preceduti e noi, forse, non saremmo mai arrivati ? Il risultato che egli aveva ottenuto con ben pochi e accattati soldarelli, ossia il godimento di una felicità temporale, io inseguivo attraverso anfratti e tortuosità penosissime. Egli non possedeva, evidentemente, la vera gioia ; ma anch’io con le mie ambizioni ne cercavo una più fallace ancora, e ad ogni modo egli era allegro, io angosciato, egli sicuro, io ansioso. Richiesto di dire se preferivo l’esultanza o il timore, avrei risposto : "L’esultanza" ; ma se poi mi fosse stato chiesto : "Preferiresti essere come costui, o come sei tu ora ?", avrei scelto di essere com’ero, stremato d’affanni e timori. Quale perversione ! Infatti secondo ragione non avrei dovuto anteporre al mendico la mia più vasta cultura, se non ne ricavavo motivi di gioia, bensì la impiegavo per piacere agli uomini, non ammaestrandoli, ma solo dilettandoli. Perciò tu col bastone della tua scuola (Cf. Sal Ps 22,4) spezzavi le mie ossa (Ps 41,11).

6. 10. Si allontani dunque dalla mia anima (Cf. Jr 6,8) chi le dice : "Bisogna considerare la fonte del godimento in un uomo. Il mendico lo traeva dall’ebbrezza, tu lo cercavi nella gloria". Quale gloria, Signore ? Una gloria estranea a te. Se non era vera gioia quella del mendico, neppure la mia gloria era vera, e contribuiva a traviare la mia mente. Inoltre il mendico avrebbe smaltito la sua ebbrezza nel giro della notte seguente ; io con la mia mi ero addormentato e destato, mi sarei addormentato e destato (Cf. Mt Mt 9,24 s), guarda quanti giorni ! Certo bisogna considerare la fonte del godimento in un uomo, lo so. Il godimento di una speranza pia è incomparabilmente distante dalla gioia vana del mendico. Però allora c’era un’altra distanza fra noi due : egli era certamente il più felice non solo perché inondato dall’ilarità, mentre io ero disseccato dagli affanni, ma anche perché egli si era procurato il vino con auguri di bene, mentre io ricercavo la vana gloria con menzogne. In questo senso parlai allora lungamente con i miei amici, e spesso poi osservai le mie reazioni in circostanze analoghe, constatando che mi sentivo a disagio e soffrivo, così raddoppiando il disagio stesso. Se poi a volte la fortuna mi arrideva, riluttavo a coglierla, poiché se ne volava via quasi prima che potessi afferrarla.

Fra amici


Alipio discepolo affezionato di Agostino

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7. 11. Così conversavamo gemendo fra noi amici, accomunati dalla medesima vita. Ma più che con gli altri e con maggiore confidenza discorrevo di queste cose con Alipio e Nebridio. Alipio, nativo del mio stesso paese e figlio di genitori colà eminenti, era più giovane di me, e infatti era stato alunno alla mia scuola nei primi tempi del mio insegnamento sia in patria, sia poi a Cartagine. Mi amava molto, credendomi virtuoso e dotto, e io lo ricambiavo con pari affetto a motivo della sua indole fortemente e visibilmente inclinata alla virtù fin da giovane età. Ciò nonostante il vortice della moda cartaginese, fervida di spettacoli frivoli, lo aveva inghiottito con una passione forsennata per i giochi del circo. Però al tempo in cui vi era miseramente sballottato, non frequentava ancora le lezioni di retorica che io tenevo pubblicamente, a motivo di certi dissapori sorti fra me e suo padre. Venuto a conoscenza della sua funesta passione per il circo, ero profondamente afflitto dal pensiero che avrebbe guastato, se non l’aveva già fatto, le più belle speranze ; ma come ammonirlo o richiamarlo duramente, se non potevo giovarmi né dell’affetto di un amico, né dell’autorità di un maestro ? Supponevo infatti che nutrisse verso di me gli stessi sentimenti del padre. Invece non era così, tanto che pospose in questa faccenda la volontà paterna e prese a salutarmi, frequentando la mia aula, ove mi ascoltava un po’ di tempo, per poi allontanarsi.

7. 12. A me però era ormai caduto dalla memoria il proposito di agire su di lui per impedire alla sua passione cieca e irruente degli spettacoli insulsi di stroncare disposizioni tanto buone. Ma non tu, Signore, che governi il timone di ogni tua creatura, avevi dimenticato come dovesse diventare pontefice del tuo sacramento fra i tuoi figli ; e perché il suo ravvedimento fosse ascritto inequivocabilmente a te, lo attuasti per mio tramite, ma senza un mio proposito. Un giorno sedevo al mio solito posto, gli allievi di fronte a me, quando entrò, salutò, sedette e cominciò a seguire la trattazione in corso. Io tenevo per caso fra mano un testo, e nel commentarlo pensai bene di trarre un paragone dai giochi del circo per rendere più piacevole e chiara l’idea che volevo inculcare, schernendo mordacemente le vittime di quella follia. Allora, tu sai, Dio (
Ps 68,6) nostro, non pensavo a guarire Alipio dalla sua peste ; senonché egli si appropriò delle mie parole come se le avessi pronunciate espressamente per lui ; e se altri ne avrebbe tratto motivo di risentimento verso di me, quel giovane virtuoso ne trasse motivo di risentimento verso di sé e d’amore più ardente verso di me. Tu avevi detto un tempo e inserito nelle tue Scritture queste parole : Rimprovera il saggio, ed egli ti amerà (Pr 9,8) ; ma io non avevo rimproverato quel giovane. Tu invece, che ti servi di tutti, coscienti o incoscienti, secondo l’ordinato disegno da te conosciuto, e giusto disegno, facesti del mio cuore e della mia lingua altrettanti carboni ardenti (Cf. Ez Ez 1,13) per cauterizzare la piaga devastatrice di quell’anima ricca di buone speranze, e guarirla (Cf. Is Is 6,6 s). Non canti le tue lodi chi non riconosce gli atti della tua commiserazione ; essi ti rendono merito dalle più intime fibre del mio essere (Cf. Sal Ps 106, 8, 15, 21, 31 (Cf. Aug., En, in Ps 106,4-10 ss.: PL 37, 1421 ss.; NBA 27, 872)). Alipio, dunque, dietro il suono di quelle parole si gettò fuori dalla fossa profondissima, in cui affondava compiaciuto e con strano diletto si privava della luce ; scosse il suo spirito con vigorosa temperanza, e ne schizzarono lontano tutte le sozzure del circo, ove non mise più piede ; quindi, vincendo le resistenze del padre, mi prese per maestro. Il padre non dissentì, anzi acconsentì, e Alipio, tornando a frequentare le mie lezioni, cadde con me nella rete delle superstizioni manichee. Nei manichei ammirava l’austerità che ostentavano e che invece credeva reale e genuina, mentre era un’esca insana per accalappiare le anime valorose (Cf. Prv Pr 6,26) ancora incapaci di attingere le vette della virtù e inclini a lasciarsi ingannare dall’esteriorità di una virtù solo adombrata e finta.

Alipio travolto dalla passione del circo

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8. 13. Senza abbandonare davvero la via del mondo, a lui decantata dai suoi genitori, mi aveva preceduto a Roma con l’intenzione di apprendervi il diritto. E là in circostanze stravaganti venne travolto dalla stravagante passione per gli spettacoli gladiatori. Mentre evitava e detestava quel genere di passatempi, incontrò per strada certi suoi amici e condiscepoli, che per caso tornavano da un pranzo e che lo condussero a forza, come si fa tra compagni, malgrado i suoi vigorosi dinieghi e la sua resistenza, all’anfiteatro, ov’era in corso la stagione dei giochi efferati e funesti. Diceva : "Potete trascinare in quel luogo e collocarvi il mio corpo, ma potrete puntare il mio spirito e i miei occhi su quegli spettacoli ? Sarò là, ma lontano, così avrò la meglio e su di voi e su di essi" ; ma non per questo gli altri rinunciarono a tirarselo dietro, forse curiosi di vedere se appunto riusciva a realizzare il suo proposito. Ora, quando giunsero a destinazione e presero posto come poterono, ovunque erano scatenate le più bestiali soddisfazioni. Egli impedì al suo spirito di avanzare in mezzo a tanto male, chiudendo i battenti degli occhi : oh, avesse tappato anche le orecchie ! Quando, a una certa fase del combattimento, l’enorme grido di tutto il pubblico violentemente lo urtò, vinto dalla curiosità, credendosi capace di dominare e vincere, qualunque fosse, anche la visione, aprì gli occhi. La sua anima ne subì una ferita più grave di quella subìta dal corpo di colui che volle guardare, e cadde più miseramente di colui che con la propria caduta aveva provocato il grido. Questo, penetrato attraverso le orecchie, spalancò gli occhi per aprire una breccia al colpo che avrebbe abbattuto quello spirito ancora più temerario che robusto, tanto più debole, quanto più aveva contato su di sé invece che su di te (Cf. Gdt
Jdt 6,15), come avrebbe dovuto fare. Vedere il sangue e sorbire la ferocia fu tutt’uno, né più se ne distolse, ma tenne gli occhi fissi e attinse inconsciamente il furore, mentre godeva della gara criminale e s’inebriava di una voluttà sanguinaria. Non era ormai più la stessa persona venuta al teatro, ma una delle tante fra cui era venuta, un degno compare di coloro che ve lo avevano condotto. Che altro dire ? Osservò lo spettacolo, gridò, divampò, se ne portò via un’eccitazione forsennata, che lo stimolava a tornarvi non solo insieme a coloro che lo avevano trascinato la prima volta, ma anche più di coloro, e trascinandovi altri. Eppure tu lo sollevasti da quell’abisso con la tua mano potentissima e misericordiosissima, gli insegnasti a non riporre fiducia in sé, ma in te (Cf. Prv Pr 3,5 Is 57,13) ; però molto più tardi.

Brutta avventura di Alipio sospettato di furto

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9. 14. La vicenda era tuttavia accantonata fin d’allora nella sua memoria come una medicina per il futuro. Anche un altro fatto : che ancora durante i suoi studi a Cartagine e quando aveva già preso a frequentare le mie lezioni, un giorno, mentre sul mezzodì, nella piazza, meditava un discorso da recitare a scuola per esercizio, secondo l’usanza, lo lasciasti arrestare come ladro dai sorveglianti del foro, penso che tu, Dio nostro, non l’abbia permesso per altro motivo, se non per questo : che quel gentiluomo, destinato a divenire un giorno così grande, cominciasse fin d’allora a imparare quanto debba rifuggire da una temeraria credulità nel condannare un altro uomo l’uomo che istruisce un processo. Alipio dunque passeggiava tutto solo davanti al tribunale, le tavolette e lo stilo fra le mani, quand’ecco un giovane studente, il ladro appunto, munito nascostamente di una scure si avvicina, non visto da lui, alla cancellata di piombo che sovrasta la via degli orafi, e incomincia a scalpellare il metallo. Ai colpi della scure gli orafi che si trovavano di sotto parlottarono fra loro sommessamente e mandarono alcuni ad arrestare chiunque avessero trovato sul posto. Il ladro, udite le loro voci, se la svignò, abbandonando l’attrezzo per paura di essere preso mentre l’aveva con sé ; Alipio invece, che, come non l’aveva visto all’entrata, così lo notò all’uscita, vedendo che si allontanava frettolosamente, e curioso di conoscerne il motivo, entrò e trovò la scure. Fermo in piedi la stava considerando meravigliato, quand’ecco i messi degli orafi lo sorprendono solo e fornito del ferro, ai cui colpi si erano riscossi ed erano partiti. Lo acciuffano, lo trascinano con sé, e di fronte agli abitanti della piazza, che s’erano radunati, si vantano di aver preso il ladro in flagrante, poi si avviano per metterlo nelle mani della giustizia.

9. 15. Ma la lezione doveva finire qui. Tu, Signore, venisti immediatamente in soccorso dell’innocenza, di cui eri l’unico testimone (Cf. Sap
Sg 1,6 Jr 29,23). Mentre Alipio veniva condotto in prigione o al supplizio, s’imbatte nel corteo un architetto, soprintendente agli edifici pubblici. Le guardie si rallegrarono di aver incontrato proprio lui, che era solito sospettarle dei furti accaduti nel foro : ora finalmente avrebbe riconosciuto chi era l’autore. Senonché l’architetto aveva visto sovente Alipio in casa di un certo senatore, che abitualmente andava a ossequiare ; e appena lo ebbe riconosciuto, lo prese per mano, lo trasse in disparte dalla folla e gli chiese il motivo di un guaio così grosso. Udito il racconto dell’accaduto, ordinò agli astanti, che tumultuavano e rumoreggiavano minacciosamente, di seguirlo. Giunsero così all’abitazione del giovane delinquente. Sulla porta stava uno schiavo così tenerello, da poter rivelare facilmente tutto il caso senza sospettare che ne venisse del danno al padrone. Infatti lo aveva accompagnato nella piazza. Anche Alipio lo riconobbe e ne avvertì l’architetto. Questi mostrò al fanciullo la scure, domandandogli di chi era. "È nostra", rispose immediatamente il fanciullo. Più tardi, interrogato, rivelò il resto. Così l’accusa ricadde su quella casa, con grande smacco della folla, che aveva già incominciato il suo trionfo su Alipio. Il futuro dispensatore della tua parola e giudice di molte cause nella tua Chiesa ne uscì più esperto e più agguerrito.

Alipio assessore giudiziario a Roma

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10. 16. A Roma, quando lo incontrai, Alipio si legò a me della più stretta amicizia e partì con me alla volta di Milano sia per non lasciarmi, sia per mettere a frutto le nozioni di diritto che aveva appreso, secondo il desiderio dei genitori più che suo. Aveva già esercitato per tre volte la mansione di assessore giudiziario, meravigliando i colleghi con la sua integrità, ma meno di quanto si meravigliava lui di essi, che anteponevano l’oro alla rettitudine. Il suo carattere fu pure messo alla prova non solo con la seduzione della cupidigia, ma anche col pungolo della paura. A Roma era assessore presso il conte preposto alle finanze italiche. Viveva in quel tempo un senatore potentissimo, che si teneva molta gente legata con i benefici e soggetta con l’intimidazione. Costui pensò di permettersi, secondo l’usanza dei potentati suoi pari, non so quale atto non permesso dalla legge. Alipio gli resistette. Gli fu promessa una ricompensa, ed egli ne rise di cuore ; furono proferite minacce, ed egli le calpestò, con ammirazione di tutti verso un ardire non comune, indifferente all’amicizia e imperturbabile all’inimicizia di un personaggio tanto potente e notissimo per le infinite possibilità che aveva così di giovare come di nuocere. Lo stesso giudice di cui era consigliere, per quanto contrario egli pure alle richieste del senatore, tuttavia non osava opporsi apertamente. Addossava la responsabilità ad Alipio, si diceva impedito da lui perché, ed era vero, l’avrebbe avversato, se per conto suo avesse ceduto. Una sola passione per poco non l’aveva sedotto, la letteratura, per la quale fu tentato di farsi trascrivere alcuni codici usando la cassa del tribunale. Interpellata però la virtù della giustizia, mutò in meglio il suo parere, giudicando più vantaggiosa la rettitudine, che glielo proibiva, della possibilità, che glielo permetteva. È cosa da poco ? Ma chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto (
Lc 16,10), né saranno mai vane le parole che uscirono dalla bocca della tua verità (Cf. Gv Jn 8,40 Jn 1,14 Jn 14,6) : Se non foste fedeli riguardo alle ricchezze inique, chi vi affiderà quelle genuine ? e se non foste fedeli nell’amministrare le ricchezze altrui, chi vi affiderà le vostre ? (Lc 16,11 s). Tale l’uomo che si stringeva allora a me, e con me esitava a decidere il genere di vita che si doveva abbracciare.

Nebridio


10. 17. Anche Nebridio aveva lasciato il paese natio, nei pressi di Cartagine, e poi Cartagine stessa, ove lo s’incontrava sovente ; aveva lasciato la splendida tenuta del padre (Cf. Hor., Epod, 2, 3), lasciata la casa e la madre, non disposta a seguirlo, per venire a Milano con l’unico intento di vivere insieme a me nella ricerca ardentissima della verità e della sapienza. Investigatore appassionato della felicità umana, scrutatore acutissimo dei più difficili problemi, come me anelava e come me oscillava. Erano, le nostre, le bocche di tre affamati che si ispiravano a vicenda la propria miseria, rivolte verso di te, in attesa che dessi loro il cibo nel tempo opportuno (Ps 103,27 Ps 144,15). Nell’amarezza che la tua misericordia faceva sempre seguire allenostre attività mondane, cercavamo di distinguere lo scopo delle nostre sofferenze ; ma intorno a noi si levavano le tenebre. Rivolgendoci allora indietro, ci domandavamo tra i gemiti : "Per quanto tempo dureremo in questo stato ?", e ripetevamo spesso la domanda, ma senza abbandonare per ciò quella vita, mancandoci ogni luce di certezza a cui aggrapparci dopo averla abbandonata.

Esitazioni di Agostino

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11. 18. Io soprattutto mi stupivo, allorché con uno sforzo rievocavo il lungo tempo passato dal momento in cui, diciannovenne, avevo cominciato a infervorarmi nella ricerca della sapienza, progettando di abbandonare, appena l’avessi scoperta, tutte le speranze fatue e i fallaci furori delle vane passioni (Cf. Sal
Ps 39,5). Ed eccomi ormai trentenne, vacillante ancora nella medesima mota (Ter., Phor, 780), avido di godere del presente fugace e dispersivo, mentre mi andavo dicendo : "Domani troverò. Ecco che il vero mi si manifesterà chiaramente, e l’afferrerò ; ecco che verrà Fausto e mi spiegherà tutto. O accademici, spiriti grandi, nessuna certezza si può davvero raggiungere a guida della vita (Cf. Cic., Ac, CIC 2, 6, 18, 10, 31). Ma no, cerchiamo con maggiore diligenza anziché disperare. Ecco ad esempio che quelle che sembravano assurdità nei libri ecclesiastici, non lo sono più : è possibile intenderle in maniera diversa e degna. Prenderò dunque come appoggio ai miei passi il gradino ove fanciullo mi posero i genitori, finché mi si riveli chiaramente la verità. Ma dove cercarla ? quando cercarla ? Non ha tempo Ambrogio, non abbiamo tempo noi per leggere, e poi, anche i libri dove cercarli ? da chi e quando ottenerli, a chi chiederli ? Riserviamo del tempo e assegniamo alcune ore alla salvezza dell’anima (Cf. 2 Sam 2S 11,11 2S 14,19 Ps 34,3). Una grande speranza è spuntata : gli insegnamenti della fede cattolica non sono quali li pensavamo, le nostre accuse erano inconsistenti. I suoi esperti conoscitori reputano un’empietà il credere Dio chiuso nel profilo di un corpo umano ; e noi dubitiamo a bussare perché ci si schiudano le altre verità (Cf. Mt Mt 7,7 s.; Lc 11,9 s) ? Le ore del mattino sono occupate dalla scuola ; nelle altre cosa facciamo ? Perché non impiegarle in quest’opera ? Ma quando andremmo a ossequiare gli amici importanti, di cui ci occorre l’appoggio, quando prepareremmo le dissertazioni da smerciare agli alunni, quando, anche, ci ristoreremmo, rilassando lo spirito dopo la tensione delle occupazioni ?

11. 19. Tutto crolli, sbarazziamoci di queste vane futilità e votiamoci unicamente alla ricerca della verità ! La vita è miserabile, la morte è incerta. Potrebbe sopravvenire all’improvviso, e allora come usciremmo da questo mondo ? dove potremmo imparare quanto qui abbiamo negletto ? Non dovremmo pagare piuttosto il fio della presente negligenza ? E se la morte stessa troncasse e concludesse ogni angustia insieme alla sensibilità ? Anche questo è un problema da investigare. Ma no, lontano da me il pensiero che sia così. Non senza un motivo, non per nulla l’autorità della fede cristiana s’irradia da tanta altezza sul mondo intero. La divinità non realizzerebbe tante e tali cose per noi, se con la morte del corpo si estinguesse anche la vita dell’anima. Perché dunque esitiamo ad abbandonare le speranze mondane, per votarci totalmente alla ricerca di Dio e della vita beata ? No, adagio : anche il mondo è piacevole e possiede una sua grazia non lieve. Bisogna essere cauti a troncare l’impulso che ci spinge verso di esso, perché sarebbe indecoroso tornarvi da capo. Ormai, ecco, siamo abbastanza valenti per ottenere un posto onorato, e che altro desiderare nella nostra condizione ? Abbiamo un buon numero di amici potenti. Se non vogliamo brigare troppo per avere di meglio, una presidenza la possiamo ottenere senz’altro. Poi si dovrà sposare una donna provvista di qualche soldo, che non aggravi le nostre spese, e questo sarà il termine dei desideri ; molti spiriti grandi, degnissimi d’imitazione, si dedicarono allo studio della sapienza con le mogli al fianco".

11. 20. Fra questi discorsi, fra questi venti alterni, che spingevano il mio cuore or qua or là, passava il tempo e io tardavo a rivolgermi verso il Signore. Differivo di giorno in giorno (Si 5,8) l’inizio della vita in te, ma non differivo la morte giornaliera in me stesso. Per amore della vita felice temevo di trovarla nella sua sede e la cercavo fuggendola. Mi sembrava che sarei stato troppo misero senza gli amplessi di una donna ; non ponevo mente al rimedio che ci porge la tua misericordia per guarire da quell’infermità (Cf. Mt Mt 4,23 Ps 102,3), poiché non l’avevo mai sperimentato. Pensavo che la continenza si ottiene con le proprie forze, e delle mie non ero sicuro. A tal segno ero stolto, da ignorare che, come sta scritto, nessuno può essere continente, se tu non lo concedi (Cf. Sap Sg 8,21). E tu l’avresti concesso, se con gemito interiore avessi bussato alle tue orecchie (Cf. Mt Mt 7,7 s.; Lc 11,9 s) e con salda fede avessi lanciato in te la mia pena (Cf. Sal Ps 54,23).

Il problema del matrimonio

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12. 21. Alipio mi sconsigliava, per la verità, di prendere moglie : se lo avessi fatto, mi ripeteva su tutti i toni, non avremmo potuto assolutamente vivere assieme e indisturbati, nel culto della sapienza, come da tempo desideravamo. Personalmente egli osservava fin da allora una castità assoluta, e questa condotta era tanto più ammirevole, in quanto nei primi anni della sua adolescenza aveva sperimentato il piacere della carne. Però non vi era rimasto invischiato : ne aveva avuto piuttosto rimorso e disprezzo, e da allora viveva ormai in una continenza assoluta. Io gli opponevo l’esempio di quanti, coniugati, avevano coltivato gli studi, guadagnato meriti presso Dio (Cf. Eb
He 13,16) e conservato fedeltà d’affetti verso gli amici. Senonché per mio conto ero lontano da tanta magnanimità. Avvinto alla mia carne ammorbata, ne trascinavo la catena con un godimento mortale, timoroso che si sciogliesse e respingendo, quasi rimescolasse la piaga, la mano liberatrice dei buoni consigli. Ma c’era di più : per mia bocca il serpente parlava (Cf. Gn Gn 3,1) allo stesso Alipio e lo accalappiava, disseminando sulla sua strada per mezzo della mia lingua dolci lacci (Cf. Sal Ps 141,4), ove impigliare i suoi onesti e liberi piedi.

12. 22. Egli si stupiva che io, non poco stimato da lui, fossi invischiato nel piacere a tal punto, da asserire, quando se ne discuteva fra noi, che non avrei potuto assolutamente condurre una vita celibe ; ed io, al vedere il suo stupore, mi difendevo sostenendo che passava una bella differenza tra le sue momentanee e furtive esperienze, rese innocue e facilmente disprezzabili dal ricordo ormai quasi svanito, e i diletti della mia consuetudine, cui mancava soltanto l’onorato titolo di matrimonio per togliergli ogni ragione di stupore, se non riuscivo a spregiare quella vita. Alla fine era entrato in corpo anche a lui il desiderio di sposare, facendo breccia non tanto con la lusinga del piacere, quanto con quella della curiosità. Era curioso, diceva, di conoscere il bene, senza del quale la mia vita, a lui accetta così com’era, a me non sembrerebbe più una vita, ma un tormento. Il suo animo, libero da legame, si meravigliava della mia schiavitù, e la meraviglia lo stuzzicava a farne esperienza. Ma, venuto appunto all’esperienza, forse sarebbe caduto nella schiavitù di cui si meravigliava : cercava di stringere un patto con la morte (Cf. Is Is 28,18), e chi ama il pericolo, vi cadrà (Si 3,27). Certo nessuno di noi due era gran che mosso dalla dignità coniugale, quale può consistere nel compito di guidare un matrimonio e di allevare dei figli : io, per essere soprattutto e duramente schiavo torturato dell’abitudine di appagare l’inappagabile sensualità ; lui, per essere trascinato alla schiavitù dal fascino dell’ignoto. Tale il nostro stato, finché tu, altissimo (Ps 9,3 Ps 91,2), che non abbandoni il nostro fango, impietosito dalla nostra condizione pietosa, ci venisti in aiuto in modi mirabili e segreti.

Fidanzamento di Agostino

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13. 23. Intanto mi si sollecitava instancabilmente a prendere moglie. Così ne avevo ormai avanzato la richiesta e ottenuta la promessa. Chi lavorava maggiormente in questo senso era mia madre, con l’idea che, una volta sposato, il lavacro salutare del battesimo mi avrebbe ripulito. Gioiva che io vi fossi ogni giorno meglio disposto, e nella mia fede riconosceva il compiersi dei suoi voti e delle tue promesse. Su mia richiesta e per sua stessa inclinazione ti supplicava quotidianamente con l’ardente grido del cuore perché tu le facessi in sogno qualche rivelazione sul mio futuro matrimonio, ma non volesti mai esaudirla. Aveva, sì, delle visioni, però inconsistenti e bizzarre, prodotte dalla tensione del suo spirito umano in angustie per quell’evento. Me le descriveva senza la fiducia a lei abituale quando aveva una tua rivelazione, bensì con disprezzo. A suo dire, ella sapeva discernere da non so quale sapore, che a parole era incapace di spiegare, la differenza fra le tue rivelazioni e i sogni della sua anima. Ciò nonostante si insisteva, e la fanciulla fu richiesta. Le mancavano ancora due anni all’età da marito, però piaceva a tutti, e così si aspettava.


Agostino: Le confessioni 604