Agostino: Le confessioni 812

"Prendi e leggi"


12. 29. Così parlavo e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte : "Prendi e leggi, prendi e leggi". Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio (Cf. Athan., Vit, Ant, 2, 26-32: PG 26, 841c-844a) che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva : "Va’, vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi" (Mt 19,21). Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a te (Cf. Sal Ps 50,15). Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva : "Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze" (Rm 13,13 s). Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.

12. 30. Chiuso il libro, tenendovi all’interno il dito o forse un altro segno, già rasserenato in volto, rivelai ad Alipio l’accaduto. Ma egli mi rivelò allo stesso modo ciò che a mia insaputa accadeva in lui. Chiese di vedere il testo che avevo letto. Glielo porsi, e portò gli occhi anche oltre il punto ove mi ero arrestato io, ignaro del seguito. Il seguito diceva : "E accogliete chi è debole nella fede" (Rm 14,1). Lo riferì a se stesso, e me lo disse. In ogni caso l’ammonimento rafforzò dentro di lui una decisione e un proposito onesto, pienamente conforme alla sua condotta, che l’aveva portato già da tempo ben lontano da me e più innanzi sulla via del bene. Senza turbamento o esitazione si unì a me. Immediatamente ci rechiamo da mia madre e le riveliamo la decisione presa : ne gioisce ; le raccontiamo lo svolgimento dei fatti : esulta e trionfa. E cominciò a benedirti perché puoi fare più di quanto chiediamo e comprendiamo (Ep 3,20). Vedeva che le avevi concesso a mio riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto con tutti i suoi gemiti e le sue lacrime pietose. Infatti mi rivolgesti a te (Cf. Sal Ps 50,15) così appieno, che non cercavo più ne moglie né avanzamenti in questo secolo, stando ritto ormai su quel regolo della fede, ove mi avevi mostrato a lei tanti anni prima nel corso di una rivelazione ; e mutasti il suo duolo in gaudio (Ps 29,12) molto più abbondante dei suoi desideri, molto più prezioso e puro di quello atteso dai nipoti della mia carne.

Libro nono




DA MILANO A OSTIA

A Cassiciaco, dopo la conversione


Ringraziamento a Dio salvatore

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1. 1. O Signore, io sono servo tuo, io sono servo tuo e sono figlio dell’ancella tua. Poiché hai spezzato i miei lacci, ti offrirò in sacrificio di lode una vittima (
Ps 115,16 s). Ti lodi il mio cuore, la mia lingua (Cf. Sal Ps 15,9 Ps 44,2) ; tutte le mie ossa dicano : "Signore, chi simile a te ?" (Ps 34,10). Così dicano, e tu rispondimi, di’ all’anima mia : "La salvezza tua io sono" (Ps 34,3). Io chi ero mai, com’ero ? Quale malizia non ebbero i miei atti, o, se non gli atti, i miei detti, o, se non i detti, la mia volontà ? Ma tu, Signore, sei buono e misericordioso (Cf. Sal Ps 102,8 Ex 34,6) ; con la tua mano esplorando la profondità della mia morte, hai ripulito dal fondo l’abisso di corruzione del mio cuore. Ciò avvenne quando non volli più ciò che volevo io, ma volli ciò che volevi tu (Cf. Mt Mt 26,39 Mc 14,36). Dov’era il mio libero arbitrio durante una serie così lunga di anni ? da quale profonda e cupa segreta fu estratto all’istante, affinché io sottoponessi il collo al tuo giogo lieve e le spalle al tuo fardello leggero (Cf. Mt 11,30), o Cristo Gesù, mio soccorritore e mio redentore (Ps 18,15) ? Come a un tratto divenne dolce per me la privazione delle dolcezze frivole ! Prima temevo di rimanerne privo, ora godevo di privarmene. Tu, vera, suprema dolcezza, le espellevi da me, e una volta espulse entravi al loro posto, più soave di ogni voluttà, ma non per la carne e il sangue (Ga 1,16 Cf. Mt 16,17 1Co 15,50) ; più chiaro di ogni luce (Cf. A, Otto, o.c., s.v, lux, p, 203), ma più riposto di ogni segreto ; più elevato di ogni onore, ma non per chi cerca in sé la propria elevazione. Il mio animo era libero ormai dagli assilli mordaci (Cf. Hor., Carm, 1, 18, 4) dell’ambizione, del denaro, della sozzura e del prurito rognoso delle passioni, e parlavo, parlavo con te, mia gloria e ricchezza e salute, Signore Dio mio.

Attesa delle vacanze

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2. 2. Decisi davanti ai tuoi occhi (
Ps 18,15) di non troncare clamorosamente, ma di ritirare pianamente l’attività della mia lingua dal mercato delle ciance. Non volevo che mai più i fanciulli cercassero, anziché la tua legge (Ps 118,70) e la tua pace, i fallaci furori (Cf. Sal Ps 39,5) e gli scontri forensi comprando dalla mia bocca le armi alla loro ira. Per una fortunata coincidenza mancavano ormai pochissimi giorni alle vacanze vendemmiali. Perciò decisi di pazientare quel poco. Mi sarei poi congedato come sempre, ma, da te riscattato, non sarei ritornato più a vendermi. Questo il nostro piano, noto a te, ignoto invece agli uomini, eccetto gli amici intimi. Si era convenuto fra noi di non parlarne in giro ad alcuno, sebbene durante la nostra ascesa dalla valle del pianto (Cf. Sal Ps 83,6 s), mentre cantavamo il cantico dei gradini (Cf. Ps 119,1 al), ci avessi dato frecce acuminate e carboni devastatori per difenderci dalle lingue perfide (Ps 119,3 s), che sotto veste di consigliere contraddicono e sotto veste d’amiche divorano, come si fa col cibo.

2. 3. Ci avevi bersagliato il cuore con le frecce del tuo amore (Cf. Sal Ps 10,3 Pr 7,23), portavamo le tue parole conficcate nelle viscere, e gli esempi dei tuoi servi, che da oscuri avevi reso splendidi, da morti vivi, ammassati nel seno della nostra meditazione erano fuoco che divorava il profondo torpore, per impedirci di piegare verso il basso. Tanto ne eravamo infiammati, che tutti i soffi contrari delle lingue perfide (Ps 119,2 s) avrebbero rinfocolato, non estinto l’incendio. Tuttavia nel tuo nome, che hai reso sacro su tutta la terra (Cf. Ez Ez 36,23), qualcuno avrebbe anche esaltato comunque il nostro voto e il nostro proposito ; quindi ci sembrava che la nostra sarebbe stata piuttosto un’ostentazione, se, invece di attendere l’epoca delle vacanze così prossime, ci fossimo ritirati in anticipo da una professione pubblica, posta sotto gli occhi di tutti. Avrei richiamato sul mio gesto lo sguardo dell’intera città, rifiutandomi di aspettare il giorno vicino delle vacanze, e molte sarebbero state le chiacchiere, quasi avessi cercato di riuscire importante. A che pro, dunque, suscitare congetture e discussioni sui miei sentimenti, oltraggi al nostro bene (Rm 14,16) ?

Una lesione polmonare


2. 4. C’era di più. Durante quella medesima estate i miei polmoni avevano cominciato a cedere sotto il peso dell’eccessivo lavoro scolastico. Respiravo a stento e la lesione si manifestava con dolori al petto, che m’impedivano di parlare in modo abbastanza chiaro e abbastanza a lungo. Dapprima mi aveva contrariato la necessità, in cui presto mi sarei trovato, di deporre il fardello dell’insegnamento, o quanto meno, se era possibile una cura e la guarigione, di lasciarlo per qualche tempo. Ma quando si sviluppò e consolidò in me la piena volontà di attendere liberamente a considerare che tu sei il Signore (Ps 45,11), allora, ti è noto, Dio mio, divenne addirittura una gioia per me l’intervento di una scusa non falsa, capace di mitigare il malumore di chi a vantaggio dei propri figli voleva togliere per sempre a me il vantaggio della libertà. Pervaso da questa gioia, sopportai con pazienza il tempo che ci separava dalle vacanze, una ventina di giorni al più ; una pazienza che tuttavia mi costava fatica, perché si era dileguata la cupidigia che di solito mi aiutava a sostenere il peso gravoso della scuola. Ne sarei anzi rimasto schiacciato, se non fosse succeduta la tolleranza. Forse qualcuno dei tuoi servi, miei fratelli, dirà che in ciò peccai, tollerando di rimanere sia pure una sola ora di più seduto sulla cattedra della menzogna (Ps 1,1), quando già il cuore traboccava del desiderio di servirti. Io non discuto, ma tu, Signore misericordiosissimo, non mi hai perdonato e rimesso nell’acqua santa anche questo peccato insieme agli altri miei funesti orrori ?

Inquietudine di Verecondo

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3. 5. La nostra fortuna consumava d’inquietudine Verecondo. Egli vedeva come, a causa dei vincoli tenacissimi che lo trattenevano, sarebbe rimasto escluso dalla nostra società. Non ancora cristiano, aveva una moglie credente, ma proprio costei era una catena al piede, che più di ogni altra lo ritardava fuori dal cammino che avevamo intrapreso. Poi diceva di voler rinunziare a farsi cristiano, se non poteva esserlo nel modo appunto che gli era precluso. Però si offrì molto generosamente di ospitarci per tutto il tempo che saremmo rimasti colà. Lo ricompenserai, Signore, con usura alla resurrezione dei giusti (
Lc 14,14), come già lo ricompensasti concedendogli il loro stesso capitale (Cf. Sal Ps 124,3). Noi, trasferiti ormai a Roma, eravamo assenti quando, assalito nel corpo da una malattia, si fece cristiano e fedele, quindi migrò da questa vita. Fu da parte tua un atto di misericordia non soltanto nei suoi riguardi, ma anche nei nostri, poiché sarebbe stato un tormento intollerabile ripensare all’insigne generosità dell’amico verso di noi senza poterlo annoverare nel tuo gregge. Grazie a te, Dio (Lc 18,11) nostro ! Noi siamo tuoi, lo attestano le tue esortazioni e poi le tue consolazioni, perché, fedele alle promesse, tu rendi a Verecondo, in cambio della sua campagna di Cassiciaco, ove riposammo in te dalla bufera del secolo, l’amenità del tuo giardino dall’eterna primavera. Sì, gli hai rimesso i peccati sulla terra (Cf. Mt Mt 9,5 Mc 2, 5, Mc 9 Lc 5,23), ponendolo sul monte pingue di cacio, il tuo monte, monte ubertoso (Ps 67,16).

Conversione di Nebridio


3. 6. Egli era dunque angosciato in quei giorni ; Nebridio invece condivideva la nostra esultanza. Era caduto anch’egli, non ancora cristiano, nella fossa (Cf. Sal Ps 7,16) di quel funestissimo errore, che gli faceva credere vuota apparenza la carne vera del tuo Figlio (Cf. Gv Jn 14,6) ; tuttavia già ne emergeva e si trovava a questo punto, che, sebbene non ancora iniziato a nessuno dei sacri misteri della tua Chiesa, ricercava però la verità con grandissimo ardore. Non molto tempo dopo la nostra conversione e rigenerazione mediante il tuo battesimo divenne anch’egli fedele cattolico, e mentre ti serviva in Africa tra i suoi familiari, che aveva tutti convertito alla fede cristiana, in una castità e continenza perfette, lo liberasti dalla carne. Ora vive nel grembo di Abramo (Cf. Lc Lc 16,22). Là, qualunque sia il significato di questo "grembo", il mio Nebridio vive, il dolce amico mio, ma tuo, Signore, figlio adottivo e già liberto. Là vive : e che altro luogo sarebbe adatto a quell’anima ? Vive nel luogo di cui spesso chiedeva a me, omuncolo inesperto. Non avvicina ora più l’orecchio alla mia bocca, ma la sua bocca spirituale alla tua fonte, ove attinge la sapienza quanto può e vuole, infinitamente beato. Non credo però che tanto se ne inebri, da scordarsi di me, poiché tu, Signore, da cui attinge, di noi ti sovvieni (Cf. Sal Ps 135,23). Questa era dunque la nostra condizione : da un lato consolavamo Verecondo, rattristato, senza danno per l’amicizia, di quella nostra conversione, esortandolo all’osservanza fedele dei doveri del suo stato, ossia della vita coniugale ; dall’altro aspettavamo Nebridio, quando ci avrebbe seguito. Vicino com’era, poteva farlo ed era già lì lì per farlo, quand’ecco finalmente trascorsi quei giorni, che mi rendeva così lunghi e numerosi l’amore della libertà quieta, in cui avrei cantato da ogni mia fibra : "ll mio cuore ti disse : "Ho cercato il tuo volto ; il tuo volto, Signore, ricercherò"" (Ps 26,8).

Attività letteraria a Cassiciaco

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4. 7. E venne il giorno della liberazione anche materiale dalla professione di retore, da cui ero spiritualmente già libero. Così fu : sottraesti la mia lingua da un’attività, cui avevi già sottratto il mio cuore. Partito per la campagna con tutti i miei familiari, ti benedicevo gioioso. L’attività letteraria da me esplicata laggiù interamente al tuo servizio, benché sbuffante ancora, come nelle pause della lotta, di alterigia scolastica, è testimoniata nei libri ricavati dalle discussioni che ebbi con i presenti, e con me solo davanti a te ; mentre quelle che ebbi con Nebridio assente sono testimoniate nel mio epistolario. E quando mi basterà il tempo per mettere in scritto tutti i tuoi grandi benefici a noi accordati in quel periodo, tanto più che ho fretta di passare ad altri, ancora maggiori ? La mia memoria mi richiama, pregusto la dolcezza di confessarti, Signore, i pungoli interiori, con cui mi domasti ; il modo che usasti per spianarmi, abbassando i monti e i colli dei miei pensieri, per raddrizzare le mie vie tortuose, per addolcire le mie asperità (Cf. Is
Is 40,4 Lc 3,4 s) ; e quello con cui piegasti anche lui, Alipio, al nome del tuo unigenito, il signore e salvatore nostro Gesù Cristo (2 Pt 2P 3,18), fino ad allora indegno ai suoi occhi di figurare nei nostri scritti. Preferiva che olezzassero dei cedri scolastici, ormai stritolati dal Signore (Cf. Sal Ps 28,5), anziché delle erbe ecclesiastiche, medicamentose contro i serpenti.

Lettura dei salmi


4. 8. Quali grida, Dio mio, non lanciai verso di te leggendo i salmi di Davide, questi canti di fede, gemiti di pietà contrastanti con ogni sentimento d’orgoglio ! Novizio ancora al tuo genuino amore, catecumeno ozioso in villa col catecumeno Alipio e la madre stretta al nostro fianco, muliebre nell’aspetto, virile nella fede, vegliarda nella pacatezza, materna nell’amore, cristiana nella pietà, quali grida non lanciavo verso di te leggendo quei salmi, quale fuoco d’amore per te non ne attingevo ! Ardevo del desiderio di recitarli, se potessi, al mondo intero per abbattere l’orgoglio del genere umano. Ma lo sono, cantati nel mondo intero, e nessuno si sottrae al tuo calore (Ps 18,7). Come era violento e aspro di dolore il mio sdegno contro i manichei, che tosto si mutava in pietà per la loro ignoranza dei nostri misteri, dei nostri rimedi, per il loro pazzo furore contro un antidoto che avrebbe potuto salvarli ! Avrei voluto averli vicini da qualche parte in quel momento, e che a mia insaputa osservassero il mio volto, udissero le mie grida mentre nella quiete di quelle giornate leggevo il salmo quarto, e percepissero l’effetto che producevano in me le sue parole : Ti invocai e mi esaudisti, Dio della mia giustizia ; nell’angustia mi apristi un varco. Abbi pietà di me, Signore, esaudisci la mia preghiera (Ps 4,2) ; ma che udissero a mia insaputa, altrimenti avrebbero potuto intendere come dette per loro le parole che intercalavo a quelle del salmo. Invece davvero non le avrei dette, o le avrei dette diversamente, se avessi sentite su me le loro orecchie e i loro occhi ; o, se dette, non le avrebbero intese quali le dicevo a me e fra me innanzi a te, espressione dell’intimo sentimento della mia anima.

Riflessioni sul salmo quarto


4. 9. Rabbrividii di paura e insieme ribollii di speranza e giubilo nella tua misericordia (Ps 30,7 s), Padre ; e tutti questi sentimenti si esprimevano attraverso i miei occhi e la mia voce alle parole che il tuo spirito buono (Ps 142,10) dice rivolto a noi : "Figli degli uomini, fino a quando avrete i cuori gravati ? Sì, perché amate la vanità e cercate la menzogna ?" (Ps 4,3). Io avevo amato appunto la vanità e cercato la menzogna, mentre tu, Signore, avevi già esaltato il tuo Santo (Ps 4,4), risuscitandolo dai morti e collocandolo alla tua destra (Ep 1,20), affinché inviasse dal cielo chi aveva promesso (Cf. Lc Lc 24,49), il Paracleto, spirito di verità (Jn 14,16 s). L’aveva già inviato (Cf. Ac 2,1-4), ma io lo ignoravo. L’aveva già inviato, per essere già stato esaltato risorgendo dai morti (Rm 6,9 Cf. Mt 17,9 Lc 24,46 Rm 7,4 1Co 15,20) e ascendendo al cielo (Cf. Gv Jn 3,13 Ep 4,10). Prima lo Spirito non era stato ancora dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato (Jn 7,39). Grida il profeta : "Fino a quando avrete i cuori gravati ? Sì, perché amate la vanità e cercate la menzogna ? Sappiate che il Signore ha esaltato il suo Santo" (Ps 4,3 s) ; grida : "Fino a quando", grida : "Sappiate", e io per tanto tempo, ignaro, amai la vanità e recai la menzogna. Perciò un brivido mi corse tutto all’udirlo (Cf. Ab Ab 3,16). Ricordavo di essere stato simile a coloro, cui sono rivolte queste parole ; gli inganni che avevo preso per verità, erano vanità e menzogna. Perciò feci risuonare a lungo, profonde e forti, le mie grida nel dolore del ricordo. Oh, se le avessero udite coloro che amano tuttora la vanità e cercano la menzogna ! Forse ne sarebbero rimasti turbati e l’avrebbero rigettata ; tu li avresti esauditi, quando avessero levato il loro grido verso di te (Cf. Sal4, 4; 30, 23), poiché morì per noi della vera morte della carne Chi intercede per noi (Rm 8,34) presso di te.

4. 10. Al leggere : "Adiratevi e non peccate" (Ps 4,5), quanto mi turbavo, Dio mio ! Avevo ormai imparato ad adirarmi contro me stesso dei miei trascorsi per non peccare in avvenire, e con giusta ira, perché in me non peccava per mezzo mio una natura estranea, della razza delle tenebre, secondo le asserzioni di coloro che, non adirandosi contro se stessi, accumulano un patrimonio d’ira per il giorno dell’ira e della proclamazione del tuo giusto giudizio (Rm 2,5). Il mio bene non era più fuori di me, né lo cercavo più in questo sole con gli occhi della carne. Quanti pretendono di avere gioia fuori di sé, facilmente si disperdono, riversandosi sulle cose visibili e temporali (Cf. 2Co 4,18) e lambendo la loro apparenza con immaginazione famelica. Oh se, spossati dal digiuno, chiedessero : "Chi ci mostrerà il bene ?" (Ps 4,6). Rispondiamo loro, e ci ascoltino : "In noi è impresso il lume del tuo volto, Signore" (Ps 4,7). Non siamo noi il lume che illumina ogni uomo (Jn 1,9), ma siamo illuminati da te per renderci, da tenebre che fummo un tempo, luce in te (Ep 5,8). Oh se vedessero nel loro interno l’eterno, che io, per averlo gustato (Cf. Sal Ps 33,9 1 Pt 1P 2,3), fremevo di non poter mostrare a loro ; se mi portassero il cuore, che hanno negli occhi, quindi fuori di loro, lontano da te, e chiedessero : "Chi ci mostrerà il bene ?". Là infatti, ove avevo concepito l’ira contro me stesso, dentro, nella mia stanza segreta, ove ero stato punto dalla contrizione (Cf. Ps 4,5), ove avevo immolato in sacrificio la parte vecchia di me stesso (Cf. Ep 4,22 Col 3,9) e fidando in te avevo iniziato la meditazione del mio rinnovamento, là mi avevi fatto sentire dapprima la tua dolcezza e avevi messo la gioia nel mio cuore (Ps 4,7). Gridavo, leggendo esteriormente queste parole e comprendendole interiormente, né volevo moltiplicarmi nei beni terreni, divorando il tempo e divorato dal tempo, mentre avevo nell’eterna semplicità un diverso frumento e vino e olio (Ps 4,8).

4. 11. Il verso seguente strappava un alto grido dal mio cuore : Oh, nella pace, oh, nell’Essere stesso... : oh, quali parole :... mi addormenterò e prenderò sonno (Ps 4,9) ! Chi potrà mai resisterci, quando si attuerà la parola che fu scritta : La morte è stata assorbita nella vittoria (1Co 15,54) ? Tu sei veramente quell’Essere stesso, che non muti (Cf. Ml Ml 3,6) ; in te è il riposo oblioso di tutti gli affanni (Cf. Gn Gn 41,51), poiché nessun altro è con te né si devono cogliere le altre molteplici cose che non sono ciò che tu sei ; ma tu, Signore, mi hai stabilito, unificandomi nella speranza (Ps 4,10). Leggevo e ardevo e non trovavo modo di agire con quei morti sordi, al cui novero ero appartenuto anch’io, pestifero, aspro e cieco nel latrare contro le tue Scritture dolci del dolce miele celeste, e del lume tuo luminose (Cf. Sal Ps 118, 103, 105). Mi consumavo, pensando ai nemici di tanto scritto (Ps 138,21).

Improvvisa guarigione d’un male ai denti


4. 12. Quando ricorderò tutti gli avvenimenti di quei giorni di vacanza ? Non li ho però dimenticati, né tacerò la durezza del tuo flagello e la mirabile prestezza della tua misericordia. Mi torturavi allora con un male ai denti. Quando si aggravò tanto che non riuscivo a parlare, mi sorse in cuore (Jr 32,35 Cf. Es Ex 2,11 Jr 51,50 Lc 24,38 1Co 2,9) il pensiero d’invitare tutti i miei là presenti a scongiurarti per me, Dio d’ogni salvezza (Cf. Sal Ps 17,47 Ps 37,23). Lo scrissi sopra una tavoletta di cera, che consegnai loro perché leggessero, e appena piegammo le ginocchia in una supplica ardente, il dolore scomparve. Ma quale dolore ? o come scomparve ? Ne fui spaventato, lo confesso, Signore mio e Dio mio (Jn 20,28), perché non mi era mai capitato nulla di simile da quando ero venuto al mondo. S’insinuarono così nel profondo del mio essere i tuoi ammonimenti, e giulivo nella fede lodai il tuo nome (Ps 144,2 Si 51,15). Quella fede tuttavia non mi permetteva di essere tranquillo riguardo ai miei peccati anteriori, perché non mi erano stati ancora rimessi mediante il tuo battesimo.

Dimissioni dall’insegnamento

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5. 13. Al termine delle vacanze vendemmiali avvertii i milanesi di provvedersi un altro spacciatore di parole per i loro studenti, poiché io avevo scelto di passare al tuo servizio e non ero più in grado di esercitare quella professione per la difficoltà di respirare e il male di petto. Con una lettera informai il tuo vescovo, il santo Ambrogio, dei miei errori passati e della mia intenzione presente, chiedendogli consiglio sui tuoi libri che più mi conveniva di leggere per meglio prepararmi e dispormi a ricevere tanta grazia. Mi prescrisse la lettura del profeta Isaia, credo perché fra tutti è quello che preannunzia più chiaramente il Vangelo e la chiamata dei gentili. Trovandolo però incomprensibile all’inizio e supponendo che fosse tutto così, ne rinviai la lettura, per riprenderla quando fossi addestrato meglio nel linguaggio del Signore.

A Milano per il battesimo


Ritorno a Milano e battesimo con Alipio e Adeodato

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6. 14. Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna e facemmo ritorno a Milano. Alipio volle rinascere anch’egli in te con me. Era già rivestito dell’umiltà conveniente ai tuoi sacramenti e dominava così saldamente il proprio corpo, da calpestare il suolo italico ghiacciato a piedi nudi, il che richiede un coraggio non comune. Prendemmo con noi anche il giovane Adeodato, nato dalla mia carne e frutto del mio peccato. Tu bene l’avevi fatto. Era appena quindicenne, e superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi. Ti riconosco i tuoi doni, Signore Dio mio, creatore di tutto (Cf. 2 Mac
2M 1,24), abbastanza potente per dare forma alle nostre deformità ; poiché di mio in quel ragazzo non avevo che il peccato, e se veniva allevato da noi nella tua disciplina, fu per tua ispirazione, non d’altri. Ti riconosco i tuoi doni. In uno dei miei libri, intitolato Il maestro, mio figlio appunto conversa con me. Tu sai (Tb 3,16 Tb 8,9 Ps 68,6 Jn 21,15 s) che tutti i pensieri introdotti in quel libro dalla persona del mio interlocutore sono suoi, di quando aveva sedici anni. Di molte altre sue doti, ancora più straordinarie, ho avuto la prova. La sua intelligenza m’ispirava un sacro terrore ; ma chi, al di fuori di te, poteva essere l’artefice di tali meraviglie ? Presto hai sottratto la sua vita alla terra, e il mio ricordo di lui è tanto più franco, in quanto non ho più nulla da temere per la sua fanciullezza, per l’adolescenza e l’intera sua vita. Ce lo associammo, dunque, come nostro coetaneo nella tua grazia, da educare nella tua disciplina. E fummo battezzati, e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata. In quei giorni non mi saziavo di considerare con mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano. Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici (Ep 5,19), che risuonavano dolcemente nella tua chiesa ! Una commozione violenta : quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene.

Canto degli inni in chiesa

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7. 15. Non da molto tempo la Chiesa milanese aveva introdotto questa pratica consolante e incoraggiante, di cantare affratellati, all’unisono delle voci e dei cuori, con grande fervore. Era passato un anno esatto, o non molto più, da quando Giustina, madre del giovane imperatore Valentiniano, aveva cominciato a perseguitare il tuo campione Ambrogio, istigata dall’eresia in cui l’avevano sedotta gli ariani. Vigilava la folla dei fedeli ogni notte in chiesa, pronta a morire con il suo vescovo, il tuo servo. Là mia madre, ancella tua, che per il suo zelo era in prima fila nelle veglie, viveva di preghiere. Noi stessi, sebbene freddi ancora del calore del tuo spirito, ci sentivamo tuttavia eccitati dall’ansia attonita della città. Fu allora, che s’incominciò a cantare inni e salmi secondo l’uso delle regioni orientali, per evitare che il popolo deperisse nella noia e nella mestizia, innovazione che fu conservata da allora a tutt’oggi e imitata da molti, anzi ormai da quasi tutti i greggi dei tuoi fedeli nelle altre parti dell’orbe.

Rinvenimento e traslazione dei corpi dei martiri Protasio e Gervasio


7. 16. In quei giorni una tua rivelazione al tuo vescovo citato poc’anzi gli aveva indicato il luogo dove giacevano sepolti i corpi dei martiri Protasio e Gervasio. Per tanti anni li avevi serbati intatti nel tesoro del tuo segreto, per estrarli al momento opportuno e domare la rabbia di una donna, regale però. Portati alla luce ed esumati, durante il solenne trasporto alla basilica ambrosiana non solo si produssero guarigioni, riconosciute dagli stessi demòni, di persone tormentate dagli spiriti immondi (Cf. Lc 6,18) ; ma un cittadino notissimo in città, cieco da molti anni, a quell’agitazione festosa del popolo, chiesta e saputa la causa, balzò in piedi e si fece guidare dalla sua guida sul posto. Là giunto, ottenne di entrare e toccare col fazzoletto la bara ove giacevano, morti di morte preziosa ai tuoi occhi, i tuoi santi (Ps 115,15). Appena compiuto quel gesto e accostato il panno agli occhi, questi si aprirono istantaneamente. La notizia si divulgò, salirono a te lodi fervide, fulgide, e l’animo della tua nemica, se non si volse alla salvezza della fede, soffocò per lo meno la sua folle brama di persecuzione. Grazie a te, Dio (Lc 18,11) mio ! Da dove e dove guidasti il mio ricordo, affinché ti lodassi anche per questi avvenimenti, che, sebbene notevoli, avevo smemoratamente trascurato ? Eppure allora, benché tanto alitasse il profumo dei tuoi unguenti, non correvamo dietro a te (Ct 1,3). Di qui il moltiplicarsi delle mie lacrime durante il canto dei tuoi inni. Un tempo avevo sospirato verso di te ; finalmente respiravo la poca aria che circola in una capanna d’erba.

A Ostia, durante il ritorno in Africa


Educazione di Monica

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8. 17. Tu, che fai abitare in una casa i cuori unanimi (
Ps 67,7), associasti alla nostra comitiva anche Evodio, un giovane nativo del nostro stesso municipio. Agente nell’amministrazione imperiale, si era rivolto a te (Cf. Sal Ps 50,15) prima di noi, aveva ricevuto il battesimo e quindi abbandonato il servizio del secolo per porsi al tuo. Stavamo sempre insieme e avevamo fatto il santo proposito di abitare insieme anche per l’avvenire. In cerca anzi di un luogo ove meglio operare servendoti, prendemmo congiuntamente la via del ritorno verso l’Africa. Senonché presso Ostia Tiberina mia madre morì. Tralascio molti avvenimenti per la molta fretta che mi pervade. Accogli la mia confessione e i miei ringraziamenti, Dio mio, per innumerevoli fatti, che pure taccio. Ma non tralascerò i pensieri che partorisce la mia anima al ricordo di quella tua serva, che mi partorì con la carne a questa vita temporale e col cuore alla vita eterna. Non discorrerò per questo di doni suoi, ma di doni tuoi a lei, che non si era fatta da sé sola, né da sé sola educata. Tu la creasti senza che neppure il padre e la madre sapessero quale figlia avrebbero avuto ; e l’ammaestrò nel tuo timore (Ps 5,8 Ps 118,38) la verga del tuo Cristo (Ps 22,4), ossia la disciplina del tuo Unigenito, in una casa di credenti, membro sano della tua Chiesa. Più che le premure della madre per la sua educazione, ella soleva esaltare quelle di una fantesca decrepita, che aveva portato suo padre in fasce sul dorso, ove le fanciulle appena grandicelle usano portare i piccini. Questo precedente, insieme all’età avanzata e alla condotta irreprensibile, le avevano guadagnato non poco rispetto da parte dei padroni in quella casa cristiana. Quindi le fu affidata l’educazione delle figliuole dei padroni, cui attendeva diligentemente, energica nel punire all’occorrenza con ben ispirata severità e piena di buon senso nell’ammaestrare. Ad esempio, fuori delle ore in cui pasteggiavano a tavola, molto parcamente, con i genitori, non le lasciava bere nemmeno l’acqua, anche se fossero riarse dalla sete. Mirava così a prevenire una brutta abitudine e aggiungeva con saggia parola (Tt 2,8 Cf. 2 Tm 2Tm 1,13) : "Ora bevete acqua, perché non disponete di vino ; ma una volta sposate e divenute padrone di dispense e cantine, l’acqua vi parrà insipida, ma il vezzo di bere s’imporrà". Con questo genere di precetti e con autorità di comando teneva a freno l’ingordigia di un’età ancora tenera e uniformava la stessa sete delle fanciulle alla regola della modestia, fino a rendere per loro nemmeno gradevole ciò che non era onorevole.

Monica corretta dal vizio di bere


8. 18. Tuttavia si era insinuato in mia madre, secondo che a me, suo figlio, la tua serva raccontava, si era insinuato il gusto del vino. Quando i genitori, che la credevano una fanciulla sobria, la mandavano ad attingere il vino secondo l’usanza, essa, affondato il boccale dall’apertura superiore della tina, prima di versare il liquido puro nel fiaschetto, ne sorbiva un poco a fior di labbra. Di più non riusciva senza provarne disgusto, poiché non vi era spinta minimamente dalla golosità del vino, bensì da una smania indefinibile, propria dell’età esuberante, che esplode in qualche gherminella e che solo la mano pesante degli anziani reprime di solito negli animi dei fanciulli. Così, aggiungendo ogni giorno un piccolo sorso al primo, come è vero che a trascurare le piccole cose si finisce col cadere (Si 19,1), sprofondò in quel vezzo al punto che ormai tracannava avidamente coppette quasi colme di vino puro. Dov’era finita la sagace vecchierella, con i suoi energici divieti ? Ma quale rimedio poteva darsi contro una malattia occulta, se non la vigile presenza su di noi della tua medicina, Signore ? Assenti il padre, la madre, le nutrici, tu eri presente, il Creatore, che ci chiami, che pure attraverso le gerarchie umane operi qualche bene per la salute delle anime. In quel caso come operasti, Dio mio ? donde traesti il rimedio, donde la salute ? Non ricavasti da un’altra anima un duro e acuminato insulto, che come ferro guaritore uscito dalle tue riserve occulte troncò la cancrena con un colpo solo ? L’ancella che accompagnava abitualmente mia madre alla tina, durante il litigio, come avviene, a tu per tu con la piccola padrona, le rinfacciò il suo vizio, chiamandola con l’epiteto davvero offensivo di beona. Fu per la fanciulla una frustata. Riconobbe l’orrore della propria consuetudine, la riprovò sull’istante e se ne spogliò. Come gli amici corrompono con le adulazioni, così i nemici per lo più correggono con le offese, e tu non li ripaghi dell’opera che compi per mezzo loro, ma dell’intenzione che ebbero per conto loro. La fantesca nella sua ira desiderò esasperare la piccola padrona, non guarirla, e agì mentre erano sole perché si trovavano sole dove e quando scoppiò il litigio, oppure perché non voleva rischiare di scapitarne anch’essa per aver tardato tanto a rivelare il fatto. Ma tu, Signore, reggitore di ogni cosa in cielo e in terra, che volgi ai tuoi fini le acque profonde del torrente, il torbido ma ordinato flusso dei secoli, mediante l’insania stessa di un’anima ne risanasti un’altra. La considerazione di questo episodio induca chiunque a non attribuire al proprio potere il ravvedimento provocato dalle sue parole in un estraneo che vuole far ravvedere.


Agostino: Le confessioni 812