Agostino: Le confessioni 909

Monica sposa paziente

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9. 19. Mia madre fu dunque allevata nella modestia e nella sobrietà, sottomessa piuttosto da te ai genitori, che dai genitori a te. Giunta in età matura per le nozze (Cf. Verg., Aen, 7, 53), fu consegnata a un marito, che servì come un padrone (Cf. Ef
Ep 5,22 Ep 6,7 1 Pt 1P 3,6). Si adoperò per guadagnarlo a te (Cf. 1 Pt 1P 3,1), parlandogli di te attraverso le virtù di cui la facevi bella e con cui le meritavi il suo affetto rispettoso e ammirato. Tollerò gli oltraggi al letto coniugale in modo tale, da non avere il minimo litigio per essi col marito. Aspettava la tua misericordia (Jud 21), che scendendo su di lui gli desse insieme alla fede la castità. Era del resto un uomo singolarmente affettuoso, ma altrettanto facile all’ira, e mia madre aveva imparato a non resistergli nei momenti di collera, non dico con atti, ma neppure a parole. Coglieva invece il momento adatto, quando lo vedeva ormai rabbonito e calmo, per rendergli conto del proprio comportamento, se per caso si era turbato piuttosto a sproposito. Molte altre signore, pur sposate a uomini più miti del suo, portavano segni di percosse che ne sfiguravano addirittura l’aspetto, e nelle conversazioni tra amiche deploravano il comportamento dei mariti. Essa deplorava invece la loro lingua, ammonendole seriamente con quella che sembrava una facezia : dal momento, diceva, in cui si erano sentite leggere il contratto matrimoniale, avrebbero dovuto considerarlo come la sanzione della propria servitù ; il ricordo di tale condizione rendeva dunque inopportuna ogni alterigia nei confronti di chi era un padrone. Le amiche, non ignare di quanto fosse furioso il marito che sopportava, stupivano del fatto che mai si fosse udito o rilevato alcun indizio di percosse inflitte da Patrizio alla moglie, né di liti, che in casa li avessero divisi anche per un giorno solo. Richiesta da loro in confidenza di una spiegazione, illustrava il suo metodo, che ho riferito sopra ; e chi l’applicava, dopo l’esperienza gliene era grata ; chi non l’applicava, sotto il giogo era tormentata.

Rapporti cordiali fra Monica e la suocera


9. 20. La suocera sulle prime l’avversava per le insinuazioni di ancelle maligne. Ma conquistò anch’essa col rispetto e la perseveranza nella pazienza e nella dolcezza, cosicché la suocera stessa denunziò al figlio le lingue delle fantesche, che mettevano male fra lei e la nuora turbando la pace domestica, e ne chiese il castigo. Il figlio, sia per ubbidienza alla madre, sia per la tutela dell’ordine domestico, sia per la difesa della concordia fra parenti punì con le verghe le colpevoli denunziate quanto piacque alla denunziante ; quest’ultima promise uguale ricompensa a qualunque altra le avesse parlato male della nuora per accaparrarsi il suo favore. Nessuna osò più farlo e le due donne vissero in una dolce amorevolezza degna di essere menzionata.

Sollecitudine di Monica per estinguere le inimicizie


9. 21. A così devota tua serva, nel cui seno mi creasti, Dio mio, misericordia mia (Ps 58,18 Cf. Sal Ps 143,1 s), avevi fatto un altro grande dono. Tra due anime di ogni condizione, che fossero in urto e discordia, ella, se appena poteva, cercava di mettere pace. Delle molte invettive che udiva dall’una contro l’altra, quali di solito vomita l’inimicizia turgida e indigesta, allorché l’odio mal digerito si effonde negli acidi colloqui con un’amica presente sul conto di un’amica assente, non riferiva all’interessata se non quanto poteva servire a riconciliarle. Giudicherei questa una bontà da poco, se una triste esperienza non mi avesse mostrato turbe innumerevoli di persone, che per l’inesplicabile, orrendo contagio di un peccato molto diffuso riferiscono ai nemici adirati le parole dei nemici adirati, non solo, ma aggiungono anche parole che non furono pronunciate. Invece per un uomo davvero umano dovrebbe essere poca cosa, se si astiene dal suscitare e rinfocolare con discorsi maliziosi le inimicizie fra gli altri uomini, senza studiarsi, anche, di estinguerle con discorsi buoni. Mia madre faceva proprio questo, istruita da te, il maestro interiore, nella scuola del cuore.

Monica serva di tutti


9. 22. Finalmente ti guadagnò anche il marito (Cf. 1 Pt 1P 3,1), negli ultimi giorni ormai della sua vita temporale, e dopo la conversione non ebbe a lamentare da parte sua gli oltraggi, che prima della conversione ebbe a tollerare. Era, poi, la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva, trovava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente, avvertendo la tua presenza nel suo cuore dalla testimonianza dei frutti di una condotta santa (Cf. Tb Tb 14,17 2 Pt 2P 3,11). Era stata sposa di un solo uomo, aveva ripagato il suo debito ai genitori, aveva governato santamente la sua casa, aveva la testimonianza delle buone opere, aveva allevato i suoi figli (1 Tm 1Tm 5,9 1Tm 4,10) partorendoli tante volte (Cf. Ga 4,19), quante li vedeva allontanarsi da te. Infine, di tutti noi, Signore, poiché la tua munificenza permette di parlare ai tuoi servi ; che, ricevuta la grazia del tuo battesimo, vivevamo già uniti in te prima del suo sonno, ebbe cura come se di tutti fosse stata la madre e ci servì come se di tutti fosse stata la figlia.

La contemplazione di Ostia

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10. 23. All’avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare. Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi (
Ph 3,13), cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu (Cf. Gv Jn 14,6), quale sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse in cuore d’uomo (1Co 2,9 Cf. Is Is 64,4). Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te (Ps 35,10), per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà così alta.

10. 24. Condotto il discorso a questa conclusione : che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione ; elevandoci con più ardente impeto d’amore verso l’Essere stesso (Ps 4,9), percorremmo su su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole e la luna e le stelle brillano sulla terra. E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l’esaltazione, l’ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch’esse superammo per attingere la plaga dell’abbondanza inesauribile (Cf. Ez Ez 34,14), ove pasci Israele (Ps 79,2) in eterno col pascolo della verità, ove la vita è la Sapienza, per cui si fanno tutte le cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà ; o meglio, l’essere passato e l’essere futuro non sono in lei, ma solo l’essere, in quanto eterna, poiché l’essere passato e l’essere futuro non è l’eterno. E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito (Rm 8,23), per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine. E cos’è simile alla tua Parola, il nostro Signore, stabile in se stesso senza vecchiaia e rinnovatore di ogni cosa (Cf. Sap Sg 7,27) ?

10. 25. Si diceva dunque : "Se per un uomo tacesse il tumulto della carne, tacessero le immagini della terra, dell’acqua e dell’aria, tacessero i cieli, e l’anima stessa si tacesse e superasse non pensandosi, e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che nasce per sparire se per un uomo tacesse completamente, sì, perché, chi le ascolta, tutte le cose dicono : "Non ci siamo fatte da noi, ma ci fece (Cf. Sal Ps 99,3) Chi permane eternamente" (Ps 32,11 Ps 116,2 Is 40,8 Jn 12,34) ; se, ciò detto, ormai ammutolissero, per aver levato l’orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne o voce d’angelo o fragore di nube (Cf. Sal Ps 76,18) o enigma (Cf. 1Co 13,12) di parabola, ma lui direttamente, da noi amato in queste cose, lui direttamente udissimo senza queste cose, come or ora protesi con un pensiero fulmineo cogliemmo l’eterna Sapienza stabile sopra ogni cosa, e tale condizione si prolungasse, e le altre visioni, di qualità grandemente inferiore, scomparissero, e quest’unica nel contemplarla ci rapisse e assorbisse e immergesse in gioie interiori, e dunque la vita eterna somigliasse a quel momento d’intuizione che ci fece sospirare : non sarebbe questo l’"entra nel gaudio del tuo Signore" (Mt 25,21) ? E quando si realizzerà ? Non forse il giorno in cui tutti risorgiamo, ma non tutti saremo mutati (1Co 15,51) ?".

10. 26. Così dicevo, sebbene in modo e parole diverse. Fu comunque, Signore, tu sai (Tb 8,9 Jn 21,15 s), il giorno in cui avvenne questa conversazione, e questo mondo con tutte le sue attrattive si svilì ai nostri occhi nel parlare, che mia madre disse : "Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c’era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco : il vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui ?".

Malattia e morte di Monica

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11. 27. Cosa le risposi, non ricordo bene. Ma intanto, entro cinque giorni o non molto più, si mise a letto febbricitante e nel corso della malattia un giorno cadde in deliquio e perdette la conoscenza per qualche tempo. Noi accorremmo, ma in breve riprese i sensi, ci guardò, mio fratello e me, che le stavamo accanto in piedi, e ci domandò, quasi cercando qualcosa : "Dov’ero ?" ; poi, vedendo il nostro afflitto stupore : "Seppellirete qui, soggiunse, vostra madre". Io rimasi muto, frenando le lacrime ; mio fratello invece pronunziò qualche parola, esprimendo l’augurio che la morte non la cogliesse in terra straniera, ma in patria, che sarebbe stata migliore fortuna. All’udirlo, col volto divenuto ansioso gli lanciò un’occhiata severa per quei suoi pensieri, poi, fissando lo sguardo su di me, esclamò : "Vedi cosa dice", e subito dopo, rivolgendosi a entrambi : "Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego : ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore". Espressa così come poteva a parole la sua volontà, tacque. Il male aggravandosi la faceva soffrire.

11. 28. Io, al pensiero dei doni che spargi, Dio invisibile (
Col 1,15), nei cuori dei tuoi fedeli, e che vi fanno nascere stupende messi, gioivo e a te rendevo grazie (Cf. Lc Lc 18,11), ricordando ciò che sapevo, ossia quanto si era sempre preoccupata e affannata per la sua sepoltura, che aveva provvista e preparata accanto al corpo del marito. La grande concordia in cui erano vissuti le faceva desiderare, tanto l’animo umano stenta a comprendere le realtà divine, anche quest’altra felicità, e che la gente ricordasse come dopo un soggiorno di là dal mare avesse ottenuto che una polvere congiunta coprisse la polvere di entrambi i congiunti. Quando però la piena della tua bontà (Cf. Sal Ps 103,28 2 Ts 2Th 1,11) avesse eliminato dal suo cuore questi pensieri futili, io non sapevo ; ma ero pervaso di gioia e ammirazione che mia madre mi fosse apparsa così. Invero anche durante la nostra conversazione presso la finestra, quando disse : "Ormai cosa faccio qui ?", era apparso che non aveva il desiderio di morire in patria. Più tardi venni anche a sapere che già parlando un giorno in mia assenza, durante la nostra dimora in Ostia, ad alcuni amici miei con fiducia materna sullo spregio della vita terrena e il vantaggio della morte, di fronte al loro stupore per la virtù di una femmina, che l’aveva ricevuta da te, e alla loro domanda, se non l’impauriva l’idea di lasciare il corpo tanto lontano dalla sua città, esclamò : "Nulla è lontano da Dio, e non c’è da temere che alla fine del mondo egli non riconosca il luogo da cui risuscitarmi". Al nono giorno della sua malattia, nel cinquantaseiesimo anno della sua vita, trentatreesimo della mia, quell’anima credente e pia fu liberata dal corpo.

Un trapasso non funesto

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12. 29. Le chiudevo gli occhi, e una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un fiotto di lacrime. Ma contemporaneamente i miei occhi sotto il violento imperio dello spirito ne riassorbivano il fonte sino a disseccarlo. Fu una lotta penosissima. Il giovane Adeodato al momento dell’estremo respiro di lei era scoppiato in singhiozzi, poi, trattenuto da noi tutti, rimase zitto : allo stesso modo anche quanto vi era di puerile in me, che si scioglieva in pianto, veniva represso e zittito dalla voce adulta della mente. Non ci sembrava davvero conveniente celebrare un funerale come quello fra lamenti, lacrime e gemiti. Così si suole piangere in chi muore una sorta di sciagura e quasi di annientamento totale ; ma la morte di mia madre non era una sciagura e non era totale. Ce lo garantivano la prova della sua vita e una fede non finta (1 Tm
1Tm 1,5) e ragioni sicure.

Sforzi di Agostino per reprimere le lacrime


12. 30. Ma cos’era dunque, che mi doleva dentro gravemente, se non la recente ferita, derivata dalla lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune ? Mi confortavo della testimonianza che mi aveva dato proprio durante la sua ultima malattia, quando, inframezzando con una carezza i miei servigi, mi chiamava buono e mi ripeteva con grande effusione d’affetto di non aver mai udito una parola dura o offensiva al suo indirizzo scoccata dalla mia bocca ; eppure, Dio mio, creatore nostro (Cf. Sal Ps 99,3 Ba 4,7), come assomigliare, come paragonare il rispetto che avevo portato io per lei, alla servitù che aveva sopportato lei per me ? Privata della grandissima consolazione che trovava in lei, la mia anima rimaneva ferita e la mia vita, stata tutt’una con la sua, rimaneva come lacerata.

12. 31. Soffocato dunque il pianto del fanciullo, Evodio prese il salterio e intonò un salmo. Gli rispondeva tutta la casa : "La tua misericordia e la tua giustizia ti canterò, Signore" (Ps 100,1). Alla nuova, poi, dell’accaduto, si diedero convegno molti fratelli e pie donne ; e mentre gli incaricati si occupavano dei funerali secondo le usanze, io mi appartavo in un luogo conveniente con gli amici, che ritenevano di non dovermi abbandonare, e mi trattenevo con loro su temi adatti alla circostanza. Il balsamo della verità leniva un tormento che tu conoscevi, essi ignoravano. Mi ascoltavano attentamente e pensavano che non provassi dolore. Invece al tuo orecchio, ove nessuno di loro udiva, mi rimproveravo la debolezza del sentimento e trattenevo il fiotto dell’afflizione, che per qualche tempo si ritraeva davanti ai miei sforzi, ma per essere sospinto di nuovo dalla sua violenza. Non erompeva in lacrime né alterava i tratti del viso, ma sapevo ben io cosa tenevo compresso nel cuore. Il vivo disappunto, poi, che provavo di fronte al grande potere su me di questi avvenimenti umani, inevitabili nell’ordine naturale delle cose e nella condizione che abbiamo sortito, era un nuovo dolore, che mi addolorava per il mio dolore, cosicché mi consumavo d’una duplice tristezza.

Le esequie


12. 32. Alla sepoltura del suo corpo andai e tornai senza piangere. Nemmeno durante le preghiere che spandemmo innanzi a te mentre veniva offerto in suo suffragio il sacrificio del nostro riscatto, col cadavere già deposto vicino alla tomba, prima della sepoltura, come vuole l’usanza del luogo, ebbene, nemmeno durante quelle preghiere piansi. Ma per tutta la giornata sentii una profonda mestizia nel segreto del cuore e ti pregai come potevo, con la mente sconvolta, di guarire il mio dolore. Non mi esaudisti, per imprimere, credo, nella mia memoria almeno con quest’unica prova come sia forte il legame di qualsiasi abitudine anche per un’anima che già si nutre della parola non fallace. Pensai di andare a prendere anche un bagno, avendo sentito dire che i bagni furono così chiamati perché i greci dicono balanion, in quanto espelle l’affanno dall’animo. Ma ecco, confesso anche questo alla tua misericordia, Padre degli orfani (Ps 67,6) : che dopo il bagno stavo come prima del bagno, poiché non avevo trasudato dal cuore l’amarezza dell’afflizione. In seguito dormii. Al risveglio notai che il dolore si era non poco mitigato. Solo, nel mio letto, mi vennero alla mente i versi così veri del tuo Ambrogio : tu sei proprio

Dio creatore di tutto,
reggitore del cielo,
che adorni il dì di luce,
e di sopor gradito
la notte, sì che il sonno
sciolga e ristori gli arti,
ricrei le menti stanche,
disperda ansie e dolori (Ambr., Hymn, 4, 1-8 [ed.W, Bulst]; 2 Mac 2M 1,24).

Lacrime per la madre


12. 33. Poi tornai insensibilmente ai miei pensieri antichi sulla tua ancella, al suo atteggiamento pio nei tuoi riguardi, santamente sollecito e discreto nei nostri. Privato di lei così, all’improvviso, mi prese il desiderio di piangere davanti ai tuoi occhi (Ps 18,15) su di lei e per lei, su di me e per me ; lasciai libere le lacrime che trattenevo di scorrere a loro piacimento, stendendole sotto il mio cuore come un giaciglio, su cui trovò riposo. Perché ad ascoltarle c’eri tu, non un qualsiasi uomo, che avrebbe interpretato sdegnosamente il mio compianto. Ora, Signore, ti confesso tutto ciò su queste pagine. Chi vorrà le leggerà, e le interpreti come vorrà. Se troverà che ho peccato a piangere mia madre per piccola parte di un’ora, la mia madre frattanto morta ai miei occhi, che per tanti anni mi aveva pianto affinché vivessi ai tuoi, non mi derida. Piuttosto, se ha grande carità, pianga anch’egli per i miei peccati davanti a te, Padre di tutti i fratelli del tuo Cristo.

Speranza e fiducia nella misericordia di Dio

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13. 34. Io per mio conto, ora che il cuore è guarito da quella ferita, ove si poteva condannare la presenza di un affetto carnale, spargo davanti a te, Dio nostro, per quella tua serva un ben altro genere di lacrime : sgorgano da uno spirito sconvolto dalla considerazione dei pericoli cui soggiace ogni anima morente in Adamo. Certo, vivificata in Cristo (Cf.
1Co 15,22 Ep 2,5) prima ancora di essere sciolta dalla carne, mia madre visse procurando con la sua fede e i suoi costumi lodi al tuo nome ; tuttavia non ardisco affermare che da quando la rigenerasti col battesimo (Cf. Tt Tt 3,5), nemmeno una parola uscì dalla sua bocca contro il tuo precetto. Dalla Verità, da tuo Figlio (Cf. Gv Jn 14,6), fu proclamato : "Se qualcuno avrà detto a suo fratello : "Sciocco", sarà soggetto al fuoco della geenna" (Mt 5,22) ; sventurata dunque la più lodevole delle vite umane, se la frughi accantonando la misericordia. Ma no, tu non frughi le nostre malefatte con rigore ; perciò noi speriamo con fiducia di ottenere un posto accanto a te. Eppure chi aduna innanzi a te i suoi autentici meriti, che altro ti aduna, se non i tuoi doni ? Oh, se gli uomini si conoscessero quali uomini, e chi si gloria, si gloriasse nel Signore (1Co 1,31 2Co 10,17) !

Supplica a Dio per la madre pia


13. 35. Perciò, mio vanto (Ex 15,2 Ps 117,14 Is 12,2) e mia vita, Dio del mio cuore (Ps 72,26), trascurando per un istante le sue buone opere, di cui a te rendo grazie con gioia (Lc 18,11), ora ti scongiuro per i peccati di mia madre. Esaudiscimi (Jdt 9,17), in nome di Colui che è medico delle nostre ferite, che fu sospeso al legno della croce (Cf. Dt 21,23), e seduto alla tua destra intercede per noi (Rm 8,34) presso di te. So che fu misericordiosa in ogni suo atto, che rimise di cuore i debiti ai propri debitori : dunque rimetti anche tu a lei i propri debiti (Cf. Mt Mt 6,12 Mt 18,35), se mai ne contrasse in tanti anni passati dopo ricevuta l’acqua risanatrice ; rimettili, Signore, rimettili, t’imploro (Nb 14,19), non entrare in giudizio contro di lei (Ps 142,2). La misericordia trionfi sulla giustizia (Jc 2,13). Le tue parole sono veritiere, e tu hai promesso misericordia ai misericordiosi (Cf. Mt Mt 5,7). Furono tali in grazia tua, e tu avrai misericordia di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso (Cf. Rm Rm 9,15).

13. 36. Credo che tu abbia già fatto quanto ti chiedo. Pure, gradisci, Signore, la volontaria offerta della mia bocca (Ps 118,108). All’approssimarsi del giorno della sua liberazione (Cf. 2 Tm 2Tm 4,6), mia madre non si preoccupò che il suo corpo venisse composto in vesti suntuose o imbalsamato con aromi, non cercò un monumento eletto, non si curò di avere sepoltura in patria. Non furono queste le disposizioni che ci lasciò. Ci chiese soltanto di far menzione di lei davanti al tuo altare, cui aveva servito infallibilmente ogni giorno, conscia che di là si dispensa la vittima santa, grazie alla quale fu distrutto il documento che era contro di noi, e si trionfò sul nemico (Col 2,14 s) che, per quanto conteggi i nostri delitti e cerchi accuse da opporci, nulla trova in Colui (Cf. Gv Jn 14,30 Lc 23,4 Jn 18,38 Jn 19,4), nel quale siamo vittoriosi. A lui chi rifonderà il sangue innocente ? chi gli ripagherà il prezzo con cui ci acquistò (Cf. 1Co 6,20 1Co 7,23), per toglierci a lui ? Al mistero di questo prezzo del nostro riscatto la tua ancella legò la propria anima col vincolo della fede. Nessuno la strappi alla tua protezione, non si frapponga tra voi né con la forza né con l’astuzia il leone e dragone (Cf. Sal Ps 90,13). Ella non risponderà : "Nulla devo", per timore di essere confutata e assegnata a un inquisitore scaltro. Risponderà però che i suoi debiti le furono rimessi da Colui, cui nessuno potrà restituire quanto restituì per noi senza nulla dovere.

Richiesta di suffragi per i genitori


13. 37. Sia dunque in pace col suo uomo, prima del quale e dopo il quale non fu sposa d’altri (Cf. 1 Tm 1Tm 5,9) ; che servì offrendoti il frutto della sua pazienza (Lc 8,15) per guadagnare anche lui a te (Cf. 1 Pt 1P 3,1). Ispira, Signore mio e Dio mio (Jn 20,28), ispira i servi tuoi, i fratelli miei, i figli tuoi, i padroni miei, che servo col cuore e la voce e gli scritti, affinché quanti leggono queste parole si ricordino davanti al tuo altare di Monica, tua serva, e di Patrizio, già suo marito, mediante la cui carne mi introducesti in questa vita, non so come. Si ricordino con sentimento pietoso di coloro che in questa luce passeggera furono miei genitori, e miei fratelli sotto di te, nostro Padre, dentro la Chiesa cattolica, nostra madre, e miei concittadini nella Gerusalemme eterna, cui sospira il tuo popolo durante il suo pellegrinaggio dalla partenza al ritorno. Così l’estrema invocazione che mi rivolse mia madre sarà soddisfatta, con le orazioni di molti, più abbondantemente dalle mie confessioni che dalle mie orazioni.






Libro decimo

DOPO LA RICERCA E L'INCONTRO CON DIO

Nuove confessioni e loro scopo

Dio unica speranza

1001 1. 1. Ti comprenderò, o tu che mi comprendi ; ti comprenderò come sono anche compreso (1 Cor 13, 12) da te. Virtù dell’anima mia, entra in essa e adeguala a te, per tenerla e possederla senza macchia né ruga (Ef 5, 27). Questa è la mia speranza, per questo parlo, da questa speranza ho gioia (Cf. Rm 12, 12) ogni qual volta la mia gioia è sana. Gli altri beni di questa vita meritano tanto meno le nostre lacrime, quanto più ne versiamo per essi, e tanto più ne meritano, quanto meno ne versiamo. Ecco, tu amasti la verità (Sal 50, 8), poiché chi l’attua viene alla luce (Gv 3, 21). Voglio dunque attuarla dentro al mio cuore : davanti a te nella mia confessione, e nel mio scritto davanti a molti testimoni.

La confessione a Dio

1002 2. 2. A te, Signore, se ai tuoi occhi è svelato (Eb 4, 13) l’abisso della conoscenza umana, potrebbe essere occultato qualcosa in me, quand’anche evitassi di confessartelo (Cf. Sir 42, 18. 20) ? Nasconderei te a me, anziché me a te. Ora però i miei gemiti attestano il disgusto che provo di me stesso, e perciò tu splendi e piaci e sei oggetto d’amore e di desiderio, cosicché arrossisco di me e mi respingo per abbracciarti, e non voglio piacere né a te né a me, se non per quanto ho di te. Dunque, Signore, io ti sono noto con tutte le mie qualità. A quale scopo tuttavia mi confessi a te, già l’ho detto (Cf. 2, 3, 5, 7, 15; 4, 1, 1; 5, 1, 1; 9, 12, 33). È una confessione fatta non con parole e grida del corpo, ma con parole dell’anima e grida della mente, che il tuo orecchio conosce. Nella cattiveria è confessione il disgusto che provo di me stesso ; nella bontà è confessione il negarmene il merito, poiché tu, Signore, benedici il giusto (Sal 5, 13), ma prima lo giustifichi quando è empio (Rm 4, 5). Quindi la mia confessione davanti ai tuoi occhi (Sal 95, 6), Dio mio, è insieme tacita e non tacita. Tace la voce, grida il cuore, poiché nulla di vero dico agli uomini, se prima tu non l’hai udito da me ; e tu da me non odi nulla, se prima non l’hai detto tu stesso.

La confessione agli uomini

1003 3. 3. Ma cos’ho da spartire con gli uomini, per cui dovrebbero ascoltare le mie confessioni ? La guarigione di tutte le mie debolezze (Sal 102, 3; Cf. Mt 4, 23) non verrà certo da questa gente curiosa di conoscere la vita altrui, ma infingarda nel correggere la propria. Perché chiedono di udire da me chi sono io, ed evitano di udire da te chi sono essi ? Come poi sapranno, udendo me stesso parlare di me stesso, se dico il vero, quando nessuno fra gli uomini conosce quanto avviene in un uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui ? (1 Cor 2, 11). Udendoti parlare di se stessi, non potrebbero dire : "Il Signore mente" ; poiché udirti parlare di se stessi che altro è, se non conoscere se stessi ? e chi conosce e dice : "È falso" senza mentire a se stesso ? Ma poiché la carità crede tutto (1 Cor 13, 4. 7), in coloro almeno che unifica legandoli a se stessa, anch’io, Signore, pure così mi confesso a te per farmi udire dagli uomini. Prove della veridicità della mia confessione non posso fornire loro ; ma quelli, cui la carità apre le orecchie alla mia voce, mi credono.

Confessioni del passato e del presente

3. 4. Tu però, medico della mia intimità, spiegami chiaramente i frutti della mia opera. Le confessioni dei miei errori passati, da te rimessi e velati (Cf. Sal 31, 1) per farmi godere la tua beatitudine dopo la trasformazione della mia anima mediante la tua fede e il tuo sacramento, spronano il cuore del lettore e dell’ascoltatore a non assopirsi nella disperazione, a non dire : "Non posso" ; a vegliare invece nell’amore della tua misericordia (Cf. Ct 5, 2), nella dolcezza della tua grazia, forza di tutti i deboli (Cf. 2 Cor 12, 10) divenuti per essa consapevoli della propria debolezza. I buoni, poi, godono all’udire i mali passati di chi ormai se ne è liberato ; godono non già per i mali, ma perché sono passati e non sono più. Con quale frutto dunque, Signore mio, cui si confessa ogni giorno la mia coscienza, fiduciosa più della speranza nella tua misericordia, che della propria innocenza, con quale frutto, di grazia, confesso anche agli uomini innanzi a te, attraverso queste pagine, il mio stato presente, non più il passato ? Il frutto di quelle confessioni l’ho capito e ricordato ; ma il mio stato presente, del tempo stesso in cui scrivo queste confessioni, sono molti a desiderare di conoscerlo, coloro che mi conoscono come coloro che non mi conoscono, ma mi hanno sentito parlare di me senza avere il loro orecchio sul mio cuore, ove io sono comunque sono. Dunque desiderano udire da me la confessione del mio intimo, ove né il loro occhio, né il loro orecchio, né la loro mente possono penetrare ; desiderano udirmi, disposti a credere, ma come sicuri di conoscere ? Glielo dice la carità, per cui sono buoni, che non mento nella mia confessione di me stesso. È la carità in loro a credermi.

Frutti delle confessioni del presente tra gli uomini

1004 4. 5. Ma quale frutto si ripromettono da questo desiderio ? Aspirano a unirsi al mio ringraziamento, dopo aver udito quanto mi avvicina a te il tuo dono, e a pregare per me, dopo aver udito quanto mi rallenti il mio peso ? Se è così, a loro mi mostrerò. Non è piccolo il frutto, Signore Dio mio, quando molti ti ringraziano per noi (2 Cor 1, 11), e molti ti pregano per noi. Possa il loro animo fraterno amare in me ciò che tu insegni ad amare, deplorare in me ciò che tu insegni a deplorare. Il loro animo, fraterno, lo potrà fare ; non così un animo estraneo, dei figli di un altro, la cui bocca ha detto vanità, la cui mano è mano iniqua (Sal 143, 7) s. Un animo fraterno, quando mi approva, gode per me ; quando invece mi disapprova, si contrista per me, poiché, nell’approvazione come nella disapprovazione, sempre mi ama. Se è così, a loro mi mostrerò. Traggano un respiro per i miei beni, un sospiro per i miei mali. I miei beni sono opere tue e doni tuoi, i miei mali colpe mie e condanne tue. Respiri per gli uni, sospiri per gli altri, e inni e pianti salgano al tuo cospetto da questi cuori fraterni, turiboli d’incenso per te (Cf. Ap 8, 3) ; e tu, Signore, deliziato dal profumo del tuo santo tempio, abbi misericordia di me secondo la grandezza della tua misericordia (Sal 50, 3), in grazia del tuo nome (Cf. Mt 10, 22; 24, 9; Gv 15, 21). Tu, che non abbandoni mai le tue imprese a metà, completa ciò che è imperfetto in me (Cf. Fil 1, 6).

4. 6. Questo frutto mi attendo dalle confessioni del mio stato presente e non più del passato. Perciò farò la mia confessione non alla tua sola presenza, con segreta esultanza e insieme apprensione (Sal 2, 11), con segreto sconforto e insieme speranza ; ma altresì nelle orecchie dei figli degli uomini credenti (Cf. Sal 106, 8. 15. 21. 31), partecipi della mia gioia e consorti della mia mortalità, miei concittadini e compagni di vita, alcuni più innanzi, altri più indietro, altri a pari di me. Sono questi i tuoi servi e i miei fratelli, che volesti fossero tuoi figli e miei padroni, che mi ordinasti di servire, se voglio vivere con te di te. Insufficiente sarebbe stato il precetto se il tuo Verbo me l’avesse dato a parole, quando non me ne avesse dato prima l’esempio con gli atti (Cf. Gv 13, 15). Ed eccomi allora ubbidiente con atti e parole, sotto le tue ali (Cf. Sal 16, 8), perché troppo grande è il pericolo, se la mia anima non stesse chinata (Cf. Sal 61, 2) sotto le tue ali e la mia debolezza non ti fosse nota. Io sono un bambinello, ma è sempre vivo il Padre mio, e adatto a me il mio tutore. Infatti la medesima persona (Cf. Sal 101, 28; Eb 1, 12) è il mio genitore (Cf. Sal 2, 7) e il mio tutore. Tu, tu solo sei tutti i miei beni, tu, onnipotente, che sei con me anche prima che io sia con te. Se così, mi mostrerò a chi mi ordini di servire, non più quale fui, ma quale sono ormai e sono tuttora. Però io neppure giudico me stesso (1 Cor 4, 3). Così mi ascoltino anche gli altri.

Conoscenza di Dio e dell’uomo

1005 5. 7. Tu, Signore, mi giudichi. Nessuno fra gli uomini conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui (1 Cor 2, 11). Vi è tuttavia nell’uomo qualcosa, che neppure lo spirito stesso dell’uomo che è in lui conosce ; tu invece, Signore, sai (Tb 3, 16; 8, 9; Gv 21, 15 s) tutto di lui per averlo creato. Anch’io, per quanto mi avvilisca al tuo cospetto, stimandomi terra e cenere (Gb 42, 6) (LXX; Cf. Aug., De civ, Dei, 22, 29: PL 41, 796; NBA 5/3, 404); (Cf. Sir 10, 9), so qualcosa di te, che di me ignoro. Noi ora vediamo certamente attraverso uno specchio in un enigma, non ancora faccia a faccia (1 Cor 13, 12) ; quindi, finché pellegrino lontano da te (Cf. 2 Cor 5, 6), sono più vicino a me, che a te. Eppure ti so assolutamente inviolabile, mentre non so a quali tentazioni possa io resistere, a quali no. C’è speranza, perché tu sei fedele e non permetti che siamo tentati al di là delle nostre forze, offrendo con la tentazione anche lo scampo, affinché possiamo sostenerla (1 Cor 10, 13). Confesserò dunque quanto so di me, e anche quanto ignoro di me, perché quanto so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro finché le mie tenebre si mutino quale il mezzodì (Is 58, 10) nel tuo volto (Cf. Sal 89, 8).


Agostino: Le confessioni 909