Agostino: Le confessioni 710

La luce della verità nell’uomo interiore

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10. 16. Ammonito da quegli scritti a tornare in me stesso, entrai nell’intimo del mio cuore sotto la tua guida ; e lo potei, perché divenisti il mio soccorritore (
Ps 29,11). Vi entrai e scorsi con l’occhio della mia anima, per quanto torbido fosse, sopra l’occhio medesimo della mia anima, sopra la mia intelligenza, una luce immutabile. Non questa luce comune, visibile a ogni carne, né della stessa specie ma di potenza superiore, quale sarebbe la luce comune se splendesse molto, molto più splendida e penetrasse con la sua grandezza l’universo. Non così era quella, ma cosa diversa, molto diversa da tutte le luci di questa terra. Neppure sovrastava la mia intelligenza al modo che l’olio sovrasta l’acqua, e il cielo la terra, bensì era più in alto di me, poiché fu lei a crearmi, e io più in basso, poiché fui da lei creato. Chi conosce la verità, la conosce, e chi la conosce, conosce l’eternità. La carità la conosce. O eterna verità e vera carità e cara eternità, tu sei il mio Dio (Ps 42,2), a te sospiro giorno e notte (Ps 1,2 Jr 9,1). Quando ti conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te (Cf. Sal Ps 26,10) per farmi vedere come vi fosse qualcosa da vedere, mentre io non potevo ancora vedere ; respingesti il mio sguardo malfermo col tuo raggio folgorante, e io tutto tremai d’amore e terrore. Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile (Cf. Lc Lc 15,13), ove mi pareva di udire la tua voce dall’alto (Cf. Ger Jr 31,15) : "Io sono il nutrimento degli adulti. Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne ; ma tu ti trasformerai in me". Riconobbi che hai ammaestrato l’uomo per la sua cattiveria e imputridito come ragnatela l’anima mia (Ps 38,12). Chiesi : "La verità è dunque un nulla, poiché non si estende nello spazio sia finito sia infinito ?" ; e tu mi gridasti da lontano (Cf. Lc Lc 15, 13, 20) : "Anzi, io sono colui che sono (Ex 3,14)". Queste parole udii con l’udito del cuore. Ora non avevo più motivo di dubitare. Mi sarebbe stato più facile dubitare della mia esistenza, che dell’esistenza della verità, la quale si scorge comprendendola attraverso il creato (Rm 1,20).

L’esistenza di Dio e delle cose

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11. 17. Osservando poi tutte le altre cose poste al di sotto di te, scoprii che né esistono del tutto, né non esistono del tutto. Esistono, poiché derivano da te ; e non esistono, poiché non sono ciò che tu sei, e davvero esiste soltanto ciò che esiste immutabilmente. Il mio bene è l’unione con Dio (
Ps 72,28), poiché, se non rimarrò in lui, non potrò rimanere neppure in me. Egli invece rimanendo stabile in sé, rinnova ogni cosa (Sg 7,27). Tu sei il mio Signore, perché non hai bisogno dei miei beni (Ps 15,2).

Bontà ed esistenza delle cose

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12. 18. Mi si rivelò anche nettamente la bontà delle cose corruttibili, che non potrebbero corrompersi né se fossero beni sommi, né se non fossero beni. Essendo beni sommi, sarebbero incorruttibili ; essendo nessun bene, non avrebbero nulla in se stesse di corruttibile. La corruzione è infatti un danno, ma non vi è danno senza una diminuzione di bene. Dunque o la corruzione non è danno, il che non può essere, o, com’è invece certissimo, tutte le cose che si corrompono subiscono una privazione di bene. Private però di tutto il bene non esisteranno del tutto. Infatti, se sussisteranno senza potersi più corrompere, saranno migliori di prima, permanendo senza corruzione ; ma può esservi asserzione più mostruosa di questa, che una cosa è divenuta migliore dopo la perdita di tutto il bene ? Dunque, private di tutto il bene, non esisteranno del tutto ; dunque, finché sono, sono bene. Dunque tutto ciò che esiste è bene, e il male, di cui cercavo l’origine, non è una sostanza, perché, se fosse tale, sarebbe bene : infatti o sarebbe una sostanza incorruttibile, e allora sarebbe inevitabilmente un grande bene ; o una sostanza corruttibile, ma questa non potrebbe corrompersi senza essere buona. Così vidi, così mi si rivelò chiaramente che tu hai fatto tutte le cose buone e non esiste nessuna sostanza che non sia stata fatta da te ; e poiché non hai fatto tutte le cose uguali, tutte esistono in quanto buone ciascuna per sé e assai buone tutte insieme, avendo il nostro Dio fatto tutte le cose buone assai (
Gn 1,31).

L’armonia dell’universo

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13. 19. In te il male non esiste affatto, e non solo in te, ma neppure in tutto il tuo creato, fuori del quale non esiste nulla che possa irrompere e corrompere l’ordine che vi hai imposto. Tra le parti poi del creato, alcune ve ne sono, che, per non essere in accordo con alcune altre, sono giudicate cattive, mentre con altre si accordano, e perciò sono buone, e buone sono in se stesse. Tutte queste parti, che non si accordano fra loro, si accordano poi con la porzione inferiore dell’universo, che chiamiamo terra, la quale è provvista di un suo cielo percorso da nubi e venti, ad essa conveniente. Lontano d’ora in poi da me l’augurio : "Oh, se tali cose non esistessero !". Quand’anche vedessi soltanto tali cose, potrei certo desiderarne di migliori, ma non più mancare di lodarti anche soltanto per queste. Che ti si debba lodare, lo mostrano infatti sulla terra i draghi e tutti gli abissi, il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il soffio della tempesta, esecutori della tua parola, i monti e tutti i colli, gli alberi da frutto e tutti i cedri, le bestie e tutti gli armenti, i rettili e i volatili pennuti ; i re della terra e tutti i popoli, i principi e tutti i giudici della terra, i giovani e le fanciulle, gli anziani con gli adolescenti lodino il tuo nome (
Ps 148,7-12). Ma, poiché anche dai cieli salgono verso di te le lodi, ti lodino, Dio nostro, nell’alto tutti gli angeli tuoi ; tutte le potenze tue, il sole e la luna, tutte le stelle e la luce, i cieli dei cieli e le acque che stanno sopra i cieli, lodino il tuo nome (Ps 148,1-5). Ormai non desideravo di meglio : tutte le cose abbracciavo col mio pensiero, e se le creature superiori sono meglio di quelle inferiori, tutte insieme sono però meglio delle prime sole. Con più sano giudizio davo questa valutazione.

L’insano dualismo manicheo

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14. 20. Non c’è sanità di giudizio (
Ps 37, 4, 8) in coloro che non gradiscono qualche cosa del tuo creato, come non ce n’era in me quando non gradivo molte delle cose da te create. E poiché la mia anima non osava non gradire il mio Dio, si rifiutava di riconoscere come opera tua tutto ciò che non gradiva. Di qui era giunta alla concezione delle due sostanze, senza trovarsi soddisfatta e usando un linguaggio non suo ; poi aveva abbandonato quell’idea per costruirsi un dio esteso dovunque negli spazi infiniti, che aveva immaginato fossi tu e aveva collocato nel proprio cuore, ricostituendosi tempio del proprio idolo (Cf. 2Co 6,16), abominevole ai tuoi occhi. Quando però a mia insaputa prendesti il mio capo fra le tue braccia e chiudesti i miei occhi per togliere loro la vista delle cose vane (Ps 118,37), mi ritrassi un poco da me, la mia follia si assopì. Mi risvegliai in te e ti vidi, infinito ma diversamente, visione non prodotta dalla carne.

Esistenza e verità

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15. 21. Rivolto poi lo sguardo alle altre cose, vidi che devono a te l’esistenza e sono in te tutte finite, ma diversamente da come si è in un luogo : cioè in quanto tu tieni tutto con la tua mano, la verità, e tutto è vero in quanto è, nulla falso se non ciò che si crede essere mentre non è. Vidi pure che ogni cosa si accorda non soltanto col proprio luogo, ma anche col proprio tempo, e che tu, unico essere eterno, non sei passato all’azione dopo estensioni incalcolabili di tempo. Tutte le estensioni del tempo, passate come future, non potrebbero né allontanarsi né avvicinarsi, se tu non fossi attivo e stabile.

La perversione della volontà

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16. 22. E capii per esperienza che non è cosa sorprendente, se al palato malsano riesce una pena il pane, che al sano è soave ; se agli occhi offesi è odiosa la luce, che ai vividi è amabile. La tua giustizia è sgradita ai malvagi, e a maggior ragione le vipere e i vermiciattoli che hai creato buoni e in accordo con le parti inferiori del tuo creato. A queste i malvagi stessi si accordano nella misura in cui non ti assomigliano, mentre si accordano alle parti superiori nella misura in cui ti assomigliano. Ricercando poi l’essenza della malvagità, trovai che non è una sostanza, ma la perversione della volontà, la quale si distoglie dalla sostanza suprema, cioè da te, Dio, per volgersi alle cose più basse, e, ributtando le sue interiora (
Si 10,10), si gonfia esternamente.

Ascesa all’Essere

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17. 23. Ero sorpreso di amarti, ora, e più non amare un fantasma in tua vece. Ma non ero stabile nel godimento del mio Dio. Attratto a te dalla tua bellezza, ne ero distratto subito dopo dal mio peso, che mi precipitava gemebondo sulla terra. Era, questo peso, la mia consuetudine con la carne ; ma portavo con me il tuo ricordo. Non dubitavo minimamente dell’esistenza di un essere cui dovevo aderire, sebbene ancora non ne fossi capace, perché il corpo corruttibile grava sull’anima, e la dimora terrena deprime lo spirito con una folla di pensieri (
Sg 9,15) ; ed ero assolutamente certo che quanto in te è invisibile, dalla costituzione del mondo si scorge comprendendolo attraverso il creato, così come la tua virtù eterna e la tua divinità (Rm 1,20). Nel ricercare infatti la ragione per cui apprezzavo la bellezza dei corpi sia celesti sia terrestri, e i mezzi di cui dovevo disporre per formulare giudizi equi su cose mutevoli, allorché dicevo : "Questa cosa dev’essere così, quella no" ; nel ricercare dunque la spiegazione dei giudizi che formulavo giudicando così, scoprii al di sopra della mia mente mutabile l’eternità immutabile e vera della verità. E così salii per gradi dai corpi all’anima, che sente attraverso il corpo, dall’anima alla sua potenza interna, cui i sensi del corpo comunicano la realtà esterna, e che è la massima facoltà delle bestie. Di qui poi salii ulteriormente all’attività razionale, al cui giudizio sono sottoposte le percezioni dei sensi corporei ; ma poiché anche quest’ultima mia attività si riconobbe mutevole, ascese alla comprensione di se medesima. Distolse dunque il pensiero dalle sue abitudini (Cic., Tusc, CIC 1, 6, 38), sottraendosi alle contradizioni della fantasia turbinosa, per rintracciare sia il lume da cui era pervasa quando proclamava senza alcuna esitazione che è preferibile ciò che non muta a ciò che muta, sia la fonte da cui derivava il concetto stesso d’immutabilità, concetto che in qualche modo doveva possedere, altrimenti non avrebbe potuto anteporre con certezza ciò che non muta a ciò che muta. Così giunse, in un impeto della visione trepida, all’Essere stesso. Allora finalmente scorsi quanto in te è invisibile, comprendendolo attraverso il creato ; ma non fui capace di fissarvi lo sguardo. Quando, rintuzzata la mia debolezza, tornai fra gli oggetti consueti, non riportavo con me che un ricordo amoroso e il rimpianto, per così dire, dei profumi di una vivanda che non potevo ancora gustare.

Cristo Gesù, unico Mediatore fra l’uomo e Dio

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18. 24. Cercavo la via per procurarmi forza sufficiente a goderti, ma non l’avrei trovata, finché non mi fossi aggrappato al mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù (1 Tm
1Tm 2,5), che è sopra tutto Dio benedetto nei secoli (Rm 9,5). Egli ci chiama e ci dice : "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6) ; egli mescola alla carne il cibo che non avevo forza di prendere, poiché il Verbo si è fatto carne (Jn 1,14) affinché la tua sapienza, con cui creasti l’universo, divenisse latte per la nostra infanzia. Non avevo ancora tanta umiltà, da possedere il mio Dio, l’umile Gesù, né conoscevo ancora gli ammaestramenti della sua debolezza. Il tuo Verbo, eterna verità che s’innalza al di sopra delle parti più alte della creazione, eleva fino a sé coloro che piegano il capo ; però nelle parti più basse col nostro fango si edificò una dimora umile (Pr 9,1), la via per cui far scendere dalla loro altezza e attrarre a sé coloro che accettano di piegare il capo, guarendo il turgore e nutrendo l’amore. Così impedì che per presunzione si allontanassero troppo, e li stroncò piuttosto con la visione della divinità stroncata davanti ai loro piedi per aver condiviso la nostra tunica di pelle (Cf. Gn Gn 3,21). Sfiniti, si sarebbero reclinati su di lei, ed essa alzandosi li avrebbe sollevati con sé.

False opinioni di Agostino e Alipio su Cristo

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19. 25. Ma io pensavo diversamente. Per me Cristo mio signore non era che un uomo straordinariamente sapiente e senza pari. Soprattutto la sua nascita miracolosa da una vergine, ov’è indicato il disprezzo dei beni temporali come condizione per ottenere l’immortalità, mi sembrava avesse guadagnato al suo magistero, grazie alla sollecitudine di Dio verso di noi, un’autorità grandissima. Ma il mistero racchiuso in quelle parole : Il Verbo fatto carne (
Jn 1,14), non potevo nemmeno sospettarlo. Soltanto sapevo di lui le notizie tramandate dalle Scritture : che mangiò e bevve, dormì, camminò, provò gioia e tristezza, conversò ; che quella carne non si unì al tuo Verbo senza un’anima e un’intelligenza umane : cose che sa chiunque sa che il tuo Verbo è immutabile, come ormai io lo sapevo nella misura delle mie forze, ma senza ombra di dubbio. In verità, il muovere ora le membra del corpo in forza della volontà, ora non muoverle, il sentire ora un sentimento, ora non sentirlo, l’esprimere ora a parole concetti saggi, ora tacere, sono atti propri di un’anima e di una mente mutevoli ; e se si fosse scritto di lui tutto ciò mentendo, anche il resto rischiava di essere falso, e in quei testi non rimaneva più alcuna salvezza per il genere umano attraverso la fede. Quindi erano scritti veri, e perciò io riconoscevo in Cristo un uomo completo, ossia non soltanto il corpo di un uomo, o un’anima e un corpo senza intelligenza, ma un uomo vero, da anteporre secondo me a tutti gli altri non perché fosse la verità in persona, ma in virtù di un’eccellenza singolare della sua natura umana, e di una partecipazione più perfetta alla sapienza. Quanto ad Alipio, si era fatto l’idea che i cattolici nel credere a un Dio rivestito di carne credessero all’esistenza in Cristo di Dio e della carne soltanto, mentre l’anima e l’intelligenza umane pensava non gli fossero attribuite. Persuaso poi che le opere a lui ascritte dalla tradizione non possono compiersi se non da una creatura vitale e razionale, procedeva appunto verso la fede cristiana piuttosto lentamente. Solo più tardi venne a sapere che questa è la concezione erronea degli eretici apollinaristi, e si uniformò con gioia alla fede cattolica. Io da parte mia confesso di aver capito alquanto più tardi come nei riguardi della frase : Il Verbo si è fatto carne, la verità cattolica si stacchi dalla menzogna di Fotino. Davvero, la condanna degli eretici dà spicco al pensiero della tua Chiesa e alla sostanza del suo sano insegnamento (Cf. 2 Tm 2Tm 4,3 Tt 1,9 Tt 2,1). Dovettero prodursi infatti anche delle eresie, affinché si vedesse chi era saldo nella fede tra i deboli (1Co 11,19).

Fede senza umiltà

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20. 26. Però allora, dopo la lettura delle opere dei filosofi platonici, da cui imparai a cercare una verità incorporea ; dopo aver scorto quanto in te è invisibile, comprendendolo attraverso il creato (
Rm 1,20), e aver compreso a prezzo di sconfitte quale fosse la verità che le tenebre della mia anima mi impedivano di contemplare, fui certo che esisti, che sei infinito senza estenderti tuttavia attraverso spazi finiti o infiniti, e che sei veramente, perché sei sempre il medesimo (Cf. Ps 101,28), anziché divenire un altro o cambiare in qualche parte o per qualche moto ; mentre tutte le altre cose sono derivate da te (Cf. Rm Rm 11,36), come dimostra questa sola saldissima prova, che sono. Di tutto ciò ero dunque certo, ma troppo debole ancora per goderti. Cianciavo, sì, come fossi sapiente ; ma, se non avessi cercato la tua via in Cristo nostro salvatore (Tt 1,4), non sapiente ma morente sarei stato ben presto. Mi aveva subito preso la smania di apparire sapiente, mentre ero ricco del mio castigo e non ne avevo gli occhi gonfi di pianto, ma io invece ero tronfio per la mia scienza. Dov’era quella carità che edifica sul fondamento dell’umiltà, ossia Gesù Cristo (Cf. 1Co 8,1 1Co 3,11) ? Quando mai quei libri avrebbero potuto insegnarmela ? Credo che la ragione, per cui volesti che m’imbattessi in quelli prima di meditare le tue Scritture, fosse d’incidere nella mia memoria le impressioni che mi diedero, così che, quando poi i tuoi libri mi avessero ammansito e sotto la cura delle tue dita avessi rimarginato le mie ferite, sapessi discernere e rilevare la differenza che intercorre fra la presunzione e la confessione, fra coloro che vedono la meta da raggiungere, ma non vedono la strada, e la via che invece porta alla patria beatificante, non solo per vederla, ma anche per abitarla. Plasmato all’inizio dalle tue sante Scritture, assaporata la tua dolcezza nel praticarle e imbattutomi dopo in quei volumi, forse mi avrebbero sradicato dal fondamento della pietà ; oppure, quand’anche avessi persistito nei sentimenti salutari che avevo assorbito, mi sarei immaginato che si poteva pure derivarli dal solo studio di quei libri.

Avidissima e benefica lettura dell’apostolo Paolo

721 21. 27. Mi buttai dunque con la massima avidità sulla venerabile scrittura del tuo spirito, e prima di tutto sull’apostolo Paolo. Scomparvero ai miei occhi le ambiguità, ove mi era sembrato che il testo del suo discorso fosse talora incoerente e contrastante con le testimonianze della Legge e dei Profeti (Cf. Mt Mt 5,17 Mt 7,12 Lc 16,16) ; mi apparve l’unico volto delle espressioni pure (Cf. Sal Ps 11,7) e imparai a esultare con apprensione (Ps 2,11). Iniziata la lettura, trovai che quanto di vero avevo letto là, qui è detto con la garanzia della tua grazia, affinché chi vede non si vanti, quasi non abbia ricevuto non solo ciò che vede, ma la facoltà stessa di vedere. Cos’ha infatti, che non abbia ricevuto ? (Cf. 1Co 4,7). E poi, non solo è sollecitato a vedere te, che sei sempre il medesimo (Cf. Sal Ps 101,28), bensì anche a guarire per possederti. Chi poi è troppo lontano per vederti, intraprenda tuttavia il cammino che lo condurrà a vederti e a possederti. Infatti, sebbene l’uomo si compiaccia della legge di Dio secondo l’uomo interiore, cosa farà dell’altra legge, che nelle sue membra lotta contro la legge del suo spirito e lo trae prigioniero sotto la legge del peccato insita nelle sue membra (Rm 7,22 s) ? Tu sei giusto, Signore, ma noi abbiamo peccato, commesso atti iniqui (Da 3, 27, 29; Tb 3,2 Ps 118,137 Ap 16,5), opere empie. La tua mano si è appesantita su di noi (Ps 31,4), e siamo stati dati giustamente in balìa dell’antico peccatore, del signore della morte, poiché persuase la nostra volontà a conformarsi alla sua volontà, con cui abbandonò la tua verità (Jn 8,44). Cosa farà l’uomo nella sua miseria ? chi lo libererà da questo corpo mortale, se non la tua grazia per mezzo di Gesù Cristo signore nostro (Rm 7,24 s), generato da te coeterno, creato al principio delle tue vie (Pr 8,22) ; in cui il principe di questo mondo (Jn 14,30) non trovò nulla che fosse degno di morte (Cf. Lc Lc 23,14 s), eppure lo fece morire, e così fu svuotato il documento che era contro di noi (Col 2,14) ? Quegli scritti non posseggono queste verità, quelle pagine non posseggono questo sembiante pietoso, le lacrime della confessione, il tuo sacrificio, l’anima angustiata, il cuore contrito e umiliato (Ps 50,19), la salvezza del tuo popolo, la città sposa (Ap 21,2), il pegno dello Spirito Santo (2 Cor 2Co 5,5), il calice del nostro riscatto. Là nessuno canta : "Non sarà l’anima mia sottomessa a Dio ? Da lui viene la mia salvezza. Egli è il mio Dio e il mio salvatore, il mio ospite : non più muoverò" (Ps 61,2 s). Là nessuno ode il richiamo : Venite a me, voi che soffrite. Si sdegnano anzi i suoi ammaestramenti, perché è mite e umile di cuore (Mt 11,28 s). Infatti celasti queste verità ai sapienti e agli accorti, e le rivelasti ai piccoli (Mt 11,25). Altro è vedere da una cima selvosa la patria della pace (Cf. Dt Dt 32,49) e non trovare la strada per giungervi, frustrarsi in tentativi per plaghe perdute, sotto gli assalti e gli agguati dei disertori fuggiaschi guidati dal loro capo, leone e dragone insieme (Cf. Sal Ps 90,13) ; e altro tenere la via che vi porta, presidiata dalla solerzia dell’imperatore celeste, immune dalle rapine dei disertori dell’esercito celeste, che la evitano come il supplizio. Questi pensieri mi penetravano fino alle viscere in modi mirabili, mentre leggevo l’ultimo fra i tuoi apostoli (Cf. 1Co 15,9). La considerazione delle tue opere mi aveva sbigottito (Cf. Ab Ab 3,2).

Libro ottavo




LA CONVERSIONE

Visita a Simpliciano


Simpliciano, servo di Dio

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1. 1. Dio mio, fa’ ch’io ricordi per ringraziarti e ch’io confessi gli atti della tua misericordia nei miei riguardi (Cf. Sal
Ps 85,13). Le mie ossa s’impregnino del tuo amore e dicano : "Signore, chi simile a te ? (Ps 34,10). Hai spezzato i miei lacci, ti offrirò un sacrificio di lode" (Ps 115,16 s). Come li hai spezzati, ora narrerò, e diranno tutti coloro che ti adorano, all’udirmi : "Benedetto il Signore (Ps 71,18) in cielo e in terra (Ps 134,6) ; grande e mirabile il suo nome" (Ps 75,2 Ps 8,2 Ps 8,10). Penetrate stabilmente nelle mie viscere le tue parole, da te assediato d’ogni parte (Cf. Is Is 29,2), possedevo la certezza della tua vita eterna. L’avevo vista soltanto in un enigma e come attraverso uno specchio (1Co 13,12) ; tuttavia si era dissipato dalla mia mente ogni dubbio sulla sostanza incorruttibile e la derivazione da quella di ogni altra sostanza. Non desideravo acquistare ormai una maggiore certezza di te, quanto piuttosto una maggiore stabilità in te. Senonché dalla parte della mia vita terrena tutto vacillava, e bisognava ripulirmi il cuore del fermento vecchio (Cf. 1Co 5,7 s). La via, ossia la persona del Salvatore, mi piaceva, ma ancora mi spiaceva passare per le sue strettoie (Cf. Gv Jn 14,6 Mt 7,14). Allora m’ispirasti il pensiero, apparso buono ai miei occhi (Ps 15,8 al), di far visita a Simpliciano, che mi sembrava un tuo buon servitore. In lui riluceva la tua grazia ; avevo anche sentito dire che fin da giovane viveva interamente consacrato a te. Allora era vecchio ormai e nella lunga esistenza passata a perseguire la tua via con impegno così santo, mi sembrava avesse acquistato grande esperienza, grande sapienza ; né mi sbagliavo. Era mio desiderio conferire con lui sui miei turbamenti, affinché mi riferisse il metodo adatto a chi si trova nel mio stato per avanzare sulla tua via (Cf. Sal Ps 127,1).

Il legame della donna


1. 2. Vedevo la Chiesa popolata di fedeli che avanzavano, l’uno in un modo, l’altro in un altro (Cf. 1Co 7,7) ; invece mi disgustava la mia vita nel mondo. Era divenuta un grave fardello per me, ora che non mi stimolavano più a sopportare un giogo così duro le passioni di un tempo, l’attesa degli onori e del denaro. Ormai tutto ciò mi attraeva meno della tua dolcezza e della bellezza della tua casa, che ho amato (Ps 25,8). Ma ero stretto ancora da un legame tenace, la donna. L’Apostolo non mi proibiva il matrimonio, sebbene invitasse a uno stato più alto, desiderando, se possibile, che tutti gli uomini fossero come lui (Cf. 1Co 7,26-38, 7 s) ; ma io, più debole, cercavo una posizione più comoda. Era l’unica causa delle mie oscillazioni. Per il resto ero illanguidito e snervato da preoccupazioni putride, perché la vita coniugale, di cui ero devoto prigioniero, mi costringeva ad altri adattamenti, che non avrei voluto subire. Avevo sentito dire dalla bocca della verità (Cf. Gv Jn 8,40 Jn 1,14 Jn 14,6) che esistono eunuchi, i quali si mutilarono volontariamente per amore del regno dei cieli ; ma aggiunge : "Chi può capire, capisca" (Mt 19,12). Sono certamente vani tutti gli uomini in cui non si trova la conoscenza di Dio e che non poterono trovare, muovendo dalle cose che ci si mostrano buone, Colui che è (Sg 13,1) ; ma questo genere di vanità non era più il mio ormai. L’avevo superato, trovando nella testimonianza concorde dell’intero creato te, nostro Creatore, e il tuo Verbo, Dio presso di te e con te unico Dio e strumento della tua intera creazione (Cf. Gv Jn 1,1-3). Esiste poi una seconda categoria di empi, quelli che, pur conoscendo Dio, non lo glorificarono o ringraziarono come Dio (Rm 1,21). Anche fra costoro ero caduto, ma la tua destra mi raccolse (Ps 17,36), mi traesti di là e mi ponesti in un luogo ove potevo guarire, poiché hai detto all’uomo : "Ecco, pietà è sapienza" (Jb 28,28), e : "Non cercare di apparire sapiente (Pr 26,5), perché chi si dichiarava sapiente divenne stolto" (Rm 1,22). Dunque avevo già trovato la perla preziosa e mi conveniva acquistarla vendendo tutti i miei beni (Cf. Mt Mt 13,46). Eppure esitavo.

La conversione di Vittorino nel ricordo di Simpliciano

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2. 3. Feci visita dunque a Simpliciano, padre per la grazia, che aveva ricevuto da lui, del vescovo di allora Ambrogio e amato da Ambrogio proprio come un padre. Quando, nel descrivergli la tortuosità dei miei errori, accennai alla lettura da me fatta di alcune opere dei filosofi platonici, tradotte in latino da Vittorino, già retore a Roma e morto, a quanto avevo udito, da cristiano, si rallegrò con me per non essermi imbattuto negli scritti di altri filosofi, ove pullulavano menzogne e inganni secondo i princìpi di questo mondo (
Col 2,8). Nei platonici invece s’insinua per molti modi l’idea di Dio e del suo Verbo. Per esortarmi poi all’umiltà di Cristo, celata ai sapienti e rivelata ai piccoli (Cf. Mt Mt 11,25), evocò i suoi ricordi di Vittorino, appunto, da lui conosciuto intimamente durante il suo soggiorno a Roma. Quanto mi narrò dell’amico non tacerò, poiché offre l’occasione di rendere grande lode alla tua grazia. Quel vecchio possedeva vasta dottrina ed esperienza di tutte le discipline liberali, aveva letto e ponderato un numero straordinario di filosofi, era stato maestro di moltissimi nobili senatori ; così meritò e ottenne, per lo splendore del suo altissimo insegnamento, un onore ritenuto insigne dai cittadini di questo mondo : una statua nel Foro romano. Fino a quell’età aveva venerato gli idoli e partecipato ai sacrifici sacrileghi, da cui la nobiltà romana di allora quasi tutta invasata, delirava per la dea del popolino di Pelusio e per mostri divini di ogni genere e per Anubi l’abbaiatore, i quali un giorno

contro Nettuno e Venere e Minerva

presero le armi (Verg., Aen, 8, 698-700). Roma supplicava ora questi dèi dopo averli vinti, e il vecchio Vittorino li aveva difesi per lunghi anni con eloquenza terrificante. Eppure non arrossì di farsi garzone del tuo Cristo e infante alla tua fonte (Cf. Sal Ps 35,10 Jn 4,14 Ap 21,6), di sottoporre il collo (Cf. Sir Si 51,34 Jr 27,12) al giogo dell’umiltà (Cf. Mt Mt 11,29 Mt 18,3 s), di chinare la fronte al disonore della croce (Cf. Gal Ga 5,11).

2. 4. O Signore, Signore, che hai abbassato i cieli e sei disceso, hai toccato i monti e hanno emesso fumo (Ps 143,5), con quali mezzi ti insinuasti in quel cuore ? A detta di Simpliciano, leggeva la Sacra Scrittura, e tutti i testi cristiani ricercava con la massima diligenza e studiava. Diceva a Simpliciano, non in pubblico, ma in gran segreto e confidenzialmente : "Devi sapere che sono ormai cristiano". L’altro replicava : "Non lo crederò né ti considererò nel numero dei cristiani finché non ti avrò visto nella chiesa di Cristo". Egli chiedeva sorridendo : "Sono dunque i muri a fare i cristiani ?". E lo affermava sovente, di essere ormai cristiano, e Simpliciano replicava sempre a quel modo, ed egli sempre ripeteva quel suo motto sui muri della chiesa. In realtà si peritava di spiacere ai suoi amici, superbi adoratori del demonio, temendo che dall’alto della loro babilonica maestà e da quei cedri, direi, del Libano, che il Signore non aveva ancora stritolato (Cf. Sal Ps 28,5), pesanti si sarebbero abbattute su di lui le ostilità. Ma poi dalle avide letture attinse una ferma risoluzione ; temette di essere rinnegato da Cristo davanti agli angeli santi, se avesse temuto di riconoscerlo davanti agli uomini (Lc 12,9 Mc 8,38), e si sentì reo di un grave delitto ad arrossire dei sacri misteri del tuo umile Verbo, quando non arrossiva dei sacrilegi di demòni superbi, da lui superbamente accettati e imitati. Perso il rispetto verso il suo errore, e preso da rossore verso la verità, all’improvviso e di sorpresa, come narrava Simpliciano, disse all’amico : "Andiamo in chiesa, voglio divenire cristiano". Simpliciano, che non capiva più in sé per la gioia, ve lo accompagnò senz’altro. Là ricevette i primi rudimenti dei sacri misteri ; non molto dopo diede anche il suo nome per ottenere la rigenerazione del battesimo, tra lo stupore di Roma e il gaudio della Chiesa. Se i superbi s’irritavano a quella vista, digrignavano i denti e si maceravano (Cf. Sal Ps 111,10), il tuo servo aveva il Signore Dio sua speranza e non volgeva lo sguardo alle vanità e ai fallaci furori (Ps 39,5).

2. 5. Infine venne il momento della professione di fede. A Roma chi si accosta alla tua grazia recita da un luogo elevato, al cospetto della massa dei fedeli una formula fissa imparata a memoria. Però i preti, narrava l’amico, proposero a Vittorino di emettere la sua professione in forma privata, licenza che si usava accordare a chi faceva pensare che si sarebbe emozionato per la vergogna. Ma Vittorino amò meglio di professare la sua salvezza al cospetto della santa moltitudine. Da retore non insegnava la salvezza, eppure aveva professato la retorica pubblicamente ; dunque tanto meno doveva vergognarsi del tuo gregge mansueto pronunciando la tua parola chi proferiva le sue parole senza vergognarsi delle turbe insane. Così, quando salì a recitare la formula, tutti gli astanti scandirono fragorosamente in segno di approvazione il suo nome, facendo eco gli uni agli altri, secondo che lo conoscevano. Ma chi era là, che non lo conosceva ? Risuonò dunque di bocca in bocca nella letizia generale un grido contenuto : "Vittorino, Vittorino" ; e come subito gridarono festosi al vederlo, così tosto tacquero sospesi per udirlo. Egli recitò la sua professione della vera fede con sicurezza straordinaria. Tutti avrebbero voluto portarselo via dentro al proprio cuore, e ognuno invero se lo portò via con le mani rapaci dell’amore e del gaudio.

L’esultanza per il bene faticosamente raggiunto

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3. 6. Dio buono, cosa avviene nell’uomo, che per la salvezza di un’anima insperatamente liberata da grave pericolo prova gioia maggiore che se avesse sempre conservato la speranza, o minore fosse stato il pericolo ? Invero anche tu, Padre misericordioso, gioisci maggiormente per un solo pentito che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza (
Lc 15,7) ; e noi proviamo grande gioia all’udire ogni volta che udiamo quanto esulta il pastore nel riportare sulle spalle la pecora errabonda (Cf. Lc Lc 15,4-6 Ps 118,176), e come la dracma sia riposta nei tuoi tesori fra le congratulazioni dei vicini alla donna che l’ha ritrovata (Cf. Lc Lc 15,8 s) ; e ci fa piangere di gioia la festa della tua casa (Ps 25,8), ogni volta che nella tua casa leggiamo del figlio minore che era morto ed è tornato in vita, era perduto e fu ritrovato (Lc 15,32). Tu gioisci in noi e nei tuoi angeli santificati da un santo amore, perché sei sempre il medesimo (Cf. Sal Ps 101,28), e le cose che non esistono sempre né sempre nel medesimo modo tu nel medesimo modo le conosci sempre tutte (Da 13,42).

3. 7. Cosa avviene dunque nell’anima, per cui gode maggiormente di trovare o riavere quanto ha caro, che se lo avesse sempre conservato ? Lo conferma la testimonianza di molte altre circostanze, ogni luogo è pieno di testimoni che proclamano : "È così". Trionfa il generale vittorioso, che non avrebbe vinto senza aver combattuto : e quanto maggiore fu il pericolo nella battaglia, tanto maggiore è la gioia nel trionfo ; la tempesta sballotta i naviganti e minaccia di farli naufragare, tutti sbiancano nell’imminenza della morte (Verg., Aen, 4, 644), poi il cielo e il mare si placano e l’eccesso dell’esultanza nasce dall’eccesso della paura ; una persona cara sta male, il polso rivela le sue cattive condizioni : quanti ne desiderano la guarigione stanno male con lei in cuor loro, ma poi migliora, e prima ancora che si aggiri col vigore primitivo, già si diffonde un giubilo che non esisteva quando, prima, si aggirava sana e robusta. Persino i piaceri fisici della vita umana non solo a prezzo di noie impreviste e subìte controvoglia se li procurano gli uomini, ma a prezzo di disagi premeditati e volontari. Così il piacere del cibo e della bevanda è nullo, se non preceduto dal tormento della fame e della sete ; e i beoni accompagnano il cibo con certe salse piccanti per provocare un’arsura tormentosa, che nell’essere estinta dal bere nasce il piacere. Si è persino stabilita l’usanza di non consegnare subito le spose già promesse, affinché i mariti non le disprezzino dopo avute, se da fidanzati non sospirarono di averle.

3. 8. Così avviene per una gioia vergognosa e abominevole, così per una permessa e lecita, così per la più sincera e onesta delle amicizie, così per chi era morto ed è tornato in vita, era perduto e fu ritrovato : sempre un gaudio più grande è preceduto da più grande tormento. Che è ciò (Ex 13,14 Ex 16,15 Si 39,26), Signore mio Dio ? Tu, tu stesso non sei per te stesso perenne gaudio, e alcuni esseri intorno a te non godono di te perennemente ? E come in quest’altra parte dell’universo si alternano regressi e progressi, contrasti e accordi ? È forse la limitazione che hai fissato per essa allorché dalla sommità dei cieli (Mt 24,31) sino alle profondità della terra, dall’inizio sino alla fine dei secoli, dall’angelo sino all’ultimo verme, dal primo moto sino all’estremo hai disposto una per una nella sua propria sede tutte le varietà dei beni, tutte le tue giuste opere e le hai attuate ciascuna a suo proprio tempo ? Ahimè, quale sublimità la tua nelle cose sublimi e quale profondità nelle profonde (Cf. Sal Ps 112,4) ! Eppure non ti allontani mai da noi : noi stentiamo a tornare.


Agostino: Le confessioni 710